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WINTER MASTERS OF ROCK - Luďka Čajky Stadion, Zlin, 26/11/2011
05/01/2012 (2589 letture)
Dopo un viaggio di mille chilometri tra auto, aereo, furgone a noleggio e tre Paesi attraversati, eccoci a Zlin, capoluogo dell’omonima regione della Repubblica Ceca, incastonata tra Repubblica Slovacca ed Austria, per il Winter Masters of Rock 2011, per un emozionante tuffo nel passato, oggi più che mai estremamente vivo. Cosa che accade quando mostri sacri del calibro di Michael Kiske e Kai Hansen calcano lo stesso palco.
Trattasi della versione invernale di un festival che ha luogo nel periodo estivo, sempre a Zlin. La cittadina è decisamente brutta sul piano estetico, piena di costruzioni dall’aspetto cubico e grezzo, quartieri dormitorio e grandi fabbriche che non lasciano spazio, almeno per quello che siamo riusciti a vedere, a sprazzi di architettura più calda e storica. Dalla vista del nostro albergo domina lo sguardo la grossa ciminiera della centrale termoelettrica, posta letteralmente in centro all’abitato. Nonostante questa impronta sovieticamente industriale, un ricco fervore di Heavy Metal pervade la vita sociale, grazie ad una struttura che funge da pub ed anche da sala concerti con una capienza di circa 700 persone, il Masters Of Rock Café. E’ qui che hanno luogo numerosi concerti durante tutto l’anno e qui si svolgerà l’after party, fino a notte fonda, di questo Festival.
L’evento musicale per il quale ci siamo mossi è ospitato dal palazzetto della locale squadra di hockey su ghiaccio, il Ludka Cajky Stadion, dove si attendono 4-5.000 metallari, pronti a combattere il gelo intenso a colpi di birra, vin brulé ed ottima musica. L’area antistante allo stadio è popolata di stand di cibarie e bevande locali, decisamente utili a mitigare l’effetto del freddo pungente. All’ingresso ci troviamo in difficoltà a comunicare col personale per far capir loro che siamo della stampa estera e rimbalziamo tra vari personaggi finché, nel nostro peregrinare, veniamo raggiunti da un operatore dell’organizzazione, che non si sa come sia riuscito a rintracciarci nella folla (retaggi del KGB?), che ci guida rapidamente attraverso le formalità dell’ingresso stampa.

Entriamo quindi in zona concerto. L’interno del palazzetto è freddo quasi come l’esterno, ma almeno non tira vento. I corridoi sotto le gradinate sono gremite di gente, che si sposta tra banchetti della birra, bagni e vari accessi al campo. Quello che ci colpisce subito è la dotazione di sicurezza, o forse sarebbe meglio dire di “insicurezza”: non v’è traccia di uscite di sicurezza, le luci centrali del campo sono spente e spente rimarranno, anche durante i cambi palco, i gradini che permettono l’accesso al parterre sono di dimensioni variabili e mal segnalati. Sul campo è stato steso uno strato pavimentale di gomma al di sopra del ghiaccio, ai bordi è tutto bagnato ed in molti punti le gradinate sono scivolose. Poco male, bisogna solo adeguarsi, d’altra parte probabilmente trent’anni fa anche da noi era così. Complice qualche ora di sonno da recuperare, qualche birra di troppo al pub vicino all’albergo e le complicazioni all’ingresso, il primo gruppo che vediamo sul palco sono i Blowsight. Il loro è un misto hard/punk rock, apprezzato soprattutto dalle ragazze presenti, e che raggiunge il culmine con l’ottima cover Poker Face di Lady Gaga, appesantita da chitarre graffianti. Il look di tendenza simil-emo dovrebbe strizzare l’occhio alle generazioni più giovani, ma notiamo che l’età media dei presenti è piuttosto elevata, almeno paragonata a quella che tipicamente vediamo in Italia. Pare che la band si aspetti più partecipazione e non lesina esortazioni al pubblico. Spesso però sembrano cadere nel vuoto, e non ci è chiaro se il motivo è una scarsa confidenza con l’inglese da parte degli autoctoni o se è proprio una questione caratteriale dei cechi. Anche di fronte alla domanda “a chi piace far sesso?”, domanda tra le altre posta al pubblico per colmare un buco tecnico tra una canzone e l’altra e stimolare l’attenzione, si ode solo un tiepido rumoreggiare. L’impressione è che i presenti siano tutti più intenti a svuotare fusti di birra. Conclusasi senza lasciar particolar traccia la performance dei segaligni svedesi, tocca ai Kingdom Come di Lenny Wolf tenere le scene, i quali, con una bellissima Should I in apertura, hanno il compito di soddisfare la voglia di musica del pubblico. Con un ottimo e tecnico hard rock e con tutta la loro esperienza, svolgono il compito alla perfezione per quasi un’ora, ricevendo i giusti onori. Il cammino per conquistare appieno la considerazione dell’audience è lungo ma anche la scaletta lo è, e se è vero che col passare dei brani si notano leggeri cedimenti sia vocali che chitarristici, è altrettanto vero che gli applausi vanno ingrossandosi di pezzo di pezzo. La scelta della setlist si alterna tra episodi più o meno brillanti della carriera dei Kingdom Come, ma la caparbietà del loro leader fende pian piano la freddezza dei cechi, riuscendo in fine a creare un clima più partecipato e coinvolto.

