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I 100 MIGLIORI DISCHI AOR - La recensione
05/02/2014 (9356 letture)
Sappiamo tutti che realizzare prima o poi nella vita la classifica dei "100 migliori Album di…" rappresenta un impegno notevole e al tempo stesso una sfida estremamente stimolante e ambiziosa. L’impossibilità di portare a termine in maniera universalmente apprezzata un compito del genere è solo un problema secondario di fronte a ben altre sfide, a partire dalla necessità di essere il più possibile esaustivi, coprire tutte le sfumature del genere con i migliori album in senso assoluto, riconoscere il valore dei "pesi massimi", ma valorizzare al contempo le gemme nascoste. Il tutto in 100 album, che sono tanti, ma non saranno mai abbastanza. E’ da questo punto in poi che inizia il vero gioco, quello delle scelte, delle esclusioni clamorose, dei ripescaggi, delle crisi di coscienza, dei giochi con se stessi, fino ai compromessi necessari, quelli subiti, i ripensamenti. Ma tutto questo fa parte del gioco ed è solo l'inizio della corsa che porta poi al confronto con la pubblicazione e la ricezione dell’opera. Merito va quindi a chi realizza questo compito con un risultato ben più che apprezzabile e, ancorché non privo di criticità, capace di gettare una luce brillante e significativa su una intera corrente musicale che ha caratterizzato in maniera determinante un'intera epoca e che meriterebbe oggi una riscoperta.

UN GENERE AMATO, UN GENERE ODIATO
Al di là delle difficoltà che realizzare un libro come questo comporta qualunque sia il genere prescelto, quello che i due autori de I 100 Migliori Dischi AOR devono fare è andare oltre uno stereotipo che accompagna il genere sin dalla sua nascita. Il fatto di essere un genere da molti ritenuto quasi artificiale, creato al fine di raggiungere le posizioni alte delle classifiche, con una evidente propensione commerciale tanto nelle composizioni quanto negli arrangiamenti, dato dal ruolo fondamentale svolto dalle tastiere e dai cori, al fine di rendere digeribile l’hard rock di base al grande pubblico della musica usa e getta, con tanto di refrain magnetici e appiccicosi e una maniacale cura in fase di produzione, ha reso il genere amato da molti, ma odiato da altrettanti. In effetti, per molti amanti dell’hard rock e poi dell’heavy metal, l’AOR è un genere che in qualche modo viene meno alla sua missione iniziale di musica di ribellione per sposare in maniera cosciente e volontaria il concetto di airplay radiofonico e ricerca del successo da classifica. Un vero e proprio tradimento che si consacra con una musica "esageratamente" zuccherosa e quasi del tutto priva dei contrasti e delle asperità tipiche della musica dura, a favore di un approccio scopertamente pop, non fosse che del rock si mantiene il simulacro, l’apparenza. Una visione drastica, che nelle critiche contiene sicuramente una buona dose di verità, ma che forse dimentica che tra i tanti ascoltatori casuali del genere, ci fossero e ci siano in realtà moltissimi appassionati e amanti veri, non solo degli ascoltatori casuali, molti dei quali si considerano e sono dei rockers a tutti gli effetti. Concetto che vale ancora di più in Europa e a maggior ragione oggi. Facciamo quindi un passo indietro e, come gli autori del libro, cominciamo dal domandarci cos’è l’AOR?

