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FATAL PORTRAIT - # 4 - Death
21/11/2013 (4017 letture)
La vita è un contorto labirinto di ostacoli, un'irta montagna da scalare con tenacia e perseveranza: lo sapeva bene Charles Michael Schuldiner, che fin dalla più tenera età ha dovuto sopportare gli echi del dolore. In pochi possono vantarsi di aver influenzato la scena metal estrema quanto il ragazzo di New York, che dalla Florida ha perpetuato la sua ascesa leggendaria e posto i dogmi incontrovertibili dal quale si è originato tutto il movimento death metal, da lui stesso poi convertito in un'escalation di tecnica e virtuosismo senza pari. La morte che si è avventata sul fratello sedicenne, quando Chuck era ancora piccolo, le pugnalate alle spalle degli ex componenti della sua band, l'ipocrisia e la falsità della gente, i giochi di potere delle case discografiche ed infine proprio la sua stessa malattia: nel suo breve percorso di vita, Chuck Schuldiner ha sempre affrontato a viso aperto la sofferenza. E ne è uscito vincitore, probabilmente, perché quei sette album tramandati ai posteri hanno fatto storia e leggenda, e rimarranno per sempre a testimoniare il suo passaggio: i Death sono diventati una delle band più geniali di sempre, e sicuramente figurano in una ipotetica top ten delle migliori realtà mai comparse sul proscenio metallico mondiale. Dischi epocali come Human o Spiritual Healing hanno contribuito ad evolvere il death metal stesso, portandolo ad un livello superiore di tecnica e stratificazione strutturale. Schuldiner, che peraltro aveva anche contribuito a porne i semi primigeni con l'epocale Scream Bloody Gore, ha preso per mano il genere e lo ha portato fuori dai cliché, optando per testi maturi, esistenzialisti, filosofici, realisti ed introspettivi, rinunciando alle banali blasfemie adolescenziali fatte di budella rigurgitate e corpi fatti a pezzi ed intraprendendo una direzione stilistica eclettica e virtuosa. C'è anche chi lo critica, per questo, in quanto fanatico proprio di quel death metal grezzo e monodimensionale; ma questi critici superficiali dovrebbero riconoscere che Schuldiner ha aperto nuove porte, dando la possibilità a chi ama sonorità più profonde di gustare un nuovo modo di intendere il death metal, che pure rimaneva devastante e straripante nella sua musica complessa. Chuck non ha mai obbligato nessuno ad ascoltare la propria arte, semmai ha creato una valida alternativa; solo un individuo mentalmente cieco potrebbe negare l'importanza seminale di questa crescita esponenziale. Schuldiner ha sempre combattuto le persone dalla doppia faccia e contrastato l'immaginazione iperattiva di tanti vermi capaci solo di parlare alle spalle, fiero del suo celebre motto -"Support Music, Not Rumors"- e tenace, caparbio all'inverosimile; un genio della chitarra e un filosofo moderno, che disco dopo disco si è evoluto ed ha mostrato una crescita significativa anche a livello umano, maturando sotto gli occhi di tutti e difendendo strenuamente l'importanza dell'indipendenza intellettuale di ogni individuo. Incitando a possedere sempre una linea di pensiero individuale ed a non appiattire mai le proprie emozioni, Schuldiner ha dato battaglia ai fiumi di parole vuote che tanti sciacalli in forma umana hanno cercato di utilizzare per soffocare la voce della sua anima. Il ragazzo di Altamonte Sprint era un individuo pacato e sensibile, ma che non si lasciava sopraffare dal dolore. Lo mordeva prima ancora di farsi attaccare. Il destino, per placarne l'ascesa, ha dovuto toglierlo di mezzo; perché Chuck Schuldiner non si era mai fermato di fronte a tutti gli inconvenienti che avevano cercato di mettergli i bastoni tra le ruote, restando il ragazzo umile e buono di sempre, nonostante la stampa e gli invidiosi lo dipingessero come un despota, un tiranno, uno con cui era difficile discutere e ragionare. Tutte esagerazioni, attorno alla figura di un ragazzo che fino all'ultimo ha amato i barbecue con gli amici in giardino, la pesca, il suo amato heavy metal, i cuccioli trovati nei cassonetti e quelle sei corde magiche con le quali alterare il futuro della musica dura, mezzo e destinazione di un sogno. È volato lassù, tra le stelle, Chuck Schuldiner, dopo aver insegnato al mondo cosa significasse suonare davvero una chitarra e da lassù è oggi una sorta di angelo protettore per tutte quelle persone che si rifugiano nella sua musica e nei suoi testi terapeutici -quasi fossero un'autentica cura spirituale, capace di farci guardare attraverso i sogni- per combattere, almeno un po', l'apocalittica decadenza che impera sul pianeta.

1. Zombie Ritual. Un'infanzia segnata dalla tragica morte del fratello sedicenne porta Chuck Schuldiner alla chitarra e alla rabbia della musica rock e metal. Appassionato fan dei Kiss, il ragazzino rifiuta le lezioni così come nella vita rifiuterà ogni forma di imposizione e si dedica alle sei corde da autodidatta, costruendosi accordi e stili del tutto personali. La scuola diventa presto un problema, ma i comprensivi genitori gli consentono il tempo necessario a trovarsi un contratto discografico. Chuck, ispirato dai Venom, mette in piedi i Mantas, li scioglie e li rifonda -dopo aver cercato fortuna in Canada e California- con un nome nuovo, Death, sotto il quale rilascia una serie impressionante di demo rozzi e grossolani, nei quali manifesta un approccio alla musica estremo ed efferato. Quei nastri costituiscono i semi primigeni del death metal: poche band suonano così duro e veloce, all'epoca, e tra queste spiccano i Possessed, che però sono ancora molto tendenti al thrash. I Death sanciscono in tutto e per tutto il salto di qualità, santificato con il seminale debutto del 1987, Scream Bloody Gore, l'album che pone tutti i parametri base del death metal stesso: growling furioso, atmosfere pesantissime e insalubri, riff brutali e cimiteriali, assoli lancinanti, una copertina sconcertante con calici di sangue ed uno scheletro bardato che troneggia tra i suoi simili. La tecnica non è ancora virtuosa: le composizioni sono semplici e devastanti, tanto spigolose quanto lineari e marcescenti nel loro alone distruttivo, eppure terribilmente efficaci, destinate a scrivere le prime pagine di storia del genere. Con testi ispirati a film horror ed incentrati ancora su tematiche adolescenziali -sventramenti, mutilazioni, zombie sessofili, sacrifici rituali e scarnificazioni assortite- pezzi quali Infernal Death, la titletrack, Evil Dead, Mutilation o Torn to Pieces vanno a rappresentare la primissima spina dorsale del genere stesso e si presentano come vigorose badilate senza compromessi. Il riffing e lo stile classico di Chuck si avvertono già, così come la tendenza ad alternare passaggi rapidissimi ad altri ultra-slow; il ragazzo, che ha appena vent'anni e si occupa di voce, chitarre e basso, è coadiuvato dal solo Chris Reifert, giovane ed impetuoso batterista con cui compone un binomio letale, prima incarnazione di una band che vivrà continui sconvolgimenti di line-up. Tra i tanti pezzi del disco, Zombie Ritual è quello destinato a diventare il classico dei classici, unica canzone sempre presente nei live-set del gruppo fino al loro scioglimento: un riff truce e sepolcrale fa scorrere i brividi sulla schiena e trascina l'ascoltatore in un immondo scenario fatto di sangue, violenza e orrore, nel quale delle puttane-zombie emergono dalle tombe per infliggere rituali di sesso feroce ai malcapitati. La traccia decolla con una sfibrante accelerazione ritmica, la quale si tramuta poi in un andamento dal groove irresistibile. Per quanto brutale e continuamente scossa da accelerazioni massacranti, la canzone gode di un ritmo travolgente e di un refrain estremamente catchy nella sua disumana crudezza.

