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CORREVA L’ANNO - # 11 - 1980
28/11/2012 (7036 letture)
Gli anni ottanta hanno rappresentato, quasi per antonomasia, il momento di massimo splendore nella storia dell'heavy metal. I primi dodici mesi di questo periodo aureo hanno portato un autentico movimento di svolta, considerati i dischi epocali che in essi furono pubblicati, quasi a voler rimarcare con enfasi che qualcosa era drasticamente cambiato. Quello che c'era stato prima, ormai, era il passato: dall'heavy-rock si era progressivamente passati a qualcosa di più duro e veloce, facendo sì che i vagiti sabbathiani lasciassero eco alle sempre più aggressive sferzate di nuovi paladini dell'Acciaio, i Judas Priest. L'irrobustimento del loro sound era culminato in Killing Machine e, parallelamente, in un look sempre più trasgressivo, fatto di borchie, catene, pelle nera, motociclette rombanti, frustini, manette e giubbotti di pelle. Il 1980 fu un anno campale, nel quale l'heavy metal diventò ufficialmente un genere a sé stante, recidendo definitivamente il cordone ombelicale con l'hard rock e tranciando di netto quelle similitudini che fino a quel momento avevano fatto tranquillamente coesistere i due generi, fianco a fianco, influenzandosi a vicenda e contaminandosi in continuazione: proprio per questa ragione porremo d'ora in avanti l'attenzione esclusivamente sul mondo metallico, approfondendo con un occhio di riguardo uscite, avvenimenti e personaggi. Due furono le principali uscite che scossero la scena: British Steel degli stessi Judas Priest ed il debut omonimo degli Iron Maiden. I Preti di Giuda erano ormai un'eminenza in campo heavy metal, avevano sfornato ben quattro dischi da antologia e avevano ancora intenzione di irrobustire le proprie bordate: con British Steel piazzarono un colpo ineguagliabile, ed il titolo dell'opera rappresentava tutto l'orgoglio di chi sentiva di aver contribuito senza mezzi termini a forgiare un genere. L'heavy metal possedeva un cromosoma britannico, era acciaio colato dalle fonderie di Birmingham e i bikers capitanati da Rob Halford si sentivano fieri delle proprie radici operaie; il cantante era figlio di una famiglia operaia tipicamente inglese, era cresciuto in un ambiente molto duro, grigio, e covava da sempre il desiderio di fuggire da tanta ossessione, anche spinto da quello che ardeva dentro di lui: sapeva di essere diverso da tutti i suoi coetanei, e non certo perché fosse omosessuale; sapeva di essere un artista. Fin da piccolo aveva assorbito il suono delle acciaierie inglesi, che facevano tremare il suo banco di scuola: il padre lavorava proprio in una grande industria chiamata British Steel e cercava di non far mancare nulla alla propria famiglia, che viveva nella squallida zona di Walsall. Rob si accorse di saper cantare quando entrò nel coro della scuola, ma poi si trovò un lavoro come apprendista tecnico delle luci al Grand Theater di Wolverhampton, con l'obbiettivo di diventare 'qualcuno che il pubblico potesse riconoscere'. Già allora sentiva di voler stare al centro dell'attenzione: e infatti, di lì a poco divenne attore nello stesso teatro, ruolo che ricoprì per un paio di anni prima di accorgersi che quella carriera era eccessivamente dura e densa di sacrifici per i suoi gusti. L'unico modo per restare protagonista sul palco era intraprendere una carriera musicale: ci provò con diverse band come i Lord Lucifer e gli Hiroshima, che ricorda con affetto, ma ci riuscì soltanto con i Judas Priest. A farlo entrare in contatto con la band ci pensò il batterista John Inch, che era suo amico e lo consigliò alla band per rinvigorirla dopo la dipartita di Al Atkins: fu un innesto straordinario, perché Halford diede una carica indescrivibile, iniziò ad occuparsi anche delle questioni manageriali e si rivelò da subito l'elemento più creativo, sicuro di sè e lontano da ogni sorta di monotonia. Possedeva una voce potente e lancinante, capace di arrampicarsi su tonalità molto aspre ed elevate, facendosi pungente ed acuminata: una sorta di tenore infernale, la tecnica al servizio della potenza. Fu lui a definire il tipico screaming heavy metal, inventandolo e modificandolo di album in album, sperimentando e stabilendo degli autentici punti di partenza, che nulla avevano a che vedere con le precedenti inclinature blues ed hard rock dei contemporanei; sempre lui contribuì a disegnare il caratteristico look metal, presentandosi sul palco bardato di cuoio, con un frustino in mano, le manette appese alla cintola, ray-ban neri ed un cappello da poliziotto. Con le braccia coperte di borchie ed un gilet di pelle nera calato sul torso nudo, Halford esprimeva una virilità devastante ed appariva come un macho agli occhi di chi ignorava la sua omosessualità e la sensibilità che lo portava ad affrontare, nei propri testi, argomenti delicati e socialmente interessanti, trattandoli però con termini e metafore da apocalisse prossima ventura.

