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QUA' ROCK RECORDS RELEASE NIGHT - BUG + PAOLA PELLEGRINI LEXROCK + NO ONE CARES + INSIDE MANKIND live @ Circus Club, Scandicci 31/01/2015
07/02/2015 (1908 letture)
O tempora, o mores!

C’è di che rimanere sorpresi, disorientati e sbigottiti.
Santa Maria del Fiore, il battistero di San Giovanni Battista e piazza della Signoria sono così vicine tra di loro, capaci di ricordarci a ognuno di noi il nostro grandissimo valore artistico e architettonico. A Santa Croce è facile trovare ancora qualche nostalgico studente di lettere e filosofia che, incuriosito dal Foscolo, vi si rechi a riammirare l’urne de’ forti per rinvigorire in sé l’immagine della cultura e della forza del nostro Belpaese. Dunque, com’è possibile che nella ricchezza della nostra terra, nella bellezza dei nostri centri e dei nostri squarci alberghi un così grande degrado socio-culturale? Per questo c’è di che rimanere sopresi, disorientati e sbigottiti.
E se proseguissimo, lungo una linea ideale, lungo questa strada? Ci ritroveremo a leggere alcune delle più entusiasmanti pagine della storia della musica proprio all’ombra del Torrazzo di Cremona, tra i timpani e gli archi inflessi d’ispirazione araba della basilica di San Marco a Venezia, al sicuro nelle piazze protette dalle mura di Lucca, tra i portici di Bologna e le bellezze storiche di Roma, per citare solo alcune delle più grandi e importanti aree musicali.
E se, inondati da tale bellezza, ci soffermassimo a osservare cos’è la musica, ai nostri giorni, in Italia, quale e quanto spazio ad essa siano dedicati nell’ordinamento educativo del nostro paese, cosa ritroveremo? Solo fumanti rovine, decadenti palazzi vuoti pieni di ricordi impolverati e un tangibile senso di abbandono che si propaga e si spande con decisa velocità.
La musica italiana – qualunque essa sia, beninteso! – vive soltanto di poche esperienze. Tutte, però, a specchio e ritratto della propria decadenza. Così, passiamo da un Sanremo sempre più deficitario, a reality-show dove, più che d’un esperienza musicale, si è spettatori di disgustose e inutili chiacchiere su come questa debba essere fatta e dove, spesso, a giudicare, non sono presenti musicisti affermati, ma interpreti oppure qualche conduttore che, in qualche modo, è o di moda o è passato di moda e, dunque, deve essere “resuscitato” mediaticamete.
Se, invece, volessimo ulteriormente limitare il campo e specchiare i nostri occhi sulla musica metal, il degrado è ancora maggiore. Per quanto il nostro Paese sia riuscito, nel corso degli anni, a ritagliarsi un ruolo, se non di primo piano, ma comunque preminente nello sviluppo della musica metal, ci ritroviamo ora ad abbandonare completamente i gruppi emergenti. La mancanza di una vera e propria “scuola”, come può essere definita quella finlandese, quella tedesca oppure quell’inglese o scandinava, la mancanza di un’unità d’intenti, ha finito con il ledere completamente ogni aspettativa e speranza per il futuro. Esistono dei gruppi, anche validi, che però hanno fortuna in quanto riescono a vendere all’estero, riescono ad appoggiarsi a grandi gruppi esteri. E in Italia, dove la cultura dovrebbe essere di casa e, di conseguenza, la capacità di ascolto, una mentalità aperta e curiosa verso nuove esperienze che possono sia piacere che risultare pessime, assistiamo al completo inaridirsi della suddette capacità. Il metallaro-medio si muove per i gruppi importanti, si lancia in discussioni in difesa dei propri idoli screditando le opinioni altrui, e non è raro assistere a gruppi che intraprendono lotte sui social network a causa di una recensione che non li ritrae come loro pensano di apparire. Si offre, così, ancora più spazio al degrado e alla putrefazione, quando invece mai come ora ci vorrebbe unità d’intenti, capacità di riesaminare se stessi e la propria posizione nel mondo, volontà di aiutarsi e di sostenersi.
Per questo, dunque, è quantomeno curioso vedere che c’è qualcuno che ancora crede nella musica. Certo, non sarà il baluardo dietro al quale rifugiarsi contro la tempesta di questi tempi orribili, né il punto fermo e inossidabile da cui ripartire per una “riforma” della concezione della musica rock e metal in Italia, ma è comunque apprezzabile lo sforzo profuso dalla Qua’ Rock Records, etichetta indipendente e no-profit della provincia Toscana, fondata da Gabriele Bellini e Giacomo Salani. L’obiettivo è quello di puntare sulle band emergenti, di dar loro almeno una possibilità per provare almeno a uscire dalle torme e dalle ombre dell’anonimato e della provincialità, cercando di far fluire il loro messaggio nel miglior modo possibile e di aiutarli, riuscendo così a dare loro un punto d’inizio, una solida base sulla quale appoggiarsi per poi muovere i propri passi. L’etichetta è stata fondata nel settembre del 2014 come naturale estensione dell’associazione culturale Qua’ Rock. Il manifesto di questa etichetta è rappresentato dalla compilation Qua’ Rock Shots uscita nell’estate dello scorso anno, da cui l’idea di formare un’etichetta volta a valorizzare i lavori di gruppi emergenti dell’underground, quali i Graves of Nosgoth e i Pulse-R, per citare alcuni dei gruppi “trainanti” dell’etichetta oltre a quelli che andremo ad esaminare nel report della serata.
Ribadisco, a scanso di equivoche letture, non è la Qua’ Rock Records il baluardo, né il punto da cui incominciare per combattere la decadenza imperante, ma è sicuramente una fioca luce di speranza in tempi che sono oscuri e che non prevedono ulteriori schiarite. Tuttavia, è mia ferma convinzione che sia dai piccoli passi che si possa in qualche modo rivitalizzare un movimento e una cultura che, per troppo tempo, è rimasta chiusa e immobile su se stesse, come incartapecorita su orpelli e gioielli di un passato glorioso avvertito come pesante e scomodo.
Ora, e ve ne prego, scusatemi e, dopo questa sentita ma fin troppo lunga “apostrofe”, vado al succo del discorso, ovvero il concerto!

BUG
Ad aprire la serata è il chitarrista Bug, alias Lorenzo Meoni. Il giovane chitarrista presentava Alpha, un concept album che va ad esplorare tematiche distopiche già riscontrate nella letteratura di fantascienza, come uno dei capolavori di Philip Kindred Dick, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, da cui è stato tratto il film di Ridley Scott “Blade Runner”, sulla dicotomia esistenziale tra l’uomo e il cyborg, in questo caso specifico Lorenzo stesso e il suo alter-ego Bug.
La curiosità era abbastanza palpabile, dal momento che le tematiche vengono svolte e sviscerate in canzoni unicamente strumentali e da Lorenzo solo, che si è occupato in sede di registrazione di ogni arrangiamento e ogni strumento. La prova è stata veramente convincente. Le canzoni scorrevano fluide alle orecchie dell’ascoltatore, ben equilibrate da momenti di pura melodia e di razionale confusione armonica a voler sottolineare la schizofrenia sintomatica del lavoro, offrendo allo stesso tempo spaccati più riflessivi e di scapellamento puro. Bug, inoltre, riesce nel difficile compito di reggere bene il palco da solo, offrendo allo spettatore anche una approccio oltre che intellettuale anche visivo delle trame del concept. Purtroppo, però, la resa sonora del locale ha un po’ disturbato Lorenzo (come anche gli altri, come vedremo più avanti) e, di quando in quando, le basi sono risultate unicamente un impasto di suoni poco chiaro e, i suoni della chitarra, alle volte troppo acuti e un po’ fastidiosi. Ma la bontà della proposta musicale e delle sue capacità, erano comunque sotto gli occhi di tutti: come ho già detto, i pezzi risultano fluidi e ben studiati, svariando su più influenze, dai Meshuggah agli Animals As Leaders fino alle melodie di stampo più maideniano. Dunque, un buon inizio.

SETLIST BUG
1. Tears of Silicon
2. Ethernet Express
3. Formatted
4. No Parameter
5. Remove My Circuits
6. Synchro
7. Overclock


PAOLA PELLEGRINI LEXROCK
Dopo l’esperienza di Bug, l’ambiente si acquieta un po’ e siamo liberi di rilassarci con la musica meno intellettuale e nootica di Paola Pellegrini LexRock. Una piccola gag apre il concerto: al bassista Mauro Gabbani si scarica la pila del basso e, dunque, si trova costretto a chiedere in prestito il quattro corde di Andrea Moroni, bassista dei No One Cares. Ottenuto il prestito (con diritto di riscatto, come suggerirebbe il buon Galliani), si procede all’accordatura che, da un DO, deve necessariamente scendere in MI e, sinceramente, da bassista, mi sono immaginato le bestemmie del buon Mauro per una situazione ai limiti del kafkiano.
Ma torniamo a noi. Paola Pellegrini, frontwoman e chitarrista, è una scrittrice e avvocatessa penale del Tribunale di Firenze, giunta al suo album d’esordio, Dreams Come True. Ovviamente, da questa premessa, capirete perché parlerò in maniera sublime di questa determinata esibizione (faccina sorridente!). Scherzi a parte, la performance dell’avvocatessa è un concentrato di energia e di forza che offre un attimo di scapellamento liberatorio e di rilassamento condizionato a un’offerta musicale più leggera della precedente: un buon hard rock vecchia scuola con alcune influenze punk, il tutto ben rafforzato dalla carica dinamitarda del batterista Mirko Steel. Innanzitutto, mi sento di fare un plauso al gruppo dal momento che era pochissimo tempo che provavano insieme ma, comunque, al netto di qualche errorino per ovvie ragioni, ha messo insieme un’esibizione godibile e interessante. Paola si è destreggiata molto bene nel duplice ruolo anche se, in alcuni momenti è risultata un po’ legnosa, forse proprio per le ragioni di cui sopra. Purtroppo, anche con loro, ci sono alcuni problemi tecnici: in questo caso è la voce a mancare, soprattutto nelle prime canzoni del lotto. In ogni caso, il pubblico si diverte e si gode la performance, che in definitiva è più che sufficiente e un piacevole diversivo all’interno di una serata all’insegna del metal.

SETLIST PAOLA PELLEGRINI LEXROCK
1. You Will Not Wait For Me
2. Hello Man
3. Love Is Near
4. Love My Game
5. Senza difesa
6. Amore abissale
7. Take Me


NO ONE CARES
Ancora un cambio di atmosfere. Dall’hard rock di Paola Pellegrini, passiamo al nu metal dei pistoiesi No One Cares che presentavano il loro esordio Dirty.
Sinceramente, ero un po’ scettico, non essendo un grande amante del genere. Ma i No One Cares, trascinato dal vulcanico, istrionico e irriverente Matteo Turi e dalla carica di Elena Giraldi, mettono su un’esibizione elettrica, coinvolgente e divertente. Matteo Turi si destreggia molto bene tra un cantato pulito e uno scream molto acido, coinvolge e invoglia il pubblico, mostra il posteriore, saltella, scende dal palco per incominciare un pogo che stava a fatica prendendo vita, scapella, gioca con i membri (e il membro del chitarrista, in un’occasione) e trascina letteralmente l’intera formazione. Ma come non poter sottolineare la potenza ritmica di Elena, capace dopo nemmeno un minuti di concerto di spaccare già le bacchette? I pezzi scorrono forti e possenti come un martello pneumatico in una biblioteca anche se, pure qua, purtroppo, non ci salviamo da alcuni inconvenienti tecnici che, all’inizio, ci consegnano un basso fin troppo basso (pessimo gioco di parole, lo so) che, in qualche modo, fa un po’ storcere il naso. Tuttavia, ogni cosa è nascosta, ogni piccolo errore e imperfezione è perdonata: l’importante era coinvolgere il pubblico, trascinarlo e coinvolgerlo. Questo è il senso e l’obiettivo della musica. Come detto, Matteo Turi scende, si destreggia in un pogo selvaggio e, non contento, per l’ultima canzone fa salire un membro del pubblico, al secolo Gennaro, per cantare l’ultima canzone, No One Cares, vero e propria canzone anthemica che ottiene un discreto riscontro anche nel pubblico e che, non lo nego, ho intonato io stesso.

