Irriverenti, violenti e blasfemi. I Marduk, fin dai loro esordi, risalenti agli inizi degli anni Novanta, furono in grado di farsi riconoscere all’interno di quella nascente scena che oggi viene catalogata come la Second Wave of Black Metal. Non provenienti dalla terra del black metal per antonomasia, ma bensì dalla vicina Svezia, patria degli indimenticabili Bathory, i nostri anno dopo anno riuscirono sempre di più a scalare l’Olimpo del metallo nero, o meglio a discendere in profondità nelle viscere dell’inferno più oscuro, sfornando album che entreranno nella storia del genere, nonostante i diversi cambi di line-up avvenuti durante tutto il corso della loro più che ventennale carriera. Ora bando alle ciance e lasciate che venga introdotta la mostruosità della band “più violenta e blasfema mai esistita”, riportando le parole del chitarrista fondatore Morgan Steinmeyer Håkansson, attraverso quindici capolavori della loro discografia.
1. Departure From The Mortals Già presente nella prima demo del 1991, non passata inosservata grazie al suo artwork raffigurante una donna senza veli intenta a masturbarsi con un crocifisso, e ripresentata nel full-length di esordio un anno dopo, Dark Endless, si apre con un lento riff in crescendo che poco dopo esplode, accompagnato da un blast beat da paura, in un riff fulmineo, lancinante e violento. Fa quasi male. Lo scream di Andreas "Dread" Axelsson è diretto e marcio e in questo caso è deputato in appena due versi e due ritornelli a declamare morte. Il brano, come d’altronde tutto l’album, puzza di death metal, influenza che il gruppo svedese andrà progressivamente a lasciarsi alle spalle, già dal successivo Those Of The Unlight, pubblicato nel 1993. Il biglietto da visita, intanto, colpisce nel segno.
2. Burn My Coffin Oscurità, dolore, morte. A volte queste tre tematiche così tanto affini all’uomo vengono usurpate e perdono il loro profondo significato. I Marduk riescono però sempre a coniugarle alla perfezione, unendole fra di loro senza sminuirle singolarmente. Queste sono appunto il cuore di Burn My Coffin, quinta traccia di Those Of The Unlight. Un riffing dal quale la band prenderà spunto per i lavori futuri, un drumming marziale, le irreali e strazianti urla di Joakim Af Gravf, un assolo a metà fra la melodia e la distorsione e una rallentata parte finale fanno sì che questo sia uno dei brani più rappresentativi del periodo pre-Legion, con il quale i nostri iniziano la loro discesa agli inferi.
3. Deme Quaden Thyrane 1994. Anno entrato nella storia del black metal. Anno che ha visto band quali Mayhem, Darkthrone, Satyricon, Burzum e Gorgoroth marchiare a sangue il metal estremo. Anno in cui anche gli stessi Marduk si rendono protagonisti, pubblicando Opus Nocturne, album storico della formazione scandinava e più in generale del genere che esso rappresenta, ma che non riuscì però a spiccare forse a causa delle contemporanee -e più che note- produzioni norvegesi. All’interno di questo particolare platter, ecco Deme Quaden Thyrane. Il brano inizia con un lento e soffocato riff al quale seguiranno batteria e basso, con Joakim Af Gravf che, questa volta, inizia a cantare in voce pulita, quasi a voler narrare le gesta del protagonista della composizione, Vlad III di Valacchia, meglio conosciuto come Conte Dracula. Violentissimi riff si susseguono uno dopo l’altro, progressivamente sempre più feroci, accompagnati da un blast beat a dir poco sopraffino. I Marduk presenteranno questa canzone in una versione ancora più fredda e annichilente in Nightwing, con alla voce però Legion, entrato in formazione col successivo Heaven Shall Burn...When We Are Gathered, dato alle stampe nel 1996.
4. The Black Tormentor Of Satan Questa composizione si apre in medias res ed è caratterizzata da un riff principale e dal blast beat che si caratterizzano per due, istantanei aspetti: sono infatti entrambi tremendamente claustrofobici e al fulmicotone. La prova vocale di Legion è paurosa: uno scream grezzo, violento, marcio, in grado di colpire immediatamente l’ascoltatore e ad offrire ai Marduk quella dose di personalità che permetterà loro di spiccare sulla scena internazionale. Questo brano anticipa inoltre i canoni che i nostri manterranno durante quasi tutto il periodo con tale frontman, salvo qualche caso sporadico: canzoni violenti, tiratissime e dalle tematiche che oscillano dal satanismo alla guerra, dall’oscurità alla violenza, il tutto declamato dallo scream del singer, mai noioso, nonostante non brilli per varietà.