Nel corso di quei quattro dischi, da Sad Wings Of Destiny a Killing Machine, l'iconica band britannica aveva inesorabilmente appesantito il proprio sound, varcando nuovi confini di pesantezza; ma con British Steel ci fu uno scarto ancora maggiore, e basta ascoltare la devastante Rapid Fire per accorgersene: la velocità d'esecuzione é formidabile, per l'epoca, ed il nuovo drummer Dave Holland utilizza il doppio pedale con una potenza mai udita in precedenza, costringendo l'ascoltatore ad un headbanging sfrontato. I mirabolanti assoli incrociati di Glenn Tipton e KK Downing si facevano sempre più rapidi e affilati, mentre la band aveva semplificato le strutture dei propri pezzi, passando ad un heavy metal molto più crudo, diretto e aggressivo rispetto alle pompose aperture delle releases precedenti. Il pezzo più pregiato del disco era Breaking The Law, un riffing tritaossa che cresceva in un chorus intimidatorio ed in una scarica di pathos e adrenalina senza pari; un brano destinato a fare epoca e diventare un classico da subito, un movimento irresistibile capace di scatenare il delirio e agitare le masse. Vi erano poi gli inni anthemici come United e Metal Gods, quest'ultima destinata a donare un celebre nickname a Rob Halford, sempre più a suo agio nelle vesti del Profeta dell'Acciaio. La sua prova vocale era più ruvida e aggressiva che in passato, ma regalava degli acuti da far accaponare la pelle, e si districava anche in eccellenti refrain melodici come You Don't Have To Be Old To Be Wise o Living After Midnight, un pezzo molto easy-listening che infatti si candidò come hit radiofonico più riconosciuto della band di Birmingham. Le due asce gemelle dimostrarono grande abilità nel sapersi modulare, esaltando con ulteriore freschezza e dinamicità i passaggi dai classici riff granitici e dai consueti assoli al fulmicotone ad altre sfumature più morbide e melodiche, soprattutto in chiave solista; ma British Steel restava un disco soprattutto aggressivo, ancorato a sferzate notevoli come Steeler, nelle quali riffery e guitar solos squillavano fino a far sanguinare i padiglioni auricolari. Fu pubblicato anche un videoclip a supporto di Breaking The Law, un montaggio un pò ridicolo e pacchiano che riprendeva i membri della band intenti ad irrompere in una banca, armati di chitarre, ed accedere al bunker, dal quale rubare il disco d'oro di British Steel. Il futuro chitarrista dei thrashers newyorkesi Anthrax, l'istrionico Scott Ian, una volta ha dichiarato che 'British Steel é l'album che determina che cosa é l'heavy metal, perché fu il primo disco a distaccarsi completamente dagli ultimi frammenti di blues; persino il titolo, l'immagine in copertina, che cosa potrebbe essere più metal di così?' L'importanza storica di questo disco era straordinaria, perché da una parte definiva con completezza la raggiunta essenza musicale dell'heavy metal contemporaneo, mentre dall'altra ne incarnava con maggior efficacia lo status di musica 'sociale', una sorta di 'voce dei deboli', come ricorderà in seguito Rob Halford: 'Quel disco cominciò ad abbattere tutti i muri dell’oppressione nel senso più ampio del termine. Appena incominciarono ad andare in onda brani come Living After Midnight e Breaking The Law seguì tutto il resto. Non eravamo gli ultimi arrivati, avevamo avuto singoli ed album in classifica, per il Giappone eravamo già delle star, ma ci sembrava che la stampa britannica ancora non ci regalasse la giusta considerazione. Quindi avevamo deciso di autoproclamarci capi e discepoli di un nuovo suono, e volevamo che la stampa capisse quanto eravamo orgogliosi di essere inglesi. Nel videoclip di 'Breaking the Law' decidemmo di dare una versione assolutamente ironica del pezzo, ma il testo affrontava in realtà un argomento serio, che da ragazzo, nelle strade di Birmingham, avevo visto spesso: la disoccupazione, l’impossibilità a crearsi un futuro, a dare forma ai propri sogni era la strada più breve per la criminalità. Tanti ragazzi scelsero quell’alternativa semplicemente perché non ve ne erano altre'. Come era stato durante e dopo il sessantotto, e ancora lungo tutti gli anni settanta, la musica rock fungeva ancora da via di fuga per le nuove generazioni, facendosi sempre più potente e cupa con l'incedere degli anni e l'inasprirsi della realtà quotidiana.

L'opera di metallizzazione del Regno Unito, e di tutto il Vecchio Continente come naturale conseguenza, era compiuta: e British Steel era l'autoincoronazione, la spocchiosa istantanea di una salita al trono che tutti si aspettavano, perché non potevano essere che questi signori vestiti di pelle a governare con classe e carisma l'intero e nascente movimento internazionale. La band aveva cercato di imprimere tra i solchi del platter l'essenza della classe operaia industriale, il rumore delle fabbriche e l'odore di acciaio fuso, ovvero il 'suono delle Midlands' che ingrigiva le esistenze di tante famiglie fiaccate anche da scioperi e disoccupazione; pare che l'idea della copertina con la celebre lametta venne ad Halford dopo aver visto un'immagine simile, con sopra inciso 'Sheffield Steel', anche se alcuni ne attribuiscono la paternità ad Hill. Il titolo, preso dal nome della grande impresa dove lavorava il padre di Halford e che risentiva della grave crisi occorsa sotto il nuovo governo conservatore (dal 1979 erano stati persi circa undicimila posti di lavoro) rappresentava al contempo sia la classe operaia che l'impattante sound dell'heavy metal, un connubio colto alla grande attraverso la produzione di Tom Allom, il tecnico che già si era occupato del live uscito l'anno prima. Un interessante approdondimento, riguardo queste tematiche, arriverà alcuni anni dopo per voce di KK Downing: 'E’ indubbio che molta gente abbia voluto creare una connessione tra Birmingham e la musica heavy metal. Quella regione dell’inghilterra, all’inizio della rivoluzione industriale era chiamata ‘the black country’, la regione nera, per via della nebbia, del fumo delle ciminiere e delle miniere di carbone, nome che ancora la caratterizza. Credo che il fatto che fosse una città industriale abbia comunque influito nello stato d’animo di noi ragazzi che ci vivevamo, in modo forse inconscio. Quando eravamo giovani c’era una divisione netta tra chi aveva i soldi, ed ascoltava pop, e chi come noi era figlio di operai e andava alla ricerca di una musica che avesse maggiore profondità. Rob addirittura ricorda che il metallo, quello vero, e il ritmo per lui sono stati indissolubilmente legati fin da giovanissimo. Quando andava a scuola, dalle finestre della sua aula poteva vedere le ciminiere degli stabilimenti di Birmingham, come a dire ai ragazzi che il futuro sarebbe stato lì, dall’altra parte della strada. Nell’aria si sentivano le percussioni, i colpi sordi delle acciaierie, e dal terreno si sentivano le vibrazioni della fonderia che si trasmettevano fino al banco su cui era seduto. Inoltre lo stesso Glenn per cinque anni lavorò in uno stabilimento alla British Steel Corporation, e posso dirti che la cosa davvero non gli piaceva'. La band non fu contenta di una nauseabonda campagna promozionale escogitata da Tony Brainsby, il pubblicitario della band, il quale fece credere alla stampa che il master del disco fosse stato rubato e fece una richiesta di riscatto di cinquantamila dollari; il gruppo, inoltre, tenne duro alla censura che voleva aerografare l'artwork di copertina in modo che la lametta non tagliasse le dita della mano che la reggeva: Downing spiegò che il significato di quel dettaglio era far capire che ascoltare heavy metal non era pericoloso. Dopo un'insolita esibizione in playback a Top of the pops, la band partì per il tour nel Regno Unito, affiancata dai giovani Iron Maiden: una dichiarazione di Paul Di Anno ('faremo il culo ai Priest'), che pure era entusiasta di aprire per l'act di Birmingham, instaurò una certa rivalità, la quale portò i bikers a trattare con una certa acidità i giovani eredi; Steve Harris racconterà che il tecnico del suono dei decani cuoioborchiati era fastidioso e prodigo di dispetti, anche se questo spinse gli inesperti londinesi a dare il meglio di se stessi. Il primo giorno di tour, i Maiden si presentarono ad osservare le prove di Halford, ma i Judas Priest pensavano che li stessero sfottendo e la presero come un affronto, e la cosa si aggravò osservando il look in pelle fedelmente copiato da quei ragazzini: Downing dichiarò quanto fosse deludente fare un tour con una band emergente e notare che 'loro si presentano indossando tutti i tuoi vestiti: devo guardare certe foto due volte per capire che non sono io al posto di Dave Murray'! I Signori dell'Acciaio, però, erano ancora loro, i Judas Priest, sferzanti nelle loro scorribande chitarristiche e negli spettacolari duelli visivi intrecciati da Tipton e Downing, tremendamente scenografici nelle loro tenute fiammanti e con Halford più provocatorio che mai (in una data al Rainbow's theatre di Londra si calò pure i pantaloni, mostrando gli attributi ad un pubblico perplesso); la scaletta prevedeva Hell Bent For Leather in apertura e poi, in successione, Beyond The Realms of Death, Victim of Changes, Starbreaker e Take on the World, con l'esclusione di Exciter a far mormorare la stampa: si scrisse che Holland fosse incapace di stare al passo con la rapidità del pezzo, ma Tipton fece notare che Rapid Fire, su disco, era effettivamente ancora più potente e veloce. Vennero esclusi i pezzi di British Steel, in quanto quella prima leg del tour era orientata alla promozione di Unleashed in the East; la reazione fu entusiastica, con la rivista 'Sounds' a parlare di 'Uno dei migliori concerti mai visti da moltissimo tempo a questa parte'. La band ad aprile suonò in molti paesi europei, come Germania, Belgio e Francia, dopodiché si imbarcò in un tour estivo con i nascenti Def Leppard e gli Scorpions: i biglietti nelle grandi città vennero polverizzati. Anche il tour americano, per quanto sfiancante e prolungato, fu elettrizzante; di ritorno in terra albionica, i Preti di Giuda suonarono alla prima edizione del Monsters of Rock di Castle Donington, il 16 agosto 1980: gli headliner erano i Rainbow di Ritchie Blackmore, mentre nel bill erano presenti pure Saxon, Riot e Scorpions. I Judas Priest sarebbero stati invitati nuovamente nel 1987, ma declinarono l'invito perché non avevano alcuna intenzione di abbassarsi a fare da supporto ai Bon Jovi. Stando ai ricordi di Rob Halford, l'evento 'fu eccellente, la nostra esibizione particolarmente buona perché c'era il pubblico di casa nostra, per così dire, e ci sentivamo molto a nostro agio'. il singer era in realtà molto agitato, e dichiarò di essersi calmato solo dopo una dozzina di pinte di birra Banks. Dopo un ulteriore tour tedesco, la band si mise a scrivere del materiale per il nuovo album; tuttavia, con l'insorgere di settembre, i cinque inglesi non si ritennero sufficientemente soddisfatti del risultato e, per la prima volta, decisero di registrare un album fuori dai patri confini, convertendo in studio di registrazione una vecchia fattoria di Ibiza, anche per sfuggire al rigido sistema fiscale inglese.

Nel momento della massima espressione priestiana, gli eredi erano già belli pronti e si chiamavano Iron Maiden. Londinesi, guidati dal carismatico bassista Steve Harris, avevano resistito per anni senza trovare un contratto discografico, messi all'angolo dall'imperante attenzione dedicata al punk, e si erano rinchiusi nel loro covo, il Ruskin Arms, uno dei pochissimi pub cittadini nei quale poter suonare metal dal vivo; il loro demo era poi finito nelle casse del Soundhouse, la discoteca rock della città, destando l'attenzione degli addetti ai lavori e l'entusiasmo di frange scatenate di kids adoranti. Il loro debutto, Iron Maiden, appunto, era un esplosivo concentrato di classe, impeto, energia: al suo cospetto, persino lo stesso British Steel suonava datato e figlio del suo tempo. La Vergine di Ferro possedeva un sound freschissimo, vivace e potente, ibridava l'heavy classico con vibranti spruzzate di punk, evidenti tanto nella velocità e nel riffing acuto quanto nel vocalism sfrontato del ribelle Paul Di Anno, un ragazzino riccioluto che amava dominare il palco con le sue pose da duro, il chiodo di pelle ed il ciuffo strafottente. Di Anno era fin troppo dedito all'alcool e alle sigarette, e non mancavano i contrasti col leader Steve Harris, che aveva ambizioni spropositate ed esigeva una band morigerata e senza eccessi, unico segreto per scalare l'Olimpo: ma per quegli early days il tosto Di Anno andava più che bene, a suo agio tanto nelle veementi abrasioni da strada come Prowler, Charlotte the Harlot e Running Free quanto nelle struggenti e più melodiche Remember Tomorrow (che cresceva in coda, facendosi roboante ed ispirando le future mid-ballad di band come i Metallica) e Strange World, un'avvolgente nenia da pelle d'oca; il basso di Harris pulsava con una forza straripante, al fianco delle poderose sezioni chitarristiche gestite da Dennis Stratton e dall'ottimo Dave Murray, un biondino paffuto che stava stabilendo le coordinate riconoscibili e personali di un suono destinato alla leggenda, tanto potente e dinamico quanto fluido e cristallino. L'autoreferenziale Iron Maiden concludeva il disco