Cosa deve essere, per un uomo, avere coscienza della propria fine? Come deve essere, sapere in anticipo e con ragionevole approssimazione, quando avrà fine la propria vita e, soprattutto, come affrontare la cosa? Se l'uomo in questione è anche un artista e, per di più, uno dei più significativi degli ultimi 50 anni, come può gestire una faccenda del genere? La scelta operata da David Bowie non è stata solo e semplicemente l'unica possibile per un essere umano che ha affrontato la propria presenza su questa terra come un gigantesco show basato sulla musica e sulla teatralizzazione dell'interiorità, ma un vero e proprio testamento/opera d'arte. Un lascito andato oltre la semplice affermazione della propria esistenza per i posteri, ma si è fatto vera metabolizzazione, interiorizzazione dell'ineluttabile, del quale Bowie ha addirittura preso il controllo quasi fino alla fine, confezionando un estremo, commovente album. Di tutte le canzoni di quest'ultimo suo lavoro, Lazarus è la più intensa, la più significativa, la più toccante e magnifica, da analizzare necessariamente insieme al video che la riguarda. Perché ogni immagine, ogni nota ed ogni parola pronunciata, hanno un preciso significato
LA STANZA VUOTA Luce calda, un piccolo armadio in legno che si apre lentamente, all'interno c'è qualcuno o qualcosa, probabilmente l'anima viva dello stesso David nel suo momento più intenso. Una musica basata su un basso ed un sassofono che ricordano gli anni 80 più raffinati (quelli dello stesso Bowie, dei Joy Division), la macchina da presa che sale lentamente inquadrando un uomo disteso su un letto. La figura è scavata, gli occhi coperti da una grezza benda incrociata e sopra, due bottoni a simulare degli occhi. Fissi, inquietanti, senza vita.
Look up here, I’m in heaven I’ve got scars that can’t be seen I’ve got drama, can’t be stolen Everybody knows me now
Guardate qui, Sono in paradiso Ho cicatrici che non possono essere viste Ho un dramma, che non può essere rubato Tutti mi conoscono adesso
Voce sofferta, cosciente di ciò che è inevitabile ed anzi, forse è già interiorizzato, elaborato e considerato come fatto avvenuto. "Sono in paradiso". L'ambientazione del video, tuttavia, suggerisce un luogo di passaggio, una stanza spoglia da ospedale. Paurosa, in una certa misura, nella quale fare un ultimo bilancio, dalla quale lasciare un ultimo messaggio prima di transitare definitivamente oltre e prima che non ci sia più il tempo di farlo. Nonostante la spersonalizzazione del volto, David riesce ugualmente a trasmettere la sua angoscia, il suo smarrimento mentre si aggrappa alle lenzuola, il suo sentirsi come Lazzaro, morto/non morto, già segnato, ma non ancora deceduto del tutto, ancora in grado di tornare; forse. Valutato il tutto alla luce di quanto accaduto e considerando il fatto che David sapeva bene ciò che sarebbe accaduto di lì a pochissimo ed in quali condizioni fisiche doveva essere, a stupire ed a commuovere è l'anelito artistico col quale l'uomo ha affrontato la questione, dipingendo un quadro musicale che già dalle prime pennellate si proponeva come capolavoro. La stanza è vuota, l'uomo solo, ma il fatto stesso che il momento sia incorniciato da un testo ed una musica, rende non solo l'osservazione di un pubblico possibile, ma addirittura data per scontata, cercata. In ogni caso, per quanto il momento della morte possa essere controllato, esorcizzato, condiviso come in questo caso, si è comunque soli con le proprie cicatrici interiori che, in quanto tali, resteranno sempre al riparo da sguardo altrui. Ci sono cose che nessuno può vedere, nonostante i più approfonditi esami medici che hanno analizzato ogni anfratto del fisico del Duca. Tuttavia, per quanto tutto possa essere teatralizzato e reso catartico con l'arte, il momento estremo è comunque privato, unico. La condizione di malato ha costretto l'uomo a momenti in cui è stato inerme, tutti lo conoscono, adesso. Tutti hanno potuto osservare il suo corpo dentro e fuori, rovistarlo, scansionarlo, ma il piano di lettura è duplice. Dato che è lo stesso Bowie a fare della sua morte un dramma (non uno show), sua è anche la volontà di essere conosciuto fino al momento estremo, dopo aver vissuto gli ultimi mesi non solo in una condizione fisica per cui niente poteva essere celato, ma anche per una presumibile tristezza per una condizione di dipendenza da medici e macchinari che lo hanno costretto ad essere studiato in modi, possiamo immaginare, anche poco dignitosi. Basso e sax cuciono la loro nenia di distaccato dolore.
