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19/04/24
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BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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COSA STIAMO REALMENTE ASCOLTANDO? - PARTE 1 - La psicoacustica e i mezzi di ascolto
18/12/2015 (2112 letture)
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Avete mai pensato a quanto sarebbe interessante ascoltare musica, sapendo che quello che sta arrivando alle vostre orecchie è esattamente l'idea che gli artisti avevano in mente di realizzare? Sentiamo spesso i musicisti parlare di come -grazie a mesi di lavoro in costosi studi di registrazione- siano riusciti a mettere su cd esattamente quello che avevano progettato e di come gli ascoltatori rimarranno contenti del risultato.
C'è però un problema. Come in moltissime arti, è assolutamente impossibile che il rapporto tra chi produce l'arte e chi ne fruisce sia totalmente diretto, perché vi sono sempre dei mezzi tecnici coinvolti e soprattutto ci sono i sensi umani che, per quanto standardizzati dall'evoluzione, hanno sempre delle differenze che vanno tenute in considerazione. La musica in questo senso è un caso estremamente emblematico, perché per fruirne bisogna fare affidamento su un senso come l'udito che è soggetto a molte variazioni e differenze tra individui; andando ancora più a monte: ciò che arriva ai nostri sensi imperfetti è frutto di un procedimento tecnico lungo e complesso, che dall'incisione all'ascolto contiene un numero inenarrabile di variabili. Lo scopo di questi articoli è proprio cercare di spiegare queste variabili in maniera comprensibile, in modo da rendere chiari gli elementi che entrano in gioco durante un processo come l'ascolto, che appare tanto naturale agli appassionati di musica, ma che in realtà racchiude piccoli dettagli che possono poi portare a grandi conseguenze. Verranno utilizzate come supporto alcune immagini, sia reperite in rete, sia prodotte dal sottoscritto con l'ausilio di software di analisi audio dedicati e verrà presa come campione (leggerete poi in che modo) un brano, che vedrete analizzato nei formati commerciali più comuni. I due macro-argomenti che andremo a considerare sono:
1. Elementi fondamentali di psicoacustica, per meglio capire quanto influisca il nostro apparato uditivo nell'ascolto
2. L'importanza del mezzo di ascolto, con una particolare attenzione per i formati audio digitali più comuni, elemento fondamentale in questi tempi di costante smaterializzazione dei supporti.
LA PSICOACUSTICA L'orecchio umano è un organo estremamente complesso, ma -in breve- lo scopo di tutta la sua architettura è quello di convertire vibrazioni dell'aria in impulsi nervosi, che verranno poi processati dal nostro cervello. Per nostra costituzione un orecchio umano giovane e in perfetta salute è in grado di udire i suoni posti (parlando di frequenze) tra i 20 hz e 20 khz (20.000 hz), con una naturale predisposizione a sentire in modo più definito nell'area compresa tra i 2 khz e i 5 khz e una -sempre naturale- minor definizione più ci avviciniamo alle due estremità del range uditivo, come viene mostrato nella prima immagine (contrassegnata dal numero 1). Quello che vedete è un audiogramma, ovvero una rappresentazione su grafico cartesiano della capacità uditiva degli esseri umani. Sull'asse della ascisse troviamo il range per intero delle frequenze e su quello delle ordinate i decibel (la misura dell'intensità del suono). Nell'immagine in esame non vedrete riportati i valori specifici in db, ma vi basterà immaginare che il valore sia 0 all'intersezione dei due assi e che aumenti più si va verso l'alto. Noterete una curva che traccia -più o meno- una lettera U: quello è l'indicatore della soglia di udibilità e -come potete vedere- questo non è uniforme in tutto il range di frequenze. Difatti, le frequenze più basse e più alte hanno una soglia molto più alta rispetto a quelle -ad esempio- in corrispondenza dei 2 khz, dunque richiederanno un'intensità sonora (in decibel) maggiore per poter essere percepite e la percezione avverrà -idealmente- appena supereranno la soglia indicata nel grafico. La curva che invece si trova più in alto rappresenta la soglia del dolore: se i decibel ad una data frequenza prodotti da una qualsiasi fonte sonora la superano, si avvertirà dolore e vi potrebbero