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FATAL PORTRAIT - # 21 - Immortal
29/04/2016 (2626 letture)
Per qualsiasi appassionato della nera fiamma, gli Immortal non hanno bisogno di presentazioni. Tra i prime movers e tra le colonne portanti della scena black norvegese (e non solo), sono sempre rimasti fedeli alle proprie idee musicali, pur evolvendosi, e sempre caparbiamente lontani dalle vicende dell'Inner Circle. Inoltre, sono una delle pochissime band della second wave che sono riuscite a reinventarsi musicalmente, ottenendo (se non superando) il successo già ottenuto nella prima parte di carriera. Una formazione che, nonostante defezioni e cambi di line-up, è sempre stata sorretta dalla coppia Abbath-Demonaz, che è andata spezzandosi nel 2014 a causa di lotte legali per la gestione del marchio Immortal, che ha visto la sconfitta di Abbath.
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di ricostruire la loro gloriosa carriera con quindici, storiche canzoni.

1. The Call of the Wintermoon
Nel 1992, i nostri debuttarono sulla lunga distanza dopo un demo death metal (The Northern Upins Death) e un omonimo EP di due tracce (Unholy Forces of Evil e The Cold Winds of Funeral Frost) che virava su sonorità black metal. A tutt’oggi, Diabolical Fullmoon Mysticism rappresenta un capitolo a parte nella discografia dei norvegesi, nel quale sono ancora presenti numerosi tratti legati ad influenze esterne, in seguito epurati. Ecco dunque sezioni in mid-tempos, riff death-oriented frutto della precedente esperienza dei membri del gruppo in progetti quali gli Old Funeral, nonché parti di chitarra acustica. Abbath Doom Occulta, inoltre, non sfoggia ancora il suo tipico screaming gracchiante, bensì uno molto più acuto e per certi versi “classico”. L’impatto e lo spirito aggressivo della band si nota comunque già da questi esordi, e l'opener The Call of the Wintermoon ne è un perfetto esempio. Dopo un'apertura velocissima, il brano vira verso tempi medi, con la doppia cassa a dare un tocco di dinamicità in più. Le linee chitarristiche, le ritmiche della batteria e la voce sono particolarmente “catchy” e sopratutto il ritornello si stampa subito in mente. Il testo dimostra come la penna di Demonaz Doom Occulta, seppure leggermente influenzata da certi clichè satanici in voga a quei tempi, mostri già alcune caratteristiche tipiche del suo stile: si parla infatti, in prima persona, di un demone che si risveglia chiamato dalla luna invernale, un concept che ritroveremo più volte nel corso della carriera del gruppo. Meglio non soffermarsi invece sul videoclip realizzato per la traccia in questione, frutto dell'ingenuità e della giovane età dei musicisti a quell’epoca.

2. Blacker Than Darkness
Questa composizione risulta di particolare importanza, soprattutto dal punto di vista lirico, in quanto in grado di dimostrare che, nonostante una certa immaturità stilistica, il combo norvegese volesse già chiaramente creare un mondo proprio. Questo mondo prende il nome di Blashyrkh e questa è la prima canzone degli Immortal in cui esso viene citato:

Out in the black night
Cold Northern breeze
Under the red skies
Surrounded by blasphemous winds
Midnight passing and the moon is fulfilled
Slowly blackening the sky
I summon up where the ravens fly high
Towards the moon of Blashyrkh


Seppure qui venga appena accennato, negli anni successivi esso diventerà il tema centrale della band. All'interno del pezzo si nota inoltre la presenza, abbastanza evidente e inusuale, di numerosi riferimenti satanici. A questo proposito, gli Immortal hanno sempre affermato di non voler trattare nei propri scritti di politica o religione, bensì di lavorare sulle proprie liriche in sintonia con la musica allo scopo di creare una certa atmosfera. Appare quindi chiaro come tali riferimenti siano anch’essi probabile frutto di una certa già citata influenza esterna iniziale e di certi cliché black metal legati anche alla comprensibile inesperienza, ben presto superati.