in maniera trionfale, con una struttura basilare ma arroccata attorno ad un riff spettacolare, come afferma Kerry King, al tempo giovane fan della Vergine di Ferro: 'I Maiden hanno significato davvero molto per me nei primi anni; quando li vedi suonare dal vivo oggi é come vedere delle icone. La loro canzone Iron Maiden spacca ancora oggi, ha un riff davvero grandioso, anche dopo tutto questo tempo'. Il disco era ancora diretto, grezzo nella produzione e relativamente semplice -nelle strutture- rispetto ai maestosi capitoli che l'act londinese rilascerà in seguito, ma già lasciava intravedere quelle potenzialità tecniche e di arrangiamento che renderà grandissima questa entità: l'intricata Phantom of the Opera -il vero capolavoro del disco, con le sue diverse sezioni, il rifferrama serrato, la strepitosa scorribanda solista e le tinte quasi epiche- e la labirintica strumentale Transylvania erano delle autentiche cascate di note, nelle quali le chitarre si incastravano con perfezione magniloquente, senza perdere un grammo di adrenalina e scorrevolezza. Non male, per essere il debut di cinque adolescenti alle prime armi. Sulla produzione ancora perfettibile si é espresso lo stesso Steve Harris: 'Abbiamo semplicemente provato a riprodurre su disco il nostro sound live; poiché ritengo che la produzione abbia sofferto molto, credo che non siamo riusciti a centrare l'obbiettivo. Se ascolti qualche registrazione live dell'epoca, spazzano via le versioni dell'album. Non voglio essere frainteso, sono molto fiero del nostro primo disco, abbiamo registrato le canzoni al meglio delle nostre possibilità e, alla fine della fiera, i fans ricorderanno sempre l'album con quei suoni, non voglio certo demolirlo. Nel senso, era il nostro primo album, no? E' ovvio che sia speciale'. L'artwork di copertina raffigurava il volto spaventoso di una sorta di non-morto calato nei loschi quartieri della Londra notturna: si chiamava Eddie the Head e avrebbe a suo modo anticipato tutta l'iconografia tipica dell'heavy metal, che da allora sarà sempre più costituita da figure provocatorie quanto più orripilanti e colorate possibili. Eddie era, in principio, una testa intagliata nel compensato e posta sopra la batteria di Clive Burr; il drummer doveva sorbirsi ad ogni concerto una doccia di sangue finto, rigurgitato dalla 'testa' con lo scopo di shockare la platea. In ogni caso, la peculiarità trainante del Maiden-sound andava ricercata nel lavoro delle tre asce: i duelli tra le chitarre apparivano molto più moderni ed esplosivi rispetto a quelli dei Judas Priest, mentre il ruolo del basso non era più quello di mero accompagnamento, ma acquisiva un peso specifico tangibilissimo. Di Anno mantiene un ricordo entusiasta di quell'opera: 'è stato il miglior disco che abbia mai fatto con i Maiden, senza dubbio. Personalmente non penso che il secondo album abbia rappresentato un miglioramento: la gente va avanti a parlare della produzione, ma io nemmeno me ne accorgo. Tutto ciò che senti é la band che suona, io che canto e quanto sono grandiosi i pezzi. Sono convinto che la vena punk degli Iron Maiden in quel disco fosse al top: le canzoni erano grezze, ruvide, violente, e amo esaltarne questo aspetto. Eravamo completamente diversi da tutto il resto, il nostro primo album lo confermava. I nostri fans, allora come oggi, avevano un'attitudine diversa da tutti gli altri, ci seguivano ovunque. Era un maledetto disco punk metal'. Forti di un consenso crescente, gli Iron Maiden partirono per il loro primo tour ufficiale, prima come spalla proprio dei Judas Priest e quindi nella calata europea dei Kiss, toccando anche Roma e Milano. Il loro impatto fu straripante: le folle rimasero colpite dalle loro abilità musicali e sceniche, entrambi futuri trademark del quintetto inglese. Nei loro coloratissimi spandex elastici, Murray ed Harris vivacizzavano la scena sul palco, attorniando la figura più cupa e statuaria del rude Di Anno; l'Iron Maiden UK Tour fu diviso in tre parti: otto shows si tennero nei primi dieci giorni di aprile, coincisi anche con la prima data fuori dai patrii confini, avvenuta il 5 aprile al Wheel Pop Festival, in Belgio; in questa occasione, Steve Harris potè ammirare le doti di un giovane batterista, Nico McBrain, che calcò il palco con un'altra band. Erano inevitabili i primi disguidi tecnici: proprio in Belgio, la testa di Eddie schizzò sulla folla, e da allora la band iniziò a portarsi sul palco un alternativo telone di sfondo con l'immagine dello zombie così come lo si può scorgere sulla copertina del disco. La scaletta di quel periodo prevedeva l'inedita Wratchild, il singolo Sanctuary e le consolidate Prowler, Remember Tomorrow, Transylvania, Running Free, Strange World, Phantom of the Opera ed Iron Maiden; inoltre, comparivano pezzi non incisi sul disco come Drifter. A Grismby, il 10 aprile, un problema vocale a Di Anno obbligò la band ad eseguire un set solo strumentale: i ragazzi promisero di tornare, ed infatti qualche mese dopo mantennero l'impegno. Dal 15 maggio al 23 agosto si tenne la seconda parte del tour, costituita da una cinquantina di date, nelle quali comparvero anche dei brani inediti come Killers, The Ides of March e Wratchild; il 20 giugno fu la prima serata da headliner, al Rainbow Theatre di Londra, mentre il 3 luglio venne riempito e sbancato il celebre Marquee. In occasione della seconda esibizione fuori confine, il 19 luglio in Finlandia, i fin troppo morigerati ragazzini britannici si presentarono sul palco ubriachi, una volta tanto, e Dave Murray sfasciò la sua chitarra. Destò scalpore, a giugno, l'uscita del singolo Sanctuary, a causa della copertina: Eddie brandiva un coltello sulle spoglie di Margaret Thatcher, primo ministro inglese che veniva soprannominata 'Lady di Ferro' a causa della sua politica conservatrice; nonostante la censura impose qualche ritocco all'artwork, la donna tornerà presto sulla copertina dell'altro singolo Women in Uniform, armata di mitra e pronta a vendicarsi di Eddie. Quel singolo, cover degli australiani Skyhooks, fu l'ultima testimonianza di Dennis Stratton nella band: divergenze con gli altri membri, ed in particolare col severo Steve Harris, lo portarono allo split, sostituito da Adrian Smith degli Urchin, che pure aveva in un primo momento declinato l'offerta maideniana. Col nuovo entrato, partì la terza parte del tour, dal 21 novembre al 21 dicembre, culminata nel party prenatalizio ancora al Rainbow Theatre. Il taglio di Iron Maiden era ancora quello di un hard-metal stradaiolo, ma era il manifesto di un movimento che stava pulsando come impazzito: la New Wave of British Heavy Metal.