UNA DEFINIZIONE NECESSARIA
Il primo uso che si fa dell’acronimo AOR risale agli anni 70 e riguarda non tanto un genere musicale, quanto un tipo di programmazione radiofonica che coinvolge brani non troppo conosciuti estrapolati da album dotati di appeal commerciale, la cosiddetta Album Oriented Radio o Album Oriented Rock. Un modo quindi di presentare band anche famose, appartenenti a generi completamenti diversi tra loro, ma con una discreta o forte capacità di attrazione per il pubblico che non ricerca necessariamente la hit del momento, ma buona musica da ascoltare senza impegno alla radio. Piano piano, nel mezzo del calderone la matrice rock divenne preminente e così nacquero i primi gruppi che componevano la propria musica in funzione di una probabile programmazione radiofonica. Nel libro si citano come pionieri del genere gruppi come Boston, Styx, Fleetwood Mac, Kansas, Supertramp e primi Toto, mentre ai primi anni ottanta si fa risalire la vera e propria definizione dell’Adult Oriented Rock, ovverosia di un sottogenere che rielabora e canonizza una miscela di hard rock, pomp rock, pop rock, progressive rock e West Coast. Band come Journey, Foreigner, Survivor, gli stessi Toto, Reo Speedwagon, Asia e tanti altri, diverranno presto gli eroi e i primari interpreti di questo sottogenere che a breve si trasformerà nella colonna sonora del decennio. In maniera molto chiara si sottolinea nel testo il legame tra questa musica e il suo pubblico: l’AOR si rivolge ad un pubblico generalmente più maturo, che ricerca tanto la perfezione formale quanto la bravura tecnica negli interpreti, sa cogliere le sfumature e i particolari degli arrangiamenti e non ha interesse per codificarsi attraverso una tenuta, un particolare abbigliamento, certi comportamenti o codici riconosciuti:

L’AOR è un genere inclusivo, non esclusivo, apprezzabile da chiunque e libero da dogmi, veti, barriere e implicazioni politico-sociali. Chi ne percepisce la cura e la qualità a livello musicale può goderselo al pari di chi non sa nemmeno cosa sia un synth, ma si esalta comunque a mille quando Rocky Balboa atterra in Unione Sovietica con i Survivor di sottofondo […] l’Adult Oriented Rock diventa il genere preferito dai produttori di Hollywood, che lo utilizzano come ideale colonna sonora della visione reaganiana della società dei controversi anni Ottanta. I testi delle canzoni sono semplici (a volte davvero troppo!), spesso incentrati sul tema dell’amore in tutte le sue sfumature, oltre che sulla volontà di avverare i propri desideri, qualsiasi essi siano. Gli anni settanta, con il dramma del Vietnam, le proteste studentesche, la creatività dell’arte psichedelica e la grande attenzione verso il sociale sono definitivamente alle spalle e l’occidente, trainato dagli Stati Uniti, si concentra su dinamiche più individualiste, volte a celebrare l’autorealizzazione del singolo tramite il duro lavoro e l’importanza di inseguire i propri sogni e la propria affermazione ad ogni costo. E nessun genere musicale incarna in egual misura questa ostentata positività alternata ad attimi di umana malinconia, questa lotta tra una concezione romantica e, allo stesso tempo, pragmatica della vita e l’edonistica celebrazione del ‘vivere al massimo’ quanto l’Adult Oriented Rock.

Una sintesi molto efficace che lasciamo interamente alla lettura e che spiega anche benissimo il perché della decadenza del genere nelle preferenze degli ascoltatori nel momento in cui il grande sogno reaganiano raggiunge il suo culmine col crollo dell’odiato e atavico nemico, l’Unione Sovietica, sotto i colpi figurati di Rocky Balboa prima e della ben più drammatica caduta del Muro di Berlino poi, che porterà alla fine della Guerra Fredda e dell’equilibrio che essa aveva garantito per oltre mezzo secolo, lasciando i vincitori con un drammatico “e ora?” e lo scoppio di nuove guerre, più infide e indigeste, a partire da quella del Golfo contro l’ex alleato Saddam Hussein, per proseguire con il conflitto nella ex-Jugoslavia. La fine delle certezze e la ricerca di una nuova identità, con il processo di autocoscienza su quella che era stata l’epoca dorata ottantiana avviato come al solito dal cinema e l’inizio di una nuova epopea musicale centrata su Seattle e sulla musica alternativa e underground, spazzò via non solo l’edonismo sfrenato del glam losangelino, ma anche il levigato e patinato rock da classifica.

UN GENERE PER PROFESSIONISTI
Corollario inevitabile di quanto detto finora, è che per comporre e realizzare un disco AOR che si rispettasse e che riuscisse a centrare il bersaglio grosso, ovverosia la diffusione radiofonica e quindi il successo, quasi mai erano sufficienti talento, buona volontà e duro lavoro. In pieno contrasto con gli ideali sollevati dalle liriche del genere, espressi nel precedente paragrafo, la dura verità è che per i gruppi che puntavano a raggiungere una certa notorietà nel settore era indispensabile poter contare su una serie di fattori ineludibili: primo tra tutti un produttore stratosferico, possibilmente già famoso e apprezzato nel settore, dagli addetti ai lavori e ben introdotto con le case discografiche; in secondo luogo e di conseguenza, avere un contratto con una major che potesse spingere con i suoi mezzi singoli e album presso i media e in particolare in radio, data la quasi totale assenza di una consacrazione underground per le nascenti stelle dell’AOR; in terzo luogo, avere almeno tre/quattro potenziali singoli in grado di sfondare le classifiche che potessero essere alternati tra loro nel caso in cui il primo prescelto fallisse l’obbiettivo e fosse necessario puntare sul secondo o sul terzo; in quarto luogo, se necessario, poter contare sull’apporto di songwriter esterni di comprovata abilità, capaci di sfornare hit single a comando a loro volta in grado di lanciare un disco; infine, poter usufruire dei servigi di rinomati sessionmen, conosciuti e apprezzati nel giro, al fine di garantire quella professionalità e quell’aderenza ai dettami strettissimi di qualità e perfezione formale che il genere richiede e che non tutti i gruppi possedevano di per sé. Ecco quindi un aspetto su cui il libro per forza di cose non si sofferma, ma che certifica in maniera chiara una volta che si mettono in fila i famosi 100 dischi: l’AOR era un genere per professionisti. I gruppi nati spontaneamente e che hanno ottenuto successo solo sulla base del loro talento o con l’aiuto di piccole etichette, produttori sconosciuti o senza perlomeno l’appoggio di un potente DJ o di un giornale diffuso e rispettato, semplicemente non esistono. Si dirà che questo vale per qualsiasi genere, ma per l’AOR questa è la base. Basti guardare con che frequenza in questa TOP 100 ricorrano certi nomi. Cominciamo dai compositori: Russ Ballard, Desmond Child, Jim Vallance e Holly Knight; poi i produttori: Neil Kernon, Beau Hill, Keith Olsen, David Foster, Richie Zito, Tony Bongiovi, Mutt Lange, Ron Nevison, Bruce Fairbairn, Eddie Kramer, Mike Stone, Kevin Elson etc. arriviamo poi ai sessionmen: Steve Porcaro, Mike Porcaro, Jeff Porcaro, Steve Lukather, David Paich, Simon Phillips (insomma, tutti i Toto), Ricky Phillips, Denny Carmassi, Mark Mangold, Jeff Cannata, Dan Huff, Alan Pasqua, Vinny Burns, Terry Brock, Bob Kulick, Lenny Castro, Chuck Burgi, Aldo Nova, Michael Landau, Chris Pinnick, Mike Slammer, Paulinho Da Costa, Vinnie Colaiuta e tutti gli altri. Un vero e proprio team di talenti ai quali si affianca come stella assoluta del mastering il recentemente scomparso George Marino, chiamati via via a lanciare le nuove stelle o ad affiancare gruppi in cerca della consacrazione definitiva o a salvare vecchie stelle incapaci di centrare nuovamente il successo. Basti a questo punto constatare quante volte questi nomi ricorrono nel corso del libro e nelle schede allegate a ciascuna recensione con precisione meritevole di lode e leggere il destino degli album in questione rispetto a quelli realizzati da band vere e proprie con le proprie sole forze, per capire come andavano le cose nei dorati anni ottanta.

IL LIBRO, I DUE AUTORI
Il libro oltre alla meritevole introduzione di cui abbiamo riportato un ampio passaggio, si compone essenzialmente delle cento recensioni realizzate per gli album prescelti dai due autori. Cristiano Canali e Gennaro Dileo sono due recensori conosciuti e apprezzati, il primo ha collaborato per anni con la rivista Flash e ha scritto per suo conto il libro Fottetevi tutti! La vita e il rock di Pino Scotto e l’ottimo Iron Maiden dalla A alla Z di cui vi abbiamo fornito la nostra recensione, mentre il secondo è una delle firme storiche di Metalitalia, nota webzine dedicata alla musica metal. Lo stile dei due ben si combina, con Canali più viscerale e retorico e Dileo più citazionista e al contempo altisonante; senza eccedere troppo in mere rievocazioni d’epoca, ma senza trascurare un necessario e importante inquadramento storico dei dischi e delle band, i due riescono a trovare un equilibrio proficuo e piacevole, dividendosi recensioni e gruppi in modo equo e compilando il tutto con un rigido ordine alfabetico che rende più facile rintracciare le recensioni e fornisce continuità di lettura in caso di più dischi di uno stesso autore, ma toglie un po’ del senso temporale prescindendo dall’ordine di uscita dei dischi, per cui si finisce per passare da dischi usciti nei primissimi anni novanta ad altri editi tra la fine dei settanta e gli inizi degli ottanta, senza soluzione di continuità. Forse una strutturazione per anno sarebbe stata più confusionaria, ma certo avrebbe dato maggior consapevolezza dell’evoluzione del genere lungo il decennio storico di massima diffusione. In ogni caso, il libro si legge molto bene e pur risultando inevitabilmente un po’ pesante affrontato tutto in una volta, ben si presta a letture frazionate o addirittura casuali, saltando di pagina in pagina senza troppo badare all’ordine, quanto piuttosto al contenuto. Ne emerge un quadro sufficientemente chiaro delle diverse sfumature con le quali l’AOR è stato coniugato nel tempo, arrivando ad abbracciare notevoli derivazioni e molteplici influenze. Tutto qua? Sì. In effetti, da un libro che già dal titolo dichiara la propria natura essenzialmente compilativa non si può certo pretendere chissà quale novità o analisi critica approfondita, se non quella brevemente tratteggiata nell’introduzione. Si poteva forse pensare ad un’altrettanto breve paragrafo conclusivo che tirasse un po’ le fila del libro e forse anche del genere stesso, ma il lettore dovrà accontentarsi del fatto che sia l’ultima recensione del libro, quella di In Progress dei Work of Art, unico disco inserito nella Top 100 uscito dopo gli anni 90 a chiudere il volume con la sua breve parte iniziale. Verrebbe –un po’ maliziosamente- da pensare che questo disco sia stato prescelto per chiudere il libro proprio perché anche alfabeticamente congruente. Lasciando da parte gli interrogativi oziosi, non si può comunque prescindere dal dire che come tutti i libri della serie edita da Tsunami anche questo risenta dell’inevitabile opinabilità delle scelte effettuate, ma resta indubbio che in un momento storico come questo, così lontano dall’epoca delle certezze dorate degli eighties, un libro che dia un po’ di ordine in un genere di così ampia diffusione e successo e che è stato così frettolosamente abbandonato e stigmatizzato dopo il suo periodo di successo, fosse davvero necessario. Talmente necessario che alla fine quasi quasi ci rammarichiamo che non sia stato fatto un lavoro ancora più approfondito e generale. Un fine che ovviamente travalica il senso e lo scopo stesso di una simile pubblicazione, ma che rivela una mancanza di cui tenere conto in un ramo editoriale che latita di critiche e approfondimenti più sistematici e approfonditi di una pur riuscita compilazione.

