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SUMMER BREEZE - Day Three– Dinkelsbuhl, Germania, 18/08/2012
29/08/2012 (3974 letture)
Seppur il terzo giorno di Summer Breeze inizi presto (alle 11.00 sul Main/Pain Stage e alle 15.00 nella Party Tent), molti prolungano fino al primo pomeriggio la visita dei banchetti del merchandise. Una delle grandi attrattive di questo open air tedesco è difatti concentrata nella zona “acquisti” che regala ai metallari spendaccioni (di cui facciamo ovviamente parte) la possibilità di trovare qualche chicca, soprattutto in fatto di materiale discografico. Come negli anni precedenti sono presenti tanto stand di cianfrusaglie, tanto brand di case discografiche/distribuzioni: è proprio in queste che è possibile scovare qualche affare. Per il resto solita roba, divisa tra abbigliamento (in Germania molto più “tamarro” di quanto possibile visionare in qualunque negozio specializzato italiano), suppellettili ed accessori in pelle e gingilli di metallo.
Inutile poi descrivere cosa offra in fatto di cibo un’organizzazione simile: indipendentemente dal fatto che molti usufruiscano dei propri mezzi di campeggio per desinare (alla fine dei quattro giorni il terreno circostante è totalmente invaso dalle tipiche lattine di birra tedesca), tra arena concerti e spazio tra il Party ed il Camel Stage (una specie di live-club all’aperto dove per lo più si esibiscono band sconosciute) sono presenti decine di esercizi che propongono dal cibo cinese alle tipiche grigliate di carne locali, dai gelati alle caramelle, dalla birra ai cocktail caraibici. Peccato solo non poter provare tutto…
Un ultimo, rapido cenno sulle facilities: dimenticatevi bagni totalmente inagibili e zone infestate dalla sporcizia; certo, siamo ad un festival metal di richiamo internazionale, cosa che comunque prevede la partecipazione di decine di migliaia di persone e che obbliga ad accettare un certo compromesso, tuttavia la situazione è largamente migliore di quanto ricordi confrontandomi con eventi nazionali piuttosto blasonati. È ovviamente presente anche una zona per i diversamente abili, leggermente rialzata ed adagiata proprio in corrispondenza delle torri mixer e dunque relativamente vicina. Anche questa, lasciatemelo dire, è civiltà.

Veniamo ora ai concerti.

TANZWUT
I Tanzwut, come molti gruppi di mittelalter rock – fenomeno tipicamente tedesco –, vivono contemporaneamente in due declinazioni, quella elettrica e quella acustica (utilizzata principalmente nelle feste folkloristiche locali). Al Summer Breeze 2012, come è giusto che sia, i nostri si presentano nella loro fisionomia più arrabbiata, ossia quella che prevede il supporto dei cordofoni elettrici alle cornamuse di Ardor e Thrymr. Il posizionamento appena successivo all’orario di pranzo non compromette in nessun modo la presenza di un pubblico folto e festoso. I nostri partono con energia, supportati dai consueti campionamenti elettronici che fanno ballare, divertiti, molti antistanti: lo show è totalmente incentrato sulla presenza scenica del vocalist Teufel e del bassista Der Zwilling, quest’ultimo truccato e totalmente coperto da una seconda pelle bianca che spunta sotto il costume tradizionale (di cui tutti i musicisti sono forniti). La melodia è assicurata dalle due bagpipe che, anche visivamente, contornano i fianchi della band. Il tempo a loro disposizione non è molto, tuttavia si riescono ad ascoltare numerosi titoli interessanti: Ihr Wollet Spass, Wie Phonix Aus Der Asche, Vulkan e Wenn Der Letxe Vorhand Fallt fanno da contorno alla famosissima Bitte Bitte (cover dei Die Arze) che fa letteralmente esplodere il numerosissimo pubblico. Niente da dire sul loro concerto, peraltro ben sostenuto dal fantomatico Pain Stage che in questa ultima giornata sembra essere notevolmente migliorato. I Tanzwut mi sono piaciuti.

NAGLFAR
Un altro pomeriggio di sole infernale al Summer Breeze, la canicola fa penzolare le lingue ed i primi metallari ricorrono all'apparente salvezza di una birra gelida, nella vana speranza di abbassare la temperatura interna. La promessa di fuoco e fiamme dei Naglfar non è ciò che si può esattamente definire un toccasana in tali condizioni, ma la curiosità ha la meglio ed una folla si raduna sotto il palco per assistere all'esibizione degli svedesi. La band è in forma, dotata di buoni suoni (a condizione di disporsi nella zona centrale e non ai lati) e sciorina una setlist che pesca da tutti gli ultimi lavori, concedendosi persino un richiamo a Diabolical. L'esecuzione è impeccabile, ricca in dettagli e valorizzata da quella dinamica live che non tutte le band riescono a raggiungere, pur mantenendo l'efferatezza tipica della band. Kristoffer Olivius e soci dimostrano una certa abilità nel caricare se stessi ed il pubblico con il proseguire dell'esibizione, vomitando uno sciame di invocazioni infauste sulla folla, che ben risponde nonostante le temperature. Anche il recente Téras , piacevole ma debole alla lunga distanza, rende meglio quando riproposto in sede live. In definitiva: prestazione sugli scudi e buona.

SETLIST NAGLFAR:
1. Pale Horse
2. Spoken Words Of Venom
3. The Darkest Road
4. III: Death Dimension Phantasma
5. The Perpetual Horrors
6. I Am Vengeance
7. The Brimstone Gate
8. A Swarm Of Plagues
9. Harvest


UNLEASHED
Lo dico subito: nonostante un’altissima aspettativa gli Unleashed mi sono piaciuti poco, seppure su disco rappresentino una delle mie band preferite fin dagli esordi. Questa volta non è nemmeno possibile incolpare la zona mixer dato che, come detto in precedenza, il Pain Stage sembra oggi notevolmente migliorato rispetto alle performance in apertura di festival. Purtroppo Hedlund e soci si presentano in modo molto dimesso: dal lato strumentale si percepisce immediatamente che la robustezza ascoltata in vent’anni di titoli discografici non potrà essere fedelmente riprodotta in sede live, mentre da quello scenografico il palco adornato con un banalissimo telone nero con la grafica del moniker non lascia spazio alla fantasia. Ascoltando attentamente si nota che le distorsioni tipiche del primo death metal made in Svezia sono riproposte abbastanza fedelmente risultando però talmente grezze da perdere in potenza. Johnny canta abbastanza bene, come di suo solito, ma l’assenza di backing line rende piatta la sua profonda ugola che, peraltro, non di rado cerca tonalità a lui un po’ difficili (quelle più alte per intenderci). Alla stessa stregua la melodia delle chitarre viene un po’ svilita da una sezione ritmica ingenua e poco armonizzata che pesa davvero pochissimo dietro al lavoro di Olsson e Folkare. Lo spazio a disposizione dell’esibizione è piuttosto corposo, soprattutto considerata la rapidità delle varie composizioni marchiate Unleashed, ma la setlist è praticamente perfetta: affianco a bandiere indiscusse del death metal di prima ondata quali Into Glory Ride, Shadows In The Deep, To Asgard We Fly e Death Metal Victory, si posizionano brani dal sapore più vichingo che pescano dalla seconda era della formazione di Kungsängen. Destruction (Of The Race Of Man), Your Children Will Burn, Wir Kapitulieren Niemals, This Time We Flight, Fimbulwinter e The Great Battle Of Odalheim completano un concerto che ha mostrato una band spenta e non adeguatamente preparata per eventi di una certa portata. Un vero peccato.

