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METALCAMP - Day One - Tolmin, Slovenia, 05/08/2012
15/08/2012 (2895 letture)
Dopo due estati trascorse in terra tedesca al Wacken Open Air c'era bisogno di cambiare, e quale scelta migliore per la nostra vacanza metallica che trascorrere una settimana immersi nella bellezza del paesaggio di Tolmin (Slovenia), circondati da migliaia di metalheads provenienti da tutto il mondo e da un'atmosfera unica nel suo genere? Eccovi dunque la prima parte del nostro resoconto di quello che è stato il Metalcamp 2012, quest'oggi vi parleremo del festival in generale e della prima giornata di concerti.

VIAGGIO E DAY 0
Il viaggio tra Torino e Tolmin è lungo, abbiamo scelto per comodità di muoverci in auto considerando la lontananza del posto e la scelta è stata probabilmente la più adatta: durante un festival di una settimana infatti avere l'auto in prossimità della tenda è un grandissimo aiuto -oltre che una sicurezza ulteriore- e inoltre il percorso lungo la stretta statale slovena che da Nova Gorica porta in quel di Tolmin (per quanto leggermente da batticuore a causa della nonchalance con cui i guidatori sloveni prendono le curve invadendo l'altrui corsia) regala scorci di paesaggio che già ci lasciano presagire a quale tipo di location stiamo andando incontro.
All'arrivo, Tolmin si presenta come una modesta e ridente cittadina, e nonostante manchino più di ventiquattro ore all'inizio del fest è già invasa da educatissime orde di metallari che affollano le strade e i bar della città; non si può dire dunque che un festival di queste proporzioni non giovi all'economia locale (italiani prendete nota).
Dopo aver smaltito le procedure per il ritiro degli accrediti in modo relativamente veloce, possiamo andare a sistemarci nella zona in cui campeggiano gli addetti ai lavori, i giornalisti e buona parte delle band che suonano nel second stage; l'area è sita su una collina che sovrasta il campeggio principale e ha come unico privilegio una maggior tranquillità e dei servizi con acqua calda dedicati (nel campeggio standard la doccia calda costava ben due euro).
Dopo aver sistemato la nostra tenda e i nostri averi facciamo un giro in paese: Tolmin è davvero a misura d'uomo, case piccole, molti bar e piazzette in cui riunirsi e abitanti cordiali. C'è da dire che ancora una volta i metallari hanno mostrato un'educazione adeguata, non creando danni o problemi di sorta.
Dopo aver approfittato del sorprendente prezzo di due euro per una birra media in uno dei bar che per l'occasione trasmettono metal dai diffusori, iniziamo ad esplorare l'area del festival, incuneata per buona parte in una porzione di bosco che circonda le rive del fiume Soca (nome Sloveno dell'Isonzo), passiamo davanti a svariati bagni chimici che verranno puliti con sufficiente frequenza, docce calde e fredde, un punto informazioni che regalava tra le altre cose anche dei pratici tappi per le orecchie, all'ormai già montato Main Stage e addentrandoci tra gli alberi passiamo davanti ad un gran numero di bancarelle che vendono vestiti, oggettistica che varia dagli accendini alle maschere antigas con un bong al posto del filtro per l'aria e sopratutto cibarie per tutti i palati, anche se a prezzi non esattamente economici.
Al centro di tutto questo troviamo il più piccolo Second Stage che ospiterà i concerti dei gruppi minori (ma non solo) che potranno suonare in un'atmosfera più intima, dal momento che il palco è sistemato in una piccola radura tra gli alberi dove la gente può rilassarsi godendosi la musica.
Poco oltre, una piccola stradina ci porta verso la spiaggia principale sulla riva al Soca (ovviamente come ogni “spiaggia” di fiume è totalmente composta da sassi più o meno grandi), dove troviamo molte persone sdraiate che si godono l'ultimo sole della giornata, sono meno quelle che fanno il bagno, invece, dal momento che la temperatura dell'acqua credo si aggirasse attorno ai 4/5 gradi (quest'ultimo dato è stato dedotto dal dolore provato dai nostri piedi al contatto con la suddetta acqua). Completato il giro e mangiato un boccone si è ormai fatta sera e, nonostante non sia particolarmente tardi, la stanchezza del viaggio e della giornata si fanno sentire; perciò, presagendo l'intensità dei successivi cinque giorni, andiamo a dormire nella nostra tenda.

