80s Italian Metal Legions Attack
( 22 Luglio )
Il prologo di questa tre giorni di metal in provincia di Verona è stato
senza dubbio una delle esperienze più oniriche dell'anno. Oniriche nel
senso letterale del termine. Sembrava di essere dentro un sogno. Un sogno partorito
dalla mente instancabile di Gianni Della Cioppa (storico critico dall'immensa
esperienza accumulata sulle pagine di Metal Shock e Psycho!). Un festival organizzato
in poco più di un mese, un po' improvvisato e forse per questo dalla partecipazione
piuttosto scarsa, nonostante la presenza più che gratificante di persone
giunte da posti distanti, come la Toscana o addirittura la Sicilia, senza considerare
la follia dei Greci e dei Messicani, giunti in quel di Domegliara con i loro stand
da veri e propri "cultori" del metal anni '80, con perle rarissime.
Il primo gruppo a esibirsi sono gli Exile, vecchia
formazione veronese qui riproposta in versione "2004", con il solo
Gianni della Cioppa accompagnato da 3 giovani amici musicisti. Ovviamente non
si può parlare di reunion, il tutto è da intendersi come un semplice
gioco, un revival tra amici di un'epoca che fu, nella quale l'hard rock in Italia
era oggetto di culto per pochissimi. Le due canzoni riescono in ogni caso a
colpire nel segno, facendo scorre vividi i ricordi delle serate in compagnia
nelle menti dei meno giovani e strappando un sorriso anche al più serioso
blackster giunto lì per caso, attirato magari dall'ingresso gratuito.
Il vero e proprio concerto inizia con gli Spitfire,
cult-band veronese degli anni '80, tra i prime-movers di una scena italiana
senza grandi sbocchi commerciali, ma con una grandissima e purissima passione
per l'heavy metal che da qualche anno cominciava ad arrivare in tutta Europa
dalla terra d'Albione. Quindi fortissimi richiami alla NWOBHM in canzoni del
calibro di "Blade Runner", "Merchants of Death" o ancora
la favolosa e struggente ballad "Stones of Venice", eseguite alla
perfezione da una band riformata solo per questa storica occasione e cantate
in maniera superba da quel grande personaggio che è Giacomo Gigantelli
(ex Danger Zone), ora impegnato in tutt'altri progetti con la sua cover band
dei Kiss, i Juliet Kiss. Forse solo la batteria sembrava un po' arruginita là
dietro, ma quello che importa è la rievocazione storica, riuscita in
pieno! Consiglio da amico: compratevi la ristampa delle loro vecchie tracce
edita da Andromeda Relics dal titolo "Heroes in the Storm".
Grandissimi anche i vicentini X-Hero, riformatisi
anch'essi per l'occasione, con il loro class metal suonato alla grande, con
un cantante dalla timbrica particolare e una band compatta a sostenerlo con
una precisione ed un affiatamento che non ci si aspetta da chi non suona assieme
da tanto tempo. Forse un po' ripetitivi alla lunga, ma con un'ottima padronanza
tecnica (soprattutto il comparto chitarristico) e classe da vendere.
Clue della serata è stato però il concerto
dei marchigiani Gunfire, formazione da sempre in attività, con
3/5 di line-up originale. Il metal classico, di chiara derivazione priestiana,
fa subito breccia nei cuori dei pochi presenti, anche dei più giovani
e in generale di chi non conosceva i Gunfire. Ciò che colpisce di più
è la compattezza e la decisione del sound, oltre che l'attitudine "true
metal" oltremisura di tutti e cinque gli elementi. Rimarchevole anche l'esecuzione
di "United" dei Judas Priest (e non la solita iper-coverizzata "Painkiller"!!).
Ora una piccola postilla: perchè un gruppo come i Gunfire, forti di un'esperienza
solidissima, di un suono così deciso e compatto, di idee non geniali
ma sicuramente oneste e interessanti, non riesce ad andare oltre lo status di
cult-band (ora sono sotto una piccola etichetta tedesca, la Iron Glory), quando
ci sono decine e decine di gruppi italiani (e non) totalmente inutili, che non
fanno altro che proporre in modo peggiore e senza un minimo di onestà
intellettuale lo stesso genere? Misteri dell'industria discografica del 2000.
