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SUMMER BREEZE - Day 2 - Dinkelsbühl, Germania, 15/08/2014
30/08/2014 (3442 letture)
INTRODUZIONE
a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Arrivati al terzo giorno di festival, non si può negare che la permanenza sia fin troppo scevra di comodità, a meno di non essere venuti al Summer Breeze con un camion ed essersi costruiti un gazebo grande come una casa, come ha fatto buona parte dei tedeschi. Non so se parlo solo per me o in generale per la maggior parte dei miei conterranei, ma la nostra preparazione in fatto di campeggio è ridicola rispetto a quella dei visitatori teutonici. Per questo la mia consolazione resta nel fatto che il nostro respiro scaldi un minimo la tenda della Decathlon (quelle che si montano in due secondi, a prova di imbecille), che un paio di coperte bastino per una notte sotto i 10 gradi centigradi e che l’incetta di cibo da mercato di Norimberga, razionato a livello da campo di prigionia, non faccia scherzi al mio sistema digerente. I tedeschi invece, sono sempre in maniche corte e pieni di birra e liquori, ignorando il freddo e la pioggia, e sempre pronti a divertirsi sotto il palco. E in questo clima a dir poco permeante, non si fa effettivamente fatica a raccogliere le forze e l’entusiasmo per prepararsi a un'altra maratona di gruppi come quelli di questo terzo giorno! E se c’è la passione…


STAHLMANN (Pain Stage)
a cura di Margherita Pletti "Böse Einhorn"

Gli Stahlmann, in tedesco “uomo d’acciaio”, sono esponenti del genere Neue Deutsche Härte, a cui appartengono anche i Rammstein e i Megaherz, e la loro presenza scenica è adeguata al genere musicale.
Il quartetto di Gottingen, attivo dal 2008 e con 3 full length alle spalle, si è presentato sul palco con il trucco color acciaio che li contraddistingue, abbigliamento monocromatico nero e preferibilmente di pelle, dando un'apprezzabile sensazione di coerenza estetica.
La cura dell’immagine in realtà si esauriva sull’abbigliamento, ad eccezione di qualche accenno di coreografia e dell’entrata in scena del cantante, Martin Soer, che si è presentato con cappotto lungo strappato e una bombola di CO2 sulla schiena, collegata a due pistole a spruzzo da cui sparava con movimenti teatrali verso la folla e verso il cielo.
Il colore grigio metallizzato è dato a bomboletta, e ricopre anche capelli, barba (nel caso del batterista) e in modo casuale alcune zone dei vestiti, e di tanto in tanto gli Stahlmann si sono dati qualche ritoccatina al viso cercando di non dare nell’occhio. Purtroppo Martin non ha tenuto conto del fatto che alzando le braccia la maglietta sale di parecchio, e si è dimenticato di darsi una spruzzata anche alla pancia. In una situazione monocromatica come quella, sembrava che avesse una calzamaglia rosa salmone! Ma a parte questa svista puramente visiva, dal punto di vista musicale niente da dire, anzi il suono arrivava particolarmente bene.. O forse ero in una buona posizione, ma non ho provato a cambiarla, perché il gruppo ha raccolto subito molto pubblico.
Hanno iniziato con la traccia d’apertura dell’album omonimo d’esordio, intitolata Wilkommen, e per la prima metà del concerto hanno suonato i pezzi del primo disco, con cui hanno conquistato i fan nel 2010. La folla, staff compreso, era molto partecipe e si è scatenata in particolare per Spring Nicht dell’album Quecksilber del 2012.
Comunque posso dire che soprattutto con gli Stahlmann mi è dispiaciuto non capire bene il tedesco perché il cantante ha raccontato un sacco di cose tra una canzone e l’altra e il pubblico ha gradito con grasse risate. Ho capito solo i ringraziamenti per essere così numerosi nonostante l’ora (mezzogiorno) e il tempo di merda. Ad un certo punto il pubblico ha incitato coralmente il batterista a seccarsi a collo una lattina di Becks, e poco dopo il bassista ha avuto un momento d’entusiasmo balzando giù dal palco (che non è proprio rasoterra) a metà canzone per suonare a contatto col pubblico.. c’era davvero un bel feeling, ma l’atmosfera goliardica non ha impedito alla band di suonare discretamente.

SETLIST STAHLMANN
Willkommen
Adrenalin
Stahlmann
Hass mich… lieb mich
Teufel
Stahlwittchen
Süchtig
Spring nicht
Schwarz
Tanzmaschine
Traumfrau


CRUCIFIED BARBARA (Main Stage)

a cura di Margherita Pletti "Böse Einhorn"

Arriva il momento delle Crucified Barbara, band svedese tutta femminile formata nel 1998, ma attiva nel mercato discografico dal 2005, ovvero due anni dopo l’arrivo dell’attuale cantante Mia Coldheart.
Come mi ha fatto notare Vincenzo, il nostro fotografo di fiducia, il loro hard rock è un tipo di musica che funziona bene soprattutto dal vivo, è divertente, e in effetti è stato un concerto coinvolgente, anche perché, come è facile immaginare, dal vivo la band ha parecchio sex appeal a proprio favore.
Per l’occasione le Crucified Barbara avevano alcuni brani da presentare, perché a settembre esce il loro prossimo disco, In The Red. Una delle canzoni che hanno suonato, Sell My Kids For Rock ’n’ Roll, è stata pubblicata online il 20 agosto, quindi dopo l'esibizione. Electric Sky è stato diffuso poco prima e To Kill A Man, annunciata da Mia con voce conturbante, è in rete da aprile. I nuovi pezzi sono in linea con lo stile di sempre, e sono stati ben accolti dal pubblico, che esultava battendo le mani a tempo ma in modo completamente scoordinato. Chissà cosa li distraeva!
Dal punto di vista della presentazione onestamente sono rimasta un po’ delusa, perché non hanno aggiunto interesse allo stereotipo della ragazzaccia rock tatuata, un po’ maschiaccio e un po’ zoccola. Il problema, quando un gruppo è tutto composto da belle ragazze, è che mi viene sempre il dubbio che i membri siano stati scelti più che altro per l’avvenenza, ed infilati in dei personaggi prestabiliti che vendano, quindi mi aspetto che prima o poi si discostino dagli stereotipi per dimostrare autenticità. Sarà che sono cresciuta negli anni ’90, quando le band femminili “pianificate” in questo modo spuntavano come funghi, ma è un pregiudizio difficile da debellare. In realtà soprattutto la cantante, Mia, mi ha fatto ricredere: dal vivo ha una voce potente e la sa usare.
L’esibizione delle Crucified Barbara, comunque, è stata molto buona e si sentiva anche bene, ma d’altra parte le ragazze hanno ottenuto il Main stage, quindi anche le aspettative erano abbastanza alte.

SETLIST CRUCIFIED BARBARA
The Crucifier
Sex Action
To Kill A Man
Everything We Need
In Distortion We Trust
Sell My Kids For Rock n' Roll
My Heart Is Black
Electric Sky
Rock Me Like the Devil
Into the Fire


DEADLOCK (Pain Stage)

a cura di Margherita Pletti "Böse Einhorn"

Dal ’97, anno di fondazione, ad oggi, la band bavarese ha avuto diversi cambi di formazione, e l’unico membro originale rimasto è il chitarrista Sebastian Reichl. Partiti come band death-hardcore tutta maschile, con l’album The Arrival del 2002 hanno avuto l’intuizione di affiancare al growl la voce angelica della cantante Sabine Scherer, svolta decisiva per una riqualificazione stilistica e per il lancio della loro carriera.
All’ora stabilita la band sale sul Pain stage e l’attuale glowler John Gahlert, ex bassista della band, irrompe con un “Buongiorno Summer Breeze, avete voglia di un po’ di headbanging?”. La folla esulta unanime, ma l’attenzione di tutti è catturata da Sabine, che si presenta con l’addome sorprendentemente rigonfio e, a giudicare dall’abbigliamento (top striminzito e super aderente), sembra intenzionata ad evidenziarlo. Il sospetto viene confermato quando Gahlert le stringe una mano alzandola verso il cielo e annuncia: “Aspetta un bambino!!”
La sua condizione le smorza un po’ la voce, ma l’esibizione riesce bene, anche perché Gahlert trascina il pubblico con un entusiasmo contagioso.
L’altra notizia per i Deadlock è che quel giorno stesso, il 15, la Lifeforce Records avrebbe pubblicato il loro ultimo disco, The Re-Arrival. Come suggerisce il titolo, The Re-Arrival propone la stessa scaletta del sopraccitato disco di oltre 10 anni fa, ma i brani sono riarrangiati secondo l’evoluzione espressiva della band. Inoltre, a differenza del 2002, oggi la band si compone di due chitarre, ritmica e solista, e manca il basso.
Durante il live hanno presentato gran parte delle tracce dell’album nuovo, assieme a due dei tre inediti annessi: An Ocean Monument e The Arsenic River.
Nonostante sia sempre un po’ rischioso proporre variazioni dei pezzi storici ai fan, per giunta con un cantante diverso (in The Arrival c’era ancora Johannes Prem, il cantante originale), il pubblico era partecipe e sostanzioso e ha sopportato con tenacia la pioggia trasversale e le zaffate di concime dal campo vicino (già, crediamo alla storia del concime va che è meglio..).

SETLIST DEADLOCK
Dark Cell
An Ocean's Monument
The Brave / Agony Applause
Dead City Sleepers
Code of Honor
Earthlings
I'm Gone
Renegade
The Arsenic River
Awakened By The Sirens


PRIMAL FEAR (Main Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Il secondo giorno di questo Summer Breeze ha varietà da vendere, offrendo una vasta gamma di nomi dal classico all’estremo. Dopo il concerto dei Deadlock sul Pain Stage, sul Main Stage entrano in scena gli alfieri dell’heavy/power tedesco, i Primal Fear, il gruppo del primo cantante dei Gamma Ray, Ralf Scheepers. Si innalza un muro sonoro di possenti riff alla Judas Priest, in cui permane fortemente la componente epica degli stessi Gamma Ray o dei connazionali Grave Digger, sopra i quali spicca la voce acutissima del possente vocalist del quintetto teutonico. L’affluenza è discreta e il pubblico affiatato dimostra una fedele conoscenza della band, dai primi lavori della fine anni ’90 agli estratti più recenti. Sullo sfondo campeggia l’aquila di metallo, simbolo dei Primal Fear, mentre sul palco si susseguono assoli e chorus coinvolgenti che vanno ben oltre il classico cliché heavy metal, ma senza rinunciare alla tradizione del classico ottantiano.

SETLIST PRIMAL FEAR
Intro
Final Embrace
Delivering The Black
Nuclear Fire
Unbreakable Part II
When Death Comes Knocking
Angel In Black
Chainbreaker
Metal Is Forever


BENEDICTION (Pain Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Si passa rapidamente a uno dei gruppi leggendari delle scene death metal britanniche, e personalmente uno dei più attesi del festival: sul Pain Stage salgono i Benediction, salutati da un sole caldo e un cielo finalmente clemente, che risveglia il pubblico dal torpore mattutino, come sottolinea simpaticamente Dave Hunt, il vocalist. Gli astanti sono riportati al contesto più appropriato per uno show death metal, ossia headbanging e moshpit sul terreno fangoso antistante il palco, mentre i veterani del death metal di Birmingham sciorinano tanto classici dai primi album, tra cui Nightfear, da Transcend The Rubicon, in apertura, quanto da capitoli meno datati della loro discografia, da cui estraggono pezzi più carichi di groove. L’headbanging inarrestabile dei Benediction prosegue nelle sezioni più tirate così come nei ritmi più mid-paced - per usare, tutto sommato, un eufemismo, dato che il tiro dei nostri lascia poco spazio per riprendere fiato. E personalmente, non è possibile resistere al tremolo picking del death metal novantiano, e l’esecuzione energica e rabbiosa dei deathster inglesi non può che giovare alla realizzazione di uno show grandioso, fatto di sola furia musicale e un attitudine quasi punk sul palco. A condurre tutto sono i padri della formazione, i chitarristi Darren Brookes e Peter Rew, accanto al bassista Frank Healy, ma spicca sia la voce corposa che l’humor inglese di Dave Hunt, che tiene il palco e intrattiene il pubblico, alimentando i cori tra un pezzo e l’altro - tanto che davanti all’entusiasmo travolgente del pubblico si lascia scappare "Oddio, vorrei essere nei Manowar" che stempera l’atteggiamento nervoso e diretto di un’esibizione puramente death metal. Tra gli ospiti che assistono allo show a bordo palco viene chiamato davanti al pubblico Markus Staiger, il capo della Nuclear Blast, che ha portato al festival gruppi famosissimi tra quelli nel suo roadster, ma che è venuto a tributare una delle prime band ad essere state messe sotto contratto dalla label. Chiudono dunque con Magnificat una scaletta che, come vedete, parla da sé.

SETLIST BENEDICTION
Nightfear
Nothing On The Inside
Unfound Mortality
They Must Die Screaming
Suffering Feeds Me
The Grotesque
Jumping At Shadows
I Bow To None
The Dreams You Dread
Magnificat


ANNEKE VAN GIERSBERGEN (T-stage)

a cura di Carolina Pletti "Kara"

Anneke van Giersbergen non ha bisogno di lunghe presentazioni: l'entrata in scena della sua voce nella band olandese dei The Gathering ha segnato un momento importante nella storia del metal, pur avendo contribuito all'allontanamento graduale ed inesorabile di quella band dal metal propriamente detto. Innumerevoli gli ascoltatori che sono rimasti stregati dalla sua voce piena ed ammaliante, così come dal suo fascino spontaneo e dal suo splendido sorriso. Dopo essere uscita dai The Gathering nel 2007, la cantante è apparsa come guest vocalist in diversi album rock e metal, ha collaborato stabilmente con Devin Townsend è si è dedicata ai sui progetti solisti, prima sotto il moniker Agua de Annique, poi semplicemente come Anneke van Giersbergen. È proprio sotto questo ultimo moniker che Anneke si esibisce sul T-stage. La proposta è quindi un rock alternativo che fa venire in mente altre band female-fronted come The Cardigans o Cranberries. È quindi probabilmente per via di questo genere inconsueto per un festival metal che lo spazio sotto al tendone non è affatto pieno, dato che i presenti sono lì quasi esclusivamente per la voce di Anneke, e forse anche semplicemente per vedere lei: a giudicare dall'età e dal sesso della maggior parte dei presenti davanti al palco, direi che si tratta principalmente di quelli che sono rimasti innamorati di lei dopo il suo ingresso nei The Gathering con Mandylion. Avendolo intuito, la cantante olandese propone tra i suoi brani anche Strange Machines ed un riarrangiamento acustico di Leaves, in cui viene accompagnata esclusivamente dal pianoforte. L'esecuzione vocale è perfetta e gli spettatori non possono che rimanere soddisfatti.


THE AGONIST (T-stage)
a cura di Carolina Pletti "Kara"

Più numerosi, anche se non eccessivamente, gli spettatori che si avvicinano al T-Stage per assistere allo show dei The Agonist. La band canadese, fautrice di un melodic death/metalcore ben studiato e di immediato impatto, si è da poco separata dalla vocalist nonché fondatrice Alissa White-Gluz, dato che quest'ultima ha sostituito Angela Gossow negli Arch-Enemy. Il posto al microfono dei The Agonist è ora occupato dala giovane Vicky Psarakis, una ragazza nota soprattutto per il suo canale youtube e con ben poca esperienza come frontwoman. Grazie al brano Disconnect Me, online già da qualche mese, Vicky ha già dimostrato di avere tutto quello che le serve per quanto riguarda le capacità canore, sia per il growl, sia per la voce pulita. Il dubbio che rimane, quindi è: riuscirà anche in sede live a non far rimpiangere la White-Gluz ai fan?
Mi spiace dirlo, ma purtroppo per ora la risposta è no, e non solo perchè Vicky ha ancora bisogno di un po' di rodaggio per quanto riguarda la presenza sul palco (non è male, ma è ancora un po' statica e spesso dà l'impressione di non sapere dove mettersi). C'è anche il fatto che non sembra essere ancora abituata a cantare in growl a lungo: nelle strofe più veloci fa fatica, e subito dopo non riesce a raggiungere le tonalità più acute (la sua performance in Thank You Pain, molto distante sia dall'originale che dalla sua cover che per un periodo girava su youtube, ne è l'esempio più lampante). In ogni caso niente di grave: è giovane e probabilmente con il tempo migliorerà. Oltre al fatto che pare che sia stata malata poco prima del festival, il che potrebbe aver influito negativamente sulla performance. Purtroppo, però, ora come ora è impossibile fare il confronto con chi la precede senza pensare che i The Agonist abbiano molto da rimpiangere.
La scaletta proposta in questa occasione tocca tutti e tre i full-length della band, in particolare l'ultimo Prisoners, oltre a proporre tre brani tratti dal prossimo album Eye of Providence (Disconnect Me, Dance Macabre e Gates of Horn and Ivory), in uscita a novembre. Purtroppo fino a circa metà scaletta la performance è penalizzata da suoni non ottimali, con la chitarra di Paco Jobin che si sente poco e male, soprattutto nella metà del tendone più vicina al palco. Fortunatamente le cose migliorano con Ideomotor, permettendo così al pubblico di godersi tutti gli assoli che la caratterizzano. Prima della successiva Predator and Pray c'è spazio per un intermezzo solo strumentale in stile svedese, con Jobin che incita il pubblico a battere le mani a ritmo ottenendo una risposta eccezionale da tutto il tendone, che nel frattempo si è parecchio riempito. Si chiude con due dei pezzi forti della band, ...and Their Eulogies Sang Me to Sleep e Business Suits and Combat Boots. Nonostante il cambio non favorevole di frontwoman ed i problemi tecnici che caratterizzano la prima parte del live, il mio giudizio finale non è comunque negativo: i The Agonist sono musicisti in gamba e possono attingere da un repertorio di pezzi convincenti. Se la cantante riuscirà effettivamente a migliorare la sua performance dal vivo non avranno niente da invidiare a nessuno.

SETLIST THE AGONIST
Disconnect Me
Dance Macabre
Thank You, Pain
Panophobia
Gates of Horn and Ivory
Ideomotor
Predator and Prayer
...and Their Eulogies Sang Me to Sleep
Business Suits and Combat Boots


GAMMA RAY (Main Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Si torna sul classico con i power metaller tedesci Gamma Ray, uno dei gruppi principali del festival, che fanno propria una porzione considerevole del pubblico presente, rappresentando il punto di riferimento principale per gli amanti del metal classico in un festival che non nasconde di essere più incentrato sull’estremo e sul moderno. Cionondimeno, appunto, i supporter per i celebri sci-fi power metallers di Amburgo non sono affatto pochi e lo show è sufficientemente vario e interessante per attrarre anche non esperti conoscitori della band, categoria in cui mi sento di rientrare. La scelta di Avalon per l’apertura dello show è piuttosto singolare: trattasi di una lunga suite, che apre l’ultimo album, la quale brilla più per atmosfera e prestazioni solistiche che impatto, al contrario invece della successiva Heaven Can Wait. L’esecuzione strumentale è precisa, specie quella solistica di Henjo Richter, molto ispirata, oltre che impeccabile. D’altra parte lo stesso Kai Hansen è un frontman carismatico e divertente, che celebra il proprio passato negli Helloween con la cover della celeberrima I Want Out, intermezzata da un’enigmatica sezione reggae, con tanto di luci verdi e gialle sul palco, che non manca di divertirci. Con un sound chitarristico brillante, una sezione ritmica d’impatto, con la tipica doppia cassa ad elicottero, nonché un approccio vocale multiplo che direi eccezionale, i Gamma Ray sondano gran parte della propria discografia proponendo i classici essenziali, come l’immancabile Man On A Mission o la conclusiva Send Me A Sign, il cui ritornello masticabilissimo rende più attiva e sentita la partecipazione del pubblico.

SETLIST GAMMA RAY
Avalon
Hellbent
I Want Out (Helloween Cover)
Rebellion In Dreamland
Master Of Confusion
Man On A Mission
To The Metal
Send Me A Sign


CARCASS (Main Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Tornando nella mia area di conforto, lo show dei Carcass è decisamente uno di quelli da raccontare con dovuta perizia. Il sole è appena tramontato, la brezza estiva è quella tipicamente gelida di una Dinkelsbühl già autunnale (o ancora primaverile?), ma la pioggia non è una minaccia, per il momento: il contesto è appropriato per accogliere i chirurghi britannici del death metal, con tanto background ispirato alla cover del recente e acclamatissimo Surgical Steel, nonché i proiettori della cosiddetta Carcass TV, che ci deliziano con immagini di autopsie e simili delicatezze più che adatte ad accompagnare la musica dei nostri. L’apertura è però, come al solito, affidata all’inossidabile, nemmeno a dirlo, Buried Dreams, che prepara adeguatamente alla potenza sonora del quartetto – il suono delle chitarre è chiarissimo e definito, ma anche il basso si sente meravigliosamente, accanto al suono compatto delle casse e del rullante. La voce di Jeff Walker è un marchio di fabbrica del death metal stesso, e sfodera tutta la sua potenzialità già sul primo dei numerosi estratti da Necroticism, ossia Incarnated Solvent Abuse, che mette in gioco anche l’abilità e la precisione del giovane batterista Daniel Wilding, promettentissimo successore putativo di Ken Owen. Dopo una breve presentazione in tedesco, fortunatamente Jeff ritorna alla propria lingua madre, permettendomi di capire finalmente di cosa stesse parlando (cosa che non ho avuto la possibilità di fare spesso, data la densità considerevole di gruppi tedeschi). Uno spazio importante è giustamente lasciato all’ultimo lavoro, forte di un sound tirato a nuovo, dove melodia e impatto si amalgamano in pezzi dal taglio squadrato: riff taglienti e partiture di batteria incalzanti, così come chorus capaci di cogliere l’attenzione dell’ascoltatore. Assistere all’intrecciarsi degli assoli di Bill Steer e quelli del nuovo chitarrista Ben Ash è impagabile, ma anche le parentesi tratte dai primi due album ottengono una veste totalmente nuova in sede live, riportando alla luce l’anima più truce dei Carcass, nonché il buon growl dello stesso Bill. Il pubblico accorso è davvero numeroso e non manca di tributare la band con grandi circle pit e anche un paio di wall of death più o meno azzeccati con il groove delle canzoni. Andrebbe sottolineato però l’azzardo, parrebbe da parte della crew dei Machine Head, di chiedere ai Carcass di tagliare di almeno 15 minuti il loro set, forse per montare il palco degli headliner che avrebbero suonato più tardi - così come va ricordata l’indifferenza di Walker che dopo aver affermato "È fastidioso suonare con qualcuno che ti dice quanti minuti mancano" continua a suonare tagliando al minimo le presentazioni dei pezzi, se non omettendole del tutto. Anzi, da dietro la batteria un roadie dei Carcass alza il dito medio verso qualcuno a bordo palco, e i nostri proseguono aggiungendo addirittura una Keep On Rotting In The Free World, non prevista in scaletta, tratta da Swansong, che Jeff ricorda aver venduto tante copie quante il debutto Reek of Putrefaction. Il finale è una vera e propria escalation che conta, tra le altre, l’incitata Corporal Jisgore Quandary (con il finale di The Sanguine Article dallo stesso album) e l’immancabile Heartwork, salutata da decine di temerari crowdsurfers. Così, soddisfatti per la piena e intensa performance, e un po’ scazzati per la scomoda richiesta di accorciare il proprio set (invero ignorata), i Carcass, con la frase "Goodbye, and enjoy Machine Head" lasciano il palco vincenti, dopo la migliore esibizione dell’intero festival.

SETLIST CARCASS
Buried Dreams
Incarnated Solvent Abuse
Cadaver Pouch Conveyor System
This Mortal Coil
Unfit for Human Consumption
The Granulating Dark Satanic Mills
Genital Grinder / Pyosisified (Rotten to the Gore) / Exhume to Consume
Captive Bolt Pistol
Corporal Jigsore Quandary / The Sanguine Article
Heartwork


HYPOCRISY (Pain Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Modo interessante per rilassarsi dopo un concerto come quello dei Carcass: anche gli svedesi Hypocrisy hanno il loro bel da dire su come suonare un death metal carico di melodia e spunti atmosferici. La formazione di Tagtren non è certo nota per il suo calore sul palco, e freddamente, con nessuna o poche parole, attaccano con un pezzo dopo l’altro. Le prime due battute sono lasciate ai due più recenti editi discografici, i quali riescono a inserirsi con efficacia in una scaletta, che data la durata di circa un’ora, prevede principalmente classici. Da Fractured Millennium a Killing Art, il ventaglio espressivo della musica degli Hypocrisy è totalmente manifesto, dai riff più aperti con le loro atmosfere surreali, all’incessante rincorrersi dei blast serrati di Horgh (batterista, peraltro, degli Immortal). Tra il continuo sondare le potenzialità comunicative del death metal, serpeggia sinistra la voce di Peter, dal growl, nelle parti più cupe, allo scream, che accompagna meglio le melodie. Per il resto, Tagtgren segue poco il copione da frontman, limitandosi a cantare, scapocciare e mostrare un paio d’occhiaie che di certo giustificherebbero la sua poca comunicatività, ma l’efficacia scenica dello show dei nostri è garantita dai giochi di luce sul palco, che ricordano quelli di un hangar, mentre dietro si alza una sottile nebbia tagliata talvolta dal vento freddo che accompagna Fire In The Sky. Un’intro maestosa ci risveglia per la classica Roswell 47, cantata a gran voce da tutti i presenti - ma l’apice qualitativo del concerto è raggiunto con l’intramontabile Adjusting The Sun, un ottimo connubio tra il classico riffage melodeath degli Hypocrisy e l’epicità delle loro strutture musicali quasi oniriche. Alla più cantabile Eraser è infine lasciato il compito di chiudere degnamente lo show, che è stato purtroppo privo, però, di qualche estratto dai primissimi anni di attività della band ormai ventiquattrenne.

SETLIST HYPOCRISY
End Of Disclosure
Valley Of The Damned
Fractured Millenium
Killing Art
The Eye
Warpath
Fire In The Sky
Final Chapter
Roswell 47
Adjusting The Sun
Eraser


MACHINE HEAD (Main Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Il palco dell’headliner del festival è bardato a dovere, con tanto di loghi tridimensionali del gruppo e bocchettoni per fiamme e fumo. In effetti, ricordo che gli stessi roadie dei Machine Head avevano cominciato a lavorarci già la notte prima, mentre i più stavano lasciando l’area concerti dopo lo show dei Testament, al quale lo stesso Flynn aveva assistito, peraltro. Tralascerò il fastidioso inconveniente con i Carcass, che non considererò oltre sia per assenza di ulteriori dettagli sia per sano disinteresse in onore dello show singolare sia degli uni che degli altri. Già ben prima che le luci si spengano, i cori "Machine Fucking Head" si alzano da ogni parte della gremita area antistante il Main Stage, che conta verosimilmente più di 20000 astanti. Allo spegnersi delle luci, l’intro di Imperium è accolta da scrosci di applausi e urla, così come l’ingresso dei musicisti. Il muro sonoro è schiacciante, il tono delle chitarre è corposo e chiaro, mentre quello della batteria e del basso sono incredibilmente dinamici e intensi e la qualità è tale che sembrerebbe quasi di ascoltarli su disco, ma con l’enorme carisma di Robb Flynn, uno delle personalità di spicco della scena metal e sempre in ottima sintonia con il proprio pubblico, sia che lo inciti a cantare, ad applaudire o a essere semplicemente il più caotici possibile. Durante Locust una pioggia rinfrescante cade su di noi, e Flynn ne approfitta per ringraziare il pubblico irremovibile: "Si sta bene sotto la pioggia, Summer Breeze!", anche se questa sarebbe fortunatamente cessata di lì a poco, lasciando di nuovo spazio all’enorme circle pit nel cuore della vasca principale. Tra i momenti più particolari e sentiti va di certo citata Darkness Within, con il suo incipit acustico – una canzone dedicata alla musica, da parte di musicisti e, a loro volta, appassionati di musica, come ricorda Robb: lo stesso frontman elogia l’idea del festival come luogo d’incontro di fan e musicisti di stili musicali differenti, citando i gruppi che aveva personalmente seguito durante la sua permanenza al Summer Breeze, come i Down, i Behemoth, gli Ignite e i Testament. Anche la voce pulita risulta molto comunicativa, soprattutto accostata alle ottime armonizzazioni, acustiche e non, del pezzo. I pezzi successivi riportano al normale pace del concerto, con Davidian tra gli highlights assoluti, soprattutto sul coro "Let freedom ring with a shotgun blast!" che fa riecheggiare tutto il festival, assieme al basso esplosivo della new entry Jared MacEachern. In continuazione fiammate altissime si alzano fin quasi la struttura superiore del palco, distribuendo il proprio calore per anche un paio di decine di metri, specie su Aesthetics of Hate, il pezzo più tirato della setlist, in cui batterista Dave McClain da il meglio di sé con una precisione chirurgica, un tiro travolgente e un groove assolutamente trascinante. È poi lo stesso Robb Flynn a chiedere al pubblico di non zittirsi, per accogliere al meglio Zoli Téglás, il cantante della band melodic hardcore punk californiana Ignite, che canta assieme ai Machine Head la propria canzone Bleeding, inaspettatamente proposta live dai nostri, che l’avevano già coverizzata come B-Side del singolo Killers and Kings – una scelta particolare, ma che rappresenta uno stacco prima del finale tempestoso scatenato da Halo. Una chiusura perfetta, tra fuochi, getti di fumo e coriandoli, mentre la sezione solista di Phil Demmel lascia a bocca aperta - uno show spettacolare, condotto con la più estrema attenzione eppure apparentemente con grande spontaneità.

SETLIST MACHINE HEAD
Imperium
Beautiful Mourning
Locust
The Blood, The Sweat, The Tears
Ten Ton Hammer
Darkness Within
Bulldozer
Killers & Kings
Davidian
Aesthetics Of Hate
Old
Darkest Days / Bleeding
Halo


DEVIN TOWNSEND PROJECT (Pain Stage)

a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"

Per chiudere al meglio una giornata difficilmente dimenticabile, è assolutamente da non perdere il concerto di una delle personalità più poliedriche del panorama metal degli ultimi vent’anni, ossia il chitarrista/cantante canadese Devin Townsend e la sua eclettica combriccola di virtuosi dello strumento, pronti a proporci uno degli esempi più singolari di prog metal, tale da spaziare tra atmosfere industrial, spazi ambient, azzardi avantgarde e sonorità estremamente orecchiabili, quasi pop. Come se non bastasse, lo show di Hevy Devy è reso assolutamente unico dalla partecipazione di Anneke van Giersbergen, ex-The Gathering e interprete femminile in gran parte dei dischi di Townsend, la quale era presente al festival con il proprio progetto solista ed ha deciso quindi di accompagnare anche i DTJ con la sua splendida voce. Prima dello show, vengono proiettate sullo schermo dietro al palco alcune immagini, per lo più fotomontaggi, con il volto di Devin e le sue espressioni facciali inimitabili, photoshoppato in alcune locandine storiche come quella di Jaws o di Star Wars. Dopotutto, oltre che un compositore geniale, Townsend è anche un intrattenitore divertentissimo. Letteralmente: "Il Devin Townsend Project è venuto a portarvi un messaggio di amore e passione nella forma dell’heavy metal, anche se in una variante decisamente più melodica e addolcita, ma forse questo dipende dal fatto che siamo canadesi" oppure "Summer Breeze, questa non è estate per niente… dove sono le tette?" o ancora la mia preferita, subito dopo un errore di sincronizzazione della base, partita in anticipo mentre Devin stava ancora presentando la canzone Juular: "Ecco, questo è quello che si chiama un imprevisto… anzi, era tutto programmato, e se state registrando per provare il contrario, beh, fottetevi, perché io sono qua sul palco, e voi vi state gelando le palle là sotto". Ma al di là di questo, lo show è assolutamente fenomenale, uno dei più belli di tutto il festival. Dopotutto, c’è varietà da vendere, data l’enorme quantità di materiale da cui possono attingere, ossia l’onirico Ocean Machine, le composizioni più industrial di Devin Townsend solista o quelli della Devin Townsend Band, nonché la varietà di direzioni presa dallo stesso Project. Unici.

