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JESUS CHRIST SUPERSTAR - Teatro Sistina, Roma, 26/04/2014
17/06/2014 (3311 letture)
L’OPERA
Jesus Christ Superstar è molto più di un musical ed anche molto più di un’opera rock, come viene spesso -e più correttamente- etichettato: scritto nell’ormai lontano 1970 da due geni come Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, questo mastodontico spettacolo continua ad esser messo ininterrottamente in scena da allora, senza aver perso un briciolo della sua straordinaria potenza espressiva. L’opera narra l’ultima settimana terrena di Gesù Cristo, affrontando il suo rapporto con gli apostoli, la sua missione salvifica, ma soprattutto la sua natura umana in una maniera totalmente innovativa e rivoluzionaria, che non a caso fece molto scalpore negli anni 70: innanzitutto spicca l’assenza della Madonna, il cui ruolo è totalmente assorbito dalla figura di Maria Maddalena, preda di un inconfessabile amore per Gesù; in secondo luogo, la figura di Giuda spicca per importanza su quelle degli altri apostoli, ma la sua connotazione non è totalmente negativa, anzi il traditore per eccellenza ci appare come una vittima del fato, come il mezzo atto a far giungere la missione di Cristo al suo mortale epilogo. Infine, lo stesso Gesù è preda di dubbi, emozioni e paure del tutto umane, con l’emblematico monologo di Gethsemane, nel quale implora il Padre di sottrarlo al suo destino. E’ facile, anche da queste poche righe, comprendere il carattere “apocrifo” di questo spettacolo, che, se da un lato ci presenta un Gesù più credibile, dall’altro svuota di fatto di ogni sacralità la vicenda narrata nei Vangeli; non a caso, lo spettacolo si conclude con la crocifissione del Figlio di Dio, senza traccia alcuna della resurrezione.
Nel 1973, sull’onda del successo, dal musical venne tratto un film, girato da Norman Jewison, che inscenò la vicenda in un’atmosfera fortemente influenzata dalla cultura hippie e che, ancor più dell’opera generale, divise la critica fra chi lo riteneva eccezionale e chi urlava alla blasfemia; si dice, peraltro, che Papa Paolo VI in persona lo abbia voluto vedere e ne sia rimasto affascinato, approvandolo in quanto utile a veicolare il messaggio evangelico anche ai più giovani. Protagonista assoluto della pellicola era ovviamente l’interprete di Gesù, Ted Neeley, un giovane cantante texano che aveva già preso parte alle rappresentazioni del musical Hair (altro caposaldo della cultura hippie) e che, con i suoi impressionanti acuti, fece impallidire anche l’interprete dell’album originale. Sapete di chi si trattava? Presto detto: un signore di nome Ian Gillan.

IL VENTENNALE ITALIANO: FRA VECCHIE GLORIE E SANREMO
La prima volta che ho sentito parlare di Jesus Christ Superstar fu una notte di Natale di molti anni fa: come spesso accade tuttora, il film venne mandato in onda la sera della vigilia in seconda serata; dopo aver scartato i regali ed essermi ingozzato di cibo (anche da piccolo ero una buona forchetta), mio padre volle farmi vedere uno spezzone di questo film, che lui adorava. Il primo impatto, ad esser sincero, non fu eccezionale: lo trovai una discreta rottura di scatole e mi dedicai presto a provare i nuovi giocattoli. Tre anni dopo lo rividi, stavolta in un contesto meno foriero di distrazioni e me ne innamorai completamente: una volta acquistato il DVD, trascorsi ore intere a guardare ed ascoltare le interpretazioni degli attori, da Ted Neeley al graffiante Carl Anderson (R.I.P.) nel ruolo di Giuda, passando per la suadente Yvonne Elliman nel ruolo della Maddalena e per il potente Barry Dennen nell’ambiguo ruolo di Ponzio Pilato. L’amore per Jesus Christ Superstar, insomma, era sbocciato e per anni ho continuato a coltivarlo, una vistosa eccezione nel mio generale disamore per i musical. Un bel giorno, anche stavolta sotto Natale, ma stavolta nel 2013, venni a sapere che in primavera lo spettacolo sarebbe stato rappresentato al Teatro Sistina di Roma, per celebrare il ventesimo anniversario dell’edizione italiana, messa in scena da Massimo Romeo Piparo. Per omaggiare nel modo più opportuno l’importante traguardo, il ruolo di Gesù, da sempre appannaggio del bravissimo attore