SETLIST NO ONE CARES
1. Intro (“Lux Æterna” di Clint Mansell da “Requiem for a Dream”)
2. Intolleranza
3. First/Last
4. Bored
5. Born For This
6. Niente da perdere
7. Rock n’ Roll
8. Lymphoma
9. No One Cares


INSIDE MANKIND
Giungiamo, infine, divertiti e carichi, con l’esibizione degli Inside Mankind, alla conclusione di questa serata.
Il gruppo aretino presenta il proprio Oikoumene, un concept album intricato e affascinante sull’inconsapevolezza umana nei confronti della vita, che propone Dio come guida ed elemento capace di aiutarci a superare momenti di smarrimento. Inoltre, al concerto, si presentava Antonio Trevisi, nuovo tastierista del gruppo che, purtroppo, essendo stato inserito da pochissimo, ha offerto ben pochi momenti per mettersi in mostra.
Sul cantato lirico a cappella di Claire Briant Nesti, stupendamente evocativo, si apre un’esibizione incredibilmente sublime. Il gruppo offre un progressive metal estremizzato, molto più vicino all’esperienza canadese degli Augury e dei Beyond Creation che alle ritmiche e alle tematiche dei Dream Theater, pur offrendo alcuni spaccati più vicini a quest’ultimi. Su tutti è da sottolineare la prova di Claire Briant Nesti, padrona del palco, della propria voce e capace di offrirci una prova da brividi soprattutto sui pezzi più intimistici e riflessivi, e di Christian Luconi, bassista dal grande gusto tecnico ed estetico, autore di linee di basso mai banali e capaci di risaltare melodicamente e armonicamente tra le trame della chitarra di Francesco Monaci.
Le canzoni, anche qua, sono state un po’ oggetto dell’acustica stranamente deficitaria del Circus che, in alcuni punti, soprattutto nei più intricati tecnicamente, ha offerto un pastone con le punte della chitarra a disturbare insieme al rimbombo della batteria. Tuttavia, anche qua, la padronanza tecnica e la presenza del gruppo ha permesso di superare lo scoglio che, a fine concerto, si è visto chiedere pure un bis.

SETLIST INSIDE MANKIND
1. Out of the Loop
2. Forty
3. Phariseum
4. Uneasy
5. Keep Me By the Stars
6. Human Divine (Parte II, Divine; Parte III, Oikoumene)


Dunque, per concludere, non posso che ritenermi soddisfatto essendo stato ospite a una serata interessante, dove è stato possibile vedere all’opera gruppi emergenti, interessanti e, si spera, di sicuro avvenire. Come ho già avuto modo di dire nella mia oltremodo lunga introduzione, per la quale mi scuso e spero di esser perdonato, è stato un bel diversivo e una grande prova di coraggio della neonata Qua’ Rock Records. La speranza è che sia una piccola luce che possa ispirare anche ad altri di compiere passi in tal senso, in modo da poter rinverdire la scena musicale italiana, di poter finalmente uscire da quest’aura di degrado e decadenza nella quale ci ammantiamo consapevolmente.



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