CORONER
Il pubblico ormai è stato scaldato a sufficienza, e ormai anche il palazzetto gremito è pronto per l’arrivo di Ron Royce e dei suoi Coroner. Grin e Mental Vortex sono gli album da cui la scaletta attinge prevalentemente, per regalarci ancora una volta una dimostrazione di tecnica e potenza che il tempo non ha mai intaccato, segno di un affiatamento unico che lega il trio svizzero. Internal Conflict, Serpent Moves e The Lethargic Age per passare poi a Semtex Revolution e Methamorphosis, vengono sparate con ferocia e precisione sui presenti, scatenando la voglia di pogo, per più di un’ora di spettacolo, congedandosi con Reborn Through Hate, brano tratto da quello che fu il loro primo full-length, R.I.P., lasciando cosi un marchio indelebile all’interno del Festival e la voglia di rivederli al più presto. Anche l’impianto luci dà il contributo alla riuscita della performance in maniera più incisiva rispetto agli slot che li hanno preceduti. Suoni e luci si intrecciano molto bene, quasi come se anche l’effetto visivo possa essere avviluppato nella musica in un tutt’uno. Finalmente si assiste ad un appassionato sostegno del pubblico, che pare finalmente svegliatosi dal torpore. Torpore che non ci è chiaro se derivi più dal freddo o dall’alcol. A vederli sul palco così precisi, concentrati e motivati viene proprio da ringraziare il cielo, (o gli inferi: ognuno veda un po’ per se) che sia avvenuta questa reunion, sarebbe stato un peccato perderceli per strada, sebbene avvolti in una sorta di mito. Anche avendoli visti diverse volte di recente, mantengono un’intensità rara che non stanca mai.

SETLIST CORONER
01 Golden Cashmere Sleeper Pt.1
02 Internal Conflicts
03 Serpent Moves
04 Masked Jackal
05 Status: Still thinking
06 Metamorphosis
07 The Lethargic Age
08 Semtex Revolution
09 Gliding Above While Being Beloved
10 Divine Step
11 Der Mussolini
12 Grin
13 Reborn Through Hate