2. Leprosy. Dopo l'uscita del disco d'esordio, Schuldiner capisce che la scena californiana è in declino, non più adatta per supportare la crescita della sua formazione. Il ragazzo è determinato e sa già cosa desidera: progressione. Non vuole fermarsi e, dopo aver di fatto sancito la nascita del death metal, ha intenzione di crescere ed affinare il suono. Così torna in Florida e rifonda la band con tre ex dei Massacre: il drummer Bill Andrews, il bassista Terry Butler e il chitarrista Rick Rozz, con cui aveva avuto dei contrasti già all'epoca dei Mantas. Leprosy è un disco più maturo del predecessore e, pur restando brutale e velocissimo, mostra maggiori doti compositive da parte di Chuck; si tratta ancora di death metal primordiale, feroce, spigoloso e violento, eppure più strutturato di Scream Bloody Gore. Del resto, Chuck lo aveva anticipato già prima della pubblicazione: ‘Il mio stile attuale di songwriting comporta un riffing molto più tecnico e canzoni più complesse di prima negli accordi, ma direi che il nostro suono è praticamente rimasto lo stesso. Il nostro prossimo album sarà ancora brutale come l'inferno, ma sarà un po ‘più musicale e professionale rispetto a Scream Bloody Gore'. La titletrack è, forse, il pezzo migliore di un album che dimostra chiaramente l'ambizione di Schuldiner e la sua volontà ad evolversi in maniera naturale: ancora un riff torvo e possente in apertura, supportato da un andamento maciullante e da un growling soffocante antecedente alla prima, furibonda accelerazione; un refrain killer ma trascinante, validi riff intermedi, stacchi efficaci e ripartenze sfibranti rendono il pezzo elettrizzante dall'inizio alla fine, un manuale dell'headbanging senza compromessi, diretto, schietto, mortale, infestato da lancinanti frustate soliste e da un drumming impellente. La copertina del disco rappresentava un individuo sfigurato dalla lebbra e riprendeva il tema portante della titletrack stessa; i testi erano dunque leggermente più realisti e trattavano argomenti come l'eutanasia o il disastro nucleare di Chernobyl, anche se rimaneva ancora presente l'alone splatter-gore tanto caro all'ancor giovane Schuldiner. Nella tracklist non mancano gli episodi da menzionare: la terremotante Pull the Plug su tutte, in quanto unica traccia che Chuck manterrà nelle scalette live fino alla fine dei suoi giorni, ma anche la tremenda Born Dead o le feroci Open Casket, Choke on It e Forgotten Past.

3. Living Monstrosity o Altering the Future. Una doppietta clamorosa ed inscindibile apre Spiritual Healing, il disco che porta i Death nel nuovo decennio e segna una svolta clamorosa: Chuck Schuldiner inietta importanti stille di tecnica nel sound della sua Creatura, senza perdere un'oncia di brutalità. Ecco dunque un death metal classico e poderoso, devastante nelle ritmiche e nel riffing, intriso di atmosfere opprimenti e suoni compatti, pieni, potenti, ma al contempo contraddistinto da trame complesse ed in continua evoluzione, riff ed assoli molto elaborati, metriche diversificate e capaci di spaziare da andature urgenti a pesanti rallentamenti. Il lavoro di chitarra è di livello mostruoso, con riff esplosivi e memorabili sciorinati in serie, pezzo dopo pezzo, e fulminanti assoli sparati con letale ed affinata melodia; le vocals restano basse e gutturali, ma i testi si fanno maturi e ricchi di contenuti esistenzialisti, andando dunque a sfatare il cronico tabù per il quale una canone death metal debba parlare per forza di demoni e sbudellamenti. È dunque un epocale punto di svolta: Schuldiner, dopo aver contribuito a creare e plasmare il death stesso con i suoi primi due dischi, ora lo prende per mano e lo evolve nel nome dell'intelligenza e della progressione, tanto dal punto di vista lirico che tecnico. All'altra chitarra entra James Murphy, ma al di là del background degli altri musicisti è Chuck a giganteggiare con una prova mostruosa, dimostrando al mondo di aver affinato il proprio songwriting ed aver maturato una tecnica esecutiva straordinaria: i suoi riff uncinati sono sempre complessi, possenti e memorabili, le canzoni costantemente intense e coinvolgenti, gli assoli brillanti e fluidi, intrisi di una forte vena decadente, ma anche di un flavour melodico trepidante e ribollente. Il tipico riff death metal di Living Monstrosity e la sua drastica apertura ritmica aprono il disco con l'immediato passaggio da una rullata dinamica ad una serrata corsa thrashy, scandita dal pesante vocalism di Chuck e seguita da un pesantissimo rallentamento, dai tratti catacombali; la sezione ritmica si fa scrosciante ed irresistibile in corrispondenza del trascinante ritornello, che pur suonando crudo ha anche un'aria catchy che diventa un trademark assoluto nel sound dei Death. Strepitosa la sezione solista che insorge e cresce in un bollente esercizio di virtuosismo sulle sei corde, sfiorate con precisione chirurgica e superba melodia dal tocco morbido di Schuldiner. Districandosi continuamente tra passaggi slowly e martellanti assalti frontali, la canzone critica l'utilizzo di cocaina da parte di donne incinte e si conclude lasciando il passo al mortale riff introduttivo di Altering the Future, cadenzato e oppressivo come un macigno. Schiacciante e maciullante, la traccia si trascina su ossessive metriche rallentate e su un vocalism altrettanto straziato per meno di due minuti, aprendosi poi in una vorticosa mitragliata a rincorsa, assai rapida, resa ancor più letale dalla repentina alternanza lento/veloce. Mentre Bill Andrews scandisce il tutto con una prestazione rocciosa e scrosciante, il brano culmina in una sezione solista superlativa: lenta e desolante in avvio, essa convoglia mirabilmente in una forsennata colata lavica da manuale, confermando la qualità mostruosa e l'attenzione considerevole che il musicista newyorkese ripone negli assoli. Il pezzo, che è una forte critica nei confronti dell'aborto, ripresenta nella porzione conclusiva dei vibranti ed imprevedibili cambi di tempo, sferrando ancora una volta ritmiche massacranti e rallentamenti granitici. Per la cronaca, va detto che anche l'artwork di copertina del disco rifletteva l'avvenuta maturazione della band: non più mostruosità splatter, ma un'immagine sottile, quella di un predicatore televisivo intento a ridere alle spalle di un vecchio ammalato, metafora dell'ipocrisia che anima i moralisti ed i fanatici religiosi. Schuldiner era consapevole di aver mosso un passo fondamentale nell'evoluzione del death metal: ‘Non sono mai stato più felice che con Spiritual Healing: abbiamo raggiunto qualcosa che la gente vedeva come impossibile all'interno del death metal, cioè l'essere melodici o stilisticamente variegati. Ancor più importante, abbiamo dimostrato a tante persone che guardano il death metal dall'alto in basso che questo genere non è basato solo sul satanismo e su tre accordi in croce. Spiritual Healing è ancora death metal brutale, ma è volutamente basato su riff più melodici, ci siamo presi il giusto tempo per rendere tutto più accattivante, e quest'accessibilità riguarda anche l'utilizzo della mia voce; anche i testi son molto importanti in quest'album, sono lì per essere ascoltati. Noi suoniamo da molto tempo e ho sempre cercato di mantenere l'attenzione su qualsiasi tendenza, abbiamo scritto dei pezzi gore quattro anni fa perché in quel momento, per noi, quella era la cosa giusta. Poi però si rafforza la necessità di cambiare, di essere ancora i primi, e anticipare tutti gli altri. È qui che sono iniziati i problemi con Rick Rozz, perché il materiale che stavo scrivendo per Spiritual Healing era completamente fuori dalla sua portata. Si è rifiutato di migliorare come musicista, sarei stato costretto a scrivere roba non troppo complessa e quando si arriva a quel punto qualcosa deve essere fatto'.

4. Defensive Personalities. Un riffing nervoso ed una ritmica subito straripante aprono in velocità Defensive Personalities, un altro viaggio all'interno degli antri più tenebrosi della psiche umana. Dopo l'avvio frontale, la canzone rallenta e si addentra in un'atmosfera pesante e claustrofobica, prima di accelerare nuovamente con repentina veemenza in occasione del refrain: una breve e scrosciante sezione ritmica da headbanging conduce ad un riff cimiteriale e cadenzato, ulteriore punto di congiunzione tra sezioni dalla diversa ritmica. Liricamente si tratta l'instabilità mentale di chi, inspiegabilmente, passa drasticamente da un opposto emotivo all'altro; diversi anni dopo, Chuck dichiarerà: ‘Mi piace parlare della realtà, a volte la vita è peggiore di molti incubi. I testi vanno presi molto sul serio, perché in qualche modo sono una parte di me. Spero di comunicare agli ascoltatori alcune cose su di me, i sentimenti, i momenti difficili che ho passato. Amo scrivere la musica: se possibile, di notte, mi siedo e tiro fuori tutto me stesso'. Nel corso di tutto il brano si spazia continuamente in metriche differenti, esaltando ancora una volta l'impatto considerevole che la presenza promiscua di fasi veloci, medie e lente nel corso di una stessa composizione rappresenta per Schuldiner, insieme alla sempre prominente potenza di fondo. L'assolo di chitarra è il classico capolavoro: rapido e decadente in avvio, scorre come un vorticoso tornado di note al fulmicotone, ma dotato di una sontuosa melodia, che cresce emotivamente fino alla reprise del motivo portante del pezzo, ancora scandito da velocità martellanti e devastanti. La tensione non viene mai meno ed anzi balza alle stelle proprio grazie alla dinamica movimentata della struttura: non c'è il tempo di assimilare gli oscuri e trascinati movimenti catacombali che già i Death ripartono con caustiche rasoiate ritmiche, pronte ad abbattersi sui crani degli ascoltatori come mazzate poderose e velocissime. Una caratteristica che, unitamente alla folgorante eccezionalità delle sezioni soliste, si riflette anche negli altri grandi pezzi del full length, come la trascinante e drammatica Within the Mind, la completa titletrack (che annette da sola tutti gli elementi rintracciabili nell'intero lavoro), la violenta Low Life col suo assolo da capogiro e le altrettanto affascinanti Genetic Recostruction e Killing Spree, composizioni nelle quali non vengono mai meno gli elementi che caratterizzavano il death potente, tecnico, veloce e granitico del genio americano.