CONCLUSIONI: UN GENERE DA RISCOPRIRE
Se vogliamo, il grande difetto de I Migliori 100 Dischi AOR è proprio quello di essere fin troppo seriamente ancorato all’epopea degli anni ottanta. Come anticipato, infatti, sono pochissimi i dischi citati che prescindono da quel decennio: appena otto gli album prescelti successivi al 1990 di cui solo uno sorpassa il 1994, mentre uno solo appartiene agli anni 70 (parliamo del debutto dei Boston). Una scelta che pur storicamente corretta, per i motivi che abbiamo citato in precedenza, finisce quasi per far credere che si tratti di un genere senza radici, privo di passato prossimo e, quindi, di futuro. Destinato a rimanere ancorato ad una dimensione temporale sorpassata alla quale guardare con affetto o anche con passione, ma tutto sommato morta e ormai pronta all’oblio, di cui si può intraprendere una lettura critica perché fredda e inerte, salvo un caso su cento negli ultimi vent’anni. Un taglio drastico e in realtà discutibile, giustificato dalla necessità di scelta già non facile del “meglio” di un decennio nel quale i dischi del genere uscivano annualmente con numeri da doppia cifra, perseguito però con una puntigliosità eccessiva, che peraltro, salvo altrettanto rare eccezioni riverbera anche sulla scelta geografica, che premia quasi esclusivamente USA e Regno Unito, lasciando al resto del mondo poche briciole, Canada e Svezia compresi, in realtà da sempre patrie di una fervente scena. Allo stesso modo, si può considerare opinabile la decisione di escludere tutti i gruppi “responsabili” della nascita del genere, relegandoli ad una citazione nell’introduzione, con l’unica presenza dei Boston nella scelta finale. Non che si pretendesse ad esempio una citazione dell’Italia, che pure negli ultimi anni ha regalato ai sopravvissuti amanti del genere grandi soddisfazioni, ma forse album come quelli degli Angel, degli Styx o dei The Babys, piuttosto che dei Phenomena, o dei Pride of Lions di Jim Peterik, meritavano almeno una citazione, così come i Ten o tante altre band più recenti forse colpevoli di un maggior indurimento del sound, che costituiscono però la realtà di un genere ormai di nicchia, ma tutt’altro che morto o privo di un pubblico di riferimento. Un genere che comunque, a distanza di tanti anni, ha consegnato alla Storia i suoi campioni, ma aspetta a tutt’oggi una vera riscoperta, che riporti alla luce i tanti capolavori nascosti, tra i quali molti citati nel meritevole libro in questione. Un genere che ha fatto scendere più di qualche lacrima da ruvidi rocker e appassionati dal cuore tenero, che testimoniano comunque come la perfezione formale e la professionalità non significhino necessariamente freddezza o mancanza di sincerità, ma solo un modo diverso di portare la musica rock alle masse, nonostante l’evidente ricerca e necessità stessa di una consacrazione radiofonica. Si potrebbe in conclusione lanciare un’ultima provocazione e dire che in realtà l’AOR pur ridimensionandosi ha superato anche lo scoglio del tempo, ma ha forse davvero cessato di essere specchio del suo tempo nel momento in cui il passaggio dall’Era radiofonica a quella digitale ha reso la radio un media secondario non solo rispetto alla televisione, ma anche ad internet.

::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: :::
TITOLO: I Migliori 100 Dischi AOR
AUTORI: Cristiano Canali, Gennaro Dileo
CASA EDITRICE: Tsunami edizioni
COLLANA: I Tifoni
ISBN: 978-88-96131-57-2
PAGINE: 215
PREZZO: 17 euro



tino
Lunedì 1 Luglio 2019, 10.28.27
34
A metà anni 90 sono stato un grosso ascoltatore di aor e ancor’oggi riconosco il valore immenso di questa musica spesso sottovalutata perché erroneamente considerata “facile” o in virtù dell’orecchiabilità portata al limite. Il problema odierno è che è ormai percepita come musica antica, da film anni 80 e sopravvive sottoterra solo grazie a gente di mezz’età o appassionati di musica, ma secondo me non c’è un bacino giovanile pronto a raccogliere il testimone per garantirgli una sopravvivenza nei decenni a venire. Adesso a parte toto che apprezzo anche a livello odierno, non seguo più nulla e difficilmente mi adopero in vecchi ascolti che quasi sempre si rivolgono ai toto stessi o ai journey con perry. Ringrazio i def leppard dei quali ero fan ai tempi di pyromania poi abbandonati sedotto dalla furia thrash, poi riscoperti grazie all’ascolto di hysteria che mi ha fatto poi da ponte tibetano verso le gemme dell’aor che per me rimangono oltre alle discografie di toto, foreigner e journey, i capolavori walk in the fire degli strangeways e out of the silence dei dare. Però adesso ammetto che farei molta fatica ad avvicinarmi a un nuovo gruppo di questo genere.
Rob Fleming
Lunedì 1 Luglio 2019, 8.44.44
33
L'Aor è materia da maneggiare con cura. Questo libro l'ho comprato proprio perché avevo intenzione di approfondire la materia al di là dei soliti nomi. È un genere che molte volte flirta con un certo pop molto commerciale. Ad esempio, per citare i grossi calibri, mentre non trovo pecche nei primi sei dei Foreigner, sui Toto avrei molto da dire. L'esordio è sublime, ma The Seventh One, salvo qualcosa, è veramente scarso. Così per i Journey sino a Evolution sono degli Dei, con Escape scrivono qualcosa di mirabile, già con Frontiers mi trovo ad apprezzare mezzo album e Raised proprio non riesco a comprarlo. Ma nel libro emergono perle assolute come i Touch, i Fate o Shy che devono essere riscoperte assolutamente. Ottimo inizio per approfondire
Lohr
Lunedì 1 Luglio 2019, 4.42.57
32
Ascoltando capolavori AOR come Rescue You di J.L. Turner, Frontiers dei Journey, Isolation dei Toto, o Power degli Atlantic(per citare qualcosa di meno noto) provo il forse infantile dispiacere nel fatto che non tutti possano apprezzare questo genere. Un genere che eleva il rock alla sua forma piu' elegante e ne esalta "l'estetica". Perchè sarà pur vero che spesso puo' essere ingenuo e banale a livello di tematiche, data la sua natura fortemente radiofonica, ma parliamo di MUSICA no ?! Quando ascolto Losing You di Turner ad esempio, impallidisco di fronte alla sua voce, alla grinta e al tiro del riff di chitarra, alla classe e allo stile con cui tutto è arrangiato. Chissenefrega se poi parla di (dico per dire) "la mia tipa mi ha mollato". Ovvio, per rendere interessante tutto cio' servono musicisti con le palle, ed è la cosa che piu' amo dell'AOR. Non puo' piacere a tutti, ma sicuro chi lo apprezza, sa cos'è la musica suonata come si deve !!
d.r.i.
Martedì 23 Giugno 2015, 14.38.54
31
Thanks Desmond!
Desmond Child
Martedì 23 Giugno 2015, 14.28.57
30
d.r.i., you're like the last of an acient breed
entropy
Martedì 23 Giugno 2015, 12.01.05
29
a me l'aor non ha mai entusiasmato. Ogni tanto mi ci dedico (utlimamente ho scoperto i boston), anche seguendo le belle recensioni di questo sito. Però diciamo che preferisco altro. Dopodiche certe perle di bryan adams europe e survivor le ho cantate, e devo ammettere che, essendo gli inizi ingenui della mia formazione, come metallaro un pò mi vergognavo!
d.r.i.
Martedì 23 Giugno 2015, 10.28.59
28
Ogni settimana ascolto del sano AOR...echeccazzo!
Full metal jacket
Lunedì 22 Giugno 2015, 15.20.39
27
Poi c'è anche questo libro che ho letto ed è fatto molto bene, al di là delle 100 preferenze che differisco da persona a persona
LAMBRUSCORE
Venerdì 7 Febbraio 2014, 7.53.34
26
Conosco molti gruppi, più che altro per fama, ogni tanto ce ne sono che mi piacciono. Poco tempo fa, di notte, ho visto in tv un vecchio live dei Journey in Giappone, me li ricordavo ma non li ascoltavo da tempo, da paura.
Vitadathrasher
Venerdì 7 Febbraio 2014, 4.16.24
25
Per come la vedo io ci sono dei generi più ignobili nel metal......Qui almeno troviamo della musica ben suonata e ben confezionata, come tutto lo spettro musicale pop commerciale degli 80's. A differenza del recensore, credo che le radio non hanno mai perso il loro appeal e con internet hanno acquistato nuova linfa, il punto è che un tempo con la radio si promuoveva i dischi e si vendevano, oggi non si vendono più.
Arrraya
Giovedì 6 Febbraio 2014, 23.10.26
24
Molte band mi piacciono ancora adesso. Quelli che denigravano il genere all' epoca erano i metellari occasionali, quelli che facevano i duri e puri per due annetti e poi basta.
marmar
Giovedì 6 Febbraio 2014, 23.08.00
23
L'AOR, se fatto bene, è una musica bellissima, parola di chi è cresciuto con la NWOBHM. Ho molti dischi che compaiono in questa pagina, e non posso che definirli autentici gioielli, vedo "Hysteria", "Escape", "4" "Boston" giusto per citarne alcuni e mi si apre il cuore, grande, grandissima musica che ora manco lontanamente viene partorita. Casualità in questi giorni ho portato in macchina "Dawn Patrol" dei Night Ranger, porca miseria non mi riesce di toglierlo, sicuramente c'è un perché.
videoklip
Giovedì 6 Febbraio 2014, 21.12.35
22
Musica Bellissima,altro che vergogna del rock! AOR comunque è un termine molto vasto,come un pentolone in cui ci si infila quasi tutto dentro,e poi si mescola,i paletti di confine non sono così sicuri,i miei preferiti sono Rescue You di Joey Lynn Turner,Last of The Runaway dei Giant,When The Second Count dei Survivor,Out this World degli Europe,Crimes in Mind dei Streets,Raised on Radio dei Journey,Night of the Crime degli Icon,Under Lock And key dei Dokken,Giuffria 1&2,i Dakota con Angry Men,Love Slave Degli Jet,Rishard Marx(omonimo),Silent Crime degli Shooting Star,i 21Guns con Green Day e io con azzardo ci infilerei quasi da eretico come Aor estremo quel tritaossa di Michael Monroe(ex Hanoi rocks) con Ballad of The Other East Side,e ,gli Slade con Runaway e ........tanti altri ancora;delle donne amo Ruby Starr, Robin Beck,Issa,Roxette, e Lita Ford.L'AOR è un genere che ha prodotto ottima musica e canzoni,invece damolti è solo criticato ingiustamente.
BJP
Giovedì 6 Febbraio 2014, 20.44.29
21
Adesso che ci penso, ho anche Hysteria dei Def Leppard e Out of This World degli Europe! Quoto anch'io @mirone
Sambalzalzal
Giovedì 6 Febbraio 2014, 20.34.26
20
mirone@ quoto!!!
mirone
Giovedì 6 Febbraio 2014, 20.19.40
19
Era "odiato da tutti" sulla carta, perché poi, anche i più intransigenti, si sparavano in macchina Europe e compagnia bella. Diciamo che ha fatto storcere il naso a quelli che avevano vissuto il rock prima, senza troppe patinature o il lato commerciale da videoclip, mentre allo stesso tempo ha attirato frotte di nuovi ascoltatori che non si sarebbero mai avvicinati diversamente al sound grezzo di tanti gruppi. Come in tutti i generi, ha i suoi big, le sue perle nascoste e i suoi gruppi mediocri. Credo che ormai, passata l'epoca, anche i più feroci detrattori l'abbiano rivalutato a dovere senza soffermarsi sulle cazzate tipo look, videoclip o sound commerciale... meglio tardi che mai!!!!!!!!!
Sambalzalzal
Giovedì 6 Febbraio 2014, 19.55.24
18
Ma poi mi sono chiesto sempre una cosa: odiato da chi e perché visto che ha nelle sue bands tra le voci migliori dell'intero panorama?!?!? Perché le bands venivano passate per radio? Se non fosse stato così io penso che tantissime persone non si sarebbero avvicinate al mondo dell'hard n heavy. Conosco una bella fetta di gente che per esempio senza Bon Jovi non avrebbe approfondito la cosa. Insomma, è un genere che ha portato più benefici che danni durante gli anni.
lux chaos
Giovedì 6 Febbraio 2014, 19.08.44
17
Uno dei miei generi preferiti, possiedo tutti i dischi che avete messo nelle copertine a lato dell'articolo tranne Pat Benatar, Marx e Lee Aron....che dire, uno dei generi che ha sfornato una serie infinita di capolavori!!
BJP
Giovedì 6 Febbraio 2014, 16.40.54
16
Vediamo un po'... Escape e Frontiers dei Journey; 4 e Inside Information dei Foreigner (quanto adoro la voce di Lou Gramm!!); l'omonimo degli Asia; Cuts Like a Knife e Reckless di Bryan Adams; Fore! di Huey Lewis and the News (che ne pensate? È possibile includerlo nell'AOR?); Toto, Hydra, Turn Back, Toto IV e The Seventh One dei Toto; la discografia dei Bon Jovi fino al 1995 esclusi il debutto e Cross Road..... Questa è la mia attuale raccolta di dischi AOR! Sono tutti quanti dei contenitori di pezzi orecchiabili diventati hits! È un genere che personalmente adoro, pur non avendo purtroppo potuto vivere quelli anni.
deedeesonic
Giovedì 6 Febbraio 2014, 14.14.50
15
@Argo, ti consiglio sicuramente "Frontiers" e "Infinity". Vorrei solo "supportare" e "sponsorizzare" i lavori di Lee Aaron e delle Heart, in quanto appartenenti al "sesso debole" , sempre molto bistrattato dai maschietti, ma che in realtà potevano dare lezioni di "stile" a molti! Soprattutto i dischi di Lee li ho divorati. E qua dentro, credo potrebbe starci anche Alannah Myles, altra artista che adoro.