Il perfetto epilogo di una serata come questa è
affidata a due degli ensemble più originali e unici nel panorama musicale
italiano (ma sarebbe più giusto dire mondiale): The Black e Dark
Quarterer. I primi creatura musicale dell'artista Mario Di Donato (noto
principalmente per le sue opere pittoriche a tema religioso, ma anche per la
sua presenza nelle file dei Requiem), capaci di percorrere coordinate care al
doom mischiandole con elementi di psichedelia e con uno stile vocale assolutamente
alieno a tutto ciò che lo circonda, sospeso in un alone vacuo ed etereo,
proprio come le atmosfere che la band ricrea. Purtroppo in quest'occasione non
tutto sembra funzionare a dovere e in molte occasioni si fanno evidenti le limitazioni
tecniche della band, che talvolta sembra perdersi tra i funambolismi del batterista
(talvolta esagerati) e i riff un po' troppo sospesi della chitarra. Forse pesanti
per la maggior parte del pubblico, con canzoni che non concedono nulla alla
melodia e all'orecchiabilità. Ma di sicuro anche anticonformisti e originali
(come consuetudine quando si parla di band sotto Black Widows Records), e di
questo ne va dato atto a Di Donato e a chi segue la band da anni.
Per quanto riguarda i Dark Quarterer non c'è
altro da aggiungere, se non che assistere ad una loro esibizione è una
di quelle esperienze che consiglio a tutti di fare se si ha la possibilità.
Giù il cappello di fronte ad artisti di questa stazza, capaci di riproporsi
in maniera originale anche dopo due decadi passate pressochè nell'ombra.
Ombra magnifica di due dischi come "Dark Quarterer" e "The Etruschan
Prophecy". La miscela esplosiva di epic metal, progressive, dark, condita
da innumerevoli tocchi di classe indefinibili rende i Dark Quarterer oggi più
che mai una delle migliori band heavy metal italiane di sempre, una delle poche
che ha saputo coniugare originalità e classicità nella stessa
ricetta. Più che canzoni i Dark Quarterer propongono delle pillole di
genialità e teatralità musicale, con una grande band composta
dai due membri originali Gianni Nepi (basso e voce) e Paolo Ninci (batteria),
accompagnati da qualche tempo da due giovanissimi alla chitarra e alle tastiere.
Da rimarcare ancora una volta l'ottimo lavoro del chitarrista, un vero e proprio
virtuoso della sei corde, che non ha nulla da invidiare a molti guitar hero
più vecchi di lui.
Una degna conclusione per un festival che ha basato il
suo successo (musicale, ma ahimè non di pubblico) innanzitutto su un
clima di collaborazione tra gruppi e organizzazione, ma anche su una passione
mai doma per l'heavy metal da parte di certi, lodevoli, individui. Una festa
carica di nostalgia ma anche di determinazione (Della Cioppa sta già
lavorando all'edizione 2005, quindi le band sono avvisate!!), qualità
utile più che mai in questi casi per portare avanti un ideale di musica
forse anacronistico, ma di sicuro appagante, che vuole scavalcare tutti gli
ostacoli onnipresenti al giorno d'oggi quando si cerca di proporre Arte, di
quella con la A maiuscola.
VALPOLICELLA METAL FEST ( 24 Luglio
)
Giunto alla quarta edizione il Valpolicella Metal Fest si caratterizza inevitabilmente
per una continua crescita, dalle prime due edizioni gratuite, passando per la
sfortunata edizione dello scorso anno, nella quale i Grave Digger non si esibirono
per colpa di un autentico diluvio. Quest'anno le cose non sono andate certo
in maniera migliore, almeno per quanto riguarda la prima giornata, che ha visto
la cancellazione di quasi tutte le band, esclusi Maelstrom, Nameless e Benediction.
I Vader, headliner della serata, hanno rimpiazzato i tedeschi Stormhammer nella
giornata successiva.
C'è da dire che forse con una copertura migliore del palco si sarebbe
potuta svolgere per intero anche la prima giornata sotto la pioggia (non fortissima
come nel 2003).
Lodevole comunque l'iniziativa presa dall'organizzazione di azzerare il prezzo
del biglietto del 24 luglio, permettendo a chiunque di entrare gratis e godersi
quel che era rimasto delle band.
