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THE ARISTOCRATS - LaClaque, Genova (GE), 27/01/16
01/02/2016 (1848 letture)
"BELÌN, NAVIGATUR CHE FA MAC ED CASÌN"
Il piacevole viaggio sulla verdemare che collega il Piemonte alla Liguria stava procedendo senza alcun intoppo. Qualche gocciolina di pioggia, asfalto sdrucciolevole e tutor sempre pronti a regalare grandi emozioni al guidatore incauto che supera i novanta all’ora, ma nulla che lasciasse presagire una peripezia degna di un parto per trovare la location della prima data italiana del Tres Caballeros Tour, posta tra i vicoli di una splendida Genova sotto una flebile pioggerella a rendere il panorama ancora più affascinante. Uno spettacolo da godersi appieno…a meno che non abbiate un navigatore che, per qualche oscura motivazione, sia il peggior razzista della terra ligure. Infatti, una volta raggiunta la zona di Savona, il Tom-Tom comincia a dare segni di squilibrio e, una volta terminata la sopraelevata di Genova, ovvero quando il suo supporto era veramente necessario per trovare la location, ha deciso di impazzire del tutto, segnalando strade inesistenti e spegnendosi ogni cinquanta metri. Nemmeno solide imprecazioni in piemontese lo hanno smosso tanto che abbiamo girato allegramente in tondo per più di mezz’ora, prima di trovare un parcheggio ed addentrarci tra i vicoli, individuando il LaClaque. Fortunatamente, la previdenza di partire un po’ in anticipo, ci ha aiutati ad entrare nel locale praticamente a dieci minuti dall’inizio dello spettacolo, quando la sala del LaClaque, sobria ma accogliente, era già fortemente gremita di appassionati. Tra una versione di War Pigs all’hammond ed una bella musichetta da marcia, l’attesa per l’ingresso dei tre musicisti si fa spasmodica, mentre l’ambiente diventa sin da subito piuttosto caldo. Poco prima dell’inizio dello spettacolo, viene comunicata l’impossibilità di scattare foto col flash e di registrare video: regola che verrà fatta rispettare con ferreo vigore da uno degli addetti sul palco e motivo principale per cui il report sarà sprovvisto di fotografie.

THE ARISTOCRATS
Mentre la musichetta prosegue indomita, il trio fa il suo ingresso in modo piuttosto inaspettato. Diciamo che, per quanto mi riguarda, è stato forse l’ingresso più "a sorpresa" a cui io abbia assistito, in quanto né la musica sembrava essere il preludio all’entrata sul palco, né il gioco di luci ha preparato l’uscita della band. Eppure, appena la chioma riccia di Guthrie Govan fa capolino sul palco, seguito da Bryan Beller e da Marco Minnemann, il pubblico è già in delirio e mette in mostra tutta la sua rumorosità tipicamente italiana. Curioso siparietto tra Beller e Govan che, mentre si sistemano ed iniziano una soffusa jam per valutare i collegamenti degli strumenti, si scambiano un’occhiata e scherzano sull’impatto delle prime file, vicinissime al palco e davvero calde, a costituire un muro umano che dal loro punto di vista doveva essere abbastanza impressionante. Come di consueto, i The Aristocrats cominciano la propria setlist con il brano di apertura dell’ultimo disco, in questo caso Stupid 7, scritta da Marco Minnemann e deputata ad aprire le danze. Sin da subito, gli sguardi meravigliati del pubblico vengono catturati dalle diteggiature sciolte e, a tratti, incomprensibili di Guthrie Govan, il quale sciorina scale e accordi molto complessi con la nonchalance di un maestro di chitarra chiamato a suonare La Canzone del Sole per la sagra del paese. Minnemann dietro le pelli è il solito mostro, un orologio carico di estro creativo che dimostra una capacità davvero ai limiti dell’impossibile, unita ad una versatilità assoluta che spazia in ogni genere, senza mai peccare in groove e potenza esecutiva. Alla sua terza esibizione live che vedo, sono sempre più convinto che la scelta migliore che i Dream Theater abbiano fatto per la storia della musica, sia stata quella di scartare il batterista tedesco, a favore del meccanico Mike Mangini. Ultimo, ma non per questo meno importante, Bryan Beller, il quale, almeno per quanto riguarda i pezzi nuovi, sembra essere in repentina ascesa a livello tecnico ed esecutivo, rispetto alle precedenti esibizioni. Questa sensazione si accentuerà nel proseguo del concerto, anche se è molto probabilmente dettata da una sua maggior sperimentazione nel songwriting, piuttosto che un improvement vero e proprio del bassista, in quanto già all’esordio con i The Aristocrats aveva dimostrato una capacità esecutiva piuttosto elevata, messa un po’ in ombra solo dalla presenza di due veri e propri mostri in line-up. Seguendo il copione tipico di un live della band, si passa ad un pezzo scritto da Guthrie Govan che è il proseguo della storia che narra le vicende del ladro Jack, descrivendoci un’altra delle sue rocambolesche fughe in tempi dispari. Quando è il momento di Beller, viene tirata fuori la prima perla della serata ed uno dei piatti forti di Tres Caballeros, ovvero Texas Crazypants. Dopo un bel siparietto quasi da cabaret, dove il bassista americano ci racconta di come questa canzone sia nata da un incidente con il proprio camion con l’auto di una folle donna texana, il trio attacca con il consueto furore e ci regala un’esibizione pressoché impeccabile, come se stessimo ascoltato il pezzo in stereo. Devastante Marco Minnemann che esegue il blast-beat conclusivo ridendo con Guthrie Govan, senza mostrare il minimo segno di fatica o di problema nel riprodurre le proprie linee di batteria. Sul chitarrista inglese, forse forse, udite udite, in un certo momento del brano, pare che un armonico artificiale sia stato suonato lievemente fuori tonalità: se questa notizia fosse confermata, sarebbe la prima imprecisione udita dal vivo dal sottoscritto in tre esibizioni dal vivo. Un’imprecisione per circa sei ore di concerto complessivo nelle tre date a cui abbiamo assistito; c’è gente che venderebbe un rene e un polmone per saper suonare così, ne sono certo. Battute a parte, si passa poi a Pressure Relief, presentato da Minnemann che riceve l’applauso più caloroso grazie ad un "Belìn, quanta gente" davvero piuttosto genovese. La scelta del pezzo conferma come i nostri abbiano basato la loro scaletta quasi interamente sull’ultimo lavoro, lasciando un po’ in ombra Culture Clash e, ancor di più, il debut-album. Vista la qualità dell’ultima registrazione, non ci si può proprio lamentare. Al secondo album viene dedicato un intermezzo con la title-track, la cartoonesca Louisville Stomp e Desert Tornado, in cui Minnemann si diletta in un assolo di batteria capace di far cascare la mascella a chiunque, musicista e non, come al solito. Tornando su Culture Clash, è da menzione il siparietto tra Govan e Minnemann, con il batterista che si diverte a ritardare l’ingresso con il suo strumento e lascia spazio al chitarrista che, con una spontaneità incredibile, suona il riff in 6/8 sia a velocità supersonica, sia al rallentatore, con tanto di sapiente uso della whammy bar per simulare la riproduzione rallentata su un giradischi. Per definirli, c’è solo una parola: impressionanti. La chiusura viene dedicata alla sezione più country dell’ultimo album, ovvero la meravigliosa Smuggler’s Corridor ed il singolo The Kentucky Meat Shower, entrambi pezzi da novanta dedicati uno alla serie tv di enorme successo Breaking Bad e l’altro al particolare evento della pioggia di carne del Kentucky. Grande coinvolgimento del pubblico sui cori della prima, enorme cascata di mascella sulle linee chitarristiche di Govan sulla seconda. Quando è ormai tempo di chiudere, Beller decide di tagliare anche la consueta uscita ed entrata della band per l’encore, chiedendo semplicemente se volessimo ancora un nuovo brano. Il boato in risposta li convince a chiudere il concerto con la bella Get It Like That tratta dal debut-album. Quindi è solo più il momento degli inchini di fronte al pubblico, ovvero l’unico frangente in cui i tre “caballeros” non riescono proprio ad andare a tempo. E va bene così.

