Guerra d’orgoglio, crociata Sacra nel nome dell’Acciaio. Nelle vene dei pochi eletti scorrono le gocce di sangue distillato dagli Dei, ma infedeli e impostori circondano i prescelti, per imbastardire la stirpe regale con quella dei faccendieri, dei traditori. Brandire la spada e cavalcare fianco a fianco, sorretti dal fragore del tuono, è il compito di ogni Brother of metal: ed è, in estrema sintesi, il chiodo fisso di Joey DeMaio, l’individuo ‘più rumoroso della Terra’ (secondo Il Guinness Dei Primati) ed Eric Adams (il cantante con i polmoni più grossi dell’heavy metal). I due fieri crociati della corazzata Manowar, armata che tante pagine importanti ha scritto nella storia del genere e che ora, raggiunta un’età considerevole, sta accusando un po’ gli acciacchi del tempo. Ma si sa, l’Heavy Metal non morirà mai e finché ci sarà una goccia di sudore da esalare, i Nostri Eroi non si risparmieranno, a costo di cantare con una costola rotta, come capitato mesi fa ad Eric Adams in una data nell’Est Europeo. Troppo facile accusare i testi e il ‘credo’ della band americana, troppo facile tirar fuori i cliché, gli stereotipi, luoghi comuni di cui gli stessi Manowar sembrano farsi portatori; molto più sottile da cogliere è il messaggio reale che sta nei loro atteggiamenti spavaldi, nel look barbarico (anche se i mutandoni di pelo degli esordi erano sinceramente imbarazzanti) e nelle liriche cavalleresche. Già, perché ogni testo dei Manowar riflette un messaggio che potrebbe essere significativo per molti: ovvero quello di una vita da affrontare come una continua battaglia. Cantato con testi eroici e incentrati in maniera fin troppo sognatrice sulla purezza dell’Heavy Metal, ma con un fondo di verità applicabile alla realtà quotidiana. Nella quale i ‘true metallers’ altro non sono che gli individui sinceri con sé stessi e con gli altri, che affrontano con passione e amore le cose alle quali tengono, senza cercare di raggiungerle con sotterfugi o nuocendo al prossimo. I ‘poseurs’, i traditori, quelli che infangano il nome dell’Acciaio, altri non sono che quegli eserciti di persone superficiali, disoneste, false e arroganti che trasformano la quotidianità altrui in una vera e propria ‘guerra’. Per molti ragazzini, rifugiarsi nella musica (metal, ovviamente) è stato, da sempre, la via di fuga contro i primi problemi dell’adolescenza, la ricerca della verità e della forza capace di abbattere tutte le preoccupazioni e l’ostacolo. I Manowar hanno preso questo concetto e, con abbondantissime dosi di folklore, lo hanno esteso all’intera esistenza di chi voglia calarsi in questa realtà, fatta di draghi e martelli di Thor ma che, a conti fatti, potrebbe essere tremendamente terrena. Alcuni sosterranno che i prodi true metallers d’oltreoceano, in realtà, hanno ben pochi messaggi da comunicare e sguazzino in questi luoghi comuni da trent’anni a questa parte solo a fin di lucro: un’opinione che va sì rispettata, ma non necessariamente condivisa. Come rispettata va l’interpretazione metaforica delle canzoni di questa band storica: probabilmente non tutti coglieranno il senso della vita visto come ‘battaglia’, ma questo non significa che anche chi invece affronta i suoi giorni in questi termini sia un imbecille.
Tra i dischi dei Manowar più amati e considerati da fans e critica vi è sicuramente quel Kings of Metal, datato 1988, nel quale i Re del Metallo sancivano in maniera solenne e inequivocabile un’autoincoronazione che, negli atti pratici, era stata santificata già da un pezzo. Un disco che segnò a suo modo una svolta: dopo i primi capitoli epici e classic heavy ed un esperimento più tendente all’Hard Rock, i barbari newyorkesi svoltavano verso un più dinamico e moderno power speed ultraepico, tangibile in brani come Wheels Of Fire, Blood Of The Kings o Hail And Kill, in assoluto uno dei pezzi più avvincenti ed emozionanti del combo americano. ‘Saluta e Uccidi’, di per sé un manifesto, un testo che trasuda gloria e gronda imponenza, come prassi manowariana, eleggibile a vangelo stesso della fede metallica dei quattro Kings. Il brano s’apre con alcune note malinconiche ed un cantato solenne e accorato, in un’atmosfera delicata e rilassata: la chiamata alle armi, una ‘marcia oscura’ che ci aspetta. Siamo di fronte alla vita: un esercito di impostori e impuniti non aspetta che di accoltellarci, ma i Manowar fanno risaltare il concetto di Brother of Metal, puntando forte sull’unione tra i metalheads –concetto che negli Eighties era forse molto più sentito e genuino di oggi- al fine di sconfiggere il nemico.