5. Flattening of Emotions. Nel 1991 Chuck Schuldiner è pronto a prendersi una colossale rivincita contro tutto e tutti e, a tal fine, mette in piedi una line-up di caratura mostruosa: Sean Reinert alle pelli e Paul Masvidal all'altra chitarra, entrambi provenienti dai Cynic, iniettano nei Death una forte connaturazione tecnica, figlia delle radici jazz e fusion del loro incredibile background, mentre al basso compare la figura imponente di Steve DiGiorgio, un musicista ineccepibile e preparato come pochi. Ne nasce Human, il capolavoro assoluto dei Death nonché il masterpiece per antonomasia del death metal tecnico. In esso, i consueti e geniali riff brutali tipici del tocco di Schuldiner si fanno ancora più complessi, così come le trame delle canzoni e la qualità degli assoli: l'ingresso di Masvidal completa e affina il chitarrismo di Schuldiner, generando un'interazione spettacolare tra le due asce, alle prese con composizioni stratificate, fulminanti assoli intricati ed una sequenza stupefacente di riff memorabili e dal tiro letale. Chuck si dimostra ancora una volta in stato di grazia: la sua ispirazione tocca qui vertici irripetibili e la tecnica con la quale va a comporre riff massicci e complessi è notevole, di gran lunga evoluta e maturata rispetto al già eccellente predecessore. Anche negli assoli e nell'intelaiatura delle trame Schuldiner mostra enormi passi in avanti, assumendo il ruolo di shredder per antonomasia del metal estremo: la sua voglia di crescere, la sua ambizione insaziabile e la sua costante ricerca della perfezione gli hanno permesso di evolversi a musicista competente e dal repertorio sconfinato, reso sempre più ricco e completo anche grazie al lavoro congiunto con Masvidal. Il basso di DiGiorgio si sente compiutamente e da uno spessore notevole alle composizioni, suonando come centrale e non come mero accompagnamento; ogni strumento, ben distinguibile grazie all'ottima produzione, assume un ruolo eccezionale e va a creare un mosaico nel quale ogni tassello si incastra alla perfezione con tutti gli altri. La scrosciante sezione ritmica retta dalle bordate di Sean Reinert origina pezzi devastanti e velocissimi, ma anche variegati e capaci di mutare continuamente forma e metrica, grazie a stacchi imprevedibili e probanti cambi di tempo. La cosa che più colpisce è il fatto che la sublimazione assoluta del tecnicismo non toglie spazio alcuno alla forza d'urto tipica dei Death, anzi, Human è ancora più pesante e massacrante di ognuno dei dischi che lo hanno preceduto e di fatto rappresenta il raggiungimento dell'utopia, la celebrazione della perfezione ed il manifesto del virtuosismo applicato all'insostenibile onda distruttiva del death metal. Un'eco lontana e tambureggiante, sempre più potente, funge da intro al riff roboante di Flattening of Emotions, che impatta sul disco con una devastante sezione ritmica, accompagnata dal mid-growling grintoso di Schuldiner. La band si districa tra rasoiate rapide e pesanti rallentamenti, convogliando in uno strepitoso e avvolgente assolo di chitarra, che si protrae per diversi minuti e sciorina una serie mirabile di melodie suadenti e desolanti incroci sonori. Dopodiché si riparte con impeto e rapidità per il poderoso assalto frontale, caratterizzato da un'accelerazione improvvisa e da una nuova serie di rallentamenti; la canzone è intrisa di violenza inaudita e possiede un forte alone intimidatorio, sorretto da un riffing serrato e avvolto da un flavour monumentale. In essa si parla di appiattimento delle emozioni, un compromesso al quale molti umani sono costretti in seguito alla castrazione di tanti sogni adolescenziali. Quasi come per autodifendersi dalla perdita della fanciullezza, l'uomo tende a reprimere sentimenti ed emozioni nel nome del cinismo. Un testo, dunque, molto delicato e filosofico, in un album che va ad analizzare e toccare gli aspetti più profondi e deprecabili dell'animo umano, ben rappresentati dalle due figure ai raggi-x che vengono piazzate in copertina: proprio questo è Human, un viaggio intenso e ragionato all'interno dell'essere umano. Sempre in lotta contro stereotipi e falsità assortite, Chuck si dichiara fiero del suo lavoro, della sua coerenza e della sua genuinità: ‘Credo di essere una brava persona: non vado certo in giro a squartare i gatti per fare sacrifici, come la gente potrebbe aspettarsi. Anzi, di recente ho salvato un gattino: ora lo sto allattando e mi sto prendendo cura della sua salute. Le persone credono a tutto quello che leggono e sentono, ma i miei amici e la mia famiglia erano scioccati. Non sono una rockstar viziata. Vivo con i miei genitori e ho pubblicato tre album: e allora? Questo non mi rende importante. Il nuovo album dimostrerà a un sacco di persone quanto sono state bugiarde'. Il chitarrista supera anche sé stesso, e non può che essere entusiasta del risultato: ‘Penso che Human sia un grande passo in avanti, è un disco assassino, qualcosa che neanch'io mi aspettavo. Sapevo che Sean era un batterista tecnico, ero felice dei riff che avevo scritto e di cose del genere, ma sono stato colto veramente di sorpresa quando abbiamo iniziato a provare, sapevo che stavamo facendo qualcosa di veramente buono. Quest'album è molto più pesante di Spiritual Healing, molto più aggressivo, e potrebbe piacere alle persone che non sono state contente del precedente. Penso che molte delle mie frustrazioni personali siano contenute in questa musica e sono molto felice che le cose siano andate in tal modo. Io non sento alcuna limitazione, musicalmente parlando, eccettuato l'utilizzo della mia voce. Mi piace sentire vocals brutali in questa musica, questo particolare stile di canto, ma per quanto concerne la musica non mi sento limitato affatto. Io penso di poter continuare a progredire come musicista in ogni album che realizzo'.