IRRAGGIUNGIBILE. COME UN CELLULARE SUL PAVIMENTO La camera si allarga, il protagonista lascia sconfortato le lenzuola alle quali si era aggrappato con un gesto di infantile difesa. Una mano accarezza il letto da sotto, Bowie si alza innaturalmente e lentamente. La sua paura aumenta, è nudo dentro.
Look up here, man, I’m in danger I’ve got nothing left to lose I’m so high it makes my brain whirl Dropped my cell phone down below Ain’t that just like me?
Guarda qui, amico, io sono in pericolo Non ho più niente da perdere Sono così sballato che il mio cervello è un vortice Il mio cellulare è caduto giù Non mi assomiglia?
La sensazione di essere in pericolo imminente e di non potersi difendere da qualcosa che non si può vedere, che può arrivare da un momento all'altro e trascinarti via, è desolante. Come quella mano che si muove furtiva mentre debole e sotto farmaci, non posso impedirgli di fare ciò che deve: aprire il vaso di Pandora dei ricordi. Niente da perdere, comunque. Solo la visione struggente di ciò che si era e non si può più essere. Ciò che deve accadere ormai accadrà, senza che si possa fare nulla per evitarlo. Mentre la telecamera si muove per assecondare le parole, dando l'idea di un corpo capovolto, fluttuante, David fa probabile riferimento proprio ai farmaci anti tumorali che fanno vorticare il cervello. La similitudine di sé stesso come un cellulare che cade verso il basso, simbolo odierno della nostra esistenza tecnologica e viene lasciato lì, proprio come il corpo terreno del protagonista, ormai incapace di riprenderlo nonostante la ridottissima distanza, è di una poetica contemporanea lancinante.
DANZANDO CON LA MORTE By the time I got to New York I was living like a king Then I used up all my money I was looking for your ass
Con il tempo ho avuto modo di (andare a) New York Vivevo come un re Poi ho usato su tutti i miei soldi Stavo cercando il tuo culo
Vi è mai capitato, nei momenti più difficoltosi, quando la mente affronta uno stress talmente alto da essere insopportabile, che il vostro cervello abbia elaborato una via di fuga ripescando dalla memoria immagini gioiose, rassicuranti, sedative e ve le abbia trasmesse come un narcotico endovena? Ecco; all'improvviso la mente, e con essa un simulacro di corporeità, torna ai giorni andati. Bowie è in piedi, il volto è liberato dalla maschera della malattia, gli occhi vivi e gioiosi. Indossa un costume "un costume conosciuto, che riporta alla mente tanti ricordi, in quanto è estremamente simile a quello utilizzato per un photo set del ’76, proprio in occasione dell’uscita di Station to Station". (dalla nostra recensione di Blackstar - NdA). Il Duca Bianco accenna passi di danza. Non sono disinvolti, ma la felicità di (credere di) poterli fare bambinesca. Dietro di lui una finestra irradia luce con taglio quasi caravaggesco, un'inquadratura studiata. Non sono i passi fluidi che vorrebbe poter fare, ma li fa, con un sorriso perso su un volto che sente per qualche istante di essere davvero nel 1976. Quando viveva da re ed era il re. Una vita fatta anche di eccessi, in tutti i sensi. Ma è solo illusione, un trucco della mente per non impazzire di paura. Lo stacco della camera mostra David ancora inchiodato al letto, mentre immagina/crede di essere in quella NY che lo ha visto all'apice. Poi le lenzuola vengono gettate via con gesto disperato mentre anche il Bowie danzatore è sopraffatto. Il farmaco mentale perde il suo effetto, la realtà ha il sopravvento, ammesso che la realtà abbia cittadinanza in quel luogo di passaggio.
