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PISTOIA BLUES - Pistoia, 15/07/2012
24/07/2012 (2502 letture)
Quello con il Pistoia Blues è un appuntamento al quale ormai da anni è difficile rinunciare: il fascino della location, situata nella bellissima Piazza del Duomo, unito alla attenta programmazione, che ha portato negli anni (la prima edizione risale addirittura al 1980!) il meglio del blues mondiale e non solo, l’accoglienza che la città di Pistoia riserva ai partecipanti al Festival (che, da queste parti, è conosciuto direttamente come ”il Blues”), il costo tutto sommato “contenuto” della trasferta e l’atmosfera unica e riconoscibile che si respira qui, sono i motivi di un successo e di una specie di rituale che si ripete tutti gli anni ed al quale è sempre bello partecipare.

EDIZIONE 2012
L’edizione 2012 non sarà forse ricordata come una delle più esplosive, eppure, in quattro serate chi ha deciso di tornare ad onorare il Festival ha sicuramente trovato di che divertirsi. Come da tradizione, il Pistoia Blues si apre a generi ed artisti anche molto lontani e, nelle passate edizioni, ha ospitato spesso anche band più affini agli ascolti abituali di chi vive di pane e metal, come Dream Theater, Jethro Tull, Deep Purple, G3, fino all’edizione del 2010 che vide, tra gli ospiti Anathema, Porcupine Tree ed un’intera giornata dedicata al metal con ospiti Labyrinth, HammerFall, Gamma Ray e Queensryche. Quest’anno, siamo invece al cospetto di un’edizione un po’ più convenzionale: se si esclude la prima serata del giovedì che ha ospitato i Subsonica, infatti, gli headliner previsti sono B.B. King (ormai un habitué del Pistoia Blues), Paolo Nutini e, nella giornata di domenica, i Gov't Mule e John Hiatt & The Combo. La curiosità per il concerto dei Gov’t Mule, in particolare, è il motivo per cui, anche quest’anno, decido di riprendere la via del Blues.

I cancelli, contrariamente a quanto annunciato, si aprono alle 18.45 e, piano piano, il pubblico comincia a riempire la Piazza. Al solito, ai due lati si trovano gli stand alimentari ed anche un fornito banco vendita per CD e t-shirts. La novità di questa sera, però, ci appare subito di fronte: l’intera piazza è occupata da file di sedie che partono dal palco ed arrivano fino al banco mixer, mentre due tribune si alzano in fondo alla piazza ed alla destra del palco, a fianco della navata del Duomo. Il perché di questa scelta, peraltro ristretta alla sola serata della domenica, appare del tutto misterioso: che senso abbia costringere la gente a sedere durante un concerto blues che, per sua natura, richiede movimento e coinvolgimento attivo, resta non chiarito. Volendo essere maliziosi, si potrebbe d’altra parte sostenere che, così facendo, gli organizzatori hanno dato la sensazione visiva alla gente, come ai musicisti, che la piazza fosse del tutto piena, cosa che nella realtà era ben lontana dal realizzarsi. Le presenze quest’anno sono infatti molto inferiori al pienone che solitamente si registra per questo evento e difatti le tribune sono praticamente semivuote ed altrettanto semivuota sarebbe risultata la piazza, senza questo espediente. Precisando che si tratta di una mera illazione, visto che il posto a sedere era già segnalato sul biglietto comprato giorni prima e che l’organizzazione parla di “grande successo” delle prime due serate, con 7000 biglietti venduti, non resta che prendere atto che forse oggi le cose sono andate un po' bene di quanto si pensava, in termini di affluenza. Veniamo, quindi, alla musica.

