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CRYPTIC WRITINGS - # 64 - Thuja Magus Imperium - Wolves in the Throne Room
30/04/2017 (2041 letture)
Chi conosce approfonditamente le istanze della scena black delle origini sa bene che, luoghi comuni a parte, per quanto da un lato le tematiche sataniste e più in generale antireligiose costituiscano un nucleo lirico predominante e tratto comune di buona parte dei gruppi scandinavi, da un altro non ne hanno mai detenuto un monopolio completo. Testi riguardanti storia (principalmente i secoli bui), nichilismo e fantasy hanno caratterizzato la produzione di nomi tutelari del Norwegian Black Metal, da Burzum ai Satyricon, passando per gli Emperor. Soprattutto a partire dall'inzio dei Duemila si è poi definitivamente affermata un'altra corrente lirico-concettuale che, prendendo le mosse principalmente dai primi Ulver e da poche altre realtà novantiane, ha spostato l'asse dei propri lavori verso l'idea di natura, declinata sia in termini descrittivi ed evocativi, sia in una accezione più squisitamente "filosofica", sia in termini di metafisica che nel classico dualismo uomo-natura. Ruolo di assoluto rilievo in questa frangia di black metal occupa il Cascadian, che fa proprio della potenza evocativa e delle suggestioni naturalistiche il proprio snodo centrale, oltretutto unendolo ad un deciso interesse verso tematiche ambientaliste, che spesso si vede concretizzato nello stesso stile di vita scelto dai musicisti di questa corrente, oltre che ovviamente nelle scelte prettamente musicali.

THUJA MAGUS IMPERIUM
Alfieri di questa corrente sono ovviamente i Wolves in the Throne Room, ed è un loro brano che si andrà qui ad analizzare. A Thuja Magus Imperium è affidato il compito di aprire Celestial Lineage, album che pur non essendo un concept classicamente inteso è percorso da un "filo splendente" che va a tessere un arazzo comune attraverso i brani e rappresenta -per stessa ammissione dei fratelli Weaver- la chiusura della trilogia concettuale iniziata con Two Hunters. A differenza dei primi due capitoli del trittico quest'ultimo abbandona progressivamente i riferimenti ad una natura puramente immanente e descrittiva, che Aaron Weaver sintetizza con la definizione "Earth oriented", tramite un processo metamorfico che porta il combo di Olympia nel territorio mistico della Trascendenza, concetto che accompagna sempre (più o meno esplicitamente) i passi lirici e la musica del disco in questione.
Il pezzo musicalmente è un manifesto ineccepibile della realizzazione musicale dei WITTR: il costante crescendo di matrice post rock si sposa con la feralità dei riff di chitarra, una ferocia sottopelle di matrice norvegese a cui il duo non ha mai rinunciato, smorzata però da arpeggi melodiosi e soluzioni tipicamente psichedeliche dominate dal sintetizzatore. La sezione ritmica si discosta dal paradigma cascadiano del blast beat continuo, presentando una varietà di soluzioni maggiore rispetto al passato, contribuendo non poco alla raffinata strutturazione del brano. Riguardo alla domanda che molti si saranno posti nel leggere il titolo, ovvero cosa in effetti sia la Thuja e quale sia il suo "imperium", più avanti arriveremo anche a quello.

Redness in the east beyond the mountain
The Wheel begins to turn anew
Turning ever towards the Sun
Garlands adorn a chariot, aflame
Blood runs from the flank of a wounded stag
Turning inwards, all beings bow low
Unconcealed she flies
Then hidden by snow
Eyes pale voice of night

Rosso, ad est, oltre le montagne,
la Ruota inizia a girare di nuovo,
eternamente alla volta del sole.
Ghirlande adornano un carro, in fiamme.
Sangue scorre dal fianco di una cerva ferita.
Alla metamorfosi interiore, tutti gli esseri si inchinano umilmente.
Muore non celata dalla neve
solo dopo ne è nascosta,
gli occhi smorti, voce della notte.


La voce di Jessica Kenney si intreccia sul tappeto di synth, iniziando una liturgia eterea e dai toni soffusi mentre descrive la dimensione "cosmica" dell'eterno movimento circolare di una terra illuminata dai raggi dell'alba, rappresentata da un simbolo solare caro alla mitologia greca, il carro fiammante del dio Apollo. Dalla prospettiva celeste lo sguardo si posa in basso, contrapponendo all'atmosfera astrale e metafisica dei primi versi l'assoluta carnalità del sangue di una cerva e dei suoi occhi ormai privi di vita al sopraggiungere della "notte", la morte.

Black clouds bring rain
A white cloak and mantel
Enshrouds all of the great monoliths
Deities of frost crave an offering to storms
Great Firs felled by the wind

Nuvole nere portano pioggia
ed un bianco manto
avvolge tutto dei grandi monoliti,
divinità di caverne gelate bramano un'offerta dai venti tempestosi.
Grandi abeti, abbattuti dal vento.


Un riff di chitarra, poi uno scream straziante interrompono l'atmosfera sacrale da cui è segnata la morte della cerva, ed è subito black metal. I versi successivi servono ad immergere l'ascoltatore nell'ambiente boschivo e spazzato dai venti della Cascadia, con le sue grandi conifere strappate dalle proprie radici dalla bufera. Qui troviamo un primo accenno alla religione ed al concetto di divinità (che poi troveranno più spazio all'interno del platter) seppure in una condizione tipicamente primitiva, quella di grandi monoliti eretti a protezione di gelide caverne, probabilmente un tempo abitate dalle stesse persone che li veneravano, chiedendo protezione dalle tempeste. La trascendenza di cui si parlava prima, l'abbandono della Terra, non è un processo immediato: si vede qui come, essendo questa la prima canzone, permangano ancora degli elementi immanenti, ma passo per passo già all'interno di questo stesso testo si raggiungeranno vette metafisiche.

The eagle's aerie towering windswept
Sky-lords towering above
Night-born songs descend by moonlight
A rain of jewels Calliope sings
Each one a secret word inscribed in time

Il nido dell'aquila torreggia; aggrediti dal vento
si innalzano i signori del cielo
Canzoni, figlie della notte, discendono dalla luce lunare
e la musa Calliope canta una pioggia di gemme
ognuna una parola segreta, inscritta nel tempo


Ritorna prepotentemente l'ascesa verticale verso le volte celesti: il primo passo sono le aquile, che volano nonostante la violenza dei venti, il secondo è un richiamo alla luna, che funge da rapido passaggio per l'abbandono della dimensione descrittiva. Dalla sua luce, nel più classico dei chiasmi con il verso seguente, discende una pioggia di gioielli (elemento ricorrente in alcuni antichi racconti indiani) mentre Calliope, musa della poesia epica intona il suo canto, che grazie alla sua potenza andrà ad inscriversi e a superare le nebbie del tempo. Si vede qui nella figura di Calliope un doppio valore e una doppia interpretazione: la prima si riallaccia direttamente al valore di questa musa all'interno dell'impianto mitologico greco/romano, mantenuto poi anche all'interno di molta letteratura successiva (si pensi allo stesso Dante), come appunto ispiratrice poetica, di una poesia che riesce a rendere monumentum aere paerennius (citando Orazio) sia le vicende narrate che lo stesso autore. In secondo luogo è opportuno notare come il riferimento a Calliope sia anche autobiografico, in quanto è proprio questo il nome della fattoria/collettivo in cui attualmente vivono e producono la propria musica i fratelli Weaver, rappresentando di fatto la cornice della produzione artistica del duo di Olympia.

Sacred bones crumble enshrined
Entombed in roots and stones
A dead sun burns in the hollow Earth
Nameless rivers of dust

Sacre ossa si sgretolano, sepolte
in un santuario di rocce e radici.
Un sole morto arde nella Vuota Terra,
fiumi di polvere senza nome.


Pur nel loro riferimento a terra, rocce e radici questi versi continuano nella direzione metafisica dei precedenti: la Vuota Terra è l'aldilà, l'arido punto di arrivo dell'anima della cerva morente della prima strofa. L'ambiente prettamente naturale in cui si è spenta viene innalzato a tempio, reso sacro dalle sue stesse ossa e per il suo essere luogo della sua sepoltura.

This bright thread so pure
Drawn through everything that is
Enslaved by ancient bonds
Beyond the mists and golden light
Beyond the darkness transcending time

Questo filo splendente, così puro,
intessuto attraverso tutto ciò che è
soggiogato da antiche catene.
Al di là delle nebbie e della luce dorata
Al di là delle tenebre che trascendono il tempo.


I versi che chiudono il pezzo sono decisamente criptici: vediamo un superamento delle tenebre che trascendono il tempo, quelle della morte, grazie a qualcosa di splendente che lega e accomuna gli esseri viventi, imprigionati nella dimensione della carnalità e della mortalità. Per provare a sciogliere questo nodo bisogna necessariamente far riferimento all'ultima canzone dell'album, Prayer of Trasformation, e, finalmente, alla Thuja. La Thuja Occidentalis, comunemente conosciuta come cedro bianco, è un albero di figura slanciata originario del nord America, fin dall'antichità utilizzata dai nativi americani sia come rimedio medicinale che in rituali sacrificali e di sepoltura, mentre viene attualmente impiegata come rimedio omeopatico molto in voga. Dalle sue foglie viene estratto il Tujone, un composto citato appunto in Prayer of Trasformation conosciuto principalmente per essere l'ingrediente fondamentale dell'assenzio. Il brano in questione tratta esplicitamente di un eterno ciclo di rinascite, di cui il nostro attuale corpo è solo un momentaneo simulacro, una ciclicità segnata dalla circolarità della figura del serpente, che nell'evento della sua muta ha da sempre incarnato per molte culture l'idea stessa di immortalità. È dunque questo il filo splendente, che vince le nebbie e promette la rinascita dell'anima della cerva, che ha abbandonato ormai il “vascello” del suo corpo terreno. La Thuja è il simbolo di questo costante processo metamorfico, che si pone come antidoto al costante terrore suscitato dall'idea stessa della morte, della Vuota Terra, arida e terribile. In ambito omeopatico oltretutto questa pianta è spesso usata per trattare quelli che sono spesso indicati come i mali dell'odierna società: depressione, pessimismo e ansietà. Cosa che, volendo un attimo leggere tra le righe di questi testi, può tranquillamente significare che, una volta usciti dall'esplicita dimensione metafisica descritta, l'intento dei Wolves in the Throne Room sia anche quello di offrire un rimedio, un'isola di pace simile alla loro Calliope, una pacificazione dell'animo lontano da quelle che sono le sferzate delle frenetiche vite che percorriamo ogni giorno: è questo l'imperium della Thuja.



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