5. Dracul Va Domni Din Nou In Transilvania Sempre parlando di Dracula e delle sue diavolerie, il quartetto di Norrköping sceglie questa volta di utilizzare una canzone dalle ritmiche rallentate, non che questo la renda meno cattiva delle altre. Anzi. Riffing lento e monolitico, batteria che accelera solo sporadicamente attraverso la doppia cassa e uno scream che richiede una descrizione tutta per sé: per quanto lo si possa definire "cattivo" e "annichilente" non lo si può comprendere fino a quando non lo si ascolta più volte per assimilarlo al meglio. Cotanta mostruosità non è approcciabile in tempi brevi e si rivela all'ascoltatore sempre di più ogni volta che la si ascolta. Sicuramente poche formazioni militanti nel 1996 presentavano una voce altrettanto cruda e maligna e tale caratteristica non passò dunque inosservata, diventando al contrario un punto di riferimento ed ispirazione negli anni successivi.
6. Panzer Division Marduk Nel 1999, a seguito della pubblicazione di Nightwing, avviene la svolta che permetterà ai Marduk di scrivere una delle pagine più spietate del black metal. Sotto la Osmose Production, in cui i nostri militano dal 1993, viene pubblicato Panzer Division Marduk. In appena mezz’ora, gli svedesi confezionano otto pezzi caratterizzati da una violenza spregiudicata. Ogni brano è una fucilata, un colpo di cannone. L’album è un carro armato che avanza inarrestabile, proprio come rivelato già dall’artwork. Ed è proprio la titletrack a racchiuderne tutta l'essenza. È schifosamente esagerata. Dopo urla e spari iniziali, ogni strumento crea infatti un muro del suono impenetrabile: la chitarra è velocissima, una dannata lama forgiata nei più osceni meandri dell’animo umano; il drumming ormai lo conosciamo, c’è poco da dire riguardo la sua magnificenza. Ma è Legion qui a dettare legge: con il suo scream più irruento che mai ci sbatte in faccia tutta la brutalità della guerra e tutto ciò che la riguarda, senza tralasciare l’odio verso il cristianesimo e verso la razza umana. I versi finali recitano:
Panzer division Marduk continues its triumphant crusade Against christianity and your worthless humanity
L’odio verso il cristianesimo è stato e sarà un tema caro al gruppo, anche all’interno stesso di questo album. Il primo verso suona quasi profetico: nessuno è ancora riuscito a fermare la Panzer Division Marduk. Essa, con i suoi rappresentanti e seguaci, continua la sua crociata, album dopo album, urla dopo urla, inarrestabile.
7. Christraping Black Metal Il titolo parla da solo, inutile girarci intorno. Il testo è l’apoteosi della violenza mardukiana e blasfemo come pochi, comprensibile anche solo osservando l’artwork prodotto per questa canzone, che venne poi stampato su migliaia di felpe, magliette e gadget vari, raffigurante un demone femminile intento a praticare sesso orale con il figlio di Dio crocifisso, raggiungendo l’apice del sacrilego, alla pari con il testo di Jesus Christ…Sodomized, presente nel successivo La Grande Danse Macabre. La traccia non si distacca più di tanto dagli altri brani dell’album, di primo impatto tutti simili fra loro, ma sicuro rappresenta una tappa obbligatoria della discografia degli svedesi in quanto racchiude al meglio il già citato intento iniziale del chitarrista fondatore: creare la band più violenta e blasfema di sempre. Inoltre, ad arricchirre il tutto, durante gli ultimi secondi della canzone viene riportata la frase presente nel film L’Esorcista, recitata dalla bambina posseduta proprio durante l’esorcismo: “Your mother sucks cocks in Hell”.
8. La Grande Danse Macabre Dopo il capitolo riguardante il “sangue”, rappresentato da Nightwing, e dopo quello sulla “guerra”, narrato in Panzer Division Marduk, il gruppo chiude il trittico con quello riguardante la “morte”. La Grande Danse Macabre, titletrack dell’album, è una traccia più marziale e più rallentata delle altre fino ad ora presentate ma anche la più lunga, con i suoi otto minuti abbondanti recupera la tradizione di brani come Dracul Va Domni Din Nou In Transilvania, senza però forse quella sfacciataggine e immediatezza che lo caratterizzava. La canzone racchiude inoltre gli unici versi in svedese mai scritti dalla band, declamati, o meglio sbraitati, dall’ormai più che celebre Legion, quasi in chiusura. Tale stile maggiormente rallentato verrà ripreso soprattutto con l’arrivo di Mortuus, avvenuto in seguito all’abbandono di Legion, che preferì dedicarsi alla famiglia. Erik le tue urla non saranno mai dimenticate, mai.
9. Life’s Emblem Dopo il citato abbandono di Legion avvenuto dopo la pubblicazione di World Funeral, Morganrecluta Hans Daniel Rostén, in arte Mortuus. Il suo scream, per quanto meno spietato e diretto, risulta più corposo e versatile, tant’è che col tempo permetterà ai Marduk di lanciarsi in diverse sperimentazioni, uscendo un po’ dai canoni in cui si erano infossati. Plague Angel rappresenta infatti un punto di passaggio e di cambiamento. L’album infatti si può classificare come una fusione fra i classici canoni del gruppo e il novello vocalist. Fra le tracce di questo album spicca su tutte Life’s Emblem. I riff alla Panzer Division sono accompagnati dalla cupa e distorta voce del nuovo singer che non fa sentire per nulla la mancanza di quello precedente, dimostrando così come la band fosse uscita indenne dall'abbandono di Legion e avesse ancora molto da dire, senza necessariamente dover abbassare il tiro. Questo cambio ai vertici appare dunque come una ondata di aria fresca, che permette al combo scandinavo di ripartire più forte che mai.
10. Limbs Of Worship Mortuus già dal secondo album in casa Marduk è perfettamente integrato fra le fila del plotone. Rom 5:12 risulta quindi un capolavoro grazie ai suoi brani abbastanza diversificati fra loro che non trasmettono mai noia all’ascoltatore. Limbs Of Worship è distorsione pura, dalla voce alla batteria, passando da riff minimalisti accompagnati ad un basso che si ritaglia la sua sporca parte come mai si era visto prima, andando a creare passaggi quasi ibridati con il death metal.
11. Accuser/Opposer Oltre ai classici pezzi veloci e violenti, Rom 5:12 presenta due tracce più lente rispetto alle altre. Tale approccio era già stato sperimentato con il nuovo singer in Plague Angel nella traccia Perish In Flames e verrà riproposto diverse volte nel corso degli album successivi, ma in questo full-length i Marduk raggiungono un alto livello con brani quali Imago Mortis e Accuser/Opposer. Quest’ultimo è un vero e proprio capolavoro. Si apre con la formula dell’esorcismo recitata in latino, mentre la chitarra entra prepotentemente, gelida e premonitrice. Segue la batteria lenta e marziale, con il basso che accompagna e amalgama il tutto. La voce di Mortuus esplode poi in un urlo distorto, in perfetto sincrono con il riffing. I versi iniziano ad essere declamati e di fronte ai nostri occhi c’è orrore, puro orrore. La traccia non lascia scampo nonostante i suoi tempi per nulla estremi e viene inoltre arricchita dalla partecipazione di AA. Nemtheanga, degli irlandesi Primordial, intento ad affiancare il frontman degli svedesi durante l’intera durata della canzone, che va infine a chiudersi con canti gregoriani ed aulici versi ecclesiastici.
12. Funeral Dawn Un lentissimo avanzare funereo da inizio a questa bellissima canzone, per certi versi piuttosto vicina al doom, genere ai quali i nostri si accostano abbastanza con Wormwood, uno degli episodi meno classici e più sperimentali, ma anche uno dei più malati e controversi, della loro carriera. Questa composizione rimane sul suo slow-tempo per tutta la sua durata, interrompendosi verso la metà per lasciare spazio ad un duetto fra lo scream di Mortuus e il basso di Devo. La chitarra è granitica, la batteria è marziale e il solito malato, distorto ed irruento scream si ritaglia tutta la sua parte senza mai annoiare, nonostante il brano possa apparire leggermente monotono per certi versi, ma forse è proprio questo che lo rende magnifico, tanto che non è facile dimenticare l'urlo Funeral Dawn!, che si andrà ad depositare dritto nella mente dell'ascoltatore, divorandola giorno dopo giorno e ascolto dopo ascolto.
13. Into Utter Madness “Dentro un’assoluta follia”. Nessun titolo sarebbe stato più azzeccato per una traccia del genere. Dopo qualche secondo la batteria apre le danze tenendo altissimi i ritmi, che non rallentano mai, non lasciando scampo. La chitarra gioca quasi -solo per il momento- un ruolo “secondario”, sopraffatta sia dalla batteria che dal basso, ormai colonna portante del gruppo.
Enter now - the joyous light That shall lead you into darkness Into Utter Madness - and into "out of reach" ...and your name shall be "Without"
Mortuus declama questi versi con uno scream quasi pacato, chitarra e batteria rallentano mentre il basso rimane a fare il suo sporco lavoro di sottofondo. Quest’ultimo e la batteria lasciano spazio alla chitarra lasciata sola prima della tempesta. Quanto segue è un putiferio. Un blast beat fulmineo, un riff lancinante quasi melodico di pochissime note, mentre il frontman vomita tutta la sua la sua cattiveria sul microfono. La chitarra stride, sembra soffrire e chiedere aiuto, ma l’ascoltatore è oramai intrappolato nel vortice creato dalla canzone. Non c’è via di fuga. Riprendono i versi sempre accompagnati da tempi velocissimi e urla strazianti. Il tutto suona premonitore. Il singer sbraita come non mai, la chitarra è di nuovo lasciata sola ma presto verrà seguita da una batteria chirurgica mentre continua il suo riff folle. Il basso si fa sentire sempre di più e diventerà poi protagonista della chiusura della traccia. Into Utter Madness lascia l’ascoltatore sudato e turbato. Pura follia musicale.