Bando alle ciance... La prima band che si esibisce sono i vicentini Nameless,
con il loro connubio abbastanza riuscito ed efficace di death metal e hardcore,
soprattutto nel doppio cantato, con una voce più growl e l'altra dal
timbro decisamente più hardcore. Purtroppo la gente presente non è
molta e la maggior parte preferisce rimanere al coperto a spulciare le fornitissime
bancarelle di vinili (senza contare l'affollatissimo stand dei grappini!!).
La carica sprigionata dalla giovane band è comunque notevole ed è
facile intuire come la dimensione live sia la loro preferita. Senza dubbio da
rivedere in un contesto diverso, al chiuso in qualche piccolo pub.
Buona anche l'esibizione dei veronesi Maelstrom,
band con all'attivo un demo recensito poco tempo fa. Probabilmente a causa di
un po' di emozione o forse per la stanchezza accumulata durante tutta la giornata
sotto la pioggia, i Maelstrom riescono meno bene del solito a coinvolgere i
presenti, complice anche qualche suono un po' impastato.
In ogni caso una discreta prestazione, considerate tutte le avversità
della giornata e tenendo conto che suonare su un palco così grande per
una band abituata ai piccoli pub può essere ostico le prime volte. Il
cantante, Zek, sembra infatti l'unico che riesce a mettercela tutta nel muoversi
sul palco e cercare il coinvolgimento del pubblico. Ripeto, si sono visti in
migliori condizioni, ma i Maelstrom hanno centrato in maniera buona l'obiettivo
della prima prova su un grande palco.
Giunta l'ora dei Benediction, band che fino al
1992 vedeva tra le sue fila nientemeno che Barney Greenaway (Napalm Death),
si nota un deciso miglioramento per quanto riguarda l'affluenza sotto al palco,
e gli inglesi ci mettono un secondo per incendiare gli animi del pubblico accorso
da mezza italia solo per loro. Quello che segue è un concerto unico!
In un'atmosfera decisamente sopra le righe, con la pioggia che irromperà
cospiqua dopo poche note, con le transenne sfondate e spaccate da alcuni dei
più esaltati fan della band inglese, si compie quello che è stato
forse il concerto più sincero ed essenziale che abbia mai visto, in ambito
estremo. L'attitudine dei Benediction non è nemmeno da mettere in discussione,
e il loro death metal old school, imbevuto da forti dosi di hardcore, fa proseliti
anche dopo molti anni, dimostrando come ciò che conta quando si parla
di metal estremo sia innanzitutto la carica e la violenza, doti che certamente
non mancano a Darren Brookes e compagni. Nemmeno la pioggia più battente
scoraggia i veri fan dei Benediction, esaltati come non mai dalla strepitosa
prova della band. Ad un certo punto riescono addirittura a far intervenire il
responsabile della sicurezza, che minaccia di far terminare il concerto se gli
animi non si calmeranno. Alla fine tutti felici e nessuno sconfitto. In mezzo
al moshing sfrenato si conterà solo qualche caviglia rotta e qualche
contusione. Attitudine death metal al 100%! Niente di meno che questo! Roba
da insegnare e da portare ad esempio per tutti!
VALPOLICELLA METAL FEST ( 25 Luglio )
La seconda giornata ci ha per fortuna riservato tempo ottimo, almeno fino al
concerto degli UDO, durante il quale si è levata una leggera pioggerella,
che però non è riuscita fortunatamente a guastare le feste.
Il primo gruppo ad esibirsi in questa torrida giornata
sono stati gli Anthenora, un po' sacrificati come posizione nel bill
e con poco pubblico ad ascoltarli, ma perfetti sotto ogni punto di vista, con
il loro metal di stampo americano, senza sussulti e che non concede compromessi.
Magari sarebbero da rivedere sulla lunga distanza, ma la tenuta di palco ottima
del singer Luigi Bonansea, nonostante un braccio ingessato, la dice lunga sull'esperienza
degli Anthenora sui palchi di mezza Italia.