6. Suicide Machine. Il secondo estratto da Human è un altro calibro grosso, un pezzo da novanta nella discografia dei Death, un brano mastodontico che annette al suo interno tutte le sterminate qualità e potenzialità della band di Chuck Schuldiner, capace di spaziare da repentini e devastanti attacchi ritmici a momenti più cadenzati e straripanti assoli melodici. Il pezzo si apre sull'onda di un riff circospetto ed avanza con striature vagamente orientaleggianti, sostenute da un drumming cospicuo, quadrato e scrosciante. Il basso di DiGiorgio è primario e costante, con l'inconfondibile stile riconducibile alle radici jazz e fusion del musicista; un altro riff sinistro fa da preludio all'imperturbabile tempesta ritmica che viene esplosa con vibrante veemenza dopo un minuto di canzone, un'accelerazione probante che convoglia in un refrain ritmato e solenne, dalle tipiche e caustiche atmosfere death metal. La canzone è spaccata da un mirabile assolo di chitarra, una sfida incrociata nella quale le note vengono sparate in velocità e con una trepidante forza melodica: non vi è un solo assolo, nell'intera carriera della band americana, che non sia autenticamente spettacolare e dotato di una precisa e raffinata linea melodica, capace di rappresentare una sorta di canzone nella canzone, dalla fattura tecnica e compositiva incredibile. Suicide Machine non è da meno, rimarca ancora una volta l'estro ed il virtuosismo di Chuck Schuldiner e ammutolisce l'ascoltatore col consueto passaggio finale, nel quale dal ribollente guitar-solo ci si ricollega al devastante andamento portante della traccia, con una velocissima mitragliata ritmica ad innescare l'ultimo refrain. Menzione particolare la merita anche Secret Face, introdotta da un riff misterioso e poi canalizzata su un feroce e possente accanimento batteristico, nel quale il lavoro del drummer si fa impetuoso. Il pezzo rallenta e si fa solenne nel corso del refrain, con un Chuck quasi profetico nel denunciare le continue e meschine mascherate degli esseri umani, abili nel calzare una faccia segreta a seconda della persona che si trovano di fronte. Sublime è il cristallino assolo di chitarra, che mette in fila una squillante serie di note fibrillanti e dal quale si riparte con una tempestuosa accelerazione sonica: la ritmica accelera drasticamente e si sfoga in un assalto scatenato, mentre la chitarra intreccia scintillanti rasoiate laser sontuosamente melodiche, alla velocità della luce. A metà anni Novanta, Chuck ribadì più volte l'attenzione che riponeva nei testi, lasciando emergere anche una grande sensibilità per la cronaca quotidiana, andando a criticare band come i Deicide -rei di compiere sacrifici animali sul palco- o come alcuni esponenti del black norvegese, coinvolti in brutte storie di sangue: ‘Per quanto riguarda la scena black metal norvegese, sono molto confuso sul comportamento di alcune persone, io non capisco cosa significhi la musica per questi ragazzi. Voglio solo dire che la gente a volte perde il contatto con la realtà. Penso che lo scopo della musica sia renderci felici e non dovrebbe essere accompagnato dalla tortura di animali o esseri umani. I Morbid Angel hanno dichiarato che non gliene fotte un cazzo della guerra in Ex-Jugoslavia? Per me è molto triste sentire che la gente sta combattendo da qualche parte, in una guerra. Non credo che la guerra sia una risposta, uccidere provoca solo dolore. Nella vita ci prendiamo cura di molte cose e non solo della musica, che ovviamente è importante; tuttavia, queste sono le cose che ci circondano e cerchiamo di inserirle nelle nostre canzoni'. Anche in questo caso siamo al cospetto di un testo molto delicato, di fatto un sequel delle liriche sull'eutanasia di Pull the Plug: si parla qui di Jack Kevorkian, un medico che fu accusato per aver praticato il suicidio assistito ad oltre un centinaio di malati terminali.

7. Lack of Comprehension. Pezzo tra i più rappresentativi dell'intera discografia dei Death, Lack of Comprehension è un insostenibile bombardamento ritmico sostenuto da un growling furioso, aperto da un'introduzione apparentemente soft ed accompagnato da riff urticanti e brevi slanci solisti. Il pezzo si inasprisce nel corso del terremotante refrain e culmina nel solito assolo da capogiro, una stordente e tetra opera di melodia fulgida e decadente dalla quale si riparte con un poderoso e devastante passaggio strumentale, scandito da velocissime accelerazioni ritmiche e riff affilati come rasoi. La strofa portante ed il rabbioso ritornello conducono in porto il brano, con uno Schuldiner decisamente irato nei confronti della censura e del moralismo che da sempre addossano alla musica metal le colpe di tante adolescenze rovinate, riconducibili invece al menefreghismo degli adulti, all'insufficienza morale delle cariche politico-religiose e a situazioni di degrado sociale dovute alla povertà, alla droga o alla superficialità della gente piuttosto che ad un disco dei Judas Priest, come invece vogliono far credere in molti. Proprio all'iconica band di Birmingham e al processo di cui essa è stata protagonista è dedicato questo brano mostruoso e massiccio, dalla tensione altissima e scosso da vibranti scariche telluriche, affidate al micidiale trinomio combinato tra il drumming scrosciante di Reinert e la velenosa aggressione ad incastro delle due asce. Prima dell'uscita del disco, Chuck dichiarò: ‘Una canzone si chiamerà Lack of Comprehension; è ispirata allo scandalo che ha travolto i Judas Priest quando sono stati accusati di aver incitato un fan al suicidio. Ridicolo ritenere che la musica sia più responsabile dei genitori. Quel ragazzo probabilmente ha ricevuto un'educazione deprimente, forse è stato maltrattato dai suoi genitori: perché incolpare i Judas Priest? I bambini sono come spugne, crescono assorbendo tutto ciò che li circonda. Si cerca di incolpare una canzone di Ozzy Osbourne o di qualche altro artista, ma è una cosa da pazzi. Prendete i Death: il nome non è altro che un insieme di cinque lettere dell'alfabeto, ma non rappresenta la mia filosofia di vita. Sono una persona tranquilla, fino a quando qualcuno non mi fa incazzare. Mi godo la vita, la natura e così via. Ci sono delle band che esercitano un'influenza forte sui propri fan, ma non al punto da indurli a spararsi. Tuttavia credo che più gruppi dovrebbero dimostrare un maggior senso di responsabilità nel loro modo di presentarsi pubblicamente'. Tutto Human, in realtà, risplende di luce propria, e gode di una scaletta straordinaria, compattata sotto una produzione stellare, corposa, piena nei suoni e negli elementi, ricchissima di dettagli, intersezioni, ricami, sfumature e striature tecniche. Impossibile non citare dunque il martellamento sonico e lo stupefacente assolo melodico di See Trough Dreams o le labirintiche trame della strumentale Cosmic Sea, una cavalcata epica che spazia da atmosfere oniriche a probanti bordate di techno-death, senza mai rinunciare ai consueti e quasi commuoventi assoli melodici, evidenti e presenti anche nella conclusiva Vacant Planet, altrettanto solida. La sicurezza dei propri mezzi rende Schuldiner quasi arrogante alle orecchie dei detrattori, ma il ragazzo si limita soltanto ad esternare la pura verità: ‘Mi chiedi se Human sarebbe stato realizzabile con la vecchia line-up? Basta ascoltarlo una volta sola per ottenere la risposta. Questi non sono solo riff supportati da una musica di sottofondo, ma si complementano in maniera perfetta e ogni musicista ha il controllo totale del proprio lavoro. In certi frangenti Sean suona in controtempo, andando in direzione opposta rispetto al riff, e al tempo stesso le sue parti diventano un tutt'uno col riffing. È così originale, difficile da spiegare, lo puoi solo ascoltare. Questi musicisti portano la morte in vita, la morte nella realtà. È un peccato che dovranno tornare nei Cynic, ma apprezzo la dedizione per la loro band. Almeno ora lavoro con musicisti professionisti e non con persone che volevano essere viste come musicisti, ma non ne avevano le competenze necessarie, persone a cui non fregava un cazzo di auto-migliorarsi. I miei assoli su Human sono la prova di ciò che sono capace di fare, essi dimostrano che io sono il perno centrale nell'esistenza dei Death. Sono felice di poter buttare via tutta la spazzatura che è stata gettata su di me, questo album è la mia vendetta finale. Questo album è di fondamentale importanza, una prolunga di me stesso, che dimostra ciò che veramente conta: la musica'.

