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JOHN N. MARTIN - Dal Punk al Prog, attraverso un'Italia scomparsa
17/02/2014 (3664 letture)
Quando si parla di progressive italiano, è assolutamente impossibile scindere la musica dal contesto politico in cui questa nacque e si sviluppò. Talmente stretto era il rapporto tra arti e vivere quotidiano, tra impegno e tempo libero, tra il vivere di tutti i giorni e la dedizione richiesta per farlo, che parlare di musica, significa anche, inevitabilmente, parlare di quotidiano, quindi di politica. Come sempre, la nostra testata cercherà di farlo facendo della cronaca, ricordando a tutti che, molto semplicemente, in quella particolare epoca questo era lo stato delle cose e che l'argomento viene affrontato legandolo costantemente alla musica. Con John Martin affrontiamo il discorso per la parte del libro da lui scritta. Come sempre accade in questi casi, il sottoscritto non prepara nulla, lasciando che il discorso si sviluppi in maniera naturale, spaziando dove l'empatia tra intervistatore ed intervistato la porta. In questo caso, una piccola discussione propedeutica all'intervista vera e propria, relativa alla difficoltà di effettuare buone registrazioni audio delle interviste, spalanca inizialmente la porta non al prog, ma al metal, ed è da lì che partiamo.

Francesco: Tempo fa mi è capitato di intervistare uno che adesso è praticamente un relitto, ma quando ero piccolo era un mito. Parlo di Paul DiAnno, il primo cantante degli Iron Maiden. In quella occasione, purtroppo, una volta rientrato mi sono accorto che un buon 75% dell'intervista era andata persa a causa dei rumori di fondo.
John: Ah sì, i Maiden. Li ho visti in concerto quando ero piccolo in Inghilterra. Non sapevo nemmeno chi fossero, avrò avuto quindici anni. Allora si parlava di N.W.O.B.H.M. Io seguivo il punk e vedevo questa gente strana, che vestiva diversamente, che ascoltava questa musica tipo Venom, Saxon, Tygers of Pan Tang, tutta roba che non conoscevo. Uno di loro mi disse: "Vieni, che c'è un gruppo proprio forte che suona stasera all'Università". Io sono andato e sono rimasto stupito, perché era pieno di gente vestita tutta di nero, bevevano anche loro ettolitri di birra, ma non erano punks. Ho chiesto chi fossero e mi dissero "metallari". Il gruppo sul palco faceva cose che sembravano uscire da un metronomo. Rispetto al punk era tutto molto più levigato e preciso e mi dissi: "Però, simpatici... e suonano proprio bene". E Paul DiAnno, davvero, che voce. Rispetto a Johnny Rotten sembrava un cantante lirico, con tutti quegli acuti che nel punk non c'erano. Sarà stato il 1979.

Francesco: Adesso gira il mondo cantando ancora i vecchi pezzi. E' diventato la cover band di sé stesso.
John: Ma fa bene. Stavo leggendo un libro sui Ramones, un volume di circa 400 pagine e c'era una frase di uno di loro che diceva: "perché cambiare una cosa che funziona"?

Francesco: Sì, bene, però quando la fai a vent'anni; se poi per i successivi 40 ne tiri fuori qualcuna nuova ogni tanto, non è che guasta.
John: Eh, eh eh. Si vede che fa abbastanza soldi con ciò che fa. Sarà un relitto come dici tu, ma non è mica scemo. Io ho conosciuto il mio omonimo John Martyn e gli ultimi anni di vita era una roba incredibile. Gamba amputata, sedia a rotelle, ma niente. Continuava ad andare al pub e scolarsi pinte di whisky e far casino. Too bad! Ma che vuoi.. é gente fatta così.

Francesco: Solo alcuni possono reggere una vita simile. Ad esempio Lemmy dei Motorhead, solo ora comincia a perdere colpi.
John: Ah, i Motorhead, i miei idoli, visti anche loro. C'è un mio caro amico che dice: "Se non ci fossero stati i Beatles poco importa: tanto c'erano i Beach Boys. Ma se non ci fosse stato Lemmy, metà della N.W.O.B.H.M. non sarebbe nemmeno esistita". E poi... gli Hawkwind di Silver Machine con Stacia, la ballerina nuda, che meraviglia! Vabè, dai, parliamo di prog. Qui si batte la fiacca ed è per colpa tua.