messinese Paride Acacia, sarebbe stato ricoperto nientemeno che da Ted Neeley in carne ed ossa, 71 primavere sulle spalle, nuovamente calato nelle vesti che lo hanno reso immortale. A fargli compagnia erano stati scritturati la cantante napoletana Simona Molinari, già vista a Sanremo, nel ruolo della Maddalena, il vecchio leone Shel Shapiro nel ruolo del Sommo Sacerdote Caifa, il “retrocesso” Paride Acacia nel ruolo del velenoso Anna, il 24enne fiorentino Feysal Bonciani nel ruolo di Giuda ed il frontman dei Negrita, Paolo “Pau” Bruni nel ruolo di Pilato. I suoi compagni di band, inoltre, avrebbero eseguito le splendide musiche dello spettacolo dal vivo, coadiuvati da un’orchestra. Ora, non si può dire che io sia il fan numero uno dei Negrita, ma sono sicuramente una delle migliori band italiane per quanto riguarda il rock più mainstream. Insomma, l’occasione era letteralmente imperdibile; prima ancora che potessi pensare materialmente di acquistare i biglietti, la mia ragazza, che avevo ovviamente iniziato personalmente al musical, me li regalò per il mio compleanno, regalandomi un sogno per un tranquillo weekend di fine aprile. Naturalmente ci sarei tornato una seconda volta, trascinando al Sistina anche i miei genitori: mia madre, addirittura, non una grande fan del musical originale, se ne sarebbe innamorata a sua volta. All’epoca, tuttavia, non ne ero ancora a conoscenza.

ATTO I
Il Sistina, situato in pieno centro, è una location ideale per gli spettacoli di questo tipo: dotato di un’ottima acustica, è molto raccolto ed il palco, non essendo enorme, si lascia osservare bene anche dalle posizioni più scomode, figurarsi dalla nostra, che era in terza fila centrale. Ammetto che, quando si sono spente le luci ed il sipario si è alzato, ero emozionato come uno scolaretto. Il primo strumento ad entrare in scena nell’Overture è naturalmente la chitarra elettrica effettata, che tesse da subito il tema principale dell’opera, prima da sola, poi raggiunta da altri strumenti; il palcoscenico, immerso inizialmente nel buio e nei fumi di scena, rivela lentamente i ballerini del corpo di ballo, che all’improvviso si scatenano, dando il via ad acrobazie frenetiche e convulse. Il pubblico osserva come in trance e si scioglie in un fragoroso applauso solo quando, tramite una pedana, fa il suo ingresso Ted Neeley, notevolmente invecchiato rispetto a quando era considerato uno dei belli di Hollywood, ma ancora in ottima forma fisica. E’ allora il turno del primo pezzo cantato e, prima ancora che il giovanissimo Feysal Bonciani apra bocca, restiamo stupiti dalla sua incredibile somiglianza con il compianto Carl Anderson: se a ciò si aggiunge che il ragazzo imita anche le movenze di colui che ricoprì il ruolo di Giuda nel film, si può facilmente immaginare come, a tratti, si abbia l’impressione di star osservando un fantasma. Scoprirò dopo che il ragazzo è stato scelto personalmente dal regista e da Ted Neeley, fra una miriade di candidati, proprio per la sua somiglianza con l’attore americano. L’unica eccezione è la voce, leggermente più pulita rispetto a quella di Anderson, ma egualmente splendida, come ascoltiamo su Heaven on Their Minds, uno dei miei pezzi preferiti dell’opera: qui Giuda si rivolge direttamente a Gesù, rimproverandolo di aver instillato troppe idee metafisiche nelle teste dei suoi seguaci, perdendo di vista la realtà dei fatti; Giuda teme altresì che, se la predicazione farà troppo rumore, i Romani possano schiacciarli come rivoltosi. I musicisti sostengono a dovere le impennate dell’ugola del giovane attore fiorentino e, a tratti, abbiamo anche l’impressione che le sovrastino, impressione che comunque svanirà poco dopo. What’s the Buzz, pezzo corale, vede invece entrare in scena gli apostoli, Maria Maddalena e naturalmente Gesù, per cui la curiosità è letteralmente alle stelle: sarà ancora in grado di onorare la sua straordinaria abilità vocale? Riuscirà a replicare quegli acuti impossibili? Inizialmente, a dire il vero, la risposta sembra tendenzialmente negativa: Ted Neeley, difatti, appare ancora un po’ freddo, pur offrendo comunque una buona prestazione. Simona Molinari, invece, si distingue per la potenza della sua voce, più corposa