essere danni permanenti all'udito. Se ognuno di noi si sottoponesse ad un test dell'udito, creerebbe senz’altro degli audiogrammi diversi (tra l'altro ogni test ne produce due perché è molto comune -se non certo- che vi siano delle differenze percettive tra orecchio destro e orecchio sinistro). Dunque, se voleste avere un'idea precisa del vostro range uditivo, potreste sottoporvi ad una visita specialistica, durante la quale mediante l'ausilio di macchinari che riproducono dei toni (frequenze pure) i medici saranno in grado di valutare le capacità del vostro orecchio. Generalmente soltanto i bambini sani riescono a sentire al meglio delle possibilità garantite dalla biologia all'essere umano. Con il passare degli anni, infatti, si subisce una naturale degenerazione dell'orecchio che può portare diversi problemi nell'udire determinate frequenze (alcuni di voi ricorderanno delle -tanto pubblicizzate- suonerie per cellulare che i professori non potevano sentire); il problema più comune è la diminuzione della sensibilità alle alte frequenze, che può arrivare anche a non far sentire nulla (se non ad altissimi db) al di sopra dei 14 khz o addirittura meno, anche se l'orecchio, nel suo degenerare, può anche avere delle zone di minore sensibilità in altre parti dello spettro. La degenerazione non è solo un processo naturale inevitabile, ma può essere accelerata sia da malattie che colpiscono l'orecchio (come le otiti) e sia sottoponendo a lungo o molto spesso l'udito a volumi molto alti, anche se apparentemente il nostro orecchio non sembra risentirne. Ad alcuni può sembrare una stupidaggine, ma ascoltare musica ad alto volume (soprattutto in sede live) può portare nel lungo periodo a danni all'udito irreversibili, non solo il classico acufene (fischio persistente nell'orecchio che può svanire dopo qualche giorno, come non sparire mai più), ma anche a degenerazioni nella sensibilità che potrebbero pregiudicare non solo le nostre capacità sociali (diventando a 40 anni come quei vecchietti a cui dovete ripetere tre volte le stesse cose prima di farvi capire), ma anche quelle di semplici audiofili, visto che chiaramente l'ascolto di una qualsiasi canzone risulterebbe irrimediabilmente compromesso (a meno di progressi della medicina in questo campo). Se permettete la parentesi, in merito vale la pena aggiungere: sarà poco “true” sarà da “fighette”, ma visti i volumi improponibili a cui spesso veniamo sottoposti durante i concerti (o durante le prove per chi suona), non bruciatevi la possibilità di ascoltare altra musica in futuro, usate i tappi. Ormai ne sono disponibili in commercio svariati modelli a prezzi estremamente popolari, che abbassano i db percepiti (a seconda del filtro utilizzato) senza però alterare più di tanto le frequenze prodotte e quindi senza quel fastidioso effetto “ovatta” che si ottiene con normali tappi di gommapiuma. È una soluzione sicuramente estrema, ma -finché i fonici non rinunceranno a sottoporre il pubblico a pressioni sonore assolutamente sproporzionate rispetto alle dimensioni dei locali in cui si tengono i concerti- questa rimarrà una delle soluzioni più efficaci per salvaguardare il nostro udito, senza nel contempo rovinare la nostra esperienza live.
La psicoacustica studia anche fenomeni come il mascheramento dei suoni, ovvero la mancata percezione di fonti acustiche quando queste vengono accostate contemporaneamente o in un momento molto vicino a fonti acustiche di intensità maggiore. Banalmente, una voce verrà udita molto più facilmente in una stanza silenziosa che in mezzo ad una strada affollata, dunque la stessa voce per essere nuovamente percepita in quel diverso contesto dovrà innalzare la sua intensità (sempre espressa in db). Se i suoni sono sulle stesse frequenze il mascheramento sarà totale, altrimenti in casi più complessi tendenzialmente suoni più bassi tenderanno più facilmente a mascherare suoni più alti (anche se chiaramente con la giusta intensità potrà accadere anche il contrario). Anche in questo caso, la quantità di variabili è enorme: i suoni a seconda di frequenze e intensità possono mascherarsi parzialmente o totalmente, se pensate che la sensibilità alle frequenze varia singolarmente da orecchio ad orecchio capirete da voi la complessità nella percezione di simili effetti quando qualcuno di noi ascolta una fonte sonora complessa come una canzone.