Francesco: Ovviamente, eh eh. Dovevamo parlare di prog e siamo partiti dal metal, ma come arrivi tu al prog?
John: Mi ci sono avvicinato perché, quando ero un ragazzino, ma anche adesso, sono sempre stato un disallineato con la musica e con la vita in generale. Mi attirava e mi attira tutto ciò che è nuovo, sconosciuto. Che so, se vado in un ristorante cinese e vedo un piatto che non conosco, lo ordino immediatamente. Così, se mi piace, avrò fatto un'esperienza, e se mi fa schifo, pazienza, almeno potrò dire di averlo provato. Insomma, sono come il "fratello figlio unico" di Rino Gaetano, che "non ha mai giudicato un film senza prima vederlo". In musica, quando ero piccolo qui a Milano aprivano decine negozi di dischi usati. Io andavo con tutti i miseri soldi che avevo e compravo, compravo, compravo. Una sete di musica insaziabile. Costavano dalle 500 alle 2.000 lire quelli "scrausi" e 5000 quelli quasi nuovi. Esaminavo questi scaffali giganteschi e appena trovavo qualcosa che non conoscevo, lo prendevo. "Santana... Fleetwood Mac? Naah! Gli Alluminogeni??? Boh ... e chi sono questi?". E li tiravo su. Piano piano mi sono appassionato e ho cominciato a chiedere informazioni in giro, perché all'epoca non si sapeva assolutamente niente di questi gruppi. Qualcuno sì, aveva visto dei concerti, letto il Ciao, Re Nudo, sentito qualcosa in giro, ma niente di più. Se chiedevi a Milano chi fossero i Dedalus ti prendevano per pazzo. Poi, verso la fine dell'85, tutti questi dischi sono scomparsi di colpo dalla circolazione. Non si trovavano più nemmeno quelli degli Area. Stava cominciando il fenomeno delle convention. Per Milano giravano due o tre giapponesi che lasciavano le whislist ai negozi e loro, anzichè vendere Scolopendra a 3000 lire a te, lo vendevano a 30.000 ai giapponesi. Poi, finalmente, il prog è stato anche recuperato non solo in forma di modernariato, ma di cultura.

Francesco: Mi accennavi giorni fa che hai una tua posizione particolare circa punk e prog, che non trovi così antitetici come ho scritto nella recensione del libro.
John: Punk e prog sono più o meno la stessa cosa se le vedi come musiche rivoluzionarie. Ed io, che rivoluzionario lo sono di natura, non ho mai fatto molta differenza tra ciò che nel '70 o nel '77 sconvolse l'airplay o il sistema. Né tantomeno m'interessava il fatto che ai punk facesse schifo il prog per motivi ideologici. Fatti loro. Io le ho sempre trovate due musiche di rottura e con la stessa valenza trasgressiva, mi piacevano e quindi mi tiro fuori da questa diatriba. Mi piace Stockhausen quanto Caetano Veloso, per dirti. Molto meno D'Alessio, Pausini o Marco Carta, no... eh eh eh.