Di tutt'altra pasta sono fatti invece i Sigma,
con un classico power metal trito e ritrito, senza alcun aspetto degno di essere
ricordato a parte la grande tecnica dei singoli. La nota forse più dolente
è proprio il cantante, la cui presenza scenica è prossima allo
zero, non riuscendo a coinvolgere praticamente nessuno. Tecnicamente siamo ovviamente
su alti livelli, e se ciò può essere sufficiente su disco, di
certo non riesce a strappare più di qualche sbadiglio in un concerto
live. Certo, se si conoscessero i pezzi a menadito qualche spunto interessante
lo si potrebbe anche ritrovare, ma la proposta della band in veste live non
riesce a convincere per niente, almeno per questa volta.
Più o meno uguale discorso per gli Helreidh,
decisamente più inclini a partiture prog-metal, complici anche le abbondanti
dosi di tastiera, ma ugualmente poco coinvolgenti a causa di una costruzione
dei brani decisamente non immediata e di melodie non propriamente efficaci.
Notevole la preparazione tecnica di tutta la band, ma soprattutto della coppia
chitarristica, costituita da Fabio Lentola (degli Anarchy-X, ottima cover band
degli immortali Queensryche) e Yorick (attualmente impegnato anche nei Raising
Fear). Rimane tuttavia l'impressione che musica come questa non sia del tutto
adatta ad un contesto come quello di un festival open air, anche se magari tra
i fan della band qualcuno storcerà il naso leggendo queste righe.
Si deve aspettare l'arrivo dei Rain per vedere
le cose rimesse a posto da chi all'heavy metal più puro ha dedicato una
vita intera. I Rain stupiscono proprio laddove i due gruppi precedenti hanno
fatto storcere il naso: grandissima presenza scenica, nessun fronzolo, impatto
prima di tutto. Questa è l'essenza della band bolognese e dell'heavy
metal. Anche il pubblico sembra gradire, soprattutto quando a farla da padrone
sono i brani tratti dall'ultimo album, "Headshaker" (tra cui l'ormai
classica "Only for the Rain crew", cantata assieme al pubblico), vero
e proprio disco col botto! L'unica nota dolente rispetto all'unica altra volte
che ho potuto vederli è stata a mio parere l'innesto di un sostituto
(pensiamo temporaneo) alla voce, sicuramente meno carismatico di Tronco. Ma
questi sono dettagli inutili quando si parla dei Rain, un gruppo che trasuda
passione, istinto e voglia di sconquassare tutti con il loro heavy metal che
i più critici definiranno "banale e retrò" ma che è
in realtà la quintessenza del divertimento! Se vi capitano a tiro non
perdeteli, ve ne pentirete amaramente...
I Macbeth, formazione gothic metal a due voci
(femminile pseudo-lirica e maschile growl), che deve molto a formazioni basilari
come i Crematory o i Theatre of Tragedy, danno una netta sterzata di stile alla
giornata, improntata chiaramente sul metal più classico, fornendo qualche
spunto ai fotografi, attirati inevitabilmente dalla bella cantante, e calamitando
le attenzioni delle darklady presenti. Purtroppo la band, composta di ben sette
elementi, sembra assai penalizzata dalle stonature a volte fin troppo evidenti
di Morena, nonostante una resa della band molto buona, grazie anche agli splendidi
suoni, una piacevole costante per ogni gruppo esibitosi, tranne, come si vedrà
più tardi, nel caso dei White Skull.
A questo punto è doverosa una parentesi sui tre
gruppi, tutti di ottimo livello, esibitisi nel palco minore, defilato in un
angolo all'estremità opposta del "main stage".
La prima band, i Nicta, si distinguono per uno
stile piuttosto personale a cavallo tra il power e le sfuriate dei Children
of Bodom, ricreando delle atmosfere particolari che fanno da contorno a un concept
sulla mitologia sumera. Dal vivo forse c'è ancora qualcosina da sistemare,
dato che il gruppo non sembra ancora possedere quell'affiatamento che permetta
loro di riprodurre con maggiore carica le canzoni del demo, recensito qualche
mese orsono. Anche un tasso maggiore di spettacolarità non guasterebbe,
dal momento che i singoli appaiono troppo fermi sul palco, a dispetto di una
tecnica davvero convincente.
Secondi a calcare il palchetto sono i bresciani Scream,
band con molti anni di esperienza, autrice di un power melodico che personalmente
mi ricorda vagamente gli Elegy. Ottima la voce di Sandro, così come la
coppia chitarristica. Da risentire meglio per quanto riguarda le canzoni proprie,
mentre riuscitissima la cover di "Painkiller", con le classiche corse
sotto al palco per prodigarsi in un violento headbangin'.