MORBID ANGEL
E’ ora il momento di assistere al ritorno sulle scene di David Vincent e dei Morbid Angel, freschi del loro ultimo lavoro, quel tanto amato/criticato Illud Divinum Insanus che ha riportato Mr. Vicent in sella ai Nostri. Immortal Rites e’ il brano con cui si parte, un pugno diretto nello stomaco, la voce di David scuote il palazzetto come un tuono, impossibile non esserne travolti. Effetto che continua con le successive Fall from Grace e Rapture. Anche Azaghthoth affianca il lavoro di David con riff precisi e taglienti, e di certo il batterista Tim Yeung non fa rimpiangere l’assenza di un ancora convalescente Pete Sandoval, colpi potenti e tempi dettati alla precisione, definirlo "turnista" è limitante e sminuente. Stasera i Morbid Angel hanno davvero una marcia in più, godono di uno stato di grazia straordinario che eleva la loro prestazione nettamente al di sopra della media. Solo Existo Vulgore e Nevermore non riescono a riscontrare il favore del pubblico, che torna ad esplodere su un altro pezzo di quel capolavoro che risponde al nome di Covenant, Angel Of Disease. Sempre da Covenant si attinge anche per il gran finale, con ben quattro brani di seguito, e a chiudere Chapel of Ghouls. Una performance di straordinaria potenza. Devastanti!

SETLIST MORBID ANGEL
01 Immortal Rites
02 Fall From Grace
03 Rapture
04 Days of Suffering
05 Blasphemy
06 Maze of Torment
07 Existo Vulgore
08 Nevermore
09 Angel of Disease
10 Lord of All Fever and Plauge
11 Where the Slime Live
12 Bil Ur-Sag
13 Blood on my Hands
14 God of Emptiness
15 World of Shit
16 Sworn to the Black
17 Chapel of Ghouls


AMON AMARTH
Ora e’ tempo di alzare in alto i corni colmi di birra e rivolgere preghiere a Thor, la furia vichinga è arrivata. Gli Amon Amarth si presentano in tutta la loro forza con War of the Gods, brano di apertura della loro ultima fatica Surtur Rising. Solo questo basta al pubblico per esplodere: anche sugli spalti, che a fino a questo momento avevano dato ben poca soddisfazione agli artisti, si registra della forza vitale. Tutto questo è solo merito dell’energia impressa da Hegg e compagni, energia che continua a pervadere l’atmosfera anche con le seguenti Rune to my Memory e la violentissima Destroyer of the Universe. La coinvolgente The Pursuit of Viking suggella l’idillio con il pubblico, che viene esaltato dalla prestazione vocale del frontman e risponde con una forza combattiva senza pari. Si passa da Varyags of Miklagaard all’onnipresente Death in Fire, ma il discorso non cambia, l’energia che viene continuamente messa a disposizione è voracemente fagocitata dal pubblico, che non ne può fare a meno. Twilight of the Thunder God e Guardians of Asgard chiudono una prestazione impeccabile, sotto ogni punto di vista. Ci appare chiaro anche che per i presenti i veri headliner stasera sono proprio gli Amon Amarth e che gli svedesi godono di gran reputazione da queste parti.

SETLIST AMON AMARTH
01 War of the Gods
02 Rune to My Memory
03 Destroyer of The Universe
04 Live Without Regrets
05 The Pursuit of Viking
06 For Victory or Death
07 Varyags of Miklagaard
08 Embrace of the Endless Ocean
09 Free Will Sacrifice
10 Asator
11 Death in Fire
12 Twilight of the Thunder God
13 Guardians of Asgaard