Francesco: Il libro parte dal dopoguerra, ma dove e come nacque il prog in Italia?
John: Il prog italiano nacque nel 1970 con l'assunzione diretta di quei fenomeni che in Inghilterra avevano già attecchito. Tra i pionieri: il Balletto di Bronzo, i Circus 2000 un po' californiani a dire il vero, la Formula 3, il Mucchio, i Trip con la loro "musica impressionistica" ed altri ancora. Diciamo che sono partito dal dopoguerra non solo perché tutti i musicisti prog sono nati in quegli anni, ma perché hanno vissuto praticamente tutti gli eventi più importanti della storia contemporanea. Assimilarono la memoria della povertà, della ricostruzione, del boom economico, della nascita dei gruppi extra-parlamentari ed ancor prima, del beat, del '68, e del conseguente terremoto esistenziale. Uno scenario che sovvertì gli equilibri nelle fabbriche, nelle famiglie, nella chiesa col il fenomeno delle messe beat. Tra zero e 25 anni, assistettero insomma al momento più sconvolgente dell'intera storia d'Italia. E questo insieme di codici, unici nella storia europea, sarebbe stato poi restituito nella loro musica, aiutando tra l'altro il nostro prog a svincolarsi dall'influenza inglese. Aggiungi che in Italia accadde una cosa assolutamente unica, cioè che operai, creativi e studenti si allearono e protrassero le lotte per altri vent'anni dopo il 68-69. Quella che Zavoli chiamò poi la notte della Repubblica. Questo accadde solo da noi e contribuì, dal 1970 in poi, ad immettere ulteriori elementi che hanno fatto il prog "nostro". Da noi sono nati i gruppi -su tutti gli Area, ma anche il Banco- che hanno interpretato la società italiana come nemmeno un libro di storia può fare. Io dico sempre che nelle scuole medie, anzichè insegnare flauto e chitarra,dovrebbero fare un'ora di Area e Banco alla settimana ed i bambini capirebbero tutto, molto più che da un libro..

Francesco: Lo dico spesso: si può ricostruire la storia di una particolare società -o addirittura dell'intera società umana- ripercorrendone a ritroso i movimenti artistici prodotti.
John: Sì, infatti. Quelli, come qualunque espressione dell'ingegno umano. Anche in una ricetta di cucina puoi leggere la storia di un popolo. E qui sono andato a scontrarmi anche con chi dice, e sono tanti, "Martin, noi vogliamo sentir parlare solo di musica, perché la politica ci ha rotto i coglioni".

Francesco: Ma in questo caso è impossibile scindere le due cose.
John: Ecco, l'hai detto tu. La musica è arte, l'arte è cultura, e la cultura va necessariamente paragonata alla sua società. Nessuno viene reputato un grande musicista perché ha fatto semplicemente buona musica. Lo è perchè ha saputo trasgredire le regole del proprio sistema, ha detto cose nuove e soprattutto si è fatto capire. Cioè, ha comunicato con le masse. E questo consapevolmente o meno. Che so... anche Matisse, per citare un pittore, quando disegnava non pensava di diventare Matisse; lo è diventato perché ci si è resi conto che nel suo tempo storico lui era unico, capisci?

Francesco: Infatti un'altra caratteristica dell'arte è quella di anticipare gli sviluppi della società, talvolta di determinarli.
John: Sì, e questa è la linea che mi ha guidato anche nei miei precedenti libri, soprattutto ne La Luna Sotto Casa. L'arte è trasgressione e comunicazione. Se tu trasgredisci e riesci a comunicare la tua trasgressione, allora si può parlare di arte. Se trasgredisci soltanto, allora sei uno qualsiasi. Se comunichi solo per comunicare, sei a livello di oratore aziendale o di un politico. Ma se trasgredisci e comunichi allo stesso tempo, allora sei sulla strada buona. Poi, ovviamente, ci vuole tecnica, ma qui ci vorrebbe un critico dell'arte. Comunque, tornando al prog sotto quest'ottica, possiamo notare che davvero riflesse perfettamente due grandi fasi della società italiana tra il 70 e il 76. La prima dopo Piazza Fontana, in cui tutto il comparto creativo underground, quindi Re Nudo, Valcarenghi, il beat, etc., e quello dei gruppi extra-parlamentari si divisero perché i gruppi volevano avere l'esclusiva dell'azione contro "l'attacco dello stato". E questo durò dal 1970 al 1973, là dove, se ci fai caso, tutta la musica prodotta era praticamente estranea dalla politica. Quindi Alluminogeni, Balletto di Bronzo, Planetarium e tutta quella fascia che si basava più sulla post-psichedelia che non sul prog in sé stesso. Questo a parte alcuni dischi straordinari come Terra in Bocca de I Giganti. Dopo il '73 creatività e politica si ricompattarono e nacquero i gruppi più consapevoli del prog politico, Area, Dedalus, Città Frontale e via discorrendo. In ogni caso, tutti cominciarono a consapevolizzare il loro discorso musicale, Banco incluso. E Canto Nomade per un Prigioniero Politico, fu una delle prime canzoni di quel corso. Società e musica erano dunque legate non solo da un rapporto biunivoco, ma imprescindibile. Negarlo, sarebbe da pazzi.