SEPULTURA
Il dilemma con i Sepultura è sempre il solito: sono o non sono ancora la band che infiammò gli anni a cavallo tra fine ’80 e inizio ’90? La risposta è molto semplice: no! Come mi è già capitato di scrivere quando li vidi nel 2011 a Novara in occasione del Maximum Rock Fest, la formazione attuale, seppure con Andreas Kisser e Paulo Jr. tra le fila, va considerata un’ottima e divertentissima cover band che di “originale” non ha proprio nulla. In realtà questa mia tesi (che tenderei a confermare anche ora) sarebbe da rivedersi alla luce di quanto accaduto sul Main Stage del Summer Breeze. A valle dell’overture che apre anche l’album più noto dei brasiliani (Arise), i Sepu iniziano con la thrashosissima e vecchia Beneath The Remains, pezzo che non può far altro che scatenare la mia smania di headbanging. Preso dalla felicità di riascoltare finalmente una delle mie tracce preferite non mi accorgo prontamente di quanto sta succedendo attorno a me, ossia della totale indifferenza delle migliaia di persone che si sono apprestate a presenziare allo show. Inizialmente non comprendo il motivo di tale comportamento. Di fianco a me una ragazza piuttosto giovane mi guarda come fossi un invasato: sarà lei la mia “vittima”. Al termine del brano, prima che Derrick Green annunci la successiva Kairos, le chiedo se le piacciano i Sepultura. “Sì, molto – mi risponde – ma questa canzone non la conosco…”. Ok, fermi tutti, sarò io vecchio e decrepito, ma stiamo parlando di Beneath The Remains, cazzo (permettetemi per una volta uno sproloquio)… Naturalmente, all’avvio della titletrack dell’ultima fatica della band di Belo Horizonte, la mia interlocutrice inizia a vivere il suo personalissimo concerto rivolgendo corna e occhi al cielo. Permettetemi di dire che la cosa mi ha un po’ destabilizzato (anche se con Territory e Arise si ripristina parzialmente la dovuta priorità). Ma torniamo alla performance. Green, come sempre, si produce in un “lavoro fisico” devastante convogliando con il proprio esuberante dinamismo tutti gli sguardi. Egli, rispetto ai propri compagni di stage, è un caso a parte dato che sia Kisser, sia Paulo sono abbastanza fermi, isolati e per nulla interattivi. I brani più recenti sono sicuramente quelli con la migliore resa, dato che sono pensati per una formazione senza chitarra d’accompagno, mentre quelli dell’era Cavalera risentono fortemente di questa mancanza (la stessa Arise suona poco incisiva). Il tutto è peggiorato dalla consueta lontananza (per non dire “totale assenza”) del quattro corde di Paulo che sembra perfino non essere collegato (come ha più volte insinuato l’ex frontman Max): tale situazione, se è sopportabile quando Andreas si muove in power-chords, diviene insostenibile durante i solos sotto cui resta percepibile il solo drumming del nuovo Eloy Casagrande. D’altro canto, in senso positivo, bisogna ammettere che l’ugola di Derrick è confacente alla causa e perfino più squillante (ma molto meno caratteristica) di quella che fu del glorioso predecessore. In buona sostanza, senza poter pretendere un confronto con i tempi che furono, con i Sepultura c’è ancora da divertirsi, anche se una pecca non da poco è però da cercarsi proprio nell’atteggiamento eccessivamente ludico dei quattro musicisti: stiamo pur sempre assistendo ad un concerto thrash/death che presupporrebbe un’indole scenica un po’ più incisiva ed impertinente. A mio avviso, con le riserve di cui sopra, lo show dei brasiliani è comunque da considerarsi un tassello positivo di questo Summer Breeze 2012.

LACUNA COIL
Tocca alla terza ed ultima band tricolore, la più conosciuta del trio italiano invitato ad esibirsi al Summer Breeze: i Lacuna Coil. Senza girarci tanto intorno, il dilemma rimane sempre lo stesso: perché mai la band metal più grossa di cui attualmente disponiamo nel nostro paese viene così poco considerata in terra natia? Forse per il percorso artistico imboccato? Parliamoci chiaro: di fronte alla possibilità di raggiungere un pubblico ampio (e di conseguenza di fare un passo importante nella propria carriera) qualcuno saprebbe dire di no? Effettivamente, assistendo alla performance tenuta dai milanesi nella terza giornata del festival, si può solo riconoscere che ciò che hanno raggiunto è meritato. Seppur mancante del bassista Marco Coti Zelati (presente a click), la band è ritmicamente molto solida, unita nel costruire una base su cui s'inseriscono le voci di Andrea Ferro e Cristina Scabbia. In quest'occasione, mentre il primo si dimostra un poco affaticato e mascherato da una grande quantità di effetti, la seconda è autrice di un'esecuzione a dir poco impeccabile. I brani proposti, che spaziano dal recente Dark Adrenaline a Karmacode senza dimenticare la classica Heaven's A Lie, hanno tiro e coinvolgono con estrema facilità il pubblico che si scatena. Cristina in particolare amministra il proprio ruolo di frontwoman con naturale facilità: invita il pubblico a cantare in risposta ai suoi vocalizzi (ironizzando su un motivetto di Lady Gaga), richiede ai fan di saltare e mantiene sempre l'attenzione della platea, sfoggiando un inglese perfetto. La prova dei nostri è corroborata da una buona qualità dei suoni, che unita alla performance attiva e coinvolgente rende i cinquanta minuti piacevoli e divertenti. Possono piacere o non piacere, è solamente una questione di gusti, ma penso che i Lacuna Coil meritino rispetto per l'impegno e la professionalità che dimostrano portando in giro per il mondo l'immagine che gli italiani sanno benissimo lavorare come i concorrenti esteri.