Scagliata la prima pietra, decine di band inglesi iniziarono a fuoriuscire dall'underground, numerose come formiche: il punk era ormai alle spalle, forse morto e sepolto, mentre gli Iron Maiden guidavano la rivoluzione con l'aurea riconosciuta di capipopolo. Subito alle loro spalle, emergeva il tiro ancora settantiano dei Saxon, meno moderni ma comunque dotati di una grinta ed un'energia senza pari: ben due i loro capolavori pubblicati nel 1980, vale a dire Wheels of Steel e Strong Arm of the Law. Il primo di questi due album rappresentò il punto di svolta per la formazione dello Yorkshire, che dall'hard rock del debut si era spostata su coordinate più veementi, apparendo ora irruente e selvaggia nei suoi inni alle motociclette, alle autostrade e al settarismo da gang che contribuirà a costituire uno dei semi natii della cosiddetta fratellanza metallara. Le strutture erano semplicissime e scevre di orpelli, i brani erano tutti urgenti e martellanti: impossibile non restare tramortiti, ancora oggi, davanti al vigore di Motorcycle Man, della titletrack o di Strangers In The Night, tutte trainate dalla voce impetuosa e dal celebre fischio del mitico Biff Byford, un cantante dalla tecnica limitata e senza grosse sfumature ma che era spettacolare nell'infondere carattere alle varie composizioni, apparendo praticamente inconfondibile. Strong Arm of the Law non faceva che confermare ed esaltare queste caratteristiche, infuocato da brani fibrillanti e gloriosi come Heavy Metal Thunder, la titletrack o 20,000 Ft, dall'incedere irresistibile. Le uscite memorabili non finiscono qui: i terremotanti Motorhead, che soltanto un anno prima avevano sferrato due mazzate integerrime come Overkill e Bomber, coronarono il proprio ciclo d'oro con il memorabile Ace of Spades, uno schiaffo in faccia trainato dalla veemente titletrack, un mostro che all'epoca doveva suonare parecchio estremo. I Motorhead erano rozzi e correvano a più non posso, le loro canzoni erano abrasive, pesanti, caratterizzate da un sound sudicio, irrobustito dal basso volgare e dal vocione roco del leggendario Lemmy Kilmister, un'icona del rock: cappello da cowboy, basette, l'inconfondibile brufolo sulla guancia, stivali con gli speroni ed il microfono tenuto dall'alto verso il basso, con la strafottente mania di cantare tenendo la testa rivolta verso lo stesso, senza mai degnare di uno sguardo il proprio pubblico adorante. Tutte le tracce del disco diventano classici imprescindibili e vanno ad influenzare tutti i futuri artefici del thrash metal, folgorati da quelle ritmiche impertinenti e da quell'aggressività tanto spinta. Ricorderà in seguito proprio Lemmy: 'Le canzoni di Ace Of Spades sono considerate dei classici dai fan dei Motörhead e, devo dire, sono davvero eccellenti. Ci divertimmo un sacco ad inciderle. Erano bei tempi; eravamo giovani e vincenti e ci credevamo davvero'. L'attitudine da calci nel culo tipica dell'act britannico abbracciò in quel periodo un immaginario visivo quasi da saloon, con tenute da far west, pistolacce da cowboy, mantelline trasandate e sguardi torvi: il nuovo look veniva celebrato anche sulla copertina del nuovo masterpiece. L'indole bastarda si percepiva in ogni nota di quella e di tutte le altre pubblicazioni della band, sospinta dalle frenetiche stilettate di 'Fast' Eddie Clarke e dal drumworking tellurico di Phil Taylor. Erano soltanto in tre, ma erano più duri e devastanti di chiunque altro. Rispetto ai dischi precedenti, altrettanto granitici, Ace of Spades puntava su un'esecuzione magistrale priva di sbavature: fu supportato da una tournèe inglese denominata Ace Up Your Sleeve Tour e culminata in un festival estivo al fianco di Saxon e Angel Witch.

Febbraio e settembre vengono scossi da due notizie tragiche e di identica natura: lo storico cantante degli AC/DC, Bon Scott, ed il batterista dei Led Zeppelin, John Bonham, muoiono soffocati dal loro stesso vomito dopo aver alzato troppo il gomito. Il mondo del rock cade nello sconforto, ma se gli Zeppelin decisero di fermarsi in omaggio al loro ex compagno, gli AC/DC ingaggiarono Brian Johnson, la cui audizione avvenne dopo che la band lo aveva ascoltato su una cassetta inviata da un fan. Il nuovo cantante possedeva una voce più acuta e urlata del predecessore, ma fu accolto bene dai fans ed i quarantadue minuti di Back in Black andarono a contenere alcune tra le migliori canzoni dell'intera discografia dell'act angloaustraliano. Leggermente più cupi e metallici, gli AC/DC aprivano il disco con i raggelanti rintocchi di campana della pesante e campale Hell's Bells, mentre con la titletrack riproponevano il loro celebre r'n'r intriso di sudiciume; con You Shook Me All Night Long, inoltre, avvicinarono non poco il mondo della musica pesante a quello delle trasmissioni radio, fornendo un singolo di tutto rispetto tanto ai rockers incalliti quanto ai fruitori più frivoli. Il tour di supporto, tra quelli più apprezzati nella carriera del gruppo, vide l'introduzione sul palco della celebre campana da una tonnellata e mezza, fatta forgiare col logo della band e puntualmente picchiata da Johnson prima di Hell's Bells. Il loro sound continuava ad influenzare le nuove generazioni, e difatti anche i tedeschi Accept restavano fedeli all'hard rock stradaiolo che, dopo il debut omonimo, caratterizzava anche il nuovo I'm A Rebel, nel quale iniziavano ad intravedersi elementi più heavy, quelli che sarebbero stati peculiari per il team di Udo; si ispiravano invece ai Motorhead le Girlschool, una band di sole ragazze che debuttò in quei mesi con Demolition, altra importante istantanea del nascente movimento della NWOBHM, rimpolpato anche da Wild Cat dei Tygers of Pan Tag e da Head On dei Samson, la band che si fregiava di un cantante giovanissimo e dotato come Bruce Dickinson e del folkloristico batterista Thunderstick, che suonava mascherato e chiuso in una gabbia (e finì pure sulla copertina del platter). I Witchfynde, provenienti dal derbyshire, proponevano una versione più pesante e oscura del tipico sound della NWOBHM -che pure, ricordiamolo, non era un genere ma una corrente di band dagli stili più disparati- e con i loro primi due dischi Give'em Hell e Stagefright contribuiranno alla futura evoluzione del doom; altrettanto cupi ed oscuri erano gli Angel Witch, una band di culto formatasi a Londra e che con il debutto omonimo realizzarono uno dei manifesti assoluti della stessa New Wave, prima di incamminarsi verso un periodo abbastanza turbolento. Sempre restando sul suolo inglese, da segnalare l'esordio dei Def Leppard, da Sheffield, On Through the Night, un disco di hard rock molto catchy ma che è ancora oggi il lavoro più duro della formazione britannica. Un esordio clamoroso, che in canzoni come Hello America, Wasted o la travolgente Rock Brigade sprigionava riff aggressivi, refrain accattivanti ed un'energia selvaggia figlia della NWOBHM, corrente di cui i giovani musicisti di Sheffield diverranno dei fieri rappresentanti; a conferma dell'incredibile prolificità della scena inglese arrivava anche l'ottimo Lightning to the Nations dei Diamond Head, una band fautrice di un heavy-rock aggressivo e guitar-oriented, il quale andrà ad ispirare intere generazioni di nuovi metallers: il disco annetteva al suo interno classici come Sucking My Love, It's Electric, Helpless o la stupenda Am I Evil?, introdotta da un assolo di chitarra marziale e trainata da un refrain che verrà riportato allo splendore tramite una successiva cover dei Metallica, grandissimi fans di Sean Harris (voce) e Brian Tatler (chitarra).