Francesco: Com'era vivere direttamente quegli anni? Io c'ero, ma ero un bambino, per di più vivevo alla periferia del mondo occidentale.
John: Io sono del '63 e il prog l'ho l'ho vissuto di rimbalzo, per immagine diretta dei miei "compagni maggiori". E' stato poi un magnetismo personale che mi ha spinto ad approfondire le cose: con gli studi universitari -sono laureato in analisi dei sistemi urbani- e frequentando Primo Moroni. E infine ho deciso di applicare la stessa chiave analitica della Luna Sotto Casa, alla musica. Mi sono chiesto: "Com'è stato il rapporto tra società e musica?" Ci ho pensato e ho capito che era un discorso praticabile. Tra l'altro ho aperto il mio blog Classic Rock sette anni fa, proprio per poterne parlare con tutti. Poi l'anno scorso è arrivato Bertoncelli che mi ha proposto questo libro che si è classificato tra i venti migliori libri del 2013 per Panorama e la mia teoria è stata premiata. Ovvio, ho subito anche delle critiche. Ma tutte riguardo alla solita "troppa politica che rompe i coglioni perchè noi vogliamo solo sentir parlare di musica". Però io ho più di 50 libri sul prog e, oh bella, parlano tutti di musica. A parte pochissimi. E allora ho semplicemente pensato di colmare un vuoto che mi sembrava evidente. A volte è davvero faticoso parlare con certe persone che a posteriori pensano di sapere tutto, ma guarda che persino nel 1983 di prog italiano non si sapeva nulla. Ti basavi sul tam-tam..

Francesco: Beh, quella è una cosa che abbiamo fatto tutti, anche noi dei primi anni '80. Si compravano dischi assolutamente sconosciuti, magari perché ti colpiva la copertina, col tam-tam, oppure completamente al buio, via telefono. Si chiamava Brescia o Roma (nel mio caso) e si chiedeva cosa c'era, com'era la copertina per vedere se era intrigante. Eppure sai che le fregature erano relativamente rare? Anche perché i negozianti ti davano spesso buoni consigli e perché c'era, in quel momento, un'esplosione di creatività che non produceva molte cose davvero brutte.
John: Francesco, c'è anche da aggiungere che i negozianti erano diversi. Io mi ricordo che quando andavo alla fiera di Sinigallia, dal Discomane o da Rossetti quando chiedevo: "dammi un buon album prog, o di blues", il negoziante sapeva davvero dove indirizzarti, non ti mentiva mai. Prova oggi ad andare in un megastore e chiedere se è meglio il primo o il secondo de Il Balletto di Bronzo. Al massimo ti indicano lo scaffale e ti dicono di scegliere tu e che i CD non si possono ascoltare perché sono incelofanati. Solo quelli che vogliono loro: Arisa, Emma, Violetta e compagnia bella. All'epoca mia, in Inghilterra potevi ascoltare tutto. C'erano i giradischi nei negozi, mettevi le cuffie e ascoltavi. Era una concezione tutta diversa. Quando stavo a Genova, i dischi li andavo a comprare in un negozio che vendeva anche elettrodomestici vari e trovavo Delirium, Ibis, Perigeo, chiedevo se si potevano ascoltare ed il negoziante mi diceva di non fargli perdere tempo. Allora li compravo e basta, poi telefonavo o scrivevo alle case discografiche (internet non c'era mica) e chiedevo: "Scusate, si può sapere chi cazzo sono (per esempio) questi Gleemen?".

Francesco: La svolta per noi metallari fu Rockerilla ed il suo inserto centrale dedicato al metal. Una rivoluzione con le sue recensioni. I gruppi non li sentivi lo stesso prima di comprarli, però ti potevi basare su recensioni abbastanza affidabili, cosa che mi ha insegnato a rispettare sempre il lettore.
John: Guarda, io sono stato fortunato col metal, perché mio zio lavorava in una agenzia di promozione editoriale di Londra e ogni settimana mi faceva avere le copie fresche di Billboard o di Music Week. Quest'ultimo credo nel 79/80 -e ce l'lo ho ancora- pubblicò un supplemento interno con tutti i gruppi metal della primissima ondata. Quello è stato per me l'equivalente de Il Ritorno del Pop Italiano di Paolo Barotto per il prog. Da lì ho imparato chi suonava più blues, chi più hard e che i Thin Lizzy erano davvero fortissimi.