SETLIST DEVIN TOWNSEND PROJECT
Seventh Wave
War
Regulator
Deadhead
Numbered
Supercrush
Kingdom
Juular
Grace
Bad Devil


CONCLUSIONE

a cura di Carolina Pletti "Kara"

Con l'eclettico spettacolo di Devin Townsend si conclude un'altra entusiasmante giornata di festival. Una giornata che verrà ricordata dai presenti come "la giornata della gente rosa": tra le varie band esibitesi oggi sul Main Stage, infatti, c'era la famigerata band demenziale tedesca dei J.B.O. Fortunatamente nessuno di noi si trovava in zona durante la loro esibizione, perchè i simpaticoni hanno deciso di sorprendere il loro fedele pubblico sparando alla fine dello show una nube di polvere cosmetica rosa che ha inevitabilmente tinto vestiti, volto e capelli di tutti quelli che si trovavano davanti al palco. Un colore così tenace che una buona parte dei visitatori del festival sfoggiava sfumature di rosa fino al giorno successivo. Anche le pozzanghere nell'area Main Stage sono rimaste rosa fino a fine festival, così come il terreno davanti al palco. Un consiglio: se vi trovate a visitare un festival in cui suonano i J.B.O. e non avete un motivo particolare per assistere al loro spettacolo, allontanatevene il più possibile! Sono pericolosi e senza scrupoli!
Gente rosa a parte, questa edizione di Summer Breeze si sta rivelando davvero appagante: che il bill fosse eccezionale lo si sapeva già, ma anche i più ottimisti non avrebbero potuto aspettarsi una percentuale così alta di ottime esibizioni. Anche la qualità del suono è quasi sempre sopra alla media. Pochissime, per ora, le delusioni. Riusciranno i gruppi in programma nell'ultima giornata a mantenere così alta la media? Se siete curiosi di saperlo, l'appuntamento è a domani su queste pagine.

Foto di Stahlmann, Crucified Barbara, Deadlock, Benediction, Anneke van Giersbergen, The Agonist, Gamma Ray, Hypocrisy, Machine Head e Devin Townsend Project a cura di Vincenzo-Maria "Viç" Cappelleri


Foto di Primal Fear a cura di Nicolò Brambilla "Nicko"



Lizard
Domenica 31 Agosto 2014, 20.59.25
3
Grazie per la risposta Kara in effetti il primo anno riuscimmo a parcheggiare accanto alla tenda, ma in pratica non eravamo nel campeggio in effetti. Ora hanno recintato tutto e quest'anno in effetti il trasporto della roba è stato un vero esodo. Però tanto l'ingresso del campeggio quanto glin allestimenti dell'area concerti sono spettacolari. Quest'anno poi c'era anche la ruota panoramica
Kara
Domenica 31 Agosto 2014, 0.39.32
2
Dal canto mio leggendo i tuoi report e vedendo le foto mi sono fatta l'idea che l'Hellfest sia molto più spettacolare, anche come allestimento, ma molto meno comodo XD Al Summer Breeze almeno pianti la tenda davanti all'auto! Però non è sicuramente il festival da scegliere se si vogliono vedere gruppi veramente grossi come quelli che chiamano all'Hellfest.
Lizard
Sabato 30 Agosto 2014, 22.36.36
1
Bellissima giornata vissuta attraverso le vostre parole. A fine, mi piacerebbe chiedere a Nicko un paragone con l'Hellfest, ma ci risentiamo domani per questo
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Uno degli artwork ufficiali del festival
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