rispetto a quella di Yvonne Elliman, che si caratterizza per la sua dolcezza; il protagonista, tuttavia, è nuovamente Giuda, che si scaglia contro Gesù per via dei suoi stretti rapporti proprio con Maria Maddalena, da lui considerati non esattamente un capolavoro di coerenza rispetto alle sue affermazioni. La risposta di Cristo, naturalmente, è che chi è senza peccato scagli la prima pietra; come è noto, qui e là Tim Rice ha attinto anche da altre parti dei Vangeli ed in questo caso ha preso in prestito una citazione originariamente riferita alla lapidazione di un’adultera, contenuta nel Vangelo di Giovanni. Come espediente per facilitare la comprensione dell’opera a chi non mastica perfettamente l’inglese, gli organizzatori hanno predisposto uno schermo alle spalle dello spettacolo, dove ogni tanto vengono tradotti i passaggi salienti dei testi o vengono per l’appunto riportate le relative citazioni dai Vangeli. Successivamente il paesaggio muta e facciamo la conoscenza di Caifa ed Anna, intimoriti dalla crescente importanza di Cristo e dalla possibile reazione dei Romani; mentre Paride Acacia è decisamente in forma dal punto di vista vocale, Shel Shapiro appare più in difficoltà, principalmente perché non sembra totalmente a suo agio con le note molto basse. Forse, però, si è trattato di un episodio passeggero, dal momento che la seconda volta in cui ho assistito allo spettacolo la sua prestazione è stata più convincente. I due sacerdoti, inevitabilmente, giungono alla conclusione che il nazareno debba morire, per far sì che il loro potere non venga messo in discussione né dai suoi seguaci, né dai Romani; abbiamo così a che fare anche con i risvolti più meschini e materiali della morte di Gesù, decretata di lì a poco dai membri del Sinedrio per timore di perdere la propria posizione privilegiata. In mezzo, fortunatamente, c’è il tempo per apprezzare la splendida interpretazione da parte della Molinari di Everything’s Alright, uno dei brani più famosi dell’opera, nel quale Maria Maddalena conforta Gesù e lo fa riposare dalle fatiche quotidiane; in un passaggio, nel quale intervengono anche Cristo e Giuda, Ted Neeley sembra prendere una stecca, ma non sono sicuro di come interpretarla, dato che anche la seconda volta ha avuto un’intonazione non ottimale nel medesimo punto del medesimo brano. Che sia una sorta di stecca “calcolata”? Ho avuto in effetti l’impressione che il nostro, nei brani iniziali, si risparmiasse in vista dei pezzi più impegnativi, quindi forse si è trattato di errori voluti, quantomeno in una certa misura. A seguire ci imbattiamo in due pezzi corali, quali Hosanna e Simon Zealotes, che vedono il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, con un’enorme folla che lo acclama ed è pronta a fare ogni cosa per lui, finanche a dichiarare guerra agli odiati Romani. Gesù, tuttavia, in Poor Jerusalem, smorza le velleità rivoluzionarie dei suoi fedeli, in particolare dell’attivissimo Simone Zelota, ben interpretato da Emiliano Geppetti: nessuno di loro capisce il vero significato della sua missione, il senso delle sue parole. Emerge chiarissimo, in questo passaggio, il senso di solitudine che attanaglia Gesù, che fa curiosamente il paio con la medesima sensazione percepita da un altro importante personaggio dell’opera; mentre le chitarre tessono una trama malinconica veniamo a conoscenza, direttamente dalle parole del governatore Ponzio Pilato, di un suo sogno, nel quale ha visto un galileo morire e milioni di persone dare a lui la colpa. Per quanto riguarda l’interpretazione di Pau, sono troppo legato a quella di Barry Dennen per offrire un parere oggettivo, ma entrambe le volte mi è parsa di ottimo livello, pur dovendo sottolineare una pronuncia dell’inglese non propriamente impeccabile. La lentezza dei brani precedenti viene spazzata via dall’incalzante The Temple, nella quale i mercanti di Gerusalemme sciamano festanti nel Tempio, mettendo in mostra le proprie mercanzie senza alcun rispetto della sacralità del luogo. Li affronta un furibondo Gesù, accusandoli di aver fatto di un luogo di preghiera una spelonca di ladri…e tutti i dubbi ed i timori sulle condizioni dell’ugola di Ted Neeley vengono impetuosamente spazzati