DAY 1
Il risveglio è ovviamente dettato dall'ora in cui il sole inizia a battere sopra la tenda, cosa che avviene piuttosto presto, trasformando il nostro giaciglio in un buco infernale nonostante la temperatura esterna sia ancora relativamente fresca; i servizi e le docce così vicini si rivelano essenziali e in paese invece abbiamo modo di fare colazione a prezzi modici oltre che di visitare il supermercato del paese e una panetteria che si rivelerà una vera manna considerati i prezzi del cibo nell'area del fest e considerato che non era assolutamente vietato portarsi da mangiare da fuori. Dopo qualche ora trascorsa alla spiaggia siamo finalmente pronti ad assistere all'apertura delle ostilità sui due palchi, eccovi dunque i resoconti dei live a cui abbiamo avuto modo di assistere durante il primo giorno.

MORANA
Tocca agli Sloveni Morana l'onore e l'onere di inaugurare il Main Stage del Metalcamp 2012. Non sono molte le informazioni che sono stato in grado di reperire su questo giovane gruppo ancora privo di contratto, certo è che il loro death metal un po' più tecnico dello standard è ancora troppo grezzo per emergere nello sconfinato mare di band che affollano il genere, di sicuro però i suoni ancora da bilanciare del Main Stage non hanno aiutato la numerosa band slovena: la tastierista infatti ha praticamente suonato uno strumento muto fino all'ultima canzone del set (dove peraltro sono emerse delle parti piuttosto elementari che ricordavano vagamente le sperimentazioni dei Dark Tranquillity in Haven), i due chitarristi e il bassista erano invece esageratamente statici ed impegnati con parti sì tecniche, ma non certo in grado di entusiasmare, mentre il singer si è difeso grazie ad un buon growling e ad un atteggiamento propositivo e coinvolgente che ha adeguatamente scaldato le –poche– persone accorse.
Nel complesso non si è trattato di un brutto concerto, sopratutto considerando la difficoltà di aprire un simile festival, certo è che i Morana hanno ancora molto da lavorare per sperare di emergere in campo internazionale.

VICIOUS RUMORS
Ad inaugurare come si deve l’edizione 2012 del Metalcamp ci pensano gli statunitensi Vicious Rumors, band storica ma oramai caduta in declino dopo innumerevoli cambi di formazione nel corso di ben 33 anni di carriera. Lo stupore di vederli relegati a suonare come seconda band del Main Stage, sotto il sole cocente del pomeriggio sloveno e per di più soltanto per trenta minuti, è tanto, ma la prestazione dei cinque californiani è davvero all’altezza della situazione.
Sugli scudi il cantante Brian Allen, vero animale da palcoscenico, il quale mette in bella mostra le sue doti canore, a metà tra un Bruce Dickinson (anche nell’agitarsi sul palco) ed un Rob Halford. Il coinvolgimento del pubblico in questa mezz’oretta scarsa di concerto è massimo ed è facile notare l’enorme differenziale tra una band come i Vicious Rumors e chi li ha preceduti sullo stesso palco, ovvero gli sloveni Morana, che hanno avuto l’onere di aprire quest’edizione del festival sul palco dei più grandi. Il tempo scorre via in fretta, ma la nostra carica per la giornata, anche grazie a quest’esibizione, è ormai assicurata.