SETLIST THE ARISTOCRATS
1. Stupid 7
2. Jack’s Back
3. Texas Crazypants
4. Pressure Relief
5. Culture Clash
6. Louisville Stomp
7. Pig’s Day Off
8. Desert Tornado (with Drum Solo)
9. Smuggler’s Corridor
10. The Kentucky Meat Shower

---- ENCORE ----

11. Get It Like That


CONCLUSIONI
Il concerto è iniziato abbastanza puntualmente, verso le 21:30 e si è concluso due ore dopo, permettendo ai numerosi accorsi in giornata infrasettimanale, di non uscire troppo tardi dal locale. LaClaque è parso un luogo piacevole, accogliente e dalla buona acustica, con una sala sobria ma ben disposta per le esibizioni dal vivo, riuscendo a dare risalto al talento incredibile dei tre musicisti. Una volta finito il concerto, torniamo alla nostra macchina, rimuginando su come sia possibile che un musicista sia talmente bravo da riuscire ad impressionare per tre volte consecutive, pur sapendo benissimo ciò a cui avremmo assistito. Strani pensieri avvolgono la mente, pensando a clamorosi scambi di organi in cambio di talento; purtroppo, alla fine, il rene lo abbiamo dovuto vendere per pagare il parcheggio, quindi non ci è avanzato nulla per ottenere quelle capacità esecutive. Va beh, almeno abbiamo assistito all’ennesimo, trionfante e meraviglioso concerto di un trio straordinario. E tanto ci basta, anche per questa volta.

P.S. per la cronaca, il navigatore ha ripreso spontaneamente a funzionare una volta rientrati sulla Verdemare, avvicinandoci al Piemonte. Che cosa gli abbiano fatto questi liguri, proprio non riesco a spiegarmelo.



Elluis
Martedì 2 Febbraio 2016, 17.24.57
4
Ah ecco, infatti non mi ricordavo di aver inserito un secondo commento, haha !! Vabbè che l'età avanza e con essa anche il rimbambimento, però già a sti livelli...... ancora no !!
Monky
Martedì 2 Febbraio 2016, 15.46.22
3
@Elluis: ecco, questo è proprio il problema degli Smartphone...mi ha inserito pure il tuo nick nel Nome D: ahah
Elluis
Martedì 2 Febbraio 2016, 15.45.13
2
Alla fine sono arrivato proprio grazie all'app...
Elluis
Martedì 2 Febbraio 2016, 15.17.11
1
@Monky se hai uno smartphone, la prossima volta usa la app di Google Maps (che fa anche da navigatore), non sbaglia mai ed è sempre preciso
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