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19/04/24
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ARMORED SAINT + ATHROX - Legend Club, Milano (MI), 11/11/2018
16/11/2018 (1261 letture)
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Serata umida e nebbiosa come da miglior luogo comune in questa domenica 11 novembre. A scaldare l’attesa ci pensa l’idea di stare per assistere ad un evento speciale e unico: la prima volta degli Armored Saint nella città meneghina. Ad aggiungere carbonella al fuoco, la consapevolezza che la scaletta della serata sarà incentrata sul capolavoro assoluto Symbol of Salvation, quarto della discografia della band di Los Angeles e spartiacque assoluto della sua carriera. Il primo senza Dave Prichard, con l’arrivo di Jeff Duncan e il ritorno di Phil Sandoval; l’ultimo prima dello scioglimento della band, con il passaggio di John Bush agli Anthrax e di Joey Vera ai Fates Warning. L’idea di conoscere già quasi tutta la scaletta toglie molto all’effetto sorpresa che ci si aspetterebbe da un evento live (per quanto qualche folle si ostini a volerle sapere in anticipo, addirittura giorni prima l’esibizione), l’unicità di una simile esibizione e la rarità dei passaggi in Europa degli Armored Saint, rendono la serata di oggi uno di quegli appuntamenti a cui non si può mancare. Come vedremo di lì a poco, infatti, saranno in molti a rispondere al richiamo, tanto da riempire in ogni ordine e grado il Legend Club, piacevole locale milanese, con un bel giardino attrezzato e uno spazio chiuso all’esterno nel quale si sta svolgendo la festa di un battesimo.
ATHROX La lunga fila fuori dal locale sembra preludere a quanto avverrà da lì a poco, col locale strapieno e urlante. Nel frattempo ci fermiamo al banchetto del merchandise, per scoprire che tutti i CD degli Armored Saint sono finiti la sera prima e resta solo la copia in vinile autografata di Symbol of Salvation, oltre alle magliette. In compenso, per gli Athrox, giovane e promettente band di supporto, troviamo la piacevole sorpresa della freschissima stampa del secondo album, Through the Mirror, uscito da appena due giorni per Revalve Records, il cui artwork campeggia sul palco. Lo stage non è molto profondo e per i cinque resta solo la prima linea, con il batterista Alessandro “Aroon” Brandi sulla destra estrema a fianco dei compagni. Ma i ragazzi sono chiaramente molto carichi e già dall’ingresso sul palco si notano l’emozione, la voglia di dimostrare di essere non solo all’altezza della situazione, ma di poter dire la propria nell’economia della serata. Come ben dimostrato già dall’esordio Are You Alive? i cinque presentano un heavy dinamico e potente, tinto di thrash e US power metal, nel quale spiccano tanto le ritmiche ben rilanciate da Brandi e Andrea Capitani al basso, quanto la buona sezione solista di Sandro Serravalle e Francesco Capitoni. A completare il quadro, la voce acuta di Giancarlo Picchianti, molto melodica ma capace anche di graffiare e spesso armonizzata dai compagni. Nel tempo a loro disposizione i cinque dimostrano di saper suonare e di presentare brani interessanti, che ben alternano sfuriate aggressive a ritornelli melodici e lunghe sezioni soliste. Soprattutto, pur nella comprensibile e palpabile emozione, si nota quanto gli Athrox credano in quello che fanno e ricerchino insistentemente il contatto e il responso del pubblico, sempre più numeroso, che risponde con piacere, permettendo ai ragazzi di svolgere al meglio il proprio ruolo di apripista. Certo con solo mezz’ora è difficile mettere in campo tutte le sfumature del proprio sound, ma gli Athrox ci provano, alternando brani più tirati e potenti ad altri più melodici, appartenenti ad entrambi i loro album e mostrando sempre delle strutture ricercate. Forse la band corre anche un po’ il rischio di strafare, specialmente Picchianti, il quale forza a volte fin troppo la propria ugola. Un peccato, perché non ci sarebbe stato alcun bisogno, considerando le potenzialità del cantante. In ogni caso, l’esibizione va via molto veloce e gli applausi alla fine sono più che meritati, in attesa di valutare se Through the Mirror saprà innalzare ulteriormente le aspettative dei grossetani.