L'ULTIMO MESSAGGIO DEL MAGGIORE This way or no way You know, I'll be free Just like that bluebird Now ain't that just like me? Oh I’ll be free Just like that bluebird Oh I’ll be free Ain’t that just like me
In un modo o nell'altro Sai, io sarò libero Proprio come quel sialia Ora non è proprio come me? Oh, sarò libero Proprio così quel sialia Oh, sarò libero Non è proprio come me?
Eppure, alla fine un pensiero si fa strada. Fiero e con gioioso. Qualunque cosa succeda, o meglio, quando ciò che deve succedere succederà, io sarò libero come un sialia. L'uccello citato (il bluebird o sialia, in italiano), è un volatile piuttosto raro, simbolo di felicità ed ottimismo. Giunto al momento di congedarsi, l'ultimo messaggio dell'ex Major Tom è di speranza. L'uomo è ancorato al giaciglio senza la forza di alzarsi davvero, ma cerca di volare via mentre il suo alter-ego scrive un messaggio su carta antica. Sembra finalmente aver trovato ciò che aveva da dire, le ultime parole da lasciare, una stilografica in mano a vergare un testo dopo aver trovato l'illuminazione, ambedue sono felici. Poi l'uomo dal passato sembra quasi implodere mentalmente in sé stesso, strisce di luce segnano la sua immagine mentre cerca di muovere passi che non riesce a coordinare, simulacro di corporeità. Il sax lacera l'atmosfera. La vita passata torna nell'armadio buio ed è finita. Con un sorriso convulso, è finita.
L'UOMO CHE CADDE SULLA TERRA. E LA CAMBIO' Può la morte diventare opera d'arte, mediante un preciso lavoro, per di più condotto contro il tempo e consegnare al mondo un testamento che è sia opera nuova, che rielaborazione del vecchio e della vita stessa? La risposta è un evidente, indiscutibile si, se la morte in questione è quella di David Bowie. Lazarus non è solo una canzone bellissima come pezzo singolo, non è solo un addio/arrivederci in musica e parole, ma un tassello di un'opera completa che non comprende semplicemente Blackstar, l'album che la contiene, ma si spinge molto, molto più in là. Lazarus è anche il titolo di un musical andato in scena off-brodway poco prima del trapasso dell'artista, ispirato al film L'uomo che Cadde sulla Terra del 1976 (non è una coincidenza), del quale vuole essere un sequel. Un sequel nello stile di Bowie, che sposta la comunicazione dal cinema al teatro, che non prevede Bowie in scena e, in realtà, più legato al romanzo di Walter Tevis del 1963 che non alla pellicola. Un'opera che narrava di un alieno il quale cadeva sulla terra e, impossibilitato a ripartire, assumeva il nome Thomas Jerome Newton, diventava membro di questa collettività e scalava posizioni sociali diventando miliardario. Poi la scoperta del suo segreto e il rapimento, gli esperimenti, le umiliazioni che lo svuotano di ogni volontà.
Ho cicatrici che non possono essere viste Ho un dramma, che non può essere rubato Tutti mi conoscono adesso
Un diverso, un alieno caduto in un mondo brutale, cattivo, incapace di comprendere il valore dell'unicità e dell'alterità, che alla fine cade nella prostrazione e nel ricordo di un mondo lontano, il suo. Proprio come nel video si ricorda del mondo perduto del re mentre indossa il suo cotume del 76. Tutto si lega, tutto combacia in un enorme mosaico del quale ogni singolo tassello è progettato per funzionare come cellula autonoma, come parte di un tutto e come tutto stesso. Un David Bowie capace di pensare, progettare, disporre, eseguire e completare un quadro d'insieme così grandioso e di fare della sua morte un atto totale e totalizzante mentre già moriva lentamente, ha composto certamente la sua sinfonia più grande e rispettabile. La sua interiorità più profonda regalata al mondo, allo stesso mondo che ha distrutto Newton, che probabilmente non conoscerà mai davvero l'uomo/Bowie né per come è vissuto, né per come è morto. Da artista assoluto, superiore.
Lazzaro di Betania, Lazzaro il resuscitato, Lazzaro il non morto, l'assistito da Dio. Oppure, detto nei panni di Thomas Newton: "Sono l’uomo che muore ogni giorno, ma non riesce mai a morire".
Bowie, infatti, non morirà mai. Che lo voglia o no.
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