Paolo59
Giovedì 6 Febbraio 2014, 13.15.16
14
grande genere, bella musica..che tempi
MrH
Giovedì 6 Febbraio 2014, 13.06.26
13
A mio modesto parere Escape è il loro migliore lavoro anche Infinity 1978 e Frontiers 1983 sono buoni album.
mirone
Giovedì 6 Febbraio 2014, 12.57.07
12
Assolutamente Frontiers e Raised On Radio!
Argo
Giovedì 6 Febbraio 2014, 12.55.49
11
Sempre amato questo genere, mi sono appena fiondato a comprare Escape dei Journey. Consigliatemi almeno altri 2 dischi di questa band!
Brutal Steeel
Giovedì 6 Febbraio 2014, 12.04.10
10
Steelminded : ma cosè la sigla di stranoamore buahahahah! ....rock and rolll oyeaaaaa! no scherzo è un gran pezzo , lo sentito anche prima. Hola!
Galilee
Giovedì 6 Febbraio 2014, 10.44.55
9
Un sottogenre da me un pò snobbato. Prima o poi lo approfondirò.
Radamanthis
Giovedì 6 Febbraio 2014, 10.23.16
8
Un genere forse da molti sottovalutato ma di valore assoluto! i journey che band!!!!!
Steelminded
Giovedì 6 Febbraio 2014, 8.43.02
7
I wanna know what love is I want you to show me I wanna feel what love is I know you can show me Aaaah woah-oh-ooh
anvil
Giovedì 6 Febbraio 2014, 8.31.46
6
Mamma mia i Journey ai tempi erano da me pompatissimi!
herr julius
Giovedì 6 Febbraio 2014, 8.23.29
5
un genere pazzesco, una musica fantastica, non ci sono parole, serve solo apertura mentale e passione per la vera musica. Penso che il top siano comunque i Journey, su tutti escape che è uno dei pezzi più belli di tutti i tempi. Poi adoro da matti Dare (out of the silence), Strangeways (walk in the fire), Nelson (after the rain), Foreigner (agent provocateur), signal (loud and clear)...bei tempi
blackinmind
Giovedì 6 Febbraio 2014, 8.19.15
4
Adoro l'AOR, per un certo periodo ne ho proprio fatto una malattia. Purtroppo tanti fanno l'associazione "AOR=canzoncine facili", naturalmente senza aver mai approfondito più di tanto. In questa pagina ci sono copertine di dischi clamorosi, veri e propri capolavori da non sapere da dove cominciare.
anvil
Giovedì 6 Febbraio 2014, 8.03.15
3
Toto , Asia e Foreigner , sono delle ottime band con signori cantanti e musicisti che potrebbero suonare qualsiasi genere , ho un pò dei loro vinili e ogni tanto li riascolto .
Steelminded
Giovedì 6 Febbraio 2014, 7.46.45
2
Caz., ma gli Asia non facevano prog??? Ho appena comprato i primi 2 LPs (ad un prezzo molto conveniente), nella convinzione che fossero prog - come logico aspettarsi dal CV dei membri Vabbé, comunque è un genere che per lo più aborro, ma rispetto ovviamente...
Vitadathrasher
Giovedì 6 Febbraio 2014, 3.55.22
1
E' il genere che farebbe dire al mio collega 50enne: " oggi non fanno più le canzoni come negli anni 80" ovvero relegato ad un determinato ed esclusivo periodo. Un genere che viene resuscitato in radio e nei karaoke, perchè a quei 50enni fa sempre piacere riascoltare un brano di bryan adams, ma che non comprerebbe più un album di bryan adams.
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ARTICOLI
05/02/2014
Articolo
I 100 MIGLIORI DISCHI AOR
La recensione
 
 
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