ATHROX SETLIST 1. Waters of Acheron 2. Ashes of Warsaw 3. Warstorm 4. Empty Soul 5. End of Days
ARMORED SAINT Appena terminata l’esibizione degli Athrox comincia il forsennato cambio di palco, con i ragazzi a portar via la propria attrezzatura e il pubblico che si serra sotto il palco, col risultato di rendere assolutamente bollente la serata, dalla quale usciremo tutti sudatissimi. Il soundcheck sembra protrarsi più a lungo del dovuto, a causa di qualche problema con la chitarra acustica di Jeff Duncan che non sembra volerne sapere di funzionare, finché al responsabile di palco non viene in mente, semplicemente, di accenderla (e di alzare il volume). E’ tutto pronto. Il primo a salire sul palco è proprio un pingue e sorridente Duncan, seguito dagli altri, con Phil Sandoval piuttosto invecchiato e sempre più simile a Kirk Hammett e Joey Vera protagonista sempre sul palco. Gonzo si accomoda dietro la batteria e quando attaccano con March of the Saint John Bush si materializza sul palco, con la sua classica entrata. La magia è immediata: il brano è fin da subito trascinante al massimo e l’esplosione del ritornello impressionante, con tutto il pubblico ad intonarlo a tutta gola. Un legame fortissimo si scatena fin da subito tra platea e palco, ma il gruppo non ha alcuna intenzione di fare prigionieri e praticamente senza sosta spara subito un altro megaclassico come Long Before I Die, seguito dalla quasi thrash ed irresistibile Chemical Euphoria, che innalza ancora una temperatura a dir poco incandescente. John Bush è colpito in maniera evidente, tanto da affermare “è la prima volta che veniamo a Milano… Cosa c’è di sbagliato in noi per averci messo così tanto?” tra le risate dei presenti. Il cantante sembra in stato di grazia stasera e infatti alla fine porterà a casa una prestazione clamorosa, a dirla tutta anche superiore a quella sentita nel recente live Carpe Noctum, scherza e interagisce molto col pubblico, ad esempio chiedendo ad uno spettatore della prima fila come diavolo fa a stare con la giacca addosso, mentre il suo vicino è in maglietta: ”sei raffreddato? Ah no… lo so… sei vecchio… come me! Infatti guarda, è per questo che porto le maniche lunghe”, alludendo all’improbabile camicia rossa texana che indossa o, ancora, gettandosi in un siparietto dall’altro lato del palco con un altro spettatore al quale chiede se è contento per la sconfitta del Milan, impegnato stasera contro la Juventus. Dopo la rovente tripletta iniziale (un pezzo per album dei primi tre) è già tempo di affrontare il masterpiece totale Symbol of Salvation, presentato giustamente come il disco forse più importante e rappresentativo pubblicato dalla band e uscito in un momento decisamente particolare. Reign of Fire è la prima sberla lanciata sul pubblico, uno dei brani più famosi della band e sicuramente una opener da urlo. Bush ribadisce quanto sia stato sfidante per loro riprendere in mano il disco a distanza di tanti anni, andando letteralmente a reimparare brani suonati pochissimo o anche mai dal vivo ed è evidente che Dropping Lie Flies è uno di quelli, anche se non sembra proprio, visto la carica che trasmette. Last Train Home è l’altro singolo estratto dal disco e qua è evidente che il livello di coinvolgimento del pubblico sale a dismisura, col refrain cantato da tutti e il duo chitarristico Duncan/Sandoval a regalare brividi, mentre tanto Vera quanto Gonzo confermano di essere una delle migliori sezioni ritmiche del panorama. In compenso Bush è semplicemente strepitoso: chi avesse mai avuto remora sul fatto che lo statunitense sia un fuoriclasse, deve aver fugato ogni dubbio, dopo questa serata. Non solo infatti il singer dimostra di non aver perso nulla della propria estensione e dell’incredibile grinta che da sempre ne sono il marchio di fabbrica, ma è evidente quanto il calore del pubblico, nonostante il caldo infernale, lo contagi al massimo, impedendogli di trovare pace per tutta la serata. Col suo intro Tribal Dance si conferma pezzo per il quale è praticamente impossibile stare fermi, ma una delle sorprese della serata