SETLIST LACUNA COIL:
1. I Don't Believe In Tomorrow
2. I Won't Tell You
3. Kill The Light
4. Heaven's A Lie
5. Our Truth
6. Upsidedown
7. To The Edge
8. Fragile
9. Give Me Something More
10. Trip The Darkness
11. Spellbound


PARADISE LOST
Uno dei piatti forti di questa importantissima tre giorni open air, assieme ad Immortal, Amon Amarth e Katatonia, sono senza dubbio i Paradise Lost. Uno dei motivi che rendono interessante, più di altre, la loro performance è fornito dalla possibilità di ascoltare dal vivo i nuovi pezzi di Tragic Idol, recentissima release che ha ottenuto molti favori da critica ed appassionati. I Lost salgono sul Main Stage con la consueta tranquillità e compostezza: l’unico che pare indemoniato è, come sempre, il chitarrista ritmico Aaron Aedy che dal fronte sinistro del paco (destro per chi guarda) scatena tutta la sua voglia divertirsi suonando. L’avvio, con The Enemy, non è però dei migliori a causa delle stonature di un Nick Holmes che fatica a trovare le note corrette. Tale difficoltà si ripropone anche in altre song (la successiva Honesty In Death, ad esempio) cosa che mi preoccupa per il proseguo dello show e che abbassa il livello dei primi momenti di questo attesissimo concerto. Ma l’arcano è presto scoperto: l’auricolare in ear di Holmes funziona male ed il ritorno degli altri strumenti nelle sue orecchie è solo parziale. Durante la mitica As I Die Nick si lamenta della cosa con Mackintosh e subito dopo decide di asportare completamente l’aggeggio dal padiglione, gesto che decreta la fine di tutte le pene. Nel frattempo sono stati suonati pezzi storici come Erased, Forever Failure, Pity The Sadness e One Second, affiancati alla titletrack della nuova release da cui seguiranno anche Fear Of Impending Hell e In This We Dwell. On stage Nick e Gregor sono i più composti, mentre la sezione ritmica (che peraltro è la vera forza trainante dei Paradise Lost, senza mai un attimo di indecisione) si dimena cercando di deviare qualche sguardo dai due mastermind del progetto britannico. Anche Gregor oggi non è in forma smagliante, nonostante vada ammesso che il suo lavoro solista sia duro e sfiancante: in un paio di passaggi in single note pizzica male le corde della sua ascia, lasciando per strada una perfezione personale che altrimenti sarebbe stata massima. Detto ciò l’impatto che i nostri producono sul Summer Breeze è davvero rilevante. In primis le grandi ovazioni ricevute confermano quanto di buono essi stiano continuando a fare anche dopo oltre vent’anni di carriera; in seconda istanza va segnalata una serie di tracce veramente azzeccata e intelligente, con un perfetto switch tra passato e presente. La performance si chiude con due punte di diamante che mandano in visibilio la folla e decretano la buona riuscita dell’ora a loro disposizione: con Faith Divides Us – Death Unites Us e Say Just Words si viaggia per il paradiso. Perduto, ovviamente...

SHINING
Band come gli Shining rappresentano la Caporetto dell'obiettività, l'incubo per chiunque si proponga di cercare di fare il resoconto di un concerto che sia il più oggettivo possibile. Perché, se su disco è possibile scindere il personaggio Kvarforth da ciò che musicalmente produce, in ambito live l'artista e il performer si riuniscono all'interno di un'unica, controversa personalità. Ecco cosa ci si ritrova davanti agli occhi quando si assiste all'esibizione dal vivo della band: suoni curati, levatura tecnica molto superiore alla media per il tipo di proposta, una serie di musicisti che si impegnano al massimo per rendere ciò che è stato inciso su disco. E ci riescono. Ma poi c'è lui, dannato per eccellenza, che spicca in antitesi ai musicisti di supporto (che ricordiamo, non sono gli Shining, mentre Kvarforth lo è) con una serie di comportamenti inqualificabili: glissando sul fatto che si scoli una bottiglia di Jack Daniels nel giro di due brani, ci sono gli sputi sul palco e contro i suoi stessi musicisti, gli schiaffi al bassista Christian Larsson, il tentativo di interrompere il batterista che attacca con Submit To Self-Destruction, le dichiarazioni inverosimili tipo:

Stasera avremo un ospite speciale: Attila Csihar!

oppure

Ci sono solo poche band degne di essere riconosciute in Svezia: Dissection [un paio di grugniti incomprensibili] e Shining!