Francesco: Tornando al prog: nel '76, improvvisamente, dopo Parco Lambro, tutto finisce in un arco di tempo davvero ristretto.
John: In realtà il "tutto" non fu davvero così breve. C'è stato prima un passaggio che nel libro trovi nella parte dedicata all'urbanizzazione selvaggia di Milano. Ossia: negli anni 50, prima dal Veneto, poi dal meridione, arrivò una enorme ondata immigratoria. Milano non si smentisce mai e anche allora, secondo il triste fenomeno del rito ambrosiano, vennero costruiti in maniera illogica e corrotta gli enormi quartieri periferici che servivano a stipare questa enorme massa di lavoratori. Quartieri orribili "in riva alla città" come diceva la P.F.M., che spesso non avevano nemmeno i servizi primari: piazze, parchi, farmacie, scuole, ospedali ecc. E là, nel corso di 20 anni si è sviluppata una gioventù che pur non completamente apolitica, tanto che riversava voti a sinistra perché quella comunque era l'idea, aveva un modo completamente diverso di essere a sinistra: diverso dal PCI e dagli operaisti storici. Così intorno al '75 questi ragazzi che a quel punto avevano 20 anni e cominciavano a voler partecipare alla vita politica e sociale, cominciarono prima ad impegnarsi nei loro quartieri aprendo i cosiddetti circoli e poi ad entrare gradualmente nel territorio metropolitano. Quindi, passarono prima "dalle panchine ai centri sociali" (cit. Moroni) in modo da avere posti dove confrontarsi, fare musica, mangiare un panino, parlare di sesso, del sé e poi si avvicinarono alla Controcultura. Solo che quando queste due realtà entrarono in contatto, si scoprirono davvero diverse. La controcultura pensava ai pop fest ed a dibattere, invece questi ragazzi di quartiere, che erano prevalentemente sottoproletari e volevano "tutto e subito" come la canzone di Finardi, cominciarono ad occupare e a prendesi subito i loro spazi. Il Leoncavallo è del 1975 e credo che a Milano ci furono circa 40 occupazioni quell'anno, ma gente che non c'entrava niente con la vecchia controcultura. E quando questi due modi di vedere la situazione vennero a coagire nel Parco Lambro, tra l'altro con le piogge di quei giorni, col nascente problema delle droghe pesanti, successero i disastri che sappiamo. Anche le correnti femministe e gay-lesbo iniettarono nel movimento delle diversità non compatibili, fino a rendersi conto che non ci sarebbero stati più altri festival né un'altra Controcultura. Così i nostri musicisti progressivi non ebbero più una fetta enorme di veicolazione musicale. Per questo Parco Lambro ha trascinato con sé tutto il progressivo. Ci sono state delle code, come La Locanda delle Fate, ma non era più prog, erano i suoi epigoni. I circoli portarono un voglia di immediato che poi fu la stessa che portò al '77 e al punk. Quello italiano è stato un po' ridicolo, ma ci sono stati artisti eccellenti come Faust'O, che hanno ben rappresentato la disillusione di quell'epoca.