GAMMA RAY & MICHAEL KISKE
Prima dell’ultima performance uno speaker dà spazio ai ringraziamenti e ad altre osservazioni che, essendo in ceco, ci sfuggono nella loro interezza. Quello che invece risulta chiaro è che la prossima edizione estiva del Masters Of Rock Festival sarà capitanata dai Sabaton in veste di headliner. Due di loro, infatti, prendono parola sul palco per annunciare personalmente la notizia. Joakim Brodén, voce della band svedese, è particolarmente affezionato a questa manifestazione perché di origini ceche (padre svedese e madre ceca) ed infatti si rivolge al pubblico sia in inglese che in ceco. La notizia viene accolta con un boato di approvazione, che lascia intendere che l’affetto è ricambiato abbondantemente, e già ci invoglia ad organizzarci per la trasferta estiva. Abbiamo anche avuto l’occasione di incontrare Joakim e Par (basso) al pub la sera prima ed abbiamo avuto prova di quanto siano persone entusiaste della vita, piacevoli ed alla mano.
Sulle note di Welcome ed accompagnati da una suadente voce femminile nella presentazione dei membri, i Gamma Ray fanno la loro apparizione sul palco e si decolla subito nello spazio con Anywhere in The Galaxy e Men Martians and Machines, per poi toccare con Emphathy anche pezzi dell’ultimo To The Metal. Ma è solo dopo un’intensa A While in Dreamland, interpretata in maniera eccelsa da un Kai Hansen in splendida forma (che terrà per tutto il concerto), che l’emozione diventa palpabile; con Time to Break Free infatti sale sul palco il singer più atteso della giornata, Michael Kiske. Il brano probabilmente non è il più indicato da presentare al pubblico, ma la sua sola presenza e la sua voce rende inutile qualsiasi contestazione e sul palco si respira aria di felicità, Kai Hansen, Michael Kiske, insieme sullo stesso palco, verrebbe voglia di gridare Helloween (quelli veri). Uscito di scena Kiske si prosegue con un altro brano di Land of the Free, Rebellion in Dreamland che riporta l’emozionato pubblico a terra. Si continua con la carica Dethrone Tyranny e con la pessima To The Metal, per ritornare nello spazio con Somewhere Out in Space. Ma è infine, e finalmente, ancora tempo di Kiske, che regala ancora emozioni e divertimento ad un pubblico estasiato dal suo ritorno, e che dopo aver scaldato la voce con il pezzo precedente parte con Future World, seguita da I Want Out, che sembrano uscite direttamente da Keeper of the Seven Keys, tale l’interpretazione ed il supporto che viene dato. E’ ora per i Gamma Ray di ricevere i giusti tributi da parte del pubblico, anche se la setlist poteva essere decisamente migliore. Kiske esce ancora di scena cantando Are You Lonesome Tonight, per poi ritornare a ricevere la sua dose di applausi ed a scherzare con la band. E’ certo che con gli Unisonic, la nuova band targata Hansen/Kiske, ci si aspetta un po’ più di tre canzoni, ma ciò non toglie che questo sia un ottimo punto di partenza, per una nuova avventura insieme. Speriamo funzioni e duri a lungo, le premesse ci sono, Kai pare essere quanto mai ispirato e la voce di Michael sembra non conoscere usura.

SETLIST GAMMA RAY
01 Welcome
02 Anywhere in The Galaxy
03 Men, Martians and Machines
04 The Spirit
05 Empathy
06 Fight
07 Gamma Ray
08 Money
09 A While in Dreamland
10 Time To Break Free (con la partecipazione di Michael Kiske)
11 Rebellion in Dreamland
12 Induction
13 Dethrone Tyranny
14 To The Metal
15 Somewhere Out in Space
16 Future World (con la partecipazione di Michael Kiske)
17 I Want Out (con la partecipazione di Michael Kiske)