Il tutto accompagnato da una performance che esalta il lato grottesco delle vocals: scansioni improvvisate, tonalità vomitate, movenze oscene. Se è disagio ciò che Niklas Kvarforth punta a comunicare, ci è riuscito benissimo. Ma allora tutti i musicisti di contorno sono veramente sprecati (ed umiliati a più riprese) per tenere in piedi uno squallido teatrino del genere.

SETLIST SHINING:
1. Låt Oss Ta Allt Från Varandra
2. Vilseledda Barnasjälars Hemvist
3. Yttligare Ett Steg Närmare Total Jävla Utfrysning
4. Människa O'Avskyvärda Människa
5. Ohm (Sommar Med Siv)
6. Submit To Self-Destruction
7. Förtvivlan, Min Arvedel


ASPHYX
Sono vent’anni che gli Asphyx si producono sempre nello stesso show, che sul palco si comportano da guasconi, che tritano ossa senza guardare in faccia nessuno e che dimostrano di essere visceralmente attaccati al loro modo, grezzissimo ma efficace, di far death metal. E per tutti questi motivi sono anche vent’anni che vale sempre la pena di vederli! Non spenderò molte parole per descrivere una performance che può essere facilmente inquadrata con una sola parola: energica. Van Drunen & Co. sfruttano i suoni densi e corposi del Party Stage per inanellare una scaletta che vede quali uniche rappresentanti dell’ultimo Deathhammer la sola titletrack e Der Landser (peraltro cantata in lingua tedesca); le rimanenti tracce della setlist pescano dai gloriosi esordi (da Vermin a The Rack) e dalle recenti e soddisfacenti pubblicazioni (Scorbutics, Death… The Brutal Way, ecc…) riuscendo a soddisfare vecchi e giovani fans. Della prestazione che dire: gli Asphyx non sono certo un gruppo preciso e pulito, anzi… Sia Baayens, sia Zuur si complicano spesso la vita da soli (nonostante la semplicità delle partiture) ed anche il loro timing non è sempre perfettamente adagiato sul drumming di Bagchus, ma nel complesso – grazie anche ad un vocalism di Van Drunen davvero poderoso e marcissimo – tali sbavature passano inosservate. Ripeto: niente di più, niente di meno di ciò che mi aspettavo. Per me possono continuare così altri trent’anni.

ASP
Tra gli headliner al Summer Breeze, quasi totalmente sconosciuti in Italia, gli ASP sono uno dei nuovi nomi della Neue Deutsche Härte, nonché uno dei più originali. Esordendo nel 2000 con un dischetto electrogoth, la band si è distaccata gradualmente dall'elettronica dirigendosi sempre più verso il metal. Nei loro dischi più recenti non mancano efficaci e veloci pezzi metal, cupi brani goth, qualche sguardo al passato che riporta l'elettronica alla superficie e addirittura qualche richiamo folk. I loro dischi sono fatti di alti e bassi (accanto a canzoni riuscitissime c'è sempre qualche episodio meno felice), ma i loro concerti sono fenomenali: spettacolari, coinvolgenti, sfrenati, malinconici. Il leader Alexander Spreng è un cantante d'eccezione, con un estensione vocale che va da tonalità mediamente alte ad altre profonde come abissi. Anche come potenza ed espressività non teme rivali: a pieno volume, la sua voce è di volta in volta crudele, autoritaria, trionfante, seducente, dolce, disperata, straziante. Purtroppo anche il grande Alexander Spreng al Summer Breeze mostra di avere meno fiato del solito faticando a raggiungere le tonalità più alte. Siccome è la prima volta che lo vedo in difficoltà, sono sicura che la sua sia una defaillance temporanea e crescono i miei sospetti sugli effetti nefasti dell'aria ricca di polvere del festival. In ogni caso, grazie al suo talento ed alla sua esperienza, Alexander riesce a sopperire alle sue difficoltà modificando leggermente le linee vocali in modo da cantare più spesso nelle tonalità basse che gli riescono più naturali. Anche la sua mancanza di fiato si nota solo nei momenti in cui si interfaccia al pubblico. Se non l'avessi già visto live tre volte probabilmente non mi sarei accorta di niente. Per concludere, so che non lo vedremo mai in Italia (sigh), ma consiglio a quelli tra voi che amano la NDH ed il goth di andare a darci un occhiata se vi capita di incrociarlo in qualche festival in Germania.