Fu anche un anno di importanti rinascite, quelle parallele di Ozzy Osbourne e dei suoi ex compagni, i Black Sabbath. Il primo stava attraversando un periodo difficile: cacciato dalla band che aveva sancito i semi primigeni del metal in seguito a continue divergenze ed anche a causa dei suoi crescenti problemi con l'alcool e la droga, Ozzy -che restava un ragazzo sensibile e circondato da troppa gente malvagia, che si approfittava della sua ingenuità- fu colto da una psicosi maniaco depressiva e si chiuse in una stanza d'albergo a Los Angeles, in compagnia solo della sua bottiglia e delle sue sostanze; divenne l'ombra di sé stesso, ma grazie all'ausilio della moglie Sharon tentò di riprendersi e formare un suo progetto solista. Su consiglio del suo bassista temporaneo Dana Strum ingaggiò il chitarrista dei Quiet Riot, tale Randy Rhoads, con il quale nacque da subito un forte rapporto lavorativo e di amicizia. Si misero al lavoro e partorirono il bellissimo Blizzard of Ozz, nel quale la voce nasale ed i refrain accattivanti di Ozzy si affiancavano al riffing poderoso (Crazy Train) ed al solismo torrenziale (Mr. Crowley) di Rhoads. Era un disco di heavy metal molto melodico ed avvincente, che avrebbe sofferto pure parecchie polemiche attraverso pezzi come Suicide Solution, mal interpretato dai soliti censori bigotti, ma che portò grande popolarità al musicista inglese: un nuovo inizio straordinario, che si poneva non solo come pietra miliare del metal ottantiano ma piaceva anche agli ascoltatori radiofonici. Anche i Black Sabbath riuscirono ad uscire in maniera stentorea dal periodo di appannamento in cui erano calati: Tony Iommi entrò in contatto con l'ex singer dei Rainbow, l'italoamericano Ronnie James Dio, fresco di disaccordi con Ritchie Blackmore, e gli propose di entrare nella band. Il soldalizio fu subito propedeutico per entrambi: Heaven and Hell riportava nel grande giro la band di Birmingham, rispolverandone i canoni più possenti ed erculei, ma adattandoli all'epic metal tipico della voce teatrale del prodigioso Dio, monumentale in brani come Children of the Sea, l'imponente titletrack, Lady Evil o le veloci Neon Knight e Die Young, tutti pezzi infervorati dal caldissimo e classicissimo solismo di Iommi, nonché da una nuova serie di riff-macigno. Il platter si collocava tranquillamente al fianco dei vecchi classici sabbathiani, pur essendo costituito da un sound affatto al passo con i tempi, conservatore e figlio dei seventies: il carisma del singer e le sue enormi doti vocali, tuttavia, gli diedero una spinta ed un vigore ulteriori. Il tour di supporto riscosse buon successo, ma fu abbastanza travagliato: lo storico batterista Bill Ward subì l'immane perdita dei genitori, a poco tempo l'uno dall'altro, e abbandonò la band, crollando ulteriormente nei suoi già presenti problemi di dipendenza. Fu sostituito da Vinny Appice, che entrò stabilmente in formazione; intanto Dio contribuiva a diffondere presso i metalkids il celebre gesto delle corna, innalzandolo a segno di riconoscimento e fratellanza all'interno dell'ambiente. Il mondo esterno inquadrava il folletto italo-americano come una sorta di emissario luciferino, ma in realtà il piccolo cantante era una persona buona e con le idee chiare: 'Non ho mai adottato un'immagine satanica. Tutto quello che ho fatto é stato avvertire che se inviti la Bestia in casa non puoi più dirgli di andarsene: una volta entrata, ci rimane. Tutti quelli che mi conoscono bene sanno che io sono profondamente positivo, e dò sempre dei messaggi positivi; io ricordo a tutti che nella vita si può arrivare dove si vuole, stando però attenti al lato oscuro del mondo e non avendo mai a che fare con la bestia. L'occulto per me é sempre stata una cosa estremamente interessante. Non ho mai creduto che in fondo alle cose occulte giacesse il Diavolo, perché l'occulto in realtà é un qualcosa di molto spirituale: é il contatto con la parte spirituale dell'esistenza, e non é necessariamente qualcosa di cattivo; é come la divisione in magia bianca e nera, io preferisco essere coinvolto nella magia bianca. In sintesi, per me interessarsi di occulto significa non essere ignoranti nei confronti del mondo spirituale. In me vi é più magia che malvagità, io mi baso su me stesso, ed ecco perché penso che gli show dal vivo siano importanti, ed il palco sia un elemento fondamentale per far sì che la magia prenda vita'.

Tra i vecchi giganti del rock, mantenevano una buona forma i Queen, che rilasciarono il loro ottavo lavoro, The Game, contenente le classiche Another One Bites the Dust e Crazy Little Thing Called Love: Freddie Mercury si era tagliato i capelli, ed ora preferiva un robusto chiodo in pelle rispetto alle coloratissime tutine degli anni addietro, ma la sua voce statuaria rimaneva un marchio di fabbrica, così come il tocco morbido di Brian May, chitarrista sopraffino. Oltreoceano, intanto, i Kiss facevano flop col molle Unmasked e debuttavano gli epici Cirith Ungol, il cui Frost and Fire dovette attendere parecchi anni prima di potersi concretizzare. La band era sorta nel 1972, sulle ceneri di un gruppo folk, e traeva il nome da un'entità geografica del romanzo Il Signore degli Anelli di Tolkien. Forse soffiava un vento gonfio di enfasi e tradizione letteraria, in America, perché negli stessi mesi univano le loro forze i futuri difensori della Fede: i Manowar. La nascita gode di una trama quasi cinematografica: durante il tour statunitense dei Black Sabbath, il bassista Joey DeMaio lavorava come tecnico del basso e responsabile degli effetti pirotecnici, ed incontrò il chitarrista Ross the Boss, allora arruolato presso gli Shakin' Street, formazione che apriva gli shows degli inglesi. I due si trovarono in sintonia e divennero amici: avrebbero impiegato poco per arruolare il cantante Eric Adams, ex compagno di scuola di DeMaio, improvvisare i primi concerti e raccogliere i fondi con i quali iniziare una carriera monumentale. Non furono gli unici big a formarsi, in quel 1980: come loro, nascevano Overkill, Metal Church ed Exodus in America, Grave Digger e Tank in Europa, addirittura i Loudness in Giappone. L'heavy metal era diventato adulto, una vera fucina di band ricche di fantasia, potenza, spirito intraprendente: il decennio che si apriva in modo così scoppiettante ne prometteva di tutti i colori.



lucignolo
Venerdì 31 Agosto 2018, 17.43.43
37
ho continuato a comprarla saltuariamente per anni,ma credo di essere stato uno fra i pochi,come testata non la ritengo underground, ma non vuol dire che essere underground vada in base alle vendite.diciamo di nicchia.
Knucklebones
Venerdì 31 Agosto 2018, 16.19.02
36
ok rik b.a.t., ora ho capito quello che volevi dire, ma non so dirti quanto vendesse, quindi non saprei se faceva parte dell'underground
rik bay area thrash
Venerdì 31 Agosto 2018, 14.50.33
35
@Knucklebones, si acquistava in edicola, vero !!!! Ma erano pochissimi quei ragazzi/e che la conoscevano, per quello che ho scritto 'fanza', era più in senso di 'underground' . Però il valore di quella rivista per i metallari dell'epoca è inestimabile. (Imho)
Knucklebones
Venerdì 31 Agosto 2018, 11.03.16
34
rik bay area thrash, Rockerilla, però non era una fanzine visto che era una pubblicazione ufficiale che usciva in edicola. Questa che è una webzine è una fanzine, e non è un'offesa
duke
Giovedì 30 Agosto 2018, 21.28.24
33
bel articolo....un fiume di ricordi....grazie !
lucignolo
Giovedì 30 Agosto 2018, 20.16.03
32
a rockerilla ci arrivai 2 o 3 anni dopo (e li mi sono fatto una "cultura" musicale),però c'era il fratello più grande di un amico bimbominkia come me......oggi quasi impensabile.
rik bay area thrash
Giovedì 30 Agosto 2018, 19.47.45
31
Sebbene iniziai ad ascoltare hard rock un paio di anni prima, chi mi fece conoscere e scoprire la n.w.o.b.h.m. fu un punk. Sì, incredibile ma vero. In realtà era venuto in possesso di una 'fanza' di nome rockerilla, la quale oltre che trattare new wave e punk, aveva un piccolo inserto di 'due' pagine dedicate al nuovo heavy metal. Bene. Si aprì un 'mondo' .... adesso c'è internet e con un click sei connesso con il mondo ma a quei 'tempi' reperire notizie sui dischi e sulle band era un' impresa. Senza pwrlare della reperibilità degli album con la famosa parola 'import' pronunciata dal dischivendolo di fiducia. ... e le cover degli album? Era entusiasmante vivere quel 'mondo' nuovo ma esattamente quello che molti stavano aspettando. ... anche bello poterlo raccontare ...
lucignolo
Giovedì 30 Agosto 2018, 17.35.37
30
sembra l'album dei ricordi....nella mia ignoranza ero beatamente felice e spensierato (come non lo sarei più stato in seguito,ma questa è la vita)..ma quel 1980 fu la scoperta del metal "puro",cosa di cui sono convinto ancora,degli iron Maiden fu amore totale al primo riff e anche british steel lasciò il segno,meno i saxon che li sentivo troppo legati a certo hard rock.Fu come ampliare improvvisamente i propri orizzonti,musicali e non,era aprire la finestra e guardare il mondo con occhi diversi.grazie per aver avuto la possibilità di vivere un momento unico.
Raven
Martedì 15 Gennaio 2013, 14.44.39
29
Ricordo benissimo quei dischi new wave, che si affiancavano ai miei primi ascolti heavy. In particolare Cure ed Ultravox (che per conbinazione riscoltavo ieri con mio figlio), con i secondi che seguivo dai tempi di John Foxx. Anno fondamentale comunque.
Le Marquis de Fremont
Martedì 15 Gennaio 2013, 14.36.16
28
Questi articoli sono veramente eccellenti, fatti bene e questo "monumentale" dedicato al 1980 lo dimostra. Naturalmente complimenti ancora a Monsieur The Thrasher e se sono ripetitivo, fa lo stesso... Il 1980 per me è stato l'anno in cui ho lasciato Cambridge per iniziare a viaggiare, in Europa, soprattutto. Mi dispiace aver perso questa "ondata" così come descritta. Mi ricordo che avevo un "walkman" o similare e che ascoltavo le cassette con le cuffie. Per me, è stato l'anno di Seventeen Seconds dei Cure, di Making Movies dei Dire Straits, di Gentlemen Take Polaroids dei Japan e di Vienna degli Ultravox. Però, una sera in un negozio di Amsterdam mi aveva attirato la copertina del primo dei Maiden. Ma pensavo che fossero dei chiassoni come gli AC/DC e i Kiss e mi meravigliavo che ci fosse gente che ascoltasse quella musica derivata dall'hard rock a tripla velocità. Quelle citate, inclusi i Priest, erano comunque band di nicchia, non si sentivano molto alle radio e pochi le conoscevano. Non voletemene, ma mi ricordo molto di più la new wave, legata a quegli anni, dell'heavy metal. Sometimes it happens....
BILLOROCK fci.
Lunedì 3 Dicembre 2012, 12.00.33
27
Da paura....
the True
Venerdì 30 Novembre 2012, 11.39.47
26
ah...dimenticavo, che nostalgia che provo nel vedere le immagini delle bands di quei tempi, brutti, sporchi e cattivi ma dannatamente ribelli, veri rocker e metallers.... se guardo le band attuali....
the True
Venerdì 30 Novembre 2012, 11.35.12
25
Credo di aver pochi dubbi nel definirlo l'anno rock n roll per eccellenza.....
Cristiano
Giovedì 29 Novembre 2012, 22.29.24
24
Grandi!
brainfucker
Giovedì 29 Novembre 2012, 22.22.06
23
rob cantava di disoccupazione in inghilterra..tutto il mondo è paese a quanto pare..che bei tempi quelli..
the Thrasher
Giovedì 29 Novembre 2012, 21.16.08
22
ahahaha! immagino.. meglio la nostalgia allora
jek
Giovedì 29 Novembre 2012, 21.10.53
21
@the Thrasher: sti cazzi cosi mi viene la depressione.
the Thrasher
Giovedì 29 Novembre 2012, 21.03.13
20
ahhahahah se questi articoli vi mettono nostalgia nei prossimi parlerò di nu metal e grunge ragazzi, che ne dite?
jek
Giovedì 29 Novembre 2012, 20.49.52
19
@Celtic: sto lottando per non cadere nell'allora era tutto più bello, ma l'è dura, specialmente dopo questi articoli. N.B. Ci vorrebbe un commento di Raven poi siamo in 4 per una briscola al dopo lavoro ferroviario
Celtic Warrior
Giovedì 29 Novembre 2012, 20.24.09
18
Ragazzi ve lo devo dire : io gli anni 80 li rimpiango in tutti i sensi , era tutto diverso .
LORIN
Giovedì 29 Novembre 2012, 20.12.05
17
La fortuna di averlo vissuto il 1980. Tutti i dischi citati nell'articolo ricordo di averli comprati man di mano che venivano pubblicati. Sensazioni uniche e ricordi bellissimi di tutti i concerti visti in quell'anno (ed anche in quelli a seguire)........ancora oggi i vinili di quell'epoca girano sul piatto dello stereo ed io salto,urlo,mi muovo ma soprattutto,mi diverto e mi emoziono ad ascoltarli....
jek
Giovedì 29 Novembre 2012, 20.11.14
16
Io mi ricordo che i Maiden li vidi da vicino mentre i Kiss fui risucchiato e li vidi defilato e lontano. Forse perchè era il primo concerto che vedevo o forse per i 15 anni d'eta che fui folgorato dalle potenza scenica dei maiden e in particolare di Di Anno. L'altra cosa che ricordo fu che all'uscita la metro era chiusa e per tornare in centrale in orario per il treno ci raccolse per strada un tipo gentilissimo che fece due viaggi per accompangnarci tutti in stazione. Altri tempi.
Celtic Warrior
Giovedì 29 Novembre 2012, 19.36.00
15
Jek è bello ritrovarsi a distanza di anni su queste pagine , Al concerto dei Maiden di supporto ai Kiss a Milano c ero pure io , mi ricordo che il biglietto era rettangolare stile biglietto del cinema , fu uno spettacolo pazzesco .
jek
Giovedì 29 Novembre 2012, 18.48.31
14
Se il '79 coi Kiss per me fu il battesimo, quest'anno è con la tournee degli stessi kiss che scopro gli Iron Maiden e da li entro e vivo tutto il fenomeno metal. Devo ringraziare Rino che con questi articoli riesce ad aiutarmi a rimettere in ordine date ed eventi cronologici, riportandomi a memoria gli entusiasmi che vivevo allora da quindicenne. Ora attendo i prossimi 5 anni in cui ho vissuto solo per la musica metal.
the Thrasher
Giovedì 29 Novembre 2012, 18.06.40
13
@Radamanthis:grazie ancora dei complimenti!
Radamanthis
Giovedì 29 Novembre 2012, 17.34.28
12
I miei assoluti complimenti The thrasher, un alto, l'ennesimo, articolo bellissimo! Grande annata l'80 per il metal, su tutto direi Angelwitch e Black Sabbath, ma anche Judas, Iron e Ozzy. Infine che dire delle Girlschool...non dico nulla, è scontato il commento! Invece davvero Biff e Lemmy brutti all'ora come ora, più di ora...
Me stesso
Giovedì 29 Novembre 2012, 16.21.56
11
Comunque bell'articolo con questanno si comincia a fare sul serio
Flight 666
Giovedì 29 Novembre 2012, 16.19.34
10
@Me stesso: abbiamo corretto la svista. Grazie nuovamente per la segnalazione!
the Thrasher
Giovedì 29 Novembre 2012, 15.44.08
9
dal 15 maggio al 23 agosto. era saltata la parolina ''maggio'': provvedo a correggere l'errore, grazie della segnalazione.
Me stesso
Giovedì 29 Novembre 2012, 15.36.59
8
Dal 15 al 23 agosto i maiden fecero una cinquantina di date? HaahahhH
fabio II
Giovedì 29 Novembre 2012, 13.51.39
7
Bravo Rino, quanati ricordi che riemrgono a leggere queste pagine. Bravo a segnalare anche gli Shakin' Street di Fabianne Shine. Bon & Bonzo se ne vanno e non saranno mai più rimpiazzati dalla storia del rock perchè erano unici, sono state due perdite che ho vissuto, incredulo, in diretta. I dischi raffigurati qui sopra sono tutti immortali, nè aggiungo uno che mi fece impazzire: 'Gamma 2' di Ronnie Montrose
the Thrasher
Giovedì 29 Novembre 2012, 13.00.34
6
grazie a tutti dei complimenti, in particolare a Fox e Celtic Warrior; @Radamanthis: se possibile, Byford era più brutto da giovane che adesso! xD @Painkiller: grazie anche a te per il contributo!
Celtic Warrior
Giovedì 29 Novembre 2012, 12.44.30
5
Ottimo articolo , questo è stato l anno da cui è partita la mia droga personale per il Metal , ero ossessionato da tutti questi gruppi e dagli album qui citati ,molti amici del epoca si persero durante gli anni ma altri rimasero fedeli al verbo , diciamo che per me i primi anni ottanta furono il massimo !! forse perchè ero molto più giovane e spensierato . Stay Metal
Fox
Giovedì 29 Novembre 2012, 11.49.34
4
Che spettacolo questi articoli, mostrano sfaccettature del metal che gente della mia età (al tempo avevo 2 anni) non hanno potuto apprendere di persona. Metallized grazie di esistere!!!!!!! \m/
Radamanthis
Giovedì 29 Novembre 2012, 11.13.16
3
Passaggio veloce tanto per dire che Biff era davvero brutto anche da giovane...poi mi lòeggerò l'articolo e dirò qualcosa di più intelligente...
Painkiller
Giovedì 29 Novembre 2012, 8.30.37
2
Un numero, 1980, uno spartiacque incredibile. AC/DC e Black Sabbath da un lato, Judas Priest e Iron Maiden dall'altro, la summa di hard rock & heavy metal. Conosco a menadito tutti i risvolti della presunta rivalità tra le due band, ma bravo Rino per averne dato traccia. Ricordo che successivamente ci fu un chiarimento tra la due band, e lo stesso Harris dichiarò di essersi scusato per il comportamento di Paul. Ma che dire di quei due album? British Steel è stato spesso segnalato, più che altro per breaking the law, come l'incipit del power metal, ancora oggi fumiga delle fornaci di Birmingham (fourging the furnace, for the final grand slaaaaam.....) ma la commistioni tra heavy e hard rock del debutto maideniano sono ancora oggi fonte di dubbio per me, che dopo tanti anni cerco ancora di capire se mi piaccia di più quella prima incarnazione della vergine o la sua più complessa follower con Dickinson alla voce. Una cosa è certa, ho sempre preferito il drumming più diretto di Clive Burr a quello di Nicko, trasmetteva un maggiore senso di "urgenza" al sound, ma qui si parla delle due band Metal più grandi della storia, inutile scendere nei dettagli. Ricordo ancora alcuni sabato pomeriggio trascorsi attaccato allo stereo di mio zio, ascoltando il vinile di british steel con il cane lupo che abbaiava come un matto, avevo 5 anni, ma la strada era già tracciata...
Delirious Nomad
Mercoledì 28 Novembre 2012, 23.48.04
1
Che anno per il metal! Incredibile come tutto sia esploso quasi contemporaneamente.
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Correva l'anno 1980
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