Come scritto in precedenza, il suono è una vibrazione dell'aria che il nostro orecchio traduce in un impulso nervoso. Questo vuol dire che percepiamo un suono quando il nostro orecchio avverte una sollecitazione che, tuttavia, per essere correttamente percepita come suono, deve durare più di 10 millisecondi (ms). Come potete vedere dalla seconda immagine, quando si manifesta, il suono produce un attacco (transiente o transitorio d'attacco), un'inerzia che fa partire la percezione e che raggiunge un picco, per poi passare subito per un decadimento (decay), un momento in cui si mantiene costante (sustain) e infine uno in cui lentamente va a spegnersi (release). Questi passaggi differiscono moltissimo a seconda di cosa produce il suono: se restiamo nel campo della musica, il suono di un rullante si evolverà in maniera chiaramente diversa da quello di un violino. Dunque, quello che l'immagine mostra essenzialmente è la dinamica di un suono, che in campo musicale può venire controllata per creare una certa coerenza all'interno di un mix durante la produzione di un disco, ma che se maltrattata può risultare standardizzata, troppo compressa (se avete qualche conoscenza più tecnica avrete già capito che quei parametri che vi ho prima illustrato vengono controllati da qualsiasi tipo di compressore) facendo suonare una nota, una traccia o addirittura l'album intero (cosa molto comune oggigiorno a causa della cosiddetta loudness war) in modo piatto ed anonimo.
Cosa c'entra però tutto questo discorso con i citati formati audio digitali? Semplice, quando furono concepiti i vari formati lossy (Mp3, Ogg Vorbis, Wma), si tennero a mente proprio queste caratteristiche dell'orecchio umano. Un formato lossy è per definizione un file audio che ha perso qualcosa nella qualità per ridurre il peso in byte e risultare così più comodo da salvare su hard disk ridotti o per impiegare meno traffico internet in caso di streaming. Se si voglia quindi rimuovere parti di un file audio per snellirlo, quali si andranno a scegliere? Chiaramente, quelle che -naturalmente- è meno probabile poter percepire. Si andranno dunque a tagliare soprattutto basse e altissime frequenze, recuperando così spazio cercando di rovinare il meno possibile lo spettro sonoro, assecondando proprio quella soglia di udibilità ad U che avete visto prima nell'audiogramma. Come però avrete potuto capire, ognuno di noi percepisce i suoni in modo diverso e dunque ascoltando un file lossy potrà capitare che manchi qualcosa che in realtà avremmo potuto sentire. Ma non sono solo questi i problemi che affliggono questo tipo di formati, ma li vedremo nel dettaglio più avanti.