OBBIETTIVO BLUESIN E FOUR FUNK
Come da tradizione, ad aprire il concerto sono le band vincitrici del concorso Obbiettivo Bluesin che, nei mesi precedenti il Festival, seleziona numerose band al fine di portare i più meritevoli sul prestigioso palco di Pistoia. In realtà, il tempo a disposizione è davvero tiranno, circa dieci minuti a testa, e così resta a malapena la possibilità di suonare due pezzi e sperare con quelli di guadagnarsi un piccolo posto nella memoria degli spettatori presenti. Aprono le danze El Cuento De La Chica Y La Tequila, band dedita ad una curiosa e riuscita commistione di sonorità blues e mexicali, che danno subito il giusto avvio alla giornata di musica, con ironia e grinta. A seguire i pistoiesi Carlsbad che, invece, si dedicano più tradizionalmente ad un blues solido e vagamente tinteggiato di hard, che però non lascia il segno come dovrebbe, nonostante l’evidente entusiasmo della band.
E’ il turno dei Four Funk, band formata da musicisti esperti e conosciuti nel giro italiano (e non solo) quali il cantante Andrea Ranfa, il tastierista Keki Andrei, il batterista Carmine Bloisi ed il bassista Danilo Nesi. La band propone un set di mezz’ora ed un soul vagamente contaminato da funk e blues, molto elegante e ritmato, ma capace anche di aprirsi a sezioni soliste movimentate e cariche. La voce di Andrea Ranfa, generalmente conosciuto per la sua attività con band hard rock e per la sua partecipazione al musical Jesus Christ Superstar, è sicuramente sinonimo di grande qualità ed estensione e l’esibizione del gruppo mostra in pieno le qualità dei singoli e l’affiatamento raggiunto. A dire il vero, il gruppo gioca un po’ sul velluto, senza “sporcarsi” mai troppo e mantenendo un approccio abbastanza distaccato che, unito ad una proposta per forza di cose mai sopra le righe, finisce per rendere la loro esibizione interessante ma non esaltante, con più di qualche momento di vuoto, nonostante gli ottimi assoli di Hammond regalati da Andrei. Da rivedere, magari al chiuso di un pub invernale, con un po’ più di sudore e partecipazione.

LEBLANC
Dopo un veloce cambio palco, è il turno di Leblanc, interessante progetto soul/blues che vede coinvolti la cantante texana Ty Leblanc ed alcuni volti noti della scena italiana, tra cui il bravissimo Nick Becattini alla chitarra e Pippo Guarnera alle tastiere. La band si avvale inoltre di due coriste che aiutano Ty, con le loro preziose armonizzazioni, nella migliore tradizione soul. Il set è davvero infuocato e la singer texana dimostra da subito di possedere una vocalità piena e rotonda, molto scura e convincente: sembrerà una cosa scontata da dire, ma sembra davvero nata per cantare. Oltre alle composizioni originali del gruppo, tendenti ad un blues ruspante e deciso, decisamente chitarristico, specialmente quelle a firma Becattini, la band propone anche alcune rivisitazioni di classici soul, tra cui spiccano una sensualissima Part Time Lover ed una riuscita It’s a Man’s World. L’interpretazione di Ty Leblanc è deferente ma al tempo stesso ricca di personalità, senza eccessi in virtuosismi o acuti fuori luogo, ma sempre rimanendo aderente al pezzo. La cantante lascia comunque spesso il proscenio ai compagni di avventura e sono in particolare Becattini e Guarnera a salire in cattedra più di una volta, in particolare il primo, col suo stile torrenziale tipicamente discendente dalla scuola di Stevie Ray Vaughan, ma con una inflessione stavolta meno presenzialista, che potrebbe rivelare uno stile maggiormente controllato, alla Eric Clapton, per intendersi. E’ comunque l’intera band a dimostrare un amalgama sinceramente inaspettato, in attesa che Ty superi un po’ la timidezza del confronto con un pubblico forse diverso da quello a cui è abituata. Buonissima prova nel complesso, comunque, ed ottimo antipasto per i due headliner.

GOV’T MULE
A giudicare dal numero di magliette sparse in mezzo al pubblico, c’è da giurare che tutti i presenti siano qui per i Gov’t Mule e la tensione per l’attesa, durante il cambio palco, si comincia davvero a sentire. Ne approfittiamo per farci una bella birra fresca e un giretto nella piazza, mentre una benvenutissima brezza comincia a soffiare e ci accompagnerà per tutta la notte. La band monta sul palco con la consueta tranquillità e umiltà, ma il boato che la accoglie non ammette dubbi: il Pistoia Blues ama i Gov’t Mule e Warren Haynes è l’indubbio mattatore dello spettacolo. Il chitarrista sciorina da subito la propria classe, anche se la partenza è un po’ da registrare, forse per dei volumi non bilanciatissimi, a differenza di quanto sentito finora. Ma basta attendere qualche minuto e la serata prende subito il giusto abbrivio, con Haynes che inizia il proprio personale spettacolo, col suo solismo ispirato e decisamente tecnico, pur senza mai perdere un’oncia di feeling e quella sensazione di libertà espressiva tipica di questa band, la quale ha rinverdito sin dagli anni 90 la lezione di act storici quali Grateful Dead e The Allman Brothers Band. D’altra parte, è proprio dalla storica band southern che i due fondatori Haynes e Woody provenivano e l’intero progetto Gov’t Mule nasce in realtà come valvola di sfogo per i due, nei momenti lasciati liberi dalla band madre. Il concerto è in crescendo ed Haynes, oltre alla proverbiale bravura alla chitarra, esibisce una voce a dir poco stupenda, carica di emozione e semplicemente perfetta per il southern hard rock della band. Dopo aver eseguito un nuovo brano, che si spera possa andare a far parte di un nuovo album, che romperebbe un silenzio che dura dal 2009, sono le note di Wine and Blood a scaldare il cuore dei presenti: l’esecuzione è semplicemente da brividi e si percepisce chiaramente il totale silenzio del pubblico, completamente rapito, che si scioglie poi in una vera e propria ovazione al termine del brano. Abst dietro le pelli si nasconde sotto il cappellino da baseball, ma il suo è un motore ritmico fondamentale nell’economia della band ed altrettanto importante si rivela l’apporto del riccioluto Jorgen Carlsson al basso, mentre il tastierista Danny Louis si rivela un prezioso polistrumentista, capace di imbracciare chitarra e tromba all’occorrenza. La prima vera sorpresa della serata, nella migliore tradizione delle jam band, arriva però con l’inaspettata cover di One of These Days dei Pink Floyd, in una versione vorticosa che scatena l’entusiasmo del pubblico. Haynes si scusa per la lunga assenza del gruppo dall’Italia, che data al 2006 e prende un ulteriore meritato applauso con la splendida esecuzione di Beautifully Broken, mentre la notte è ormai calata. L’incanto si rompe soltanto nel momento in cui il set si conclude ed i musicisti escono dal palco, per essere prontamente richiamati a gran voce da un pubblico assolutamente non sazio, nonostante l’ora e mezzo di concerto fin qui ascoltata. Bastano le prime tre note per capire che il gruppo ha deciso di calare uno degli assi dal mazzo: è No Quarter la canzone scelta per chiudere il concerto ed a questo punto l’emozione è davvero incontrollabile ed i brividi pure. La band rende in maniera memorabile questo classico immortale, accreditandosi autorevolmente come splendida erede della tradizione seventies: senza rimpianti, senza manierismi, senza ruffianeria, ma solo con passione, amore, capacità strumentale e tanto tanto felling. Quando il riff portante prorompe riempiendo l’aria, non resta che alzare le braccia al cielo e lasciare che la sua potenza ancestrale ci colga in pieno. Sembra incredibile che tutto sia finito, quando gli amplificatori cessano di ronzare. Grande esibizione, a dir poco perfetta. Grandi Gov’t Mule, non fateci aspettare altri sei anni, però!

SETLIST GOV’T MULE
1. Blind Man In The Dark
2. Steppin' Lightly
3. World Boss
4. Broke Down on the Brazos
5. Wine and Blood
6. Soulshine
7. One of These Days (Pink Floyd cover)
8. The Shape I'm In (The Band cover)
9. Beautifully Broken
10. Captured
11. Gameface (with. Mountain Jam)
12. Forevermore


----Encore----

13. No Quarter (Led Zeppelin cover)


Ecco per voi un video amatoriale dell’esecuzione del brano, proprio ripreso in questa stupenda serata:



JOHN HIATT & THE COMBO
Al termine dell’esibizione dei Gov’t Mule c’è da chiedersi con che coraggio chiunque avrebbe la forza di salire sul palco. Eppure, dopo una lunghissima attesa di quasi quaranta minuti, il cantautore americano salta sul palco, accolto comunque da un roboante applauso. Forse i meno imberbi di voi ricorderanno questo grande autore, che a cavallo tra gli anni 80 ed i 90 compose alcuni piccoli grandi successi, tra i quali Have a Little Faith In Me, A Thing Called Love (in coppia con la blues woman Bonnie Raitt) e Slow Turning, oltre alla celeberrima Angel Eyes scritta per il compianto Jeff Healey. Stiamo parlando di un rock tipicamente americano, che sa muoversi tra folk, blues e pop, senza rinunciare a qualche inflessione southern, all’occorrenza, nella scia di autori come Tom Petty, Bob Seeger o il contemporaneo John 'Cougar' Mellencamp. In realtà, il vecchio marpione decide questa sera di puntare molto sull’impatto, irrobustendo e non poco la distorsione delle chitarre e spingendo a fondo le influenze più tipicamente rock e blues, con il risultato di una esibizione decisamente fisica e coinvolgente. Chi si aspettava una sequela di canzoncine piacevoli e disimpegnate, avrà il suo daffare di fronte ad un sound decisamente più movimentato e quasi vicino all’hard rock in più di un frangente. E’ in particolare il chitarrista Doug Lancio a lasciare decisamente il suo marchio sulla serata, con una distorsione ricchissima di feedback e decisamente potente, che non avrebbe sfigurato tra le mani di Jimi Hendrix o di un attuale gruppo retro-rock. La sua performance tra chitarra e mandolino è decisamente ottima, con lunghe ed entusiasmanti sezioni soliste, che ben completano il polimorfismo vocale di Hiatt, capace di passare disinvoltamente tra diversi registri, dai più tipicamente blues e rock ad appassionate ballad, fino alla nuova e splendidamente southern blues Down Around My Place, di cui vi propongo un video amatoriale; perdonerete la scarsa qualità audio, e spero ne apprezzerete invece la qualità di scrittura:



Il cantante costringe il proprio roadie ad un lavoro infernale, cambiando chitarra praticamente ad ogni pezzo, ma trova anche il tempo di scherzare più volte con la platea, intrattenendo un dialogo fitto e coinvolgente con un pubblico peraltro composto in un buon numero proprio di suoi connazionali: si tratta evidentemente di turisti che hanno deciso di inframmezzare le loro vacanze toscane con un po’ di sano blues rock natio. Come era facile prevedere, i pezzi più ‘carichi’ vengono sciorinati in apertura, per poi lasciare il posto al repertorio più propriamente folk e blues, nel quale comunque la band mantiene sempre alto il tiro e sono le ottime Crossing Muddy Waters, Cry Love e Drive South a far battere le mani ad una platea del tutto conquistata e sorridente. Sul finale, il cantante rispolvera i successi di inizio carriera, ringraziando Bonnie Raitt per aver accettato di cantare con lui A Thing Called Love. Il set viene chiuso da una divertente versione di Memphis in the Meantime, nella quale il pubblico viene diviso in tre fasce per intonare il ritornello assieme alla band, per il giusto applauso conclusivo. Ancora non paghi, sono in molti quelli che finalmente abbandonano le maledette seggioline per accalcarsi sotto palco e chiedere a gran voce il ritorno della band sul palco, per l’ultima sorpresa: Hiatt annuncia la celeberrima Riding With the King, portata al successo da Eric Clapton in collaborazione con il leggendario B.B. King, ma la versione che The Combo propone stasera, non ha davvero niente a che vedere con la pacifica e rassicurante canzone che in molti ricordano. Lancio prende nuovamente il controllo della situazione, trasformando questo classico blues in un torrido hard rock, che non avrebbe sfigurato nelle mani dei migliori ZZ Top anni 70, con un finale rutilante e lunghissimo baciato da un assolo fiammante e da una ritmica a dir poco indiavolata e potente, che lascia davvero a bocca aperta per veemenza ed aggressione sonora. Il giusto applauso che il singer chiede per i suoi compagni di avventura è la degna conclusione per una ottima esibizione che ha mostrato un autore classico rivitalizzato e degnamente accompagnato da una band di grande spessore. Una bellissima sorpresa.

SETLIST JOHN HIATT & THE COMBO
1. Master of Disaster
2. Tennessee Plates
3. Real Fine Love
4. Down Around My Place
5. Dust Down a Country Road
6. Crossing Muddy Waters
7. Cry Love
8. Adios To California
9. Drive South
10. Perfectly Good Guitar
11. Feels Like Rain
12. A Thing Called Love
13. Slow Turning
14. Memphis In The Meantime


----Encore----

15. Riding With The King


Si chiude così anche questa edizione del Pistoia Blues e già si ricomincia a fantasticare sull’anno prossimo, sicuri che qui troveremo qualità ed un’organizzazione comunque degna di questo nome. L’unica nota negativa resta quella delle sedie, alle quali avremmo potuto tranquillamente rinunciare in favore di un più reale coinvolgimento fisico con la musica. Sperando che questo sia stato solo un esperimento destinato a non ripetersi, ringraziamo comunque per la bella serata di musica a cui abbiamo assistito. Alla prossima!



Silvano
Venerdì 27 Luglio 2012, 15.11.55
3
Comunque l'ultima venuta dei Muli non era nel 2006, bensì nel 2009 all'Alcatraz di Milano (ero presente).
BILLOROCK Fci.
Giovedì 26 Luglio 2012, 16.27.49
2
Grande Metallized è un bel colpaccio essere andati al Pistoia Blues è sicuramente uno degli eventi più importanti del nostro panorama musicale !!
brainfucker
Mercoledì 25 Luglio 2012, 17.44.20
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che dio in terra che è warren haynes
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