Brothers I am calling from the valley of the kings
With nothing to atone
A dark march lies ahead, together we will ride
Like thunder from the sky
May your sword stay wet like a young girl in her prime
Hold your hammers high
Fratelli vi sto chiamando dalla valle dei re
Con nulla da espiare
Una marcia oscura si apre di fronte a noi,
Insieme cavalcheremo
Come un fulmine dal cielo
Possano le vostre spade essere bagnate
Come una giovane donna nel fiore degli anni
Alzate i vostri martelli in alto
Ricorrenti sono, nell’etimologia manowariana, i riferimenti al ‘martello’ o al ‘fulmine dal cielo’; terminata la prima strofa, la canzone ‘esplode’ roboante e il vocalism di Eric Adams si tramuta in urlo di battaglia del guerriero, che sa di essere atteso da mille ostacoli ( Sangue e morte stanno aspettando come un corvo nel cielo) ma si fa eroe, portatore di verità pura ed immacolata. Una crociata fiera e ferma contro le menzogne e la falsità: attraverso la forza di volontà il prode guerriero otterrà potere e dominio.
Blood and death are waiting like a raven in the sky
I was born to die
Hear me while I live
As I look in your eyes
None shall hear a lie
Power and dominion are taken by the will
By divine right hail and kill
Sangue e morte stanno aspettando come un corvo nel cielo
Sono nato per morire
Ascoltatemi finché sono vivo,
Sino a quando guardo nei vostri occhi
Non sentirete menzogne.
Potere e dominio sono ottenuti con la volontà,
Per diritto divino, acclama e uccidi
L’escalation epica procede con lo scorrere dei minuti. Nella strofa successiva viene resa ancora più ridondante l’essenza salvifica del ‘prescelto’, l’headbanger lungocrinito che giunge tra i mortali in sella al suo cavallo di cuoio e acciaio: Io porterò salvezza, punizione e dolore, paladino della giustizia armato di cuore e buonsenso ma, se graffiato nell’orgoglio, capace di farsi assassino cruento e punitore ultimo del trasgressore. Morte agli impostori, morte ai disonesti, morte a chi vivacchia sulle sventure dei deboli: Il martello dell’odio è la nostra fede, un monito che sintetizza ciò che muove rovente nelle anime dei metalheads di ogni latitudine. Pensateci: odio, sia esso per l’ingiustizia, la corruzione, la disonestà, i conformismi, i luoghi comuni, per il bigotto, per la musica ‘facile’ da classifica, per la gente che non sa distinguersi ma si piega alle esigenze materiali come in un gregge di pecoroni. E’ sempre l’odio, la protesta, la ribellione metaforica ad animare la passione spasmodica dei metallari per la propria musica e la propria sete di verità ed onestà intellettuale.
My father was a wolf
I'm the kinsman to the slain
Sworn to rise again
I will bring salvation, punishment and pain
The hammer of hate is our faith
Power and dominion are taken by the will
By divine right hail and kill
Mio padre era un lupo
io sono un parente degli uccisi
Giurate per sorgere nuovamente
Io porterò salvezza punizione e dolore
Il martello dell’odio è la nostra fede
Potere e dominazione sono ottenuti per volontà
Per diritto divino divina saluta e uccidi
Tra urla e ritmo coinvolgente, l’esaltazione balza a mille. Pochi, come i Manowar sono in grado di portare a tali livelli di eccitazione attraverso musica e parole. Un assolo dalla melodia semplice ma cristallina e penetrante apre la strada per l’ultima, rabbiosa strofa, preceduta da un coro da stadio che dà l’ennesima scossa di follia ai neuroni e ai cuori palpitanti dell’ascoltatore. Un urlaccio tonante di Eric Adams apre l’aggressione finale, vera e propria dichiarazione sfrontata di odio e violenza nei confronti delle persone che rientrano, a seconda del personale criterio di valutazione, nella categoria dei ‘falsi’ da eliminare. Negando la morale cristiana del ‘porgi l’altra guancia’ e scatenando un nugolo di polemiche, i Manowar sfoggiano il lato più estremo, senza peli sulla lingua, violenti e spietati, alla faccia dei perbenisti e del politically correct, con un pizzico di maschilismo ma con un’attitudine fottutamente metallica:
Rip their flesh
Burn their hearts
Stab them in the eyes
Rape their women as they cry
Kill their servants
Burn their homes
Till there's no blood left to spill
Squarcia la loro carne,
Brucia i loro cuori,
Cava loro gli occhi,
Violenta le loro donne mentre piangono,
Uccidi i loro servi,
Brucia le loro terre
sino a quando non ci sarà più sangue da versare.
Acclama e uccidi
Chi deride i Manowar, i loro testi battaglieri e il loro atteggiamento fiero e orgoglioso, probabilmente, non si accorge dei molti messaggi che i seguaci di questa band possono ritenere importanti. Il valore, l’onestà, l’amore viscerale per questa musica e per questo stile di vita, l’esaltazione dell’Heavy Metal fino al limite del pacchiano, l’esagerazione più sfrontata: sotto la scorza c’è molto di più, e va rispettato. Chi non lo rispetta, probabilmente, potrebbe essere considerato alla stregua di tutti gli altri impuniti. E allora potremmo essere tenuti ad impugnare lo spadone, assieme a Re Eric, per gridare ancora una volta DEATH TO FALSE METAL!
|