3. The Sun No Longer Rises
Pure Holocaust fu un grande salto di qualità rispetto al già ottimo predecessore. Lo stile della band (linee chitarristiche taglienti, veloci ma melodiche, la batteria quasi costantemente in blast-beat, la voce gracchiante di Abbath Doom Occulta) andò delineandosi e la qualità del songrwriting si alzò in maniera netta. Inoltre, appare chiaro come i riff e le melodie che il buon Demonaz Doom Occulta disegnò lungo questo platter siano alcune delle più belle mai scritte nella storia del black metal, pervase dal gelo. Come se non bastasse, Abbath Doom Occulta si occupò in questa sede anche della batteria, con un'abilità eccezionale (Grim, che compare sulla sinistra in copertina e che è citato nei credits, in realtà si unì alla band solo in fase di missaggio, suonando successivamente con il combo scandinavo dal vivo). Fra i tanti pezzi di notevole caratura, emerge The Sun No Longer Rises, un capolavoro e da sempre un classico in sede live. Il suo inizio è caratterizzato dalla solita sfuriata con le melodie epiche della chitarra e il martellare incessante della batteria, che presto sfocia in un bellissimo mid-tempo, una vera e propria marcia. Sul finale torna a farsi sentire il riff iniziale e quindi la canzone termina nuovamente in velocità. Le lyrics di The Sun No Longer Rises trattano di una figura demoniaca che si aggira fra le foreste al tramonto ma, nonostante il protagonista sia un demone, appare chiaro come il contesto di tali testi sia avulso da qualsivoglia riferimento al satanismo.

4. As the Eternity Opens
Si è finora parlato di come in Pure Holocaust gli Immortal predilissero tempi veloci, eppure vale la pena trattare di una delle canzoni più lente presenti sull'album. As the Eternity Opens è infatti un epico mid-tempo, rimembrante sotto alcuni aspetti gli indimenticati Bathory, che verso la metà accelera di colpo, come a voler sfogare tutta la violenza trattenuta fino a quel momento. É però una sfuriata breve. Presto si ritorna su tempi più lenti e sul finale si ritagliano il loro spazio anche i synth, sotto forma di epici cori vichinghi. Anche in questo caso il testo tratta di un concept già più volte usato dal gruppo, ovvero il risveglio del protagonista da un sonno di morte.

5. Battles In the North
Alla vigilia dell'uscita del loro terzo full-length, gli Immortal vivevano in uno stato di grazia incredibile. Reduci da due tour internazionali, il Fuck Christ Tour in compagnia di Rotting Christ e Blasphemy e poi il Sons of Northern Darkness Tour, prima con il defunto Grim e poi con il grande Hellhammer dietro le pelli, si erano guadagnati fama e successo in tutta Europa, e non solamente a causa di spiacevoli fatti di cronaca come accadde per qualcun altro. Inoltre, moltissime band nascenti cominciavano a prendere ispirazione proprio dal combo di Bergen. La frase in bella vista nel booklet di Battles In the North è un monito a tutti loro.

The "Immortal" Single stand forever as a mark
against those who so pathetically tried to
follow us lyrically and musically...
"YOU ARE TRULY BENEATH US"


La title-track è uno dei brani più riusciti del disco, ancora una volta forte di un ritornello aggressivo e trascinante, uno dei punti di forza della band, che riusciva a essere “catchy” senza rinunciare alla violenza sonora. La qualità di registrazione, a causa di alcuni errori nella fase di missaggio, è peggiore rispetto a Pure Holocaust: le chitarre hanno un suono molto confuso e la batteria ha più volume sulla cassa (tra l'altro sgradevolmente triggerata) che sul rullante. Tuttavia, alla fine fa tutto parte del gioco e anche questo punto a sfavore diventa un pregio, in quanto ascoltando il disco sembra di ritrovarsi nel bel mezzo di una tempesta di neve. Lo stesso Demonaz si disse all’epoca molto soddisfatto del risultato:

È il nostro miglior album...Ha dieci tracce molto intense, e la produzione è esattamente quello che stavamo cercando... Ha davvero un sound glaciale... Il tema centrale sono ancora i regni demoniaci del reame Blashyrkh

Il testo di Battles In the North è difatti esso stesso un inno di guerra dei demoni che combattono sotto il segno del Blashyrkh, ancora una volta in prima persona.