Francesco: Ed i gruppi che fino alla mattina prima ed in un contesto semi-stabilizato si sono visti cancellare tutto, come hanno reagito?
John: Ecco, come ho detto, non era proprio "la mattina prima", ma in effetti quando tutto finì davvero fu come togliere la corrente a una centrale elettrica. Poi si aggiunsero motivi sovrastrutturali. Nel '76 cominciava a venire fuori un certo tipo di management e un certo tipo di musica come la disco o il cantautorato. Quindi anche certi spazi venivano dedicati più a queste realtà che non a gruppi meno proficui. Poi c'era tutto il problema delle autoriduzioni, in fondo mai risolto. Eppure Baraghini aveva ragione quando nel '75 diceva: "Attenzione, qui tutta l'imprenditoria musicale sta facendo cartello per alzare i prezzi dei biglietti ed escludere i meno abbienti", non lo ha ascoltato nessuno, ma aveva ragione. Tutte queste concause hanno fatto sì che, ad un certo punto, dal giugno del '76 in poi, quelli che prima si interessavano al progressivo passassero ad altro. Questo discorso non va inteso con assoluta precisione di tempi, come un blackout: è stato un percorso lento, che dal 75/76 si è sviluppato in maniera molto più rapida del previsto, tanto che al Lambro non credevano che potessero succedere cose del genere. Io ho cercato di restituire tutto questo nella maniera più analitica possibile. Ho documentato tutto questo percorso, anche se l'editore non ha voluto note nel libro. Credo insomma di aver chiuso un po' il cerchio sul progressivo italiano. Di sicuro ho voluto confermare che il prog italiano non è stato solo un fenomeno di costume o musicale, ma anche e soprattutto culturale, ed è per quello che è durato nel tempo. E, sotto altri aspetti, è presente ancora oggi.

Francesco: Ho chiuso la recensione del libro con un paragrafo intitolato "Come eravamo, come avremmo potuto essere, come siamo". Abbiamo davvero rischiato di diventare migliori, o sono stati solo quattro o cinque anni di follia, destinati a morire fin dall'inizio?
John: Mah, a ben guardare siamo diventati migliori! O almeno a giudicare dalla produzione culturale e artistica di quegli anni. Voglio dire: è evidente che se ancora oggi ascoltiamo quella musica un motivo c'è. Il problema è stato semmai la gestione dei traguardi raggiunti, ma qui è meglio che mi fermi. Comunque, al di là di come siano andate le cose, c'è qualcosa nel progressivo italiano che va assolutamente preservato: l'immaginazione. Perché traghettò veramente le persone da "l'essere" al "fare" nella migliore maniera possibile. Perché prima c'erano i sogni, quelli degli anni 60 in cui tutto era ancora troppo sbilanciato sul desiderio e dopo, negli 80, è arrivato l'inganno dell'immaginario in cui sembrava che tutto ciò che appariva poteva rientrare nell'economia reale, ma non era così. E di fatto il periodo di vuoto che ne è seguito ci accompagna ancora. Questo perché il riflusso ha volutamente mistificato uno dei nostri momenti migliori. Fortunatamente però qualcosa rimane. Come diceva Hakim Bey, "le controculture sono zone temporaneamente autonome", una specie di sinusoide che va e che viene. Attualmente la curva sta toccando il picco peggiore e non so quando risalirà. Francamente non vedo prospettive, ma non è detto che tra qualche anno, quando saremo vecchi, qualcuno, magari ascoltando gli Area, leggendo La Luna Sotto Casa o Metallized, non senta di nuovo la voglia di immaginare, di essere migliore usando le disobbedienze che il suo tempo storico gli offrirà. Posso chiudere questa intervista dicendoti che quando il Leoncavallo fu raso al suolo nell'89, uscì un libro che in copertina riportava una frase che diceva: "Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo". Meravigliosa. Perché è così: non puoi cambiare te stesso senza prima sognarti. La società di oggi non sogna. A differenza di quella del prog, piena anche di desideri strampalati, se vuoi, di contraddizioni anche insanabili, però almeno c'erano. E io sono sicuro che torneranno, perché ad un certo punto non potremo più gestire questa disoccupazione giovanile, i negozi che chiudono, la gente che scappa all'estero perchè qui l'intelligenza è superflua e l'alternativa spaventa. All'epoca del Prog o a quella del punk tutto ciò che era nuovo lo si andava a vedere. Se dicevi: "stasera c'è un gruppo nuovo" nessuno rispondeva "Che palle, che noia. Andiamo a sentire la cover band di Ligabue". Ci si buttava a pesce in una nuova esperienza e si tornava arricchiti. Magari, non proprio col futuro in tasca, ma sicuramente ne uscivamo più forti di prima.
ABRAXAS a tutti.