MEZZI DI ASCOLTO E FORMATI DIGITALI In un mondo sempre più intento ad ascoltare musica commerciale, piatta, pompata, priva di sfumature e dettagli, quello che un amante della Musica può fare è cercare di aprire il più possibile gli occhi, per vedere tutte le storture che affliggono quest'arte e cercare di ascoltare il tutto con una consapevolezza diversa. Siamo talmente abituati a sentire musica dalle radio (magari al volume più basso possibile imposto dagli altri passeggeri dell'auto o dagli altri presenti nella stanza), dalle casse microscopiche di un portatile o dagli auricolari da 5 euro del supermercato, che spesso rimaniamo affascinati quando ci capita di sentire qualcosa da un impianto hi-fi o da delle cuffie decenti. Affascinati...di fronte a quella che dovrebbe invece essere la normalità. Spesso abbiamo una visione distorta dei mezzi di ascolto, temiamo di dover spendere cifre improponibili e di dover fare investimenti al di fuori della nostra portata per poter ascoltare della musica in maniera corretta. È vero che i materiali di qualità costano, ma è anche vero che si trovano delle ottime alternative dal punto di vista del rapporto qualità/prezzo, senza però doversi dissanguare e soprattutto acquistando e gestendo l'acquisto correttamente. Ad esempio: dal momento che il lavoro di produzione dietro un disco è davvero enorme, perché mai dovreste voler acquistare delle cuffie che pompano -per una loro deliberata caratteristica- i bassi, quando evidentemente questa scelta rovinerà quelle che aveva preso chi aveva registrato ed equalizzato l'album in una certa maniera? Perché dovreste voler usare equalizzatori sui vostri impianti, visto che alterano il risultato finale, magari andandovi poi a lamentare che il disco si sente male o che certi elementi sembrano sbilanciati? Vi possono essere certo dei casi dove un minimo di equalizzazione aiuta ad adattare la risposta dell'impianto all'ambiente in cui si riproduce, ma se siete in grado di fare correttamente qualcosa del genere non avrete certo bisogno di leggere questo articolo. Dunque, comprate l'impianto o le cuffie migliori che le vostre tasche possano permettersi (magari anche una piccola scheda audio esterna se usate molto il pc), sincerandovi però che la risposta in frequenza di cuffie e casse sia più piatta e neutra possibile (senza boost in zone arbitrarie dello spettro e con meno cali possibili) ed evitate assolutamente di toccare equalizzatori secondari; la perfezione non esisterà mai, però più ci avviciniamo e meglio sarà, soprattutto perché quello che ascoltate ha subito un mastering specifico per venire incontro ai vostri sistemi di ascolto non professionali.
Ora che avete un sistema di ascolto adatto, perché l'mp3 che avete comprato online (o che state riproducendo in streaming) si sente peggio di come ricordavate quando sentivate la stessa canzone da casse, piastra e cd/vinile? Purtroppo non bastano un impianto o delle cuffie decenti (oltre ad un buon udito), per ascoltare musica correttamente conta tantissimo la fonte che state riproducendo. Quando parliamo di musica digitale è necessario tenere a mente determinati termini e valori che ne regolano la relazione con il suono analogico (che viene convertito in digitale durante le registrazioni per mezzo di appositi sistemi come le schede audio).
La prima cosa da considerare è la frequenza di campionamento (espressa in hz), che è la misura del numero di volte in cui il segnale analogico viene misurato e “campionato” in modo che possa essere poi interpretato dalla macchina che lo sta elaborando. Si tratta dunque di un'analisi che porta (alle frequenze di campionamento giuste) ad un'approssimazione tale da rendere il suono digitale sostanzialmente uguale a quello analogico. Sostanzialmente, perché sarà il nostro orecchio a non notare delle differenze che invece chiaramente ci saranno perché, come detto, si tratta di un'approssimazione che -per quanto possa essere precisa- non garantirà mai una totale fedeltà al suono analogico originale (se volete approfondire questo argomento cercate informazioni riguardo al teorema di Nyquist-Shannon). La terza immagine vi mostrerà in maniera indicativa come funziona il procedimento, vedete in orizzontale la forma dell'onda e in verticale delle righe che rappresentano i punti in cui questa viene misurata. Una volta che il segnale sarà stato campionato andrà tradotto in un linguaggio comprensibile alle macchine, dunque in bit, ovvero l'unità di misura dell'informazione adottata dai computer che sfrutta il codice binario (0 e 1). Maggiore sarà il numero di bit a disposizione, maggiori saranno le informazioni che potranno essere salvate, con un conseguente aumento della definizione dell'audio (si tratta di un processo che chiaramente non coinvolge solo l'audio ma qualsiasi campo dell'informatica). Sicuramente, avendo a che fare con file musicali, avrete trovato la sigla kbps (magari accostata al tipo di file