GORGUTS
Sono appena le 17.30, eppure ci sono già dei grandi nomi ad esibirsi sul Main Stage, questa volta tocca alla “Obscura” e malefica creatura di Luc Lemay scatenare la folla presente. I canadesi Gorguts iniziano infatti a raccogliere qualche presenza in più e il loro show ripaga appieno i presenti che a quest'ora di pomeriggio stanno lentamente cuocendo sotto il sole sloveno.
I suoni sono molto ben bilanciati oltre che marci e brutali al punto giusto, la band (quasi tutti componenti che suonano nei Gorguts da due/tre anni al massimo) martella senza tregua e senza respiro e si vengono a creare anche i primi circle pit degni di questo nome.
Luc è estremamente cortese e pacato nel presentare i pezzi (ricorda anche come l'ultima loro esibizione in Slovenia prima di questa risalisse a diciannove anni prima), ma quando si tratta di cantare la sua voce non lascia scampo.
Il basso e la batteria di Marston e Longstreth erigono un muro invalicabile, mentre la chitarra di Hufnagel svisa passaggi assolutamente privi di melodia, ma dotati di una presa quasi ipnotica.
Uno show da ricordare nonostante la pessima posizione in scaletta.

MOTORTRINKEN
Primo gruppo italiano ad esibirsi quest’anno al Metalcamp sono i thrashers MotorTrinken, formatisi nel 2006 ed arrivati a questo importante traguardo con alle spalle un disco autoprodotto (l’omonimo MotorTrinken del 2008) e vari cambi di line-up, che non li hanno però demoralizzati portandoli fino a qui, in questa location fantastica, a suonare lo stesso giorno di Testament e Machine Head, anche se non sullo stesso palco.
Proprio questo secondo palco è tra i protagonisti in negativo della giornata, dato che alcuni gruppi hanno avuto più di un contrattempo in quanto a suoni e qualità dell’esibizione. Per fortuna dei Nostri, durante la loro performance si è svolto tutto abbastanza bene; merito di questo successo va anche al clima amichevole che si è andato a creare tra la band ed il pubblico prevalentemente italiano venuto a vederli ed a incitarli.
La proposta musicale del gruppo non è certo delle più originali, ma la naturalezza con cui giocano le loro carte è esemplare e alla fine possiamo dirci tutti soddisfatti.

SANCTUARY
Il momento è solenne: l’entrata sul palco dei Sanctuary viene preceduta da una tensione ben palpabile e giustificata. Quella che era nata nella metà degli anni 80 come band heavy metal ed aveva formato il nucleo centrale dei Nevermore, in seguito a due dischi buoni ma mai passati alla storia, è una band che a distanza di due decenni dallo scioglimento sembra apparire leggermente spaesata e poco coesa.
Ovviamente l’attesa maggiore è per il cantante Warrel Dane, singer dal timbro vocale inconfondibile, capace di mischiare potenza ed armonia e avendo dalla sua una capacità interpretativa davvero elevata. Ad un primo impatto mi sembra di avere davanti quasi un clone di Axl Rose, non per la voce, ma per il modo di presentarsi sul palco. Con in testa un berretto (di lana?) e gli occhiali da sole tenuti spostati in avanti sul naso, non sembra interessarsi molto del pubblico presente, forse scocciato per la posizione in scaletta, forse semplicemente stanco per l’impatto con la forte luce solare. Ma questi sono dettagli che passano in secondo piano quando lo si sente cantare pezzi come Future Tense, Taste Revenge o The Mirror Black; il problema più grosso purtroppo è il volume del microfono, che copre mestamente le parti più basse del cantato, lasciando percepire al meglio solo i vari acuti. Simpatico il momento in cui lo si vede sbagliare un’entrata vocale dopo un assolo: accortosi dell’errore, accenna un sorriso e aspetta il momento giusto per attaccare. Che i tanti anni di separazione abbiano inficiato su quest’esibizione ora è certificato. La band nel complesso fornisce una prestazione mediocre, senza alti né bassi, e l’ora di concerto si conclude priva di momenti clou da ricordare a lungo.