Ecco, trovo che l'ultima risposta sia forse la più importante di tutte. La capacità di sognare, di immaginare il futuro è ciò che più latita al giorno d'oggi. Non l'abbiamo persa, ce l'hanno rubata, ma possiamo ancora riappropriarcene. Ed è paradigmatico che un personaggio che, in definitiva, ha a che fare col metal solo di striscio, dica ciò che spesso diciamo anche noi. Il ripartire dalla voglia di scoprire, di vivere di persona certe esperienze anche marginali, come partecipare ad un piccolo evento live, la voglia di esserci scrivendo e cercando un dialogo costante con la gente per crescere insieme. Sono tutte costanti di un certo modo di vedere la vita, che passa per la musica intesa come cultura, per la voglia di cucinare un buon piatto perché è cultura anche quella e molto altro. Il riappropriarci del nostro diritto a sognare, costruire poi quei sogni nella realtà e ricominciare a sognarne di altri, deve essere la nostra meta.

Provenienza immagini non relative ai suoi libri: archivio privato John N. Martin.



anvil
Sabato 22 Febbraio 2014, 15.25.19
9
ok , mi sembra un ottima idea.
Raven
Sabato 22 Febbraio 2014, 15.12.27
8
Un'idea di John Martin per ricordare Francesco Di Giacomo: "Oggi, Sabato 22 febbraio, alle ore 18, io suonerò dal mio stereo un brano del Banco. Metterò le casse fuori dalla finestra ad alto volume in modo che tutti lo possano sentire. FATELO ANCHE VOI Un brano qualsiasi, quello che più vi piace. Per pochi secondi anche - per evitare le incomprensioni di una società sbiadita - ma che si senta, e che possa accompagnare Francesco sul ponte dell'arcobaleno. Ciascuno poi utilizzi il volume opportuno, ma alle 18 precise TUTTI pregheremo per lui, ognuno rivolto a Chi, e come meglio crede. E il nostro abbraccio sarà più forte di qualsiasi epitaffio."
Raven
Venerdì 21 Febbraio 2014, 12.05.56
7
Grazie
Milen(A)
Venerdì 21 Febbraio 2014, 11.13.57
6
Ho conosciuto John tempo fa ai tempi della "Luna sotto casa" e devo dire che in questa bella intervista lo ritrovo in pefetta forma, e come sempre coerente al suo desiderio di scavare dove altri non osano. Devvero intrigante infatti la sua parte nel "Libro del Prog Italiano" Ciao a tutti e complimenti all'intervistatore.
Raven
Giovedì 20 Febbraio 2014, 21.47.25
5
Non erano velate
jek
Giovedì 20 Febbraio 2014, 20.16.15
4
Dopo le velate minacce sul forum ho letto l'intervista . Veramente illuminante, uno spaccato di un periodo di storia musicale e sociale italiana spiegata perfettamente, Raven interviasta condotta benissimo, risultato ottimo!
jek
Giovedì 20 Febbraio 2014, 20.16.15
3
Dopo le velate minacce sul forum ho letto l'intervista . Veramente illuminante, uno spaccato di un periodo di storia musicale e sociale italiana spiegata perfettamente, Raven interviasta condotta benissimo, risultato ottimo!
Raven
Martedì 18 Febbraio 2014, 15.24.30
2
Una di quelle discussioni che dovrebbero essere lette dai giovani, in particolare. E non certo perchè c'è la mia firma in fondo al pezzo
Jimi The Ghost
Martedì 18 Febbraio 2014, 8.25.24
1
Trovo sempre entusiasmante ripercorrere la storia attraverso i racconti. La cultura genera sempre un mocimento e, di solito, nasce dal basso. Periodo vivo ed indementicabile, difficile e complesso, fatta di lotte ploretarie e immigrazione, di quartieri per i ceti senza reddito (chiamate "pentole" appunto per riferimento al contenitore), ma anche di Centri sociali (Bologna ne è ancora un esempio) nella quale i ragazzi si spostavano veramente dalle panchine ai centri sociali. Bastava leggere il quotidiano "lotta continua" per comprendere l'aria La musica italiana si nutriva di queste elementi, di quest'aria ed aveva raggiunto picchi altissimi come non mai. Peccato. Jimi TG
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17/02/2014
Intervista
JOHN N. MARTIN
Dal Punk al Prog, attraverso un'Italia scomparsa
 
 
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