è The Truth Always Hurts, brano se vogliamo secondario rispetto ad altri nella scaletta e che invece dal vivo rivela tutto il proprio groove, con Bush che raggiunge più volte i propri limiti di estensione, in quello che viene presentato come il lato “soulful” degli Armored Saint, per i quali, da ragazzi, era assolutamente normale passare da Kiss Alive ad un disco degli Earth, Wind and Fire, come anticipato dal loquace Bush. Dopo la solarità, arriva uno dei momenti più toccanti in assoluto della serata, con la strepitosa doppietta costituita dallo strumentale Half Drawn Bridge, interpretato in maniera a dir poco magnifica da Jeff Duncan, Phil Sandoval e Joey Vera, a ulteriore conferma del livello altissimo di questi strumentisti, che conduce alla power ballad Another Day, canzone da urlare al cielo, in ricordo di Dave Prichard e dei tanti eroi dell’epopea metallica scomparsi troppo presto. Brividi veri e perfino qualche lacrimuccia per uno dei brani più belli in assoluto tra quelli composti dalla band. Tempo di girare il lato del vinile e si parte con la Side B e la maestosa title-track irrompe, dimostrando ancora una volta quanto su questo album la costruzione dei brani, intro, parti vocali e intrecci chitarristici, siano stati curati al meglio e interpretati al massimo livello da una band perfetta. Al punto che Bush può permettersi il lusso di buttarsi tra la folla con tanto di microfono e passeggiare comodamente in mezzo alla gente, mentre invita tutti ad intonare il chorus ”SAL-VA-TION”. Recuperata la posizione, si riparte con Hanging Judge, primo brano composto a suo tempo per il disco e ulteriore perla di una collana splendente, grazie al suo riff spettacolare. Parlando di riff, come quantificare la perfezione di quello portante di Warzone, assolutamente calzante per rendere l’atmosfera evocata dal titolo. Per Burning Question, definita un “80’s anthem”, Bush chiede al pubblico di urlare con lui il refrain e chiede anche un applauso per Joey Vera, il quale veniamo a saperlo solo adesso, sta suonando mentre probabilmente la sua casa in California sta andando a fuoco, nei terribili incendi che stanno devastando lo Stato e sono causa di oltre quaranta morti ad oggi. L’applauso di incoraggiamento per il bassista è spontaneo e prolungato e carica ancora di più l’esecuzione di un pezzo splendido, che rischia però di apparire solo antipasto della magnifica Tainted Past, canzone monumentale e che vede finalmente all’opera la chitarra acustica vista nel soundcheck. Peraltro, è l’occasione per togliere definitivamente il dubbio sul fatto che l’intro di basso che accompagna il giro di chitarra iniziale non è eseguito da Joey Vera con l’ausilio di un basso fretless, ma con le sole dita. Una traccia magnifica, nel complesso, offerta da un gruppo che non mostra il minimo cedimento e mantiene livelli altissimi da un’ora e mezzo. Chiude la rovente e thrashy Spineless, uno dei brani più aggressivi del disco, che non manca di scatenare ulteriormente il pubblico presente, che a sua volta non sembra voler lasciar uscire la band dal palco. Bush e compagni questo lo capiscono al volo, tanto che rinunciano al solito teatrino dell’uscita per farsi richiamare dai presenti e partono direttamente con i bis. E’ Bush, ancora una volta, a presentare il successivo brano, specificando come per una band della loro età, il rischio sia quello di proporre album orribili, sfruttando quanto di buono fatto in precedenza per tirare a campare; la verità è che il cantante non manca di sottolineare quanto Win Hands Down sia stato ai loro occhi un album fondamentale, magari il loro migliore. La titletrack del nuovo album è esplosiva come da programma e il pubblico canta ancora a pieni polmoni, senza fermarsi per un secondo neanche durante l’iperclassico Can U Deliver, altro brano perfetto per le esecuzioni dal vivo. Senza praticamente sosta, ecco irrompere la furiosa Madhouse, sparata a tutta velocità e ormai senza riguardo nei confronti di un pubblico che reagisce finalmente lanciandosi nel pogo furibondo e sugellando così un’esibizione spettacolