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RIVAL SONS + THE BALCONIES - Zona Roveri, Bologna (BO), 05/04/2013
09/04/2013 (2250 letture)
PERCHE’ MURPHY HA SEMPRE RAGIONE
Uno ci può mettere tutta la buona volontà del mondo, ma la verità è che se Murphy non avesse già formulato anni addietro la sua famosa legge, qualcun altro lo avrebbe dovuto fare per lui, perché di tutti i comandamenti, ordinamenti giuridici, leggi della dinamica e postulati euclidei mai formulati, l’unica infallibile, eterna, ineludibile e certa verità è che “se qualcosa può andare male, lo farà”. Non si scappa. Così, nonostante la preparazione stavolta fosse eccellente (cibo pronto, beveraggi pronti, benzina fatta, addirittura macchina con tagliando appena realizzato) e fossi uscito da lavoro un’ora prima, proprio per essere certo di arrivare in orario, se a 40 Km da Bologna trovi 4 Km di coda per un incidente e sei bloccato per un’ora immobile, allora c’è poco da fare. Non resta che ringraziare Murphy per aver trovato le parole che stai cercando, mettere lo stereo a palla e aspettare che passi.
Ecco il perché di questo report tronco. Mi spiace, mi scuso con i The Balconies, che hanno aperto la serata (a quanto pare i previsti The Black Rain non hanno suonato) e, a giudicare dalle persone che affollavano il banchetto del merchandising a fine concerto, devono aver riscosso senz’altro attenzione e un discreto riscontro. Passiamo quindi direttamente agli headliner: i Rival Sons.