8. Overactive Imagination. La sfida alla perfezione tecnica raggiunta con Human riprende con ulteriori ambizioni nel 1993, anno in cui Chuck Schuldiner mette in piedi una formazione ancor più stellare e da alla luce Individual Thought Patterns, un disco nel quale il techno-death si fa ancora più elaborato, definito da pezzi poderosi e contorti, intricati, dalle forti diramazioni progressive nonostante l'intatta potenza espressa dalla band americana. Alle prese tanto con bordate complesse quanto con granitici mid-time, i Death si ripresentano sulla scena manifestando uno sterminato quoziente qualitativo: lo shredding brutale e virtuoso di Schuldiner produce ancora geniali riff dal tiro devastante ed assoli melodici al fulmicotone, capaci di spazzare via ogni ostacolo in un apocalittico ed avvolgente esercizio di Apocalisse sonica, tempestosa eppur raffinata nel suo tocco cristallino; Chuck si affianca di musicisti sontuosi, completando il suo guitarwork con la classe di Andy LaRoque, ex ascia del Re King Diamond, ed allineando a DiGiorgio il poderoso drummer Gene Hoglan, ciclopico batterista già nei Dark Angel. Il tentacolare Hoglan offre una prestazione maiuscola e, sotto le sue scroscianti e complesse ritmiche, contribuisce alle sorti di un altro disco monumentale, un'istantanea di geometrica simmetria e sovrumana precisione nella quale ogni elemento si innesca nel reticolo con spettacolare efficacia, nonostante l'imprevedibile andamento delle trame e la pressante potenza che rimane trademark costante del micidiale combo statunitense: assalti tellurici, cambi di tempo repentini, stacchi e prolungate sezioni soliste si alternano e si centuplicano in un magnifico corollario di forza, spessore, lungimiranza compositiva e atmosfera decadente, scandita dai testi ancora importanti e affidati al mid-growling minaccioso ma catchy di Chuck. La traccia d'apertura, atto d'accusa alla falsità delle persone e all'immaginazione fervida con la quale esse sono sempre pronte alla calunnia gratuita, è la più violenta del lotto: si parte con un riff sinistro scatenato ed un martellamento ritmico spietato, immediato, sul quale Schuldiner sfoga un vocalism furioso. Hoglan accompagna il tutto con velocissimi assalti di doppio pedale, esaltati da una produzione piena e corposa; ad una breve sfumatura rallentata segue uno stupendo assolo melodico, intriso di raggelante e statuaria desolazione: le chitarre intrecciano le note con squillante e fluida melodia, seguendo una linea precisa e ben definita, curatissima. Si riparte con la foga di un nuovo assalto frontale dalla ritmica a rincorsa, dritta in mezzo agli occhi, velocissima, e ci si riabbandona ad un nuovo e più breve fraseggio solista, non meno intenso nelle emozioni che da esso si originano. Il pezzo si compie con un nuovo passaggio rapido -vibrante e potente quanto una veemente scossa tellurica- ed il solenne rallentamento che coincide con il refrain portante, lasciando nell'ascoltatore una sensazione di estasi e apocalittica confusione. Stupenda è anche la copertina dell'album, con la Terra prossima ad un impatto con una sorta di teschio ancestrale. Ad un giornalista che gli dice di preferire i pezzi più vecchi ed orientati allo splatter gore sonico-letterario degli esordi, Chuck risponde laconico: ‘È un tuo diritto, ma non penso che suoneremo ancora quella roba dal vivo. Da Scream Bloody Gore faremo solo Zombie Ritual e spero che i fan comprendano il mio punto di vista. Non mi vergogno di guardare indietro, ai giorni dei miei esordi: eravamo fanatici, cercavamo di suonare nel modo più pesante e veloce possibile e ciò mi portava a sottovalutare certi aspetti tecnici e compositivi. I riff e gli schemi con cui lavoro oggi sono molto più tecnici, ben ponderati e intelligenti: mi sarei limitato molto, se mi fossi attenuto al vecchio canovaccio. Per quanto possa sembrare pretenzioso, dopo tutti questi anni ho ancora voglia di evolvermi. Quando dici che ti piacciono i miei vecchi album e i demo ti rispetto, ma non lascerò che questo mi influenzi minimamente. Ci sono gruppi che suonano sempre e solo la musica che li ha portati al successo, al fine di soddisfare i fan, ma finiscono col perdere tutta la creatività originale: moriranno di una morte lenta, continuando a imitare se stessi in modo artificiale. Voglio evitare che questo avvenga con i Death. Questa voglia di perfezione è la mia più grande motivazione e la mia personale interpretazione del metal'.

9. Jealousy. Mentre la seconda traccia di Individual Thought Patterns, In Human Form, predilige metriche cadenzate e andamenti ossessivi -risultando però altrettanto pesante e maciullante nel suo incedere- con Jealousy si torna a colpire duro, durissimo. In realtà, il brano parte cadenzato e claustrofobico, ma si scatena in una devastante corsa ritmica in corrispondenza del refrain, crescendo poi in intersezioni ricche di pathos epico ed in un assolo magniloquente, praticamente definitivo. Una fuga annichilente nella quale le note colano calde e copiose, dipingendo un sanguinario e tetro arazzo di inquietudine. Proprio Jealousy è una delle canzoni migliori mai composte dai Death, difficilissima da escludere dal novero delle quindici prescelte in quanto completa sotto tutti i punti di vista. Potenza, velocità, melodia, un refrain trascinante e un tasso tecnico incredibile ne fanno un imprescindibile cavallo di battaglia per la band di Schuldiner, nonché un classico del death metal tutto. Proprio il suo consistente spettro stilistico, caratterizzato da controtempi e continui cambi di registro, la rende un brano poderoso e monumentale, potente ed intricato, ma al contempo agile e devastante. Come intuibile, qui si parla della gelosia morbosa di quelle persone che, non potendo salire sul carro del vincitore (Chuck Schuldiner), hanno sempre cercato di sfogare la propria invidia con accuse infondate e diffamazioni gratuite. La selezione di sole quindici gemme rende tuttavia necessari sacrifici dolorosi, diversamente non si potrebbe descrivere l'esclusione di Trapped in a Corner, un pezzo che toglie il fiato per mezzo della sua paradisiaca sezione solista. Questa si prolunga per oltre un minuto e dieci secondi di durata, sciorinando complessi giri di chitarra, scale mozzafiato, intrighi vertiginosi e morbide melodie avvolgenti, spaziando da una prima parte molto malinconica ad un passaggio dinamico al fulmicotone, nel quale la cascata di note modellata dalle dita di Schuldiner si fa torrenziale ed ancor più emozionante. Anche attraverso i suoi testi, Chuck vuole far emergere la sua reale personalità, a discapito delle diffamazioni che sempre lo hanno dipinto come despota e tiranno: ‘Dicono che sono uno stronzo, ma le persone che diffondono queste voci mi conoscono davvero? È vero, ho avuto dei problemi con alcune persone, ma questo è normale quando si devono avere molti contatti come capita a me. I miei princìpi sono semplici, se qualcuno è amichevole con me può aspettarsi lo stesso trattamento. Non voglio entrare in altri affari ancora una volta, ma quasi mai mi sento responsabile per questo tipo di merda. Un sacco di stronzate vengono diffuse da chi è geloso perché io ho raggiunto quello che loro possono solo sognare. Non possono sopportare il fatto che i Death significhino qualcosa, è gelosia. Ho scritto una canzone che parla proprio di quelle persone, sul nuovo album, con un titolo idoneo: Jealousy. L'unico modo che ho di difendere me stesso è attraverso le canzoni. per tutto il tempo si sente solo la loro versione dei fatti, raccontata dal loro punto di vista, che nasconde ciò che realmente hanno fatto. È stato detto che io faccio questa musica solo per soldi. Ma cazzo, non ho visto un centesimo! Ho lasciato gli States con pochissimi dollari sul mio conto. Se avessi suonato per soldi avrei suonato in qualche gruppo glam. È difficile vedere soldi quando suoni in questo genere. Death può essere diventato un nome conosciuto e famoso, ma non mi ha reso ricco. La mia unica motivazione è la musica che suono. Vorrei guadagnare più soldi, certo, ma non credo che questo accadrà in futuro'. È sorprendente l'abilità con la quale il ragazzo sa incastrare mirabili striature soniche e complesse stratificazioni stilistiche in brani assolutamente vibranti, che rimangono death metal in tutto e per tutto: nel riffing brutale, nell'incedere massacrante, nelle sventagliate ritmiche letali e nel vocalism asfittico. Una capacità eccezionale, grazie alla quale vengono sondate ed esplorate tutte le potenzialità del death tecnico abbracciato nel trittico di dischi pubblicati tra 1990 e 1993: dopo aver costruito le fondamenta dal genere ed averne edificato le imponenti cattedrali portanti, con la release successiva Schuldiner tenterà un approccio differente ed ancora più sottile, facendo centro una volta di più.

10. The Philosopher. Pezzo celebre, tra i più noti in assoluto della band americana -anche grazie al videoclip che lo accompagnò in fase promozionale- The Philosopher è un arcigno mid-tempo che si apre sull'onda lugubre di un riffing acuto e bieco, dal quale si passa ad una invece più robusta e minacciosa, caratterizzata da un growling molto spesso e da una ritmica autoritaria, accompagnata dai rocciosi riff di chitarra. Schuldiner si districa in un desolante assolo di chitarra, mentre il basso di DiGiorgio completa il quadro di decadenza con piccoli, ma imprescindibili appunti nichilisti. Nella sua crudezza, il refrain suona catchy e disturbante al tempo stesso; un altro assolo dai tratti enigmatici chiude canzone e disco con un'aria angosciante e criptica, lasciando nell'ascoltatore una sensazione di turbamento quasi onirico. Il testo attacca la figura di coloro i quali riducono l'esistenza umana a teorie piatte e preconfezionate, peraltro autoreferenziali, senza per forza di cose poter conoscere le situazioni e le sensazioni altrui che, invece, vanno a giudicare con arroganza e supponenza. Chuck ha sempre combattuto contro chi cercava di infamarlo, criticando la volontà di giudicare le sue scelte senza comprenderne le motivazioni: ‘Chuck Schuldiner è una persona molto sensibile, sincera, con i piedi per terra, e non un egocentrico. E non sai quanto è triste sentire il contrario, perché non credo di meritarmelo. La mia famiglia e i miei amici sanno davvero come sono e questo è ciò che conta. Mi dispiace per chi mi aveva dato per morto e sepolto, perché sarò in giro ancora per molto tempo!' In tutto il disco, oltretutto, emergeva l'astio del musicista nei confronti del music business: ‘Su Individual Thought Patterns mi sono scrollato di dosso tutti i problemi degli scorsi anni. L'album è una dichiarazione, illustra il mio rapporto con la stampa e l'industria discografica, che io odio, anzi peggio, detesto. Ho molto a che fare con le persone di questo business e il 75 per cento di esse abusa del proprio potere; in principio promettono montagne d'oro, ma quando si tratta di mantenere i patti pensano solo al loro profitto. La maggior parte dei manager sono lupi travestiti da pecore, sono molto corrotti. I pezzi grossi, seduti nelle loro torri d'avorio, cercano di rubare anche l'ultimo centesimo dalle tasche delle band. Non capisco perché. Non hanno nient'altro da fare? Può sembrare estremo, lo so, ma non parlo a sproposito, non faccio storie. Quello che dico nelle mie canzoni è la mia personale opinione sulle persone con cui faccio affari; vi posso assicurare, del resto, che ogni band potrebbe dire la stessa cosa. Per anni ho registrato demo e suonato in piccoli club, lo abbiamo fatto tutti e nessuno ci ha limitato; ma quando si rilascia un album, tutto ad un tratto la tua vita cambia. Le persone d'affari si mettono a pontificare il tuo futuro, e si aspettano che tu sia una rockstar ventiquattr'ore al giorno. Orribile. Io amo tenermi il più lontano possibile da quel circo e amo vivere la mia vita a casa, andare al cinema, fare una passeggiata, nuotare'.

11. Symbolic. Nel 1995 Chuck Schuldiner riporta i Death sotto i riflettori e lo fa con un album completamente innovativo rispetto al passato: Symbolic è infatti il disco più melodico e progressivo dell'act floridiano, quello che di fatto sancisce il passaggio dal techno-death al prog-death. Le devastanti accelerazioni ritmiche trovano uno spazio più equilibrato e non più prominente rispetto al resto degli elementi caratterizzanti della band americana, lasciando centrali i complessi e poderosi riff del chitarrista, le sue sontuose sezioni soliste e le trame sempre più ricercate, che per l'appunto ora privilegiavano la melodia rispetto alla violenza granitica tipica del death metal. Anche le liriche si fanno più introspettive e positive: Schuldiner ha trovato una discreta stabilità, anche economica, è meno arrabbiato di un tempo e ciò si avverte nella musica quasi onirica che ora va a comporre. La titletrack si apre su un riff circospetto, e subito mostra che anche il modo di cantare di Chuck è cambiato: ora è meno gutturale, una sorta di via di mezzo tra growl e scream. La canzone decolla sulle ali di improvvise accelerazioni ritmiche, rallenta a più riprese e sfoggia ottimi momenti melodici, intricate sezioni rapide, passaggi lenti molto corposi ed un assolo melodico raggelante, che d'improvviso accelera in una fase dalla forza straripante. Siamo qui alle prese con uno Schuldiner profondamente introspettivo, che guarda al suo passato e -senza commiserazioni- prova un senso di nostalgia per l'infanzia ormai perduta. Il pezzo si conclude dopo una vibrante scarica ritmica e l'ennesimo rallentamento, prima di lasciare spazio a mid-time corposi, fortemente melodici e dal flavour intimistico come le cervellotiche Zero Tolerance e Empty Words; le emozionanti melodie -soliste e vocali- di Sacred Serenity e i drastici cambi di tempo di Perennial Quest, unitamente a pezzi tellurici come Misanthrope e 1000 Eyes completano lo spettro di un disco molto amato, forse proprio per la sua natura più musicale e accessibile, nonostante l'elevata fattura tecnica che lo contraddistingue. A proposito di Misanthrope e 1000 Eyes, va detto che queste tracce -in particolare la prima- possiedono dei riff molto forti e delle ritmiche sfrenate, che ne fanno gli episodi più aggressivi e violenti del platter, assieme alla titletrack e a Crystal Mountain; in essi, ovviamente, non mancano parecchie intersezioni elaborate e passaggi meno tirati, nei quali si predilige un approccio desolante e intriso di malinconica armonia.

12. Crystal Mountain. Prorompente e vivace sin dal riffing d'apertura, Crystal Mountain incede con desolanti stille di melodica malinconia ed una robusta base ritmica, sfociando in una pregevole sezione solista pre-chorus ed in un ritornello molto catchy, che ne fanno uno dei pezzi più conosciuti e amati anche dagli appassionati meno ferrati in ambito death metal. La sezione centrale consta di un cupo ispessimento atmosferico, delineandosi lenta e tenebrosa, e convoglia in uno sfizioso assolo di chitarra suadente e melodico, molto morbido ed avvincente. Dopodiché il pezzo riprende le sue fattezze di mid-time dinamico, nel quale si alternano con efficacia andamenti ritmici più duri, annichilenti sprazzi atmosferici e suggestivi abbozzi melodici, culminanti nella raffinata sezione conclusiva, in cui alla chitarra elettrica si incrocia una chitarra acustica, la quale traccia delicati e emozionanti ricami dal sapore quasi ispanico. Un vezzo tecnico che testimonia a suo modo la grande ricchezza stilistica di Schuldiner e la sua cura maniacale per i dettagli, al fine di rendere le canzoni quanto più complete e imprevedibili possibile. Il tema portante è, come su Spiritual Healing, quello della religione: ‘I miei ex vicini di casa erano bigotti, vivevano in un certo senso nella propria montagna di cristallo: un mondo perfetto che consentiva loro di disapprovare tutto il resto. È ironico come la loro famiglia fosse la prima ad andare in chiesa ogni domenica. La religione non è una brutta cosa, ma solo se serve a far stare meglio qualcuno; se invece serve a ferire gli altri, per poi andare a implorare il perdono di Dio, beh, credo che non funzioni molto bene'. Chuck stesso testimonia di aver trovato una certa serenità interiore che soltanto i nuovi scazzi con la label e, in seguito, la malattia avrebbero incrinato: ‘Durante lo scorso anno la situazione è diventata stabile, così la band mi permette di sopravvivere! Negli ultimi undici, dodici anni questo è stato il primo anno in cui non ho avuto bisogno di preoccuparmi. Nonostante ciò sono ancora molto, molto, molto lontano dal poter dire che il mio lavoro mi sostiene facilmente; almeno al momento non ho bisogno di pensare a come pagare l'affitto il prossimo mese, e per questo ne è valsa la pena. Dopo tanto tempo è una sensazione molto buona; tutto nella mia vita ora è meglio organizzato, so di chi mi posso fidare e di chi no. Soprattutto all'inizio del 1990 non era così e devo dire che io stesso, con la mia band, sono passato attraverso situazioni che non vorrei mai rivivere. Anche nei momenti più difficili è sempre apparsa la luce all'orizzonte, ad esempio la lettera di un fan che mi ha scritto: diceva che non gli importava cosa venisse scritto e detto su di me, che gli piaceva semplicemente la mia musica e desiderava che io continuassi. Ciò ha aiutato me e la band. Sono meno arrabbiato di un tempo. Ho imparato ad interagire meglio con le persone, anche con quelle da cui subisco un torto, e sono più sereno e riflessivo. Ho deciso di far tesoro delle esperienze, per cercare di guardare alla vita con altri occhi. Sarebbe bello se esistesse una droga che ci potesse far ritornare all'innocenza di quando eravamo bambini, quando guardavamo il mondo da un'altra angolatura'.