che state ascoltando), il cui significato è "kilobit per second" (kilobit al secondo) ed è un indicatore della velocità di trasmissione dei dati; ne avrete sentito parlare anche con il nome di bit-rate ed è essenzialmente la misura della quantità di dati necessari a riprodurre un secondo di audio. Un bit-rate più alto indica dunque una maggior quantità di informazioni che verranno riprodotte ad ogni secondo dell'ascolto del vostro file. È relativamente semplice calcolare il bit-rate di un file audio: prendiamo ad esempio quelli che trovate sui vostri cd. I cd sono campionati a 44.100 Hz (44.1 kHz) e vengono salvati a 16 bit, dunque il suono analogico da cui derivano viene campionato 44.100 volte in un secondo e questi campioni verranno salvati con una definizione di 16 cifre binarie. Il calcolo da eseguire è il seguente 44.100 x 16 x 2 (perché trattandosi di segnali stereo ci sono due canali) e il risultato è 1411.2 kbps che sarà dunque il bit-rate di un cd audio. Se siete abituati ai file mp3 e li “maneggiate” spesso vi sarete resi conto come il bit-rate di un cd sia più di quattro volte superiore a quello del migliore degli mp3. Si tratta ora di capire quanto questi formati ci facciano perdere durante l'esperienza di ascolto e cosa in particolare venga alterato nel loro processo di creazione. Per questo motivo: non perdetevi la seconda parte dell'articolo, in cui andremo più a fondo nell'analisi dei formati lossy più comuni, così da capire -una volta per tutte- quali siano i loro difetti e quali i loro pregi.
Fonti principali: http://www.maurouberti.it/psicoacustica/psicoacustica.html http://www.soundonsound.com/sos/apr12/articles/lost-in-translation.htm http://www.gennarovespoli.it/transitori_di_attacco_e_di_estinzione.htm http://www.elemania.altervista.org/adda/campionamento/shannon.html
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Condivido l'articolo, già quando brevettarono il CD ci fù il problema del campionamento della nota digitale infatti ben presto le case produttrici dotarono il lettori di filtri campionamento per rendere in segnale in ingresso dal supporto da digitale ad analogico. Potreste effettuare un altro esperimento utilizzando con lo stesso amplificatore con diffusori differenti non esclusivamente nella potenza ma nella costituzione dei materiali, tipo un woofer in polipropilene rispetto ad uno in kevlar...noterete come cambierà la musicalitaà del suono... |
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Complimenti. Articolo super interessante! |
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Giusto qualche giorno fa speravo in uno di quei begli articoli specialistici che, a mio parere, sono la parte migliore di Metallized. Eccomi accontentata. Articolo interessantissimo: leggerò sicuramente gli altri! |
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LAMBRU, o diventi prete o diventi gay. |
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Bravo Gianluca, articolo ben scritto e interessante! |
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Io vorrei un consiglio su come eliminare le frequenze più fastidiose, cioè quelle delle donne quando ti urlano offese e minacce direttamente nei padiglioni auricolari... |
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Complimenti a Gianluca che conferma ancora una volta la sua grandissima competenza su tutto ciò che è legato all'acustica e al suono. Sono articoli e redattori come questi che fanno di Metallized un sito davvero al top. |
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davvero interessante questo articolo. Complimenti! |
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aricolo molto interessante e ben scritto. anche io aspetto la prossima puntata. complimenti! |
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Bravissimo Gianluca, gran bell'articolo, hai trattato con chiarezza un argomento di per sè complesso e molto vasto! Attendo anch'io il seguito |
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bell'articolo, grazie mille. Molto interessante, ben documentato e ben scritto. Aspetto anche io la continuazione. Complimenti! |
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Bell'articolo! È una vita che osteggio gli equalizzatori! W il tracciato piatto!!! |
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bell'articolo, quello dell'acustica è un argomento che mi interessa molto e che ho bisogno di approfondire. |
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Complimenti Gianluca, ottimo articolo. All'alba del passaggio dall'analogico al digitale, il problema maggiore era registrare/riversare su supporto digitale (di solito i cari vecchi CD) la maggior quantità di musica alla migliore qualità, e quante volte ho dovuto spiegare perché un CD avesse al suo interno così poco "spazio".... Aspetto con impazienza la seconda parte, grazie e ancora complimenti |
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