via: gli acuti ci sono ancora e sono ancora in grado di far venire i brividi sulla schiena come la prima volta. Non è un caso se scroscianti applausi accompagnano la fine dell’ultimo acuto, con cui Gesù scaccia definitivamente i mercanti dal Tempio. La seconda parte del brano, nuovamente lenta, vede i lebbrosi ed i malati della città avvicinarsi disperatamente a Gesù per ottenerne aiuto, fino a sommergerlo con i loro corpi. Il pezzo è reso dal vivo in maniera abbastanza inquietante, con un’atmosfera lugubre ed un senso di minaccia adeguatamente reso tanto dalla musica quanto dagli attori, che si muovono a scatti sul palcoscenico indossando maschere da tragedia greca. A salvare Gesù dalla folla arriva nuovamente Maria Maddalena, che successivamente, mentre Gesù dorme, dichiara il suo amore per lui, meravigliandosi di come “un semplice uomo” possa turbarla in un simile modo. I Dont’ Know How to Love Him è giustamente uno dei brani più famosi dell’opera e la sua dolcezza scioglierebbe anche i cuori più rudi. Tuttavia, il cuore dei Sommi Sacerdoti è di pietra e, quando Giuda, disperato perché vede gli sforzi antiromani della regione andare in fumo di fronte all’irrisolutezza di Gesù, si rivolge loro, lo convincono a perpetrare la madre di tutti i tradimenti. Con voce rotta dal pianto, dilaniato dal suo ambivalente rapporto di amore/odio per la figura di Gesù, Giuda rivela ai Sommi Sacerdoti che potranno trovare la loro vittima, lontano dalla folla, nell’orto dei Getsemani.

ATTO II
Dopo un intervallo di una ventina di minuti, nel quale io e la mia ragazza scambiamo commenti sulle prestazioni degli attori e ci mostriamo trepidanti d’attesa per il monologo di Gethsemane, il cuore di Jesus Christ Superstar, lo spettacolo ricomincia: ad accoglierci nell’orto degli ulivi è la bellissima The Last Supper, in cui Gesù celebra l’Ultima Cena, per poi rivelare amaramente ai suoi discepoli che uno di loro lo tradirà, uno lo rinnegherà tre volte e che tutti loro dimenticheranno il suo nome dieci minuti dopo la sua morte; nell’ambito del medesimo brano, in una climax dai toni sempre più accesi, Gesù si confronta con Giuda, il quale lo rimprovera nuovamente di aver perso il controllo e si dispera all’idea di averlo dovuto denunciare come un qualunque criminale. Gesù, nonostante la rabbia, in qualche modo lo assolve: Giuda non è altro che uno strumento in mano ad una volontà superiore ed il suo destino si compie anche e soprattutto attraverso il tradimento del discepolo che più lo aveva ammirato ed amato. Non è un caso che gli altri apostoli, persino Pietro, abbiano un ruolo molto più marginale rispetto a colui che Dante piazza fra le fauci di Lucifero. Mentre gli apostoli, dopo l’Ultima Cena, si abbandonano al sonno, un Gesù ricolmo di amarezza e di timore si incammina in solitudine nel giardino, rivolgendosi infine direttamente al Cielo. Il brano, come detto, è da sempre il cuore dello spettacolo, sia musicalmente che liricamente: Gesù implora il Padre di allontanare da lui il calice venefico della morte, Gli rivela la sua stanchezza, i suoi dubbi, il suo terrore rispetto alla fine che lo attende; giunge anche, in un ulteriore crescendo, a chiedergli che scopo avrà la sua morte, urlando la sua rabbia nel non comprendere il perché della sua ineluttabilità. Ted Neeley, che di questo brano è da 40 anni interprete inimitabile, è autore di una prestazione che vale da sola il prezzo del biglietto: il teatro ascolta in estasi gli acuti dell’uomo ed il dolore che riescono a comunicare, identificandosi con lui nella sua disperata richiesta di spiegazioni. A conclusione il Sistina gli tributa una standing ovation e, guardandomi attorno, constato di non essere il solo ad avere le lacrime agli occhi, che fra l’altro torneranno puntuali a solcarmi le guance anche la seconda volta in cui assisterò allo spettacolo. Straordinario, davvero. Sento ancora adesso, mentre scrivo, i brividi addosso a distanza di mesi e nonostante le temperature equatoriali che stanno flagellando Roma in questi giorni. Ma, nonostante l’incredibile prestazione del nostro e la grandezza del brano, the show must go on e c’è ancora tanto da vedere: Gesù viene arrestato e, mentre la folla lo insulta e Pietro