6. Moonrise Fields of Sorrow
A chiudere il lato A del disco, per chi avesse la versione in vinile, troviamo Moonrise Fields of Sorrow, che funge quasi da spartiacque tra la sua prima e la seconda metà: essa presenta un riffing più melodico rispetto alle canzoni precedenti e anche un ritmo più lento, seppure l'onnipresente doppia cassa viaggi sempre su velocità altissime. Il testo mira a ricordare gli antenati vichinghi e incita la generazione moderna di far rivivere il loro spirito anche ai giorni nostri.

7. Blashyrkh (Mighty Ravendark)
Dopo nove tracce di pura aggressione sonora, il finale del monumentale Battles In the North è affidato alla mitica Blashyrkh (Mighty Ravendark), che rallenta notevolmente i ritmi della release, aggiungendo un deciso tocco epico al sound, divenendo un vero e proprio inno al “Mighty Ravendark” che domina le terre di Blashyrkh. La musica è sì più cadenzata, ma perde poco in potenza: l'ascoltatore viene infatti costantemente aggredito dal corrosivo scream di Abbath e i riff potentissimi di Demonaz. Solo sul finale viene concessa finalmente una pausa, con l’intervento di una tastiera e di una chitarra in clean che disegna degli arpeggi magnifici, che lasciano giusto il tempo di un ultimo assalto finale. Per questo brano fu realizzato un bellissimo videoclip che, insieme a quello di Grim and Frostbitten Kingdoms (che vanta come special guest Hellhammer) andrà a formare la VHS Masters of Nebulah Frost, degna conclusione di un capolavoro e probabilmente di un'epoca d'oro. Dopo questo disco, gli Immortal non saranno più gli stessi.

8. Mountains of Might
Il 1997 fu un anno particolare per il black metal e ovviamente anche per il combo di Bergen. Se da un lato arrivò infatti finalmente un batterista in pianta stabile, il talentuoso Horgh proveniente dagli Hypocrisy, dall'altro venne dato alle stampe il quarto album della formazione scandinava, Blizzard Beasts, l'ultimo con Demonaz alla chitarra, che in seguito sarà colpito da una violenta tendinite che gli impedirà di suonare alle velocità richieste dalla musica degli Immortal. Blizzard Beasts è dunque un album di transizione, che rappresenta uno spartiacque fra due fasi nella carriera del gruppo. Le canzoni sono spesso brevi e veloci e la produzione è molto fredda e tagliente, quasi a voler rendere meglio l'idea dei paesaggi gelidi e ostili di cui la band narra. Su tutte, spicca la melodica Mountains of Might, magnifica ed artica come le montagne del nord, introdotta da un evocativo tappeto di tastiere e interrotta nel mezzo da un bell'arpeggio. Questo è forse l'unico pezzo di Blizzard Beasts che verrà riproposto più volte in sede live, a testimonianza del fatto che ci troviamo davanti ad un disco non eccezionale, ma con tutta probabilità fin troppo sottovalutato.

9. Tragedies Blows At Horizon
Con la conclusione del Blizzard Beasts Tour, Abbath e Horgh si trovarono da soli alla guida del progetto Immortal: Demonaz sarebbe infatti rimasto loro vicino occupandosi solamente dei testi. At the Heart of Winter segnò dunque un grosso cambiamento e un parallelo inizio di una nuova vita. Abbath si dedicò quindi anche alla chitarra e scrisse sei pezzi che rappresentarono un chiaro cambiamento rispetto a quanto fino ad allora prodotto: il sound diventò più potente e nitido (anche grazie alla collaborazione con gli Abyss Studios di Peter Tägtgren, già visitati da celebri colleghi quali Marduk e Dimmu Borgir, in cui la band registrerà anche i propri futuri lavori), le composizioni diventarono più lunghe e complesse, ma il gelo e la cattiveria rimasero intatti, pur divenendo i ritmi più rallentati e la musica più epica. Tragedies Blows At Horizon, titolo preso da un verso di A Perfect Vision of the Rising Northland, ultima traccia di Diabolical Fullmoon Mysticism, non solo rappresenta al meglio questo stile rinnovato, ma alterna sapientemente tempi medi e sfuriate in blast-beat. Inoltre, gli intermezzi di chitarra in clean, leggermente effettata, sono gelidi ed emozionanti, accompagnando magistralmente l’avvicinarsi narrato dal testo della battaglia, con l'arrivo del tramonto.