VALLENFYRE
Una band che mi ha incuriosito parecchio, nonostante il moniker pressoché sconosciuto, sono stati i Vallenfyre, soprattutto dopo aver scoperto la presenza in formazione di tre “giganti” del metal britannico, ossia Gregor Mackintosh (chitarra dei Paradise Lost per l’occasione in veste di vocalist), il compagno Adrian Erlandosson (anch’esso militante nei gothster d’oltremanica) e – udite udite – Hamish Hamilton Glencross (My Dying Bride). La cosa deve essere tra l’altro sfuggita a molti, dato che ad assistere alla loro performance ci sono pochissime centinaia di persone, cosa che all’atto pratico significa lascare vuota la tensotenda sotto cui è adagiato il Party Stage. Il combo propone un death/doom di stampo old school, stile che apprezzo molto, senza però riuscire a colpirmi veramente. Gregor, con il microfono tra le mani, sembra meno timido di quando utilizza il suo strumento preferito, ma non ha però le qualità per potersi definire un vero e proprio cantante: la sua voce è difatti grossa, tuttavia molto poco intonata ed educata. La stessa scaletta, tratta interamente dal debutto A Fragile King, risulta un po’ troppo varia, con brani incalzanti ed altri molto più blandi ed apparentemente non perfettamente miscelati. Da nomi così altisonanti mi sarei aspettato una maggiore creatività, anche se rimanendo nella dimensione live va notato che, oltre alla voce un po’ straziata, l’unica vera pecca è il comportamento apparentemente inibito e schivo di tutta la formazione. Detto questo c’è però un grande rovescio della medaglia: i Vallenfyre si dimostrano una delle band più modeste e alla mano che abbia mai visto suonare dato che in più di un’occasione hanno fatto cenno alla loro situazine precaria e alla difficoltà di trovare booking che permettano loro di fare musica fuori dalla Gran Bretagna. A loro la palma della simpatia.

AMON AMARTH
Chi abbia mai visto gli Amon Amarth sa come la band sia capace di trasformarsi da disco a quando si esibisce in carne ed ossa, ma chi abbia mai avuto la fortuna di vedere gli Amon Amarth ad un festival open air sa come in questa dimensione i vichinghi riescano a dare il proprio meglio e risultare incredibilmente spettacolari. Oltre alle fiamme ed ai giganteschi banner, ormai quasi di routine per molti big del metal estremo, gli svedesi riescono sempre a mettere in piedi uno show che trascende la mera espressione musicale. Ricordo lo show di Wacken di qualche anno fa: fuoco a non finire, figuranti con le armature tipiche dei guerrieri ed un gigantesco drakkar con il colosso Johan Hegg che canta a prua. Pensavo fosse impossibile superarsi. Mi sbagliavo. Per quest'occasione il quintetto ha sguainato le armi e, caricandosi dell'usuale potenza che i brani acquisiscono in sede live, ha dato fondo a tutta l'energia di cui disponeva, eseguendo il proprio repertorio al meglio e mostrando un'incredibile presenza scenica. Il frontman, inarrestabile ed in continuo movimento da un lato all'altro del palco, fa ancora una volta da mattatore: riscaldando gli animi teutonici con frasi in tedesco, insegnando il ritornello di The Pursuit Of Vikings al pubblico, chiedendo le grida di quest'ultimo. Ma, ancora più coreograficamente, all'attacco di Twilight Oh The Thunder God il biondo lungocrinito si munisce di martello in stile Mjölnir e percuote a terra in corrispondenza dell'ingresso di tutti gli strumenti, scatenando una pioggia di fuochi d'artificio dalla copertura dello stage. La prestazione tecnica lascia poco spazio a discussioni: scevra di imperfezioni, innalzata di quei pochi bpm che fanno apparire il brano come la carica di un'orda travolgente di guerrieri, supportata da un'attrezzatura che mantiene il suono abbastanza grezzo ma non incomprensibile. Pollice alto, dunque, per gli Amon Amarth, che a livello di qualità dello spettacolo se la giocano solamente con i Behemoth, pur avendo scelto forme coreografiche parecchio differenti.

SETLIST AMON AMARTH:
1. War Of The Gods
2. Runes To My Memory
3. Destroyer Of The Universe
4. Death In Fire
5. Live For The Kill
6. Cry Of The Black Birds
7. The Fate Of Norns
8. The Pursuit Of Vikings
9. Under The Northern Star
10. For Victory Or Death
11. Victorious March
12. Twilight Of The Thunder God
13. Guardians Of Asgaard


ANAAL NATHRAKH
Più di una persona mi aveva parlato in modo negativo dei concerti degli Anaal Nathrakh, motivo per cui – seppur con la grande fatica della fine del terzo giorno– intendo assistere al loro live show sul Party Stage rinunciando ai Katatonia. Niente di più falso. Innanzitutto il duo inglese (della band fanno parte solo il vocalis V.I.T.R.I.O.L. ed il polistrumentista Irrumator) si presenta con una formazione completa di tutto rispetto che riesce a riproporre con sufficiente fedeltà il grind spruzzato di black metal che caratterizza il loro sound. Il set è incredibilmente violento e veloce, indiscutibilmente guidato dalle percussioni e dall’ugola al vetriolo (è proprio il caso di dirlo) del noto frontman che per l’occasione di presenta in stampelle e dunque con una mobilità limitata (durante l’ultimo stop, prima di chiudere con la delirante Pandemonic Hyperblast, confessa di esser venuto meno ai consigli del medico pur di partecipare a questo importantissimo evento). Il fatto di non utilizzare la drum-machine snatura in un certo senso la proposta che risulta, dal vivo, molto meno sperimentale di quanto ascoltabile su supporto fisico. Niente male nemmeno il clean vocalism, intonato seppur un po’ sgolato e ben percepibile all’interno del pandemonio prodotto da questi Anaal Nathrakh in versione (a)live. Tra le varie More Of Fire Than Blood, Submission Is For The Weak e In The Constellation Of The Black Widow i nostri trovano anche lo spazio per presentare un nuovo brano facente parte del prossimo full-lenght. In definitiva un concerto che mi ha soddisfatto e che ha giustificato una delle rinunce più dolorose di tutto il fest.

KATATONIA
Tocca ai Katatonia il compito di chiudere le danze nei Main/Pain Stage: incontrando un pubblico a dir poco travolto dalla prestazione dei predecessori, sembra impossibile che gli svedesi possano svettare dopo il Ragnarok avvenuto con gli Amon Amarth. Ma non si può immaginare l'effetto amplificante che ha il buio sulla proposta di Blakkheim e soci, coadiuvato dall'equipaggiamento che la band sfodera per le proprie esibizioni. Tanto per cominciare, alle spalle della band campeggia un enorme stendardo raffigurante la copertina di Night Is The New Day con più particolari, la scelta di luci inoltre si rivela accurata per mantenere un'atmosfera intima ed eterea, quasi come se non ci trovassimo in migliaia radunati ad un open air. Venendo ai suoni, credo di poter dire senza mezze misure che i Katatonia abbiano avuto la qualità più elevata e l'impatto più devastante dell'intero festival: le basse frequenze fanno tremare le viscere anche ad una ventina di metri dal palco, la batteria è naturalissima ma implacabile sotto i colpi di Daniel Liljekvist, i synth (qui inseriti a click) trovano una propria dimensione senza sovrapporsi a nulla, ma avvolgendo l'area concerti in una caliginosa vibrazione. La band è sicura dei propri mezzi, si muove sul palco con naturalezza e persino Jonas Renkse nel suo flemma è partecipe nell'esecuzione; mentre canta vedo diverse persone risuonare per i brividi, ma non a causa del freddo! La performance vocale trattiene calore, delicatezza ed al tempo stesso s'impone con il suo modo mellifluo, mesmerizzando l'audience. La scelta di brani spazia tra l'impatto (Forsaker, Leaders, Soil's Song) e la confortante malinconia che accompagna i Katatonia dalla fase centrale della carriera (Omerta, Nephilim, The Longest Year), concedendo una premiere ai fan accorsi al Summer Breeze: la prima esecuzione dal vivo di Buildings, tratta dal freschissimo Dead End Kings. Quando l'esibizione si conclude, con Leaders, non rimane nemmeno il tempo di dispiacersi che l'organizzazione del festival offre a tutti i presenti uno spettacolo pirotecnico di prima qualità di fronte a cui tutti gli occhi si alzano al cielo. Anche quest'anno il Summer Breeze è terminato ed è sempre più dura riportare a casa il cuore indenne dopo averlo bombardato con le emozioni più eterogenee ed incredibili.

SETLIST KATATONIA:
1. Forsaker
2. Liberation
3. My Twin
4. The Longest Year
5. Nephilim
6. Soil's Song
7. Teargas
8. Omerta
9. Evidence
10. July
11. Buildings
12. Leaders


OUTRO
Giunti al termine di questa ennesima avventura non possiamo che essere soddisfatti. L’organizzazione del Summer Breeze ha già annunciato che nell’edizione 2013, che si terrà ancora a Dinkelsbuhl tra il 15 e il 17 di agosto, ci saranno tra gli headliners gli In Flames. La cavalcata per la prossima estate pare partire molto bene, dunque…

Stay Tuned!

CREDITS
Report di ASP a cura di Carolina Pletti “Kara”.
Report di Naglfar, Lacuna Coil, Shining, Amon Amarth e Katatonia a cura di Giovanni Perin “Giomaster”.
Intro, outro e report di Tanzwut, Unleashed, Sepultura e Paradise Lost, Asphyx, Vallenfyre e Anaal Nathrakh a cura di Massimiliano Giaresti “Giasse”.
Foto a cura di Cristina Mazzero.



Sambalzalzal
Venerdì 31 Agosto 2012, 8.55.06
9
Ahahahahahahah!!!!!!! Oppure potresti anche suggerire alla tua ragazza di proporlo come uomo delle pulizie nella "spit room" di quella casa di riposo! P.s. dalle foto vedo che ha anche messo su peso... adesso K è veramente un bel sacco di merda con i controfiocchi!!!
waste of air
Venerdì 31 Agosto 2012, 0.01.50
8
Allora. Dunque. Tenetemi informato sulla prossima calata italica degli Shining, ci conto! Vi spiego il perchè: la mia morosa fa l'infermiera in casa di riposo, ergo; se avvisata per tempo può organizzare una simpatica gita educativa per ottuagenari professionisti dello sputo corale. Vi garantisco che sono uno spettacolo e poi leader del suddetto gruppo, dopo il trattamento, sul palco leggerà il sole 24 ore. E lo terrà bene aperto coprendosi per paura di un secondo round.
xutij
Giovedì 30 Agosto 2012, 17.12.59
7
Ehi, Giasse, io a quella avrei sbroccato di brutto. Come cavolo si fa a non conoscere Beneath The Remains ? Ma dai !
anvil
Giovedì 30 Agosto 2012, 14.00.54
6
ahahahahahahah XD
d.r.i.
Giovedì 30 Agosto 2012, 13.53.12
5
peccato non essere un musicista degli Shining, ho il catarro e ne avrei dato volentieri qualche chilata a Kvar!
Sambalzalzal
Giovedì 30 Agosto 2012, 13.40.22
4
"ci sono gli sputi sul palco e contro i suoi stessi musicisti, gli schiaffi al bassista " ma vaffanculo va, a Kvarforth e a quelli che ancora spandono soldi per andarlo a vedere! Swedish style: mai incontrato nella vita qualcuno che lo gonfiasse di sganassoni, ma di quelli fatti bene però!
Giasse
Mercoledì 29 Agosto 2012, 22.21.24
3
Beh, i Folkstone traggono ispirazione da quella corrente anche se a mio avviso usano il cantato in modo differente. Comunque, rimanendo ai Tanzwut, loro hanno anche basi elettroniche che li rendono più "danzerecci".
maurilio
Mercoledì 29 Agosto 2012, 20.36.30
2
A proposito dei Tanzwut, ma non definiscono anche i Folkstone la loro musica medieval rock? Allora si possono paragonare questi tedeschi ai nostri? Perché se é cosí tale genere non é solo tedesco, anche se, vivendo in Austria, vi posso assicurare che é un genere estremamente seguito nei paesi di lingua tedesca, come del resto il folk metal in generale.
Max
Mercoledì 29 Agosto 2012, 10.19.29
1
"un concerto che ha mostrato una band spenta e non adeguatamente preparata per eventi di una certa portata". Sono d'accordo in parte nel caso di questo concerto, ma che gli Unleashed non sia una band preparata per eventi del genere è un po' una bestemmia...
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