SIN DEADLY SIN
È tempo anche per me di muovermi verso il Second Stage, suona infatti un gruppo symphonic italiano e non posso esimermi dall'assistervi anche per curiosità verso quelle band che stanno riuscendo a promuovere la loro musica oltre i confini nazionali.
Oggi tocca ai Sin Deadly Sin (qui la recensione del loro Fall from Heaven ) giovane band bolzanina che si presenta sul piccolo stage del fest intorno alle 18.40. Purtroppo –e mi spiace davvero per la band– non sono riuscito a valutare appieno l'operato dei musicisti per via dei suoni davvero osceni che i nostri si sono ritrovati: piatti della batteria (escluso il charleston) praticamente assenti, batteria mal equalizzata che trasmetteva davvero poca “botta”, basso altissimo e chitarra che veniva talvolta coperta dalle tastiere che a loro volta erano udibili solo quando venivano utilizzati suoni elettronici o di piano, una vera Caporetto del fonico che ha macchiato una prova energica e grintosa, la singer Roberta ha infatti ben interpretato i vari pezzi e in generale i Nostri parevano davvero coinvolti, un vero peccato. Per quello che ho potuto sentire comunque nella proposta della band nostrana ci sono ancora forse alcuni legami di troppo con gruppi più blasonati quali Evanescence o Lacuna Coil, anche se le possibilità ed il tempo per personalizzare ulteriormente ed arricchire il sound ci sono tutte.

ERA OF HATE
Non sapevo se valesse la pena accennare anche al concerto tenutosi nel Second Stage subito dopo quello degli italiani Sin Deadly Sin; i motivi sono molto semplici. Mi ritrovo in quel momento sotto il tendone delle bibite -che si trova proprio a due passi dal palco- a sorseggiare una birra in compagnia e non sono veramente interessato al concerto dei cinque sloveni, fautori di un melodic death non certo originale. Ma a volte non si può fare a meno di ascoltare ed è così che mi ritrovo comunque ad annotare alcuni elementi di quella che sarà una delle esibizioni più mediocri di tutto il festival.
Le loro canzoni si rifanno in toto ai canoni del genere, senza alcun elemento di novità e il coinvolgimento del pubblico è, di conseguenza, molto basso. Il loro punto forte sembra essere solamente la tecnica, che c’è e si sente, ma come sappiamo non basta certo ad attirare gli interessi degli ascoltatori.
Se a questo aggiungiamo che sul palco principale si stavano preparando i Napalm Death ed erano da poco andati via i Sanctuary, la mezz’oretta d’intrattenimento degli Era of Hate passa davvero inosservata.

NAPALM DEATH
Ritorniamo al Main Stage per assistere all'imperdibile concerto delle leggende del grindcore: cosa si può dire dei Napalm Death?
Basterebbe quasi solo il nome per descriverli; veniamo accolti appena entrati nell'area da un muro di suono che quasi ci stordisce, i tre inglesi (più un americano) macinano canzoni ad una velocità disarmante (fin troppo se consideriamo la doppia proposizione di You Suffer che in pratica dura meno dei quattro colpi sui piatti di Herrera per dare il tempo), sembra di essere in mezzo ad un concerto caotico, ma la realtà è che i pezzi danno solo l'apparenza di esserlo, tutti i musicisti infatti sono tecnicamente fenomenali e preparati e la difficoltà d'esecuzione è davvero molto alta.
Greenway è in formissima vocalmente parlando e fa quasi specie notare la contrapposizione tra la presentazione dei pezzi –molto impegnati come saprete– con un tono quasi da gentleman inglese e la cattiveria con cui poi le lyrics vengono “vomitate”, anche con il supporto dello screaming acido del chitarrista Mitch Harris.
Eseguiti oltre al già citato You Suffer anche pezzi immancabili come When All Is Said and Done, Human Garbage o la cover dei Dead Kennedy Nazi Punks Fuck Off.

TESTAMENT
Sono le 21.15 quando sono pronti a salire on stage i primi headliner della serata, trattasi degli americani Testament, in tour per promuovere il neonato Dark Roots of the Earth. Lo sfondo misto alle luci soffuse del palco emana un'atmosfera sinistra e la partenza con Rise Up fa decollare il concerto nel migliore dei modi: le asce di Peterson e Skolnick macinano riff a velocità stratosferiche (oltre che assoli precisi e taglienti), supportate dal basso di Greg Christian e sopratutto da quel concentrato di precisione, aggressività e violenza dietro le pelli che risponde al nome di Gene Hoglan (che patisce solo per una non perfetta equalizzazione della cassa).
Chuck Billy invece si dimostra un frontman navigato e in grado di interagire bene con il pubblico coinvolgendolo a dovere e senza tralasciare l'aspetto scenico (asta microfonica fosforescente e perfetta occupazione degli spazi sul palco).
Notevole anche come anche i più deboli pezzi del nuovo CD in sede live rendano benissimo, lasciando il pubblico soddisfatto e probabilmente piacevolmente contuso (considerando il movimento che si poteva notare tra le prime file).
Abbiamo assistito al concerto da lontano, ma ce lo siamo goduto a meraviglia grazie ai maxischermi che l'organizzazione attivava per i gruppi più importanti, nulla di enorme, ma hanno svolto bene il loro compito.
Da notare come verso la fine del set vengano esposti dalla band due grandi striscioni con scritto “Free Randy” in riferimento al cantante dei Lamb of God arrestato e già scarcerato in questi giorni prima di un live in Repubblica Ceca.
Nel complesso, quello dei Testament è stato un buon concerto, macchiato soltanto dai suoni non perfetti della batteria e dal volume troppo alto di quest'ultima che in molti momenti ha coperto la gran parte degli altri strumenti on stage.

MACHINE HEAD
Sulle note di I Am Hell (Sonata in C#) si apre lo show dei primi headliner di quest’anno: gli statunitensi Machine Head. Sarò sincero: non ho mai approfondito più di tanto la loro discografia e non avevo ancora avuto occasione di vederli dal vivo, ma non mi ci è voluto molto per capire che facevano al caso mio.
A differenza dei Testament, che li avevano preceduti sul palco principale, la setlist degli odierni headliner si presenta nel suo insieme più incentrata sull’impatto emozionale, senza ovviamente tralasciare la pesantezza del sound che da sempre li rappresenta. L’opener del nuovo disco è un perfetto esempio di ciò che ci avrebbe aspettati nel corso della serata. Da Locust sono state tratte inoltre la stessa omonima canzone, This Is the End e Darkness Within, per un totale di quattro nuovi pezzi, accolti davvero ottimamente dai presenti.
Vari intoppi hanno però pregiudicato la buona riuscita del concerto: in più di un’occasione si sono riscontrati problemi nei suoni, con fruscii e altri fastidiosi rumori che hanno inficiato proprio nei pezzi più melodici, andando a rovinare quindi prevalentemente il lato più “calmo” della setlist. Non so se anche sul palco si sentisse come dall’esterno, ma di certo i quattro musicisti non lo hanno minimamente fatto notare, continuando imperterriti la loro performance.
Performance che sarebbe potuta essere giudicata ancor meglio se non fosse stato per alcune gaffe del cantante Robert Flynn, il quale era convinto che si trattasse dell’ultima serata del Metalcamp e non di quella d’apertura. Dopo averlo ripetuto più volte, forse si è capacitato del reale stato delle cose e ha cercato di rimediare al suo errore con qualche discorso poco originale che di sicuro sarà stato ripetuto in tutte le date del tour. Probabile motivo della gaffe è il fatto che la band si era esibita due giorni prima al Wacken Open Air e in quel caso si trattava proprio dell’ultimo giorno del festival; certo è che sarebbe opportuno evitare certi errori almeno in date così importanti.
Immancabili canzoni come Imperium, Beautiful Morning, Aesthethics of Hate, Ten Ton Hammer e Halo, finora suonate praticamente in tutte le tappe del tour.
A parte i problemi riscontrati nei suoni, bisogna comunque annotare la bella presenza scenica della band americana, sorretta da numerosi effetti di luci e da un’adeguata scenografia.
Sono le 00.30 quando i Machine Head salutano il pubblico e c’è ancora tempo per assistere all’esibizione dei folkster italiani Krampus.

DARK FUNERAL
Poco prima della fine dei Machine Head mi fiondo rapidamente presso il Second Stage per assistere all'esibizione dei blackster svedesi Dark Funeral. Lo spiazzo davanti al palco è affollatissimo e l'atmosfera permeata da una luce rossastra soffusa contribuisce a rendere il tutto ancora più luciferino.
Le cinque imponenti figure ricoperte di borchie e facepainting dominano già la scena, la loro musica ormai entrata nei cuori di molti dei seguaci della nera fiamma è composta -come d'altronde è d'uopo nel black vecchia scuola- da ferali blast beat, basso ad erigere un notevole muro di low frequencies e chitarre (tra cui quella del fondatore Lord Ahriman) in tremolo picking. Dietro il microfono il neo-entrato Nachtgarm è autore di una buonissima prova, sia a livello vocale che a livello scenico, evocando a dovere le canzoni quasi del tutto concentrate a descrivere le gesta degli adoratori di Lucifero.
Sinceramente ammetto di non essere un fan del black così esplicitamente satanista, preferendo di gran lunga quello con connotati spirituali meno definiti o con altre tematiche (Immortal ad esempio), ma il live messo in piedi dai Dark Funeral è stato degno della loro fama.