lo rinnega, viene condotto davanti a Pilato; questi, inizialmente, lo schernisce e, riconoscendo in lui un galileo (ma non quello del suo sogno, non ancora), lo invia da Re Erode, sostenendo di non avere alcuna giurisdizione su di lui. Come già sottolineato, Pau è ben calato nel ruolo del governatore romano, grazie anche alla sua imponente altezza, ma la pronuncia dell’inglese non è la sua arma migliore, specie nei pezzi più veloci. Il siparietto di Gesù con Erode Antipa, il pezzo che personalmente amo meno di tutto il musical, è viceversa estremamente godibile per via della sua realizzazione: a circondare il sovrano, infatti, vi sono diversi ballerini ed acrobati, alcuni dei quali raffiguranti maschere caratteristiche della nostra tradizione, come Arlecchino, Pulcinella e Pinocchio: si tratta di un simpatico e non ingombrante omaggio all’italianità di questa messa in scena di Jesus Christ Superstar e, unitamente alle doti degli artisti, rende molto godibile il brano. La parentesi di goliardia, fra l’altro, spezza un po’ la tensione, che giunge ai massimi livelli quando, dopo i lamenti di Pietro e Maria Maddalena per Gesù, assistiamo alla morte di Giuda: l’apostolo, pentito del suo gesto, scaglia i trenta denari addosso a Caifa ed Anna e, lentamente, capisce di essere stato usato: accusando Dio del suo destino, dandoGli dell’assassino, un Bonciani più bravo e comunicativo che mai, inseguito da cupe figure ammantate ed incalzato dalle chitarre sempre più possenti, sceglie infine di impiccarsi per sfuggire al rimorso. Morto lui, la scena è ora tutta per Gesù e Pilato: il governatore, vedendo tornare davanti ai suoi occhi il nazareno ed incalzato dalla richiesta di Caifa di condannarlo a morte, capisce che quell’uomo che ora tutti odiano è il protagonista del suo sogno: cerca in ogni modo di spingerlo a parlare, di trovare un modo per salvarlo, ma è inutile. Gesù ha ormai accettato il suo destino ed accetta passivamente le 39 frustrate ordinate da Pilato, che spera così di soddisfare la sete di sangue della folla. La scena è resa più drammatica e vivida che mai tramite un particolare espediente: sul palcoscenico viene calato uno schermo e, in corrispondenza di ogni frustata, viene proiettata una diapositiva di un evento passato alla storia: le frustate vengono così metaforicamente raffigurate dalla bomba di Hiroshima, dall’ingresso di Auschwitz, dai bombardamenti sul Vietnam, dall’11 settembre, dalla morte di Martin Luther King, dalle stragi di Capaci e di Via Fani. Si tratta, molto probabilmente, dei peccati dell’umanità che Cristo sconta tramite il suo sacrificio, della malvagità che la sua morte doveva servire a redimere. Pilato tenta nuovamente, come extrema ratio, di salvarlo, ma è Gesù stesso che gli dice che ormai non c’è più nulla da fare; furibondo, più per la sua incapacità che per l’apparentemente folle ostinazione di Gesù, il governatore romano lo condanna allora a morte, lavandosi le mani in una bacinella che si macchia del sangue del Figlio di Dio. Il destino ormai è compiuto, ma c’è il tempo per un ulteriore espediente teatrale: sullo schermo appare infatti Feysal Bonciani, intento a cantare Superstar, brano in cui Giuda chiede a Gesù se non sarebbe stato meglio scegliere un’epoca con migliori mezzi di comunicazione; cosa c’è di strano, direte voi? Semplice, dalle riprese si capisce che il ragazzo è all’esterno del teatro, in strada, con tanto di automobili che passano e persone che lo guardano incuriosite! Solo dopo un po’ il nostro entra nella hall del Sistina e, ricongiungendosi a Gesù, fa il suo ingresso nella sala dove ci troviamo, tornando infine sul palcoscenico dopo aver stretto le mani di molti degli spettatori. La crocifissione finale di Gesù, peraltro, non conclude lo show, dato che, dopo gli applausi ed una nuova standing ovation per Ted Neeley, il palcoscenico si riapre a sorpresa ed i ballerini offrono un bis. C’è commozione anche negli occhi di alcuni attori ed in quelli dell’anziano interprete del ruolo principale, circostanza incredibile se si pensa a quante centinaia di repliche avrà ormai affrontato. Eppure, anche lui, dopo quarant’anni, riesce ancora a commuoversi ed a commuovere noi che lo ascoltiamo cantare.

A TU PER TU CON GESU’
Mi si perdoni il titolo un po’ blasfemo di questo paragrafo, ma la sua musicalità era troppo ghiotta per non sottolinearla: a conclusione dello spettacolo, già d’accordo con la mia ragazza, ci muoviamo convinti verso la hall e lì ci attestiamo: ho infatti con me la mia copia del DVD del film, proprio quella che ho praticamente consumato a furia di premere play più e più volte e non intendo andarmene dal Sistina fino a quando non vi leggerò l’autografo di Ted Neeley. Ebbene sì, si può essere fanboy anche a 24 anni suonati. L’attesa è lunga, anche a causa delle molte persone che sfidano la fatica per il nostro stesso obiettivo, ma l’organizzatore del meet & greet ci rivela una cosa che ci fa ben sperare: pare infatti che il buon Ted Neeley, anche se ad attenderlo ha trecento persone, ami passare qualche minuto con ogni singola persona, scambiando due chiacchiere e regalando a tutti un sorriso, sia alla prima che all’ultima di queste trecento anime. Un comportamento encomiabile, se si pensa a quante pseudo-star siamo abituati a conoscere…alla fine, dopo oltre due ore, il nostro turno arriva. Come ci era stato preannunciato, Ted Neeley è estremamente gentile e ci accoglie sorridente e benigno, mostrandosi ancora più che disponibile a foto ed autografi di rito. Piccola chicca: in ossequio allo spirito seventies dello spettacolo, mi ero presentato abbigliato con preziosa t-shirt del concerto di Roger Waters all’Olimpico di luglio 2013: Ted Neeley, che non è certamente nato ieri, la nota subito e si mostra estremamente felice che qualcuno apprezzi ancora la musica dei Pink Floyd, sostenendo che sia tuttora straordinaria. Della serie: fra grandi ci si intende.



darkblu
Mercoledì 26 Novembre 2014, 12.45.20
5
Splendito spettacolo venerdì 21 Novembre a Torino...condivido tutto completamente,il monologo di Gesù crea un'atmosfera..."solida" nel teatro , molti anni fa ho avuto la fortuna di andare in Israele e ho avuto modo di stare tra gli ulivi del Getsemani e l'altra sera ascoltando Ted cantare ho chiuso gli occhi immaginando di essere li....Un sogno impossibile...Jesus Christ Superstar neila realtà di Gerusalemme......
waste of air
Martedì 17 Giugno 2014, 23.34.18
4
"Il vostro affezionato Barry" nella didascalia mi ha ucciso! Hahaahaaaa
Lizard
Martedì 17 Giugno 2014, 22.40.22
3
Report splendido e commovente per uno degli eventi musicali più belli, intensi e coinvolgenti di tutti i tempi. Un musical rock che ha segnato la storia e continua ad emozionare come allora. Neeley un grande, complimenti per la foto
LAMBRUSCORE
Martedì 17 Giugno 2014, 14.12.34
2
Potevano chiamare Glen Benton , per il ruolo di Gesù...
Thomas
Martedì 17 Giugno 2014, 13.22.31
1
Che meraviglia, non vedo l'ora di vedere la data a Verona ad ottobre....
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17/06/2014
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JESUS CHRIST SUPERSTAR
Teatro Sistina, Roma, 26/04/2014
 
 
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