RIVAL SONS
Arrivo davanti al Zona Roveri, locale ricavato da un fabbricato industriale in una zona chiaramente periferica di Bologna, alle 22.15, poco prima dell’inizio dell’esibizione dei Rival Sons e noto con piacere che lo spazio attorno al fabbricato sembra pieno di gente, il che è sempre un bel segnale di questi tempi. Tanti fumatori incalliti fuori nonostante l’umidità della serata e tantissime persone dentro, praticamente un sold out. Il locale ha la benedizione di essere di forma rettangolare, il che almeno in partenza sembra buona cosa per l’acustica e sul soffitto, evidentemente troppo alto, sono stati posti dei grandi blocchi quadrati fonoassorbenti, in grado di evitare la dispersione delle onde sonore verso l’alto: altro punto a favore. Il bancone del bar è lungo la parete di destra, quello del merchandising lungo la parete di sinistra. Preso possesso di una postazione abbastanza vicina al palco nonostante il gran numero di persone, attendiamo l’inizio del concerto. Le casse pompano Love Me Two Times dei Doors e il pubblico gradisce, cantando e ballando, segue una sempre clamorosa If 6 Was 9 della Jimi Hendrix Experience e una strepitosa What is Hip dei Tower of Power, semplicemente grandiosi: cosa volere di più? Ah sì… Dimenticavo… I Rival Sons!! Annunciati dal volume sempre più alto di una nuvola di “rumore bianco”, ecco che i quattro californiani salgono sul palco, accolti subito dal boato di un pubblico numeroso e già calorosissimo. La band non perde un secondo lungo tutta l’esibizione e comincia a sparare i brani uno dietro l’altro, senza interruzione. Avevo già avuto occasione di vedere il gruppo in azione nella loro esibizione all’Hellfest, e sapevo cosa aspettarmi, ma devo ammettere che non immaginavo di trovare una reazione così entusiasta da parte del pubblico, che costituisce senza dubbio l’elemento più gioioso della serata. Dietro a Jay Buchanan i compagni di band si muovono ormai come una macchina rodata: Michael Meyer si distingue per uno stile alla batteria molto concreto e potente, di chiara scuola Led Zeppelin, ricco di sfumature e passaggi interessanti, riesce a dare sempre molto da un punto di vista dinamico, con fantasia ma senza inutili orpelli; altrettanto fa il compagno di sezione ritmica Robin Everhart al basso: schivo e fermo nel suo angolo, il musicista riempie ogni anfratto con un suono tondo e potente e offre grandissimo sostegno anche ai cori, assieme agli altri ragazzi. Dal suo canto, Scott Holliday alla chitarra è una sicurezza: la sua è una performance ricca di grande timing, feeling e senso della misura, tanto nelle ritmiche pregne di umori rock’n’roll, blues, hard rock e psichedelia, quanto negli assoli essenziali e spesso giocati sull’effettistica, ma sempre puntuali e imprescindibili nell’economia del concerto e dei brani, talvolta dilatati per lasciare spazio alle sue improvvisazioni, come il riuscito assolo in slide di Memphis Sun. Meno statico degli altri, ma comunque abbastanza misurato, il chitarrista girella sul palco senza mai allontanarsi troppo dal microfono, se non per le suddette sortite solistiche dove arriva in prima linea a prendere gli applausi interagendo con gli altri compagni. Ma è indubbiamente Jay Buchanan a catalizzare l’attenzione del pubblico presente, tanto da un punto di vista scenico, quanto per la sua strepitosa vocalità. Senza mai esagerare in mimica o gestualità, il singer riesce comunque ad attirare gli sguardi, come rapito dalla musica e costantemente preso dall’interpretazione dei brani, perso in una profonda catalessi, da cui si desta grazie al ritmo e alla reazione entusiasta del pubblico. La sua esibizione non si esprime in apparenza scenica, ma tutta attraverso una voce stupenda, pregna di blues e rock primordiale, con una capacità interpretativa splendida e preziosa, che rimanda alla fine dei Sessanta e ai primi Settanta, in una sorta di compendio tra Robert Plant, Janis Joplin e Tim Buckley. La consapevolezza della solidità dell’ultimo album Head Down porta la band a puntare moltissimo su di esso, tanto che la prima metà del concerto è incentrato quasi esclusivamente su di esso, anche se dal passato vengono riproposte la rovente Get What’s Coming e Torture, ma sono i ritmi rock venati di psichedelia dei brani più recenti a dominare e così lo show scorre tra improvvisi fiotti di adrenalina, groove danzerecci, melodie sessantiane e dinamiche di crescendo e diminuendo come non se ne sentono più in concerti che assomigliano sempre più a mere riproposizioni calligrafiche dei brani in studio. Per fortuna, l’ispirazione della band è rivolta a una forma più libera e musicale dell’idea di concerto e seppur senza farsi prendere la mano, non mancano le improvvisazioni, i brani dilatati, i piano e perfino i pianissimo che esplodono poi in crescendo emotivi e strumentali che coinvolgono il pubblico, estasiato e felice di fronte a questa band che sembra davvero provenire da un altro tempo. In quest’ottica le provvidenziali cascate hard rock disseminate lungo la scaletta aiutano molto a rilanciare l’attenzione e la forza dell’impatto dal vivo, ma brani come Wild Animal (nel quale Everhart invita il pubblico a battere le mani) e All the Way (la Some Kind of Wonderful degli anni 2000) sono altrettanto piacevoli e la scanzonata Until the Sun Comes ottiene l’obbiettivo di regalare momenti di spensieratezza. Fino a questo punto Buchanan ha a malapena pronunciato un ”grazie” tra brano e brano, ma introducendo Jordan si scusa per la sua completa non conoscenza dell’italiano, che pure a suo dire è senz’altro la lingua più bella del Mondo, e invita –abbastanza inutilmente a dire il vero- il pubblico a calmarsi un attimo, trattandosi comunque di un brano che tratta del come affrontare il momento in cui si deve dire addio ad una persona amata e distaccarci da lei per sempre. Si capisce quanto questo brano sia per lui importante proprio nella ricerca della giusta atmosfera, per cui chiude gli occhi e chiede il silenzio concentrandosi prima di iniziare a cantare sull’arpeggio intessuto da Holliday, per una canzone e una interpretazione che lasciano davvero il segno. Tempo ora per il chitarrista di salire in cattedra e il riff psichedelico di Manifest Destiny, Pt 1, carico di feedback e reminiscenze proto-doom spezzano splendidamente l’andamento del concerto, riportando in alto i giri, mentre la lunga improvvisazione centrale ribadisce quanto questa band sia costituita da quattro musicisti di livello e non da meri figuranti attorno ad un cantante straordinario. Si può dire che con questo brano il concerto raggiunge il suo culmine emotivo e infatti ora arrivano due canzoni perfette per rilassarsi e godersela, come il singolo Keep on Swinging e la titletrack dell’album precedente Pressure & Time, accolte con un boato e evidenti segni di apprezzamento. A questo punto Buchanan appare un po’ provato, come se avvertisse il peso di essere sempre all’altezza della situazione: la voce appare un po’ affaticata dopo un’ora abbondante di concerto e mentre parla si avverte che non è proprio al meglio. Ma questo non gli impedisce di lasciare tutti a bocca aperta con una versione semplicemente stupenda e toccante di Sacred Ground che diventa una intro per l’attesissima Face of Light, ballad di ispirazione zeppeliniana tra le più belle e intense sentite negli ultimi anni. La band esce dal palco ma è solo un brevissimo intermezzo, come per tutto il concerto e Meyer risale prontamente sul palco incitando il pubblico con un assolo di batteria non lunghissimo, né particolarmente elaborato, che mette però in mostra la peculiare tecnica del musicista, con le bacchette impugnate in maniera abbastanza singolare per tutta l’esibizione. Al termine del breve assolo (un paio di minuti o poco più), Meyer richiama i compagni sul palco per l’esecuzione della vibrante Burn Down Los Angeles, seguita da un brano tratto dal secondo album, Soul, dalle coloriture prettamente blues, nelle quali un ritrovato Buchanan naviga splendidamente facendo scorrere più di un brivido, a conclusione di un concerto che lascia a bocca aperta dopo un’ora e mezza quasi senza interruzione di grande musica. Buchanan non riesce a non ringraziare il pubblico per l’accoglienza trionfale riservata ai Rival Sons e promette che il gruppo tornerà presto in Italia. Poco da aggiungere se non che ci saremo senz’altro.

SETLIST RIVAL SONS
1. You Want To
2. Get What's Coming
3. Wild Animal
4. Gypsy Heart
5. Torture
6. Memphis Sun
7. All The Way
8. Until The Sun Comes
9. Jordan
10. Manifest Destiny, Part 1
11. Keep On Swinging
12. Pressure & Time
13. Sacred Tongue
14. Face of Light

----Encore----

15. Drum Solo
16. Burn Down Los Angeles
17. Soul


UNA BAND NECESSARIA
A conclusione, mentre ci incamminiamo sulla via del ritorno (ovviamente, sgombra), è inevitabile cercare di rimettere in fila i pensieri e le emozioni provati nel corso della serata e il primo, al di là del rammarico per la serata non pienamente goduta, è che se una band non ti fa rimpiangere i 25 euro versati per la sua esibizione, allora significa che vale molto di più e questa è la pura verità. Forse ai Rival Sons mancano ancora alcuni brani killer in una media comunque buonissima, graziata da alcune tracce che fanno davvero la differenza, ma la loro attitudine, la sincerità che promana dalla loro musica, la loro essenzialità, che si basa solo sulle splendide qualità dei musicisti e sul loro grandissimo interplay, sono una boccata d’ossigeno. In un panorama musicale dominato da compressori e musicisti da studio che dal vivo non possono fare a meno di ricorrere a trigger, autotune, basi registrate e così via, vedere quattro strumentisti veri, che sanno come si costruisce un diminuendo e un crescendo, che forti solo della loro musica e dell’intesa tra loro riescono a catturare per un’ora e mezzo l’attenzione di una folla entusiasta senza alcun artificio scenico, è salutare e restituisce il senso dell’esibizione dal vivo più di tante chiacchiere. I Rival Sons non sono solo una band da seguire con attenzione a amore, ma una vera necessità. La vera critica che si può fare a questo concerto è proprio che la persistenza dei brani tratti di Head Down nella parte centrale ha un po' diminuito l'intensità dell'esibizione, ma è stato bello per una volta poter dire di vedere così tante persone di diversa età ed estrazione ad un concerto hard rock ed è stato grandioso vederle così entusiaste e questo è un altro gran bel segnale della riuscita della serata. Un’ultima parola per il Zona Roveri, locale di buon livello, ben organizzato, con parcheggio enorme e gratuito. Bella scoperta.



Lizard
Mercoledì 10 Aprile 2013, 16.59.28
3
Grazie del commento Ely! Il tuo imbarazzo nel definire il genere dei The Balconies, da quello che ho letto in giro, e' condiviso da tutti. Il che li rende interessanti, a mio avviso. Approfondiro'.
Ely
Mercoledì 10 Aprile 2013, 15.21.49
2
I Balconies si sono dimostrati interessanti: la cantante chitarrista è riuscita a trascinarci sia con una voce molto bella e una forte presenza scenica, sia con un'abilità nella lingua italiana assai più elevata di Buchanan (!). Tuttavia, trovo difficile definire il loro genere che, sebbene in tema con la serata, era molto diverso tra una canzone e l'altra... Gran bel concerto, bravi Rival Sons!
Ribbon
Mercoledì 10 Aprile 2013, 10.39.16
1
Citando Aldo ne "I Corti": Ad ogni modo, grazie Lizard del bellissimo report, almeno mi posso immaginare di esser stato a quel concerto!
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Live Report
RIVAL SONS + THE BALCONIES
Zona Roveri, Bologna (BO), 05/04/2013
 
 
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