KRAMPUS
Chiudono la serata in un Main Stage che va relativamente svuotandosi dopo lo show dei Machine Head gli italianissimi Krampus, band che sta lentamente riuscendo ad emergere dall'underground (anche su spinta della propria casa discografica NoiseArt Records) considerando la partecipazione a festival del calibro del Metalcamp ed al prossimo tour dell'Heidenfest di spalla a gruppi come i Wintersun, i Korpiklaani, i Varg e i Trollfest.
Lo show è gradevole, nonostante qualche problema ai suoni che penso fosse fisiologico considerato l'alto numero di musicisti della band e il poco tempo avuto a disposizione per il soundcheck, in particolare il basso è come spesso accade sacrificato in termini di volume (e per una canzone smetterà anche di funzionare), le tastiere altalenanti e i fiati decisamente troppo preponderanti rispetto al violino.
I friulani guidati dal frontman Filippo Gianotti tengono bene il palco, la loro musica è energica e le melodie create dagli strumenti tradizionali incastonate in un conteso death sono orecchiabili e coinvolgenti, anche se –e non penso di essere l'unico a pensarlo– ci sono ancora forse troppe somiglianze stilistiche con gli Eluveitie.
I Krampus stanno crescendo, solo la loro vena artistica e la capacità di staccarsi dai clichè conosciuti e togliersi dall'ombra degli svizzeri potranno decretare il loro successo.

La prima giornata si è conclusa, abbiamo assistito già ad un buon munero di concerti, ma è impressionante notare come per forza di cose siamo stati costretti a saltare altri gruppi interessanti. Su tutti, dispiace non aver visto gli italiani ArseA, che avremmo voluto valutare con più attenzione dopo il loro esordio un po’ acerbo su disco. Ma il Metalcamp è sempre pieno di sorprese e altri quattro giorni intensi di concerti ci aspettano al varco.

SETLIST TESTAMENT
1. Rise Up
2. The New Order 3. The Preacher
4. Native Blood
5. True American Hate
6. More Than Meets the Eye
7. Dark Roots of Earth 8. Into the Pit
9. Practice What You Preach
10. Over the Wall
11. D.N.R. (Do Not Resuscitate)
12. 3 Days in Darkness
13. The Formation of Damnation



SETLIST MACHINE HEAD
1. I Am Hell
2. Old
3. Imperium
4. Beautiful Morning
5. Locust
6. This Is the End
7. Aesthetics of Hate
8. Darkness Within
9. Bulldozer
10. Ten Ton Hammer


ENCORE
11. Halo
12. Davidian



Report di Morana, Gorguts, Sin Deadly Sin, Napalm Death, Testament, Krampus a cura di Gianluca Leone “Room 101”.

Report di Vicious Rumors, MotorTrinken, Sanctuary, Era of Hate, Machine Head a cura di Arturo Zancato “Flight 666”.



Giasse
Lunedì 27 Agosto 2012, 21.04.32
3
Solo per Gorguts e Testament valeva la pena di esserci a questo day 1...
Lizard
Giovedì 16 Agosto 2012, 17.17.11
2
Mi spiace molto leggere che la prestazione dei Sanctuary sia risultata fredda e tutto sommato poco coinvolgente... Un vero peccato.
BILLOROCK Fci.
Giovedì 16 Agosto 2012, 15.43.06
1
bel report ragazzi mi è piaciuto parecchio, specialmente la descrizione della zona e dell evento con tutte la varie chicche, ahahah la maschera anti gas con il bong doveva essere fenomenale ih ih
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