Quella del Winter Masters Of Rock si è rivelata un’esperienza positiva, faticosa a tratti, specie per il freddo continuo che nemmeno l’effetto stalla di 4.000 persone ha attenuato significativamente. Un festival in crescita, da tener presente nelle sue prossime edizioni. La trasferta forse non risulta delle più pratiche a causa del fatto che i voli atterrano comunque a distanze considerevoli (Vienna o Bratislava sono a circa 200 km) o sono a costo di scali e prezzi elevati (Brno è a 70 km). Dagli aeroporti poi o si procede con un mezzo a noleggio, come ha fatto la nostra delegazione (da Vienna con un furgone), oppure anche col treno, visto che a Zlin passa la ferrovia. La vita di Zlin, per quanto in una grigia cornice architettonica, è altamente fruibile grazie soprattutto al cambio favorevole che permette un pasto con 5 euro o una birra con meno di 2 euro. Birra famosa quella ceca, che a riprova della sua qualità non ha nulla a che spartire con quella che viene venduta in bottiglia da noi. La gente è mediamente cordiale e disponibile, talvolta impacciata con l’inglese ma piuttosto curiosa con gli stranieri, ci è capitato più volte che qualcuno si intrattenesse con noi per il semplice fatto che eravamo forestieri. L’offerta di merchandise ci è parsa limitata, al contrario di quella della ristorazione, che riserva anche deliziose sorprese (dimenticatevi del “prosciutto di Praga” così come lo conoscete) a prezzi irrisori. Per dormire ci sono soluzioni economicissime e comodissime per muoversi anche a piedi. Girare in auto richiede attenzione per l’altissimo numero di autovelox e la tolleranza zero con l’alcol al volante, cosa che pare trovare giustificazione nell’incredibile quantità di lapidi e fiori posti ogni manciata di chilometri lungo le strade. Il Winter Masters Of Rock è ancora un festival da scoprire, avanti pionieri!

Testo a cura di Luca Cardani e Marco Scilhanick
Foto a cura di Davide Savaris



Ascarioth
Venerdì 17 Febbraio 2012, 19.23.55
8
Strano che in una stessa serata uno possa sentire Poker Face e Rapture... comunque dev'essere stato fantastico!
Finntrollfan
Venerdì 6 Gennaio 2012, 11.26.49
7
La setlist degli Amon Amarth è da paura come quella dei Gamma Ray è pietosa... tralasciando Rebellion in Dreamland, Somewhere out in space, i want out e dethrone tyranny hanno a mio parere proposto delle canzoni un po' scialbe...
USER
Venerdì 6 Gennaio 2012, 1.53.40
6
bellissimo report, sembra un festival ancora un pò immaturo ma che promette bene. certo però che la scaletta dei Gamma Ray è oscena
Jimi The Ghost
Giovedì 5 Gennaio 2012, 16.47.42
5
Questi articolo ti fanno letteralmente sognare! Brava redazione ! Jimi TG
Er Trucido
Giovedì 5 Gennaio 2012, 16.02.46
4
Penso che il senso fosse che la sensazione data dalla band durante l'esecuzione fosse la stessa degli Helloween di Keeper
xXx
Giovedì 5 Gennaio 2012, 15.55.02
3
"Future World, seguita da I Want Out, che sembrano uscite direttamente da Keeper of the Seven Keys"... perchè, da dove dovrebbero essere uscire se non dai Keeper? Comunque grande concerto, quello dei Gamma + Kiske l'ho visto tutto e è stato sensazionale! Gli Unisonic faranno gridare al miracolo, vedrete!
Flag Of Hate
Giovedì 5 Gennaio 2012, 15.09.50
2
Oh, me la ricordo Zlin, la vecchia Gottwaldov dell'era sovietica... avevamo appena lasciato la Polonia (bellissima terra, da visitare) in direzione Slovacchia, e ci fermammo una notte a dormire. E' entrata dritta dritta nella classifica delle città più brutte che abbia mai visto in vita mia (non per nulla è gemellata con Sesto S. Giovanni ). Per fortuna che era una tappa di passaggio! Però la gente era simpatica. Neppure io conoscevo l'esistenza di questo festival, volevo solo scrivere il mio solito commento a favore dei leggendari Coroner che sono stati il miglior gruppo del festival. Come faccio a dirlo? I Coroner sono SEMPRE i migliori
Lizard
Giovedì 5 Gennaio 2012, 14.43.51
1
Gran bel bill... Non sapevo neanche dell'esistenza di questo festival ma devo ammettere che dopo aver letto il report sembra quasi di esserci stato... Freddo, birra e prosciutto di Praga a parte
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La locandina del WMOR 2011 impressa sul pass stampa
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05/01/2012
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WINTER MASTERS OF ROCK
Luďka Čajky Stadion, Zlin, 26/11/2011
 
 
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