13. Scavenger of Human Sorrow. Dopo aver rotto con la Roadrunner e aver constatato la limitata apertura mentale dei fruitori di musica di un certo livello -con le vendite deludenti di Symbolic da un lato e l'ascesa clamorosa del nu metal dall'altro- Chuck Schuldiner decide di accantonare i Death e dedicarsi ad un progetto di classic heavy melodico e progressivo, i Control Denied, salvo tornare sui suoi passi su richiesta della Nuclear Blast, che nel 1998 vorrebbe pubblicare un nuovo disco griffato dalla Falce. Chuck sa che anche i suoi fans desiderano ardentemente un nuovo lavoro, e accetta il compromesso -per una volta, peraltro con buon senso e senza sporcarsi le mani- mettendosi al lavoro su materiale già composto per i Control Denied. Nasce così The Sound of Perseverance, una imponente bordata di techno-death metal che si rifà nelle coordinate alle devastanti e labirintiche trame distruttive di Human, pur annettendo dei raffinati complementi di virtuosismo riconducibili a Individual Thought Patterns. Il chitarrista è fiero del nuovo lavoro, simbolo della sua tenacia: ‘Il titolo del nuovo disco riguarda la perseveranza e dice tutto sul mio modo di guardare ai Death e a me stesso. I Death insistono ancora, nonostante tutta l'opposizione di chi sostiene il business, le nuove tendenze ed altre stronzate. Ho perseverato! La cosa più fastidiosa che ho dovuto affrontare? Ci sono stati alcuni musicisti fastidiosi che hanno attraversato la mia strada. Ad un certo punto ero molto arrabbiato per tutte le storie che si raccontavano su di me, di come fossi imprevedibile. Comunque oggi sono in grado di gestire molto meglio quelle cose. Ci sono persone che si annoiano così tanto da avere un sacco di tempo per spettegolare sugli altri, ininterrottamente. Non lo considero un mio problema, ma un loro problema. Cosa mi motiva a continuare? Una sincera passione per questa musica e il mio essere un ragazzo testardo. Possono dirmi mille volte che questa musica è passata, ma continuerò a pensare il contrario. Vivo solo, sopratutto a causa del mio stile di vita sobrio. Ho un appartamento molto piccolo. Io non sono ricco, come molti giovani musicisti ho dovuto cogliere anche situazioni molto svantaggiose per me. Avrei potuto guadagnare un sacco di soldi, ma è andata diversamente. Ma non mi lamento, è colpa mia prima di tutto. Sono soddisfatto però, ho due cani di grossa taglia e posso permettermi di acquistare cibo per loro ogni giorno. Se ci sono più soldi posso comprare un nuovo set di corde, che altro c'è da desiderare!'. È di sicuro un album molto più veloce ed aggressivo di Symbolic e rilancia la potenza e l'appeal melodico della band americana attraverso impressionanti composizioni ricche di traumatici ed incombenti assalti frontali come l'opener Scavenger of Human Sorrow, canzone mastodontica che si apre su un intimidatorio mini-assolo di batteria e prosegue con riff luttuosi, dalla cadenza funerea. Lo screaming di Schuldiner si fa in questo disco più acuto che mai, mentre i testi si pongono giusto a metà strada tra l'introspettivo e l'esistenzialista. La canzone si divincola passando innumerevoli volte da passaggi cadenzati a scroscianti e velocissime sezioni ritmiche, nelle quali si mette in luce il debordante drumming di Richard Christy e la sua pungente abilità nell'utilizzo dei piatti, oltre che un tellurico approccio col doppio pedale. Nella parte centrale il pezzo rallenta e offre inquietanti arpeggi melodici, prima di ripartire con un assolo cristallino e fulminante, stordente nella sua fulgida bellezza melodica; si riprende in seguito il refrain portante, alternandosi fino alla fine in continui incroci di passaggi pesanti e vigorose accelerazioni all'arma bianca, assolutamente irresistibili. A finire sotto le forche caudine di Chuck Schuldiner, stavolta, sono gli avvoltoi mediatici, sempre in cerca di disgrazie umane da sbattere in prima pagina, ed i telespettatori superficiali, morbosamente attratti da drammi e tragedie umane.

14. Spirit Crusher. Un intimidatorio giro di basso scolpisce nel buio di un'atmosfera rarefatta l'incipit di un pezzo colossale e minaccioso, che incede con ossessiva pesantezza e dispensando riff al veleno fino alla prima, vorticosa accelerazione, scandita da un drumming pressante e da una successiva decelerazione. A quest'ultima coincide un refrain straziato da stridenti dissonanze e da una ancor più veemente ripartenza, arroccata attorno ad un riffing letale, esplosivo e poderoso: il basso puntella il tutto con linee corpose e drammatiche, la batteria scandisce ritmiche scroscianti e frenetiche, prima che le chitarre si producano in un assolo eccellente, in avvio stridente e poi molto melodico. Il pezzo riparte collegandosi al mood principale, contraddistinto da andamenti slowly, molto ossessivi, e brucianti ripartenze a briglia sciolta, nelle quali energia e adrenalina pulsano con straripante forza d'urto ed irresistibile potenza. L'ultima scarica di forza e velocità è quella che conclude il brano in maniera frontale, consegnandolo alla storia come un nuovo classico della band proveniente dalla Florida, una canzone molto amata e che rappresenta ancora oggi un apice notevole dell'intera produzione targata Death. Il tema riprende la descrizione critica dell'essere umano, assai frequente in molti pezzi dei dischi precedenti: Chuck dipinge l'uomo come una figura terrificante, che si nasconde sotto un aspetto apparentemente innocuo ma affiora dalle tenebre per distruggere i sogni del prossimo, proprio come un frantumatore di spiriti che, se potesse, strapperebbe via il Sole e la Luna dal cielo. Una concezione molto dura e pessimistica, avvertibile in tutta la saga della band americana, un'indicazione chiara ed evidente di come tradimenti e falsità abbiano segnato il ragazzo nel profondo dell'anima. Anche l'ultimo disco dei Death, sulla cui copertina campeggia una metaforica "montagna da scalare", è talmente ricco e complesso da annettere tantissimi brani eccezionali: su tutti vanno citati quantomeno l'eccellente Bite the Pain e la superba Flesh and the Power It Hold, col suo contorto intrigo di riff perforanti e le sue caustiche rasoiate.

15. Voice of the Soul. Secondo brano strumentale composto dai Death dopo Cosmic Sea (1991), Voice of the Soul è uno struggente arpeggio nel quale Schuldiner si destreggia incrociando chitarra acustica e chitarra elettrica; un magniloquente crescendo di dolcezza, emotività ed intensità attraverso il quale il musicista sembra dare letteralmente voce alla propria anima, un testamento spirituale che ci consegna un vortice di malinconia, che mozza il fiato e ci fa ripercorrere idealmente tutti i dolori provati dal talentuoso shredder di Altamonte Spring, dai tradimenti fino alla terribile malattia che ne ha spezzato la carriera, nel 2001, a soli 34 anni. Nonostante abbia lottato con una forza ed una tenacia encomiabile, Chuck ha sofferto le ricadute della forma tumorale curata con grossi sacrifici economici e, deperito dalle cure, si è spento il 13 dicembre 2001 in seguito ad una polmonite. La madre e la sorella lo hanno sostenuto e aiutato fino all'ultimo, nonostante le pecche gravi del sistema sanitario americano -chi non paga subito non riceve le cure- e lo sciacallaggio di tanti beceri individui intenzionati a far fruttare il nome del musicista; tanti musicisti come i Testament, gli Exodus o i Korn hanno suonato concerti di beneficenza per supportarlo nelle cure e nelle spese mediche, dimostrando il vero senso di fratellanza metallica di cui tanto si sente parlare. Ma alla fine Chuck non ce l'ha fatta ed è volato via lasciando un profondo senso di vuoto, ma anche una mistica aura di leggenda. In soli 34 anni ha dimostrato quello che molti non riescono a fare in una vita, manifestando una genialità fuori dalla norma ed una straordinarietà artistica che, tramandata ai posteri, nessuno potrà portarci via. Non sapremo mai cosa sarebbe diventato oggi, Chuck, quanti capolavori ancora avrebbe scritto, ma nella mente, negli occhi e nelle orecchie restano le note immense di un ragazzo sensibile, dolce, intelligente, che con i suoi pregi e i suoi difetti ha segnato un'epoca, raccontato storie e toccato i cuori di migliaia di ragazzi innamorati del suo tocco magico e dei suoi ideali valorosi.