10. At the Heart of Winter
Chiunque conosca anche solo parzialmente la discografia del trio norvegese, sa di trovarsi al cospetto di uno dei massimi capolavori del gruppo con At the Heart of Winter, con quell'intro di tastiera e chitarra pulita che sa gelare il sangue nelle vene, preludio della canzone vera e propria, potente ed epica. In questa traccia, come del resto lungo quasi tutto il full-length, si nota come Demonaz e Abbath abbiano due stili completamente differenti alla sei corde, con quest’ultimo a dimostrare una tecnica molto più thrasheggiante, utilizzando molto gli armonici artificiali, tratto piuttosto inusuale per questo genere. Dal punto di vista lirico, il brano sembra quasi una scorrevole continuazione della già citata Blashyrkh (Mighty Ravendark), ovvero un chiaro inno al Blashyrkh:

Greatest Blashyrkh wait for me your deepest realms I'll find
with songs that sound eternally for you my call is ever so strong...
Winter landscapes pure and clear a walk into the glacial valleys
deep under forests alive only my torches fire light...

Greatest Blashyrkh waiting me your realms ever splendid
songs were made eternally the call is ever so strong...
Blashyrkh mighty be your name victorious a kingdom we made
with strength and pride all the way you are at the heart of winter


Semplicemente Immortale.

11. In Our Mystic Visions Blest
All’uscita, nel 2000, di Damned in Black, gli Immortal avevano finalmente trovato un bassista fisso (trattasi di Iscariah) e la line-up era dunque nuovamente al completo. Tale release, inoltre, seppure leggermente inferiore al suo predecessore e meno carico di quell'atmosfera epica che aveva reso immortale At the Heart of Winter, si presentava comunque di ottima fattura e soprattutto dotata di una ritrovata aggressività. A riprova di questo fatto, ecco In Our Mystic Visions Blest che, seppure dotata di una parte centrale in mid-tempo, è caratterizzata da un riff portante velocissimo e vorticoso (che sembra quasi uscire direttamente da Battles In the North), come sempre supportato dal blast-beat del precisissimo Horgh. Assieme a The Darkness That Embrace Me e alla title-track, In Our Mystic Visions Blest si merita quindi senza dubbio la palma di migliore canzone del disco.

12. Sons of Northern Darkness
Damned In Black aveva riscosso un ottimo successo, anche dal punto di vista commerciale, superando oltre 75.000 copie vendute in tutte il mondo, traguardo alquanto raro in ambito black. Con Sons of Northern Darkness, probabilmente l'ultimo grande capolavoro degli Immortal, e con il contemporaneo approdo alla Nuclear Blast, il successo del platter precedente non solo venne bissato, ma venne abbondantemente superato, vendendo più di 250.000 copie: un risultato davvero clamoroso. Al successo commerciale, si aggiunse quello strettamente musicale. La penultima fatica del combo, infatti, forte anche di una produzione che mette in risalto ogni singola sfumatura sonora, apparve fin da subito come un lavoro maturo ma potente, che confermò ancora una volta la grandezza della band, consolidando lo stile intrapreso con At the Heart of Winter. A rafforzarne il valore, è anche il titolo, nel quale riecheggia uno dei soprannomi che i musicisti stessi si sono affibbiati fin dai propri esordi.
La title-track, introdotta da un breve assolo di batteria ad opera di Horgh (come al solito fenomenale), è un assalto black con forti influenze thrash, uno dei capitoli che meglio rappresenta l’interezza di quest'album insieme ad altri capolavori come l'opener One By One e Tyrants. L'assolo di Abbath è velocissimo e completamente atonale, tanto che il frontman stesso ha affermato di non essere certo di poterlo replicare sempre esattamente. Dal punto di vista delle liriche, Sons of Northern Darkness sembra (in buon stile autocitazionistico tipico di molte band black metal) continuare quanto cominciato con Storming Through Red Clouds and Holocaustwinds (presente in Pure Holocaust), in cui comparivano per la prima volta nella storia del gruppo i Figli dell'Oscurità Nordica, fieri combattenti e portabandiera del Nord.

13. Beyond the North Waves
A chiudere questo capolavoro, troviamo la bellissima Beyond the North Waves, aperta da un intro in clean effettato, con il rumore delle onde del mare che si infrangono sulla spiaggia in sottofondo. La canzone poi si dipana per oltre otto minuti in una marcia cadenzata e una melodia quasi viking che accompagna le liriche di Demonaz, declamate da Abbath, vero scaldo del Nord. Il testo si ispira proprio ai vichinghi e narra dei loro eterni viaggi per i mari e delle loro valorose battaglie:

On many ships I have sailed
Far beyond the north waves
On the high northern seas
We have found our way

The shadowing voices of our gods
Singing on the calling wind
Where the cold waves
And the longboats brought us far


Gli Immortal ci avevano lasciati con questa canzone. Nel 2003, un anno dopo la pubblicazione di Sons of Northern Darkness, Abbath annuncia di voler sciogliere la band. La fine, però, non era ancora arrivata...

14. All Shall Fall
Difatti, per i Nostri non era ancora tempo di abbandonare le scene. Se infatti nel 2006, Abbath e Demonaz erano stati impegnati col progetto I con cui avevano licenziato l'acclamatissimo Between Two Worlds, mentre Demonaz un anno dopo aveva dato via ad un suo progetto solista, durante lo stesso 2007 gli Immortal ripresero vita e vigore, dando via all'imponente tour intitolato The Seven Dates of Blashyrkh, conclusosi con l'attesa esibizione al Wacken Open Air, immortalata dal DVD omonimo.
Nel 2009 uscì infine il nuovo e attesissimo disco in studio della band, con la new-entry Apollyon (già militante negli Aura Noir, nei Dodheimsgard e nei Cadaver) al basso. All Shall Fall, pur avendo diviso pubblico e critica per un'evidente calo di qualità nelle composizioni rispetto ai suoi celeberrimi predecessori, presenta indubbiamente almeno due brani di rilievo. Uno di questi è la title-track, che si presenta subito velocissima e dotata di un riffing gelido e melodico. Lo scream di Abbath è tagliente e gracchiante come ai vecchi tempi e Horgh pesta sulle pelli con la solita impeccabilità. Lo stacco in clean a metà del pezzo è veramente emozionante e il ritornello (con voce semipulita) è catchy quanto basta. Ad aumentarne la risonanza, venne pubblicato anche un videoclip, in pieno stile Immortal.

15. Unearthly Kingdom
Il nostro viaggio nella discografia degli Immortal si conclude con Unearthly Kingdom, traccia posta in chiusura di All Shall Fall. Come nella maggior parte di questo disco, tale brano si muove su ritmiche cadenzate, offrendo in questo caso all’ascoltatore un vero e proprio low-tempo, solenne e possente nel suo incedere lento, che acquista solo un po' di velocità solamente una volta superata la sua metà. L'atmosfera fortemente epica si respira già dall'intro di tastiera quasi ambient, che poi sfocia in un lungo viaggio, l'ultimo, nelle mitiche terre del Blashyrkh.

Pass the gate to Blashyrkh worlds
An everburning fire swirls
Here shadows hold a grimly sight
Dark must the eyes that see it be


Quasi un presagio della fine per i mitici norvegesi.

CONCLUSIONI
Attraverso quindici canzoni tra le più rappresentative, abbiamo dunque percorso la lunga storia degli Immortal, che ci lasciano in eredità otto album assolutamente fondamentali nella storia del metal estremo e che possono vantare di aver contribuito, insieme a pochissime altre band, ad arricchire e delineare i canoni del black metal più gelido e intransigente, dimostrando allo stesso tempo una sensibilità artistica fuori dal comune. Rimane il dispiacere per l'improvvisa e triste fine sopraggiunta per questa formazione. Demonaz e Horgh, gli unici membri rimasti, giurano di voler mantenere vivo il gruppo e che nuove canzoni sono già pronte, ma noi tutti sappiamo che i veri Immortal, quelli che ci hanno fatto viaggiare in terre fredde e desolate, non torneranno più... Hail Sons of Northern Darkness!



Christian Death Rivinusas
Martedì 3 Maggio 2016, 9.08.42
10
uno dei miei gruppi preferiti di sempre alla fine anni 90 li ho ascoltati allo sfinimento, in quel periodo il metal si era un po spento,ma loro erano li a brillare come pochi....epici ,fantastici semplicemente immortali
ObscureSolstice
Lunedì 2 Maggio 2016, 22.24.19
9
una di quelle band storiche che è fuori dai soliti stereotipi del black metal. Il solo sfondo bianco di Battles in the North e non nero è storia, i famosi video girati di giorno e non di notte per far notare la bellezza della natura incontrastata della Norvegia, il faicepanting da panda di Abbath unico tra i più imitati e il suo passo che è praticamente quello che ti aspetti. Se poi ci mettiamo anche un pizzico di ironia nella loro glacialità è un altro punto a loro favore
Andrea
Lunedì 2 Maggio 2016, 14.40.26
8
Qaundo ho caldo d' estate, invece di accendere il condizionatore metto su gli Immortal.
mario
Venerdì 29 Aprile 2016, 21.30.00
7
# scusate andando a capo ho sbagliato per distrazione, ovviamente è Unsilent Stormss In The North Abyss , brano stupendo, e ottima descrizione dei brani da parte di Typhon, complimenti per l'articolo, ci voleva proprio sugli Immortal.
mario
Venerdì 29 Aprile 2016, 21.10.38
6
Avrei fatto come Typhon per 15 brani, ma certo comunque anche per me canzoni come Withstand, Unsilent Storm, Solarfall, In the North Abyss, Years of Silent Sorrow, o il cantato particolare in Where Dark and Lighth don't Differ danno a mio avviso un'ulteriore aura particolare di"immortalità" a questa leggendaria band.
Doomale
Venerdì 29 Aprile 2016, 20.00.21
5
Ci puo' stare!😉
Typhon
Venerdì 29 Aprile 2016, 19.45.25
4
Ma sì in effetti mancano un paio di pezzi storici tipo withstand the fall of time o la stessa unsilent storms in the north abyss, ma alla fine 15 brani non sono molti ed è normale che nella scelta venga esclusa qualche canzone. Diciamo che in generale ho preferito soffernarmi su qualche pezzo che magari contiene a mio avviso più spunti musicali o lirici sacrificando perciò qualche grande classico.
Doomale
Venerdì 29 Aprile 2016, 18.26.02
3
Bell'articolo...molto azzeccata la scelta dei brani...magari avrei inserito Unsilent storm in the North abyss..ma sono sottigliezze. Per me i primi 3, soprattutto Pure Holocaust sono mega classici e quelli che ascolto maggiormente. Gli altri tranne l'ultimo ovviamente (x me) anche mi piacciono, ma nn li sento propriamente miei. Insieme ai primi lavori di Emperor, Darkthrone, Burzum erano il gotha. Poi via via gli altri discepoli.
tino ebe
Venerdì 29 Aprile 2016, 12.43.23
2
grandissimi sicuramente, la roba vecchia che un tempo adoravo adesso mi annoia, invece mi piacciono ancora gli ultimi lavori, più tecnici e con suoni più corposi. Sicuramente tra i più grandi, ma una spanna sotto emperor (inarrivabili), enslaved, satyricon e dimmu borgir. Comunque ora abbath è sempre più clone di gene simmons
Danimanzo
Venerdì 29 Aprile 2016, 9.45.12
1
Sono stati i più grandi in un certo modo di intendere l'Heavy Metal. Insieme ai regali Emperor e ai defunti Dissection, indubbiamente i migliori in ambito Black.
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