Si cambia leggermente con i Battle Ram. I marchigiani
colpiscono nel segno, piazzando canzoni di solido e roccioso epic metal di stampo
americano. Così, con brani che incrociano le esperienze fatte da band
come Cirith Ungol, Manilla Road e Manowar, si assiste a un grande concerto,
la cui unica pecca è stata purtroppo la brevità. Personalmente
preferirei sentirli con una voce dal timbro più greve, mentre il cantante
attuale sembra più improntato ai toni alti. Certo che qui si parla di
gusti personali. Una band che sicuramente avrebbe meritato un posto sul palco
principale.
Il vero salto di qualità lo si è fatto
tuttavia prima dei Battle Ram, quando sul palco principale sono saliti i Thunderstorm.
I doomster bergamaschi, già visti all'opera qualche mese fa assieme ai
Bullfrog, sono forse un po' penalizzati dall'atmosfera soleggiata della Valpolicella,
ma riescono ugualmente a dare il meglio, grazie a riff sabbatici di facile presa
e ad un groove molto 70s, che si discosta parecchio da ciò che è
stato proposto in questa giornata. Così il pubblico si accende grazie
alle canzoni di "Sad Symphony" e "Witchunter Tales", con
qualche inserimento di nuove canzoni che appariranno sul prossimo album, sotto
Dragonheart Records. E' una bella soddisfazione vedere molta gente all'inizio
diffidente ("Ah, che palle il doom" oppure "Il doom mi fa dormire"),
e poi, mano a mano che lo show proseguiva, ricredersi e rimanere piacevolmente
sorpresi dal terzetto che, ricordiamo, fece da headliner alla passata edizione
del "Doom shall rise", il più importante festival europeo dedicato
in particolare al doom. Una grande sorpresa (per chi non li aveva mai sentiti
ovviamente).
Uno dei momenti più attesi della due giorni è
senza dubbio l'esibizione di una delle band più prolifiche di sempre
in quanto a numero di concerti live: i Vader, spostati nella seconda
giornata per i succitati problemi meteorologici del Sabato. I polacchi sono
un'autentica macchina da guerra sia su disco che live, e, nonostante una stanchezza
palpabile, ne danno ampiamente prova anche in questa occasione. Purtroppo per
loro il pubblico non sembra reagire in maniera adeguata, restando piuttosto
freddo per la mezz'ora abbondante di concerto. Impressionante la sezione ritmica,
con il nuovo bassista, Novy (che fu dei Behemoth), e soprattutto con un grandissimo
session-man alla batterista, Daray, che non fa di certo rimpiangere la potenza
del drummer ufficiale, Doc. Peter, con il suo sguardo torvo e i denti digrignati
per quasi tutto il concerto, sembra il più stanco di tutti, ma uno come
lui non può temere nulla. Ed infatti non si risparmia in fatto di incitamento
al pubblico, che però di smuoversi non ne ha proprio voglia a quanto
pare (ed è comprensibile, visto il caldo asfissiante). Per il resto è
stato il tipico concerto che ci si aspetta dai Vader, compatto e assassino,
death metal fino al midollo, condito della grande tecnica mai fine a sè
stessa che ormai li contraddistingue. Sarebbe stato sicuramente migliore vederli
nella posizione che sarebbe loro spettata il sabato sera, ma la sfortuna ha
voluto così per questa volta.
Giocano praticamente in casa i White Skull (e
si vede dal responso del pubblico), aficionados ormai della manifestazione.
Probabilmente il fatto di suonare dopo i Vader va inteso anche come un premio
alla loro coerenza da moltissimi anni a questa parte. Il concerto però,
risente ahimè di suoni decisamente scadenti e impastati, non permettendo
di gustarsi appieno i 45 minuti a disposizione dei vicentini, che in quest'ultimo
periodo si sono valsi della collaborazione di Stefano Balocco (Anthenora) al
basso. Un concerto ad ampio respiro, che attinge da un po' tutto il repertorio
del gruppo, incluse ovviamente alcune canzoni dell'ultimo "The XIII Skull".