14. Temple Of Decay Addentrandoci sempre progressivamente nella discografia più recente, ci imbattiamo in Serpent Sermon col quale i nostri abbandonano le tematiche belliche o medievaleggianti tanto amate e qualsiasi sperimentalismo, lasciando posto a brani classici riguardanti satanismo e pura blasferia. Fra le dieci tracks, più una bonus, che compongono il platter, emerge Temple Of Decay. Questa rappresenta sicuramente il coronamento di quello stile rallentato di cui già tanto si già è detto. L’atmosfera creata dalle sei corde e dalla lenta batteria è lugubre e apocalittica, mentre la prestazione vocale di Mortuus conferisce ancora meglio queste caratteristiche al pezzo. Il tutto, liriche comprese, lasciano senza speranza, scaraventando l’uomo nella più profonda decadenza e dannazione, nella quale i Marduk ci accompagnano dal 1990.
15. Thousand-Fold Death Il tema della guerra è sempre stato caro a Morgan Steinmeyer Håkansson, il quale è stato spesso in grado di confezionare versi pieni di violenza e cattiveria, come se esse fossero le sue principali personali muse ispiratrici. A distanza di anni dal famigerato Panzer Division Marduk, difatti, il combo porta alla luce un altro album totalmente incentrato sulla guerra: Frontschwein. A chiudere i cinquantadue minuti di pura violenza bellica, ecco questa Thousand-Fold Death, brano che sfiora i quattro minuti, ma che conserva tutta la brutalità proposta dai Marduk negli anni. Le liriche scelte per questa composizione, fruibili al meglio dopo un’attenta lettura, spaziano tra i temi più brutali, narrando di morte, di genocidio, di armi, di aerei che bombardano, del suono delle mitragliatrici e di città che diventano tombe. Il tutto va così a creare immagini terribili nella mente dell’ascoltatore, più di quanto un qualsiasi film o documentario di guerra possa fare. Tutta la cattiveria umana racchiusa in nemmeno quattro minuti. Che dire del comparto musicale? Meravigliosamente osceno. La canzone esplode subito, accompagnata dalla viva sensazione che ogni strumento sia alimentato al vetriolo. I riff sono proiettili che entrano nella pelle, il blast beat, più veloce che mai, si mantiene su ritmi altissimi, ricordando -non a caso- la precisione chirurgica di una mitragliatrice. In questo pezzo anche Mortuus stesso fa paura, gridando per tutta la durata della canzone, tenendo perfettamente testa ai tempi dettati dalla batteria ed offrendo dunque una prestazione sopraffina. Dopo un po’, la voce si interrompe per lasciare spazio alla chitarra, ma anche la sei corde "fa male", tutto il brano fa male. È impossibile non provare dolore. A metà la canzone rallenta quanto basta, ma non abbastanza per lasciare riprendere fiato. La chitarra torna a stridere e il bombardamento ricomincia. Non c’è scampo da tutta questa violenza. Quando la traccia termina la sensazione è quella di essere stati nel peggior inferno bellico, straziati e stravolti. Superfluo dire che questa prova dimostra che, nonostante la lunga carriera, la band non abbia mai abbassato la propria potenza di fuoco.
Tirando le somme, i Marduk sono sempre stati capaci di confezionare lavori di alto calibro, conciliando innovazione e tradizione, sapendosi alla bisogna migliorare e rinnovare, senza mai fallire. Un gruppo che rientra di diritto fra le più grandi realtà del black metal made in Sweden, e che di certo ancora oggi sembra prefiggersi lo stesso e già citato obbiettivo scelto all'atto della sua fondazione. Un "capitolo" obbligatorio, dunque, per qualsiasi persona ami definirsi blackster, ma anche un intrigante punto di partenza per chi non abbia ancora voluto approfondire questo genere così strettamente connesso ai meandri più oscuri dell’animo umano.
La leggenda narra che, quando Dead dei Mayhem venne trovato cadavere dopo il suo suicidio da Euronymous, quest’ultimo abbia preso parti del suo cranio e le abbia spedite a musicisti all’epoca militanti in diverse formazioni che egli riteneva promettenti e degne di nota, e che il chitarrista Morgan Steinmeyer Håkansson fosse proprio uno di questi. Forse Euronymous aveva già previsto tutto.
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