lisablack
Lunedì 7 Marzo 2016, 14.06.15
18
Bellissimo articolo..poco da dire, la migliore band Metal di sempre, i brani tutti capolavori e ce ne sono tanti altri superlativi, ma va bene così.
herr julius
Sabato 23 Novembre 2013, 18.54.39
17
si mi sono sbagliato, in effetti quello su youtube è realizzato da terzi con spezzoni del film sulla canzone dei Death, che è una delle mie preferite
the Thrasher
Sabato 23 Novembre 2013, 2.31.34
16
@The Preacher: grazie a te, sempre piacevolissimi i tuoi complimenti! @herr julius: videoclip di Evil Dead?? mmmm ma il primo videoclip dei Death è stato Lack of Comprehension, il secondo e l'ultimo The Philosopher... mi sa che ti sbagli!
lux chaos
Sabato 23 Novembre 2013, 0.07.01
15
Eh bè...un dio. Un pezzo più bello dell'altro. Adorazione. RIP Chuck
herr julius
Venerdì 22 Novembre 2013, 22.10.42
14
Onore al Death Metal fatto oltre che con il cuore con la testa, con unatecnica e un gusto sopraffino. I death e soprattutto Chuck erano prima di tutto dei fuoriclasse Heavy Metal. Per me la gemma del loro repertorio, uno dei miei album preferiti di tutti i tempi è Spiritual Healing, con l'immenso James Murphy. Il disco è perfetto, un mix tra la violenza dei primi lavori e il death ultratecnico dei successivi. I miei pezzi preferiti sono senza dubbio Evil dead con un video clip strepitoso, The philosopher con una band stellare (la roque, digiorgio, hoglan), Pull the plug, e tutto Spiritual in blocco, un disco che devo sempre ascoltare dall'inizio alla fine
The Preacher
Venerdì 22 Novembre 2013, 20.44.22
13
Ma che gruppo, ma che uomo... I Death sono a mio parere il miglior gruppo Metal di sempre, le emozioni che mi fanno provare ogni volta che li ascolto sono indescrivibili. Come indescrivibile è la difficoltà cui si va incontro nello scegliere 15 delle loro canzoni Impossibile dire se mi trovo d'accordo su questa lista perchè anche pescando a caso dalla loro discografia si avrebbe un lista altrettanto valida, ma forse avrei inserito pull the plug al posto di leprosy e spiritual healing al posto di defensive personalities... Ma son finezze! In ogni caso complimenti a Rino, sempre interessantissimo da leggere
Luca
Venerdì 22 Novembre 2013, 16.19.02
12
Un gruppo che ha pisciato e cagato sulla testa di tutti i gruppi death del globo... onore a Chuck!
therox68
Venerdì 22 Novembre 2013, 15.59.38
11
Fra le mie preferite io ci metterei anche Calabrisella Mia, Quant'è Bello Lu Primm'ammore, O Surdato 'Nnammurato e... Aspetta, devo aver sbagliato articolo...
Jimi The Ghost
Venerdì 22 Novembre 2013, 14.51.37
10
Credo che non sia una così notevole peculiarità o caratteristica di pochi quella genialità che si associa ad una prematura produzione musicale. Tutta la storia della musica, quella che ne ha segnato indelebilmente intendo, ha molti protagonisti simili, dalle storie tormentate e spesso disperate, a vite fatte da genialità uniche e ardite. Dalla classica fino al jazz moderno d'avanguardia, dal ragtime al ritmo di swing alla rivoluzione del bebop, del cool e dell'hard bop, fino al free rock e alla fusion narra artisti molte volte prodigiosi, con una produzione mirata sempre alla ricerca e allo sviluppi di nuovi ritmi e armonie, ma che hanno quasi sempre interpreti "sfortunati" e dalla tristi storie di vita sociale. Un saluto. Jimi TG
waste of air
Venerdì 22 Novembre 2013, 14.09.46
9
@Monky: Lo stesso Devin compose e pubblicò City a quell'età, certa gente ci nasce, inventa e se ne frega, e per fortuna oserei dire.
Radamanthis
Venerdì 22 Novembre 2013, 13.50.36
8
Si, è proprio la maturità compositiva di Chuck a rendere immortali i suoi lavori, non la sua prematura morte. Lasciando momentanamente da parte questo tragico aspetto e soffermandoci solo ed esclusivamente sulla musica non si può non notare che dall' 84 ed il debut di Chuck con i Mantas con il demo Death by Metal, all' 87 debut con i Death con il primo disco ufficiale Scream Bloody Gore sino alla sua ultima opera del 1999 The Fragile Art of Existence con i Control Denied come in un lasso di tempo di 15 anni (in età anagrafica compresa tra i 17 anni del debut con i Mantas (alias Death qualche anno dopo) ed i 32 anni età in cui compose l'ultima opera lui abbia (per citare Arthur von Nagel) "dimostrato la lungimiranza e il coraggio non solo di aiutare a creare le regole del death metal, ma anche di dimostrare come romperle" Altro da aggiungere? No...lasciamo parlare la sua chitarra...
Sambalzalzal
Venerdì 22 Novembre 2013, 13.44.59
7
E' vero The Thrasher@ è molto triste pensare a quanto sia stato sfortunato Chuck, un ragazzo che veramente in vita ha messo la musica e l'arte davanti a tutto fino alle estreme conseguenze. Purtroppo non tornerà più indietro ma abbiamo con noi una piccola parte della sua anima, quella che ha lasciato nella musica che ha scritto. Grazie Chuck!!!
Monky
Venerdì 22 Novembre 2013, 13.40.10
6
@Radamanthis: Davvero. Senza contare l'età giovanissima. A volte la leggenda sembra quasi celare certi dettagli, mitizzando la persona e rendendola immortale agli occhi dei fans. Tuttavia basta soffermarsi sul fatto che un disco come Human è stato composto quando egli aveva appena 24 anni e si è avvalso di due musicisti a malapena 20enni. Una cosa strabiliante che non manca mai di stupirmi. @Rino: Chissà, forse ancora adesso starebbe lavorando sui suoi fortemente voluti Control Denied, magari realizzando il sogno di avere un suo idolo alle vocals. Sono solo congetture, purtroppo, però sono estremamente convinto che se -dopo anni di Control Denied- avesse deciso di pubblicare l'ottavo disco a nome Death sarebbe stato l'ennesimo capolavoro. Anche perché se così non fosse stato già nella sua mente, se le idee del songwriting non lo avessero convinto appieno, una persona grandiosa e amante della musica come lui avrebbe evitato la pubblicazione a ogni costo. Questo suo modo di porsi nei confronti dell'arte musicale è ciò che lo ha sempre reso superiore alla stragrande maggioranza delle altre band storiche. Detto questo, let the metal flow. Always.
the Thrasher
Venerdì 22 Novembre 2013, 13.13.30
5
@Radamanthis: grazie del complimento! quello che li merita più di tutti, però, è proprio Chuck, e ascoltare ancor auna volta la sua musica è il modo migliore per celebrarlo a dovere! let the metal flow!
Master Killer
Venerdì 22 Novembre 2013, 12.37.44
4
Lui è sempre stato un esempio per tutti Non solo musicalmente ma anche filosoficamente e spiritualmente.. saremo sempre con te Schuldiner Ti vogliamo tutti bene..
Radamanthis
Venerdì 22 Novembre 2013, 12.09.02
3
Bellissimo articolo Rino, come sempre del resto...molto interessante anche il post di Monky! Il percorso musicale ed umano che ha portato Chuck a comporre ciò che ha composto è straordianario, un continuo evolversi mantenendo fede al death metal più tecnico che circoalva in quegli anni (e difficilmente raggiungibile tutt'ora); un musicista completo che ha dimostrato in pochi anni di carriera musicale quello che molti altri nonriuscirebbero e non riusciranno a dimostrare in una vita intera! Poche parole...ora ascoltiamoci i Death ed i Control Denied per rendergli giusto omaggio!
the Thrasher
Venerdì 22 Novembre 2013, 1.13.01
2
Chi lo sa, forse avremmo dovuto attendere tantissimi anni per l'ottavo album dei Death: sono convinto che Chuck li avrebbe messi da parte almeno per un pò, dedicandosi maggiormente ai Control Denied.
Monky
Venerdì 22 Novembre 2013, 1.02.49
1
L'unico commento che mi sento di fare, sotto l'esauriente e da me condivisa scelta di Rino, è una semplice riflessione; un pensiero sull'incredibile evoluzione stilistica e tecnica che un autodidatta come Chuck ha dimostrato in poco più di dieci anni. Il gap tra la semplicità e la linearità della brutale Zombie Ritual e la complessità tecnica di un brano come Scavenger of Human Sorrow trasuda tutta la passione e l'impegno che Chuck ha costantemente riversato sul suo strumento e sulla musica da lui tanto amata. La bellezza di un'evoluzione che rende la sua storia tanto grandiosa quanto amara a causa del suo epilogo. A volte mi chiedo: come sarebbe stato il suo ottavo album con i Death? Quali lidi musicali avrebbe percorso? Come avrebbe fatto a fornire l'ennesima, irraggiungibile prova compositiva? Domande che non riceveranno mai una risposta ma che servono -quantomeno- ad incrementare l'aura leggendaria di un compositore che se la merita fino all'ultima stilla. Perché quel compositore ha reso udibile a tutti noi il suono della perseveranza con il semplice ausilio di una Stealth e di un Valvestate. Inarrivabile.
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