Tuttavia per quanto mi riguarda, non riesco ancora ad apprezzare totalmente
la voce di Gus Gabarrò, senza dubbio a suo agio nelle canzoni di "The
Dark Age" e "The XIII Skull", ma che fa ancora rimpiangere le
ruvide vocals di Federica quando si tratta di canzoni come "Tales from
the North" o "Asgard". Altro aspetto che desta in me una voglia
di passato è l'assenza fondamentale della chitarra "grassa"
e hard rock di Nick; il suono della sua Gibson era il vero cardine dei White
Skull, e nemmeno la bravura dell'ottimo Danilo Bar riesce a sopperire a tale
mancanza. Tutto sommato un discreto concerto, nei loro standard degli ultimi
tempi, penalizzato indubbiamente da suoni davvero inadatti alla situazione.
Non appena finito il concerto degli Skull, la gente si
assiepa sotto al palco, in attesa dal personaggio che risponde al nome di UDO!
L'attesa non è troppo lunga, e dopo il cambio di palco tutto è
pronto per il concerto che chiuderà la due giorni metal veronese. La
scenografia è giustamente scarna, con due pannelli a ricordarci dell'uscita
del nuovo album, "Thunderball". Ed è proprio sulle note della
titletrack di quest'ultimo lavoro che fa la sua comparsa la band, che si mostra
subito in gran forma, nonostante un bilanciamento della voce non buono nelle
prime fasi, ma prontamente sistemato dopo due pezzi. Mr. Dirkschneider calca
il palco in veste marziale, con tuta militare e occhiali da sole, un po' appesantito
e statico per tutta l'ora e un quarto di concerto, ma vocalmente in forma smagliante!
La risposta del pubblico è finalmente adeguata alla grandezza (ovviamente
metaforica!!) del personaggio, anche se di certo ci si aspettava qualcosa di
più in quanto a presenze. A sorpresa la band stupisce con l'inserimento
nel set di un numero maggiore di canzoni dell'era Accept di quante non siano
quelle pescate dagli album solisti di Udo, con un trittico strepitoso prelevato
nientemeno che da "Metal Heart", con la title-track (accompagnata
dai cori di tutti quanti), "Livin for tonight" e la stupenda "Up
to the limit", senza dimenticare capolavori acceptiani del calibro di "Fast
as a Shark" (posta in chiusura come di consueto), "Balls to the Wall"
(una vera e propria dichiarazione d'intenti fatta di heavy metal quadrato e
immarcescibile) e "Princess of the dawn". A confronto di queste gemme
le canzoni degli U.D.O. rischiano di passare in secondo piano, ma il pubblico
non ci casca, ed apprezza con la giusta attitudine pezzi come "Pull the
trigger" e l'immancabile "Animal House". La band è grandiosa
(bravissimo Igor Gianola, ex chitarrista dei rocker svizzeri Gotthard) e unita
verso un unico obiettivo: presentare un concerto heavy metal allo stato più
puro ed essenziale. Il concerto finisce forse troppo in fretta, proprio in concomitanza
con l'arrivo di una leggera perturbazione, quando forse era lecito aspettarsi
qualche brano in più. Strano anche il comportamento di Udo stesso, arrivato
nell'area del concerto qualche minuto prima dell'esibizione, rimasto nel backstage
per un po' a concerto finito, firmando qualche autografo (ottenuto grazie a
un supplizio degli organizzatori!) a due coraggiosissimi fan che lo aspettavano
sotto la pioggia, e dileguatosi in fretta e furia con un pulmino subito dopo
aver finito di espletare questo "gravoso" compito! Davvero un peccato
non avere avuto di lui quell'immagine di acceso sostenitore di quel sentimento
di unione tra pubblico e band che ci si aspettava da un veterano come lui.
Poco male, ci si consola aggredendo per l'ultima volta
lo stand dei grappini in compagnia di qualche amico di Genova e Milano, prima
di una festa improvvisata a base di patatine e carne ai ferri per i pochissimi
rimasti fino a tarda ora. Anche da questo si evince la grandissima atmosfera
di familiarità che si è respirata per due giorni (tre se si considera
anche l'"italian 80s metal legions attack") passati in quel di Domegliara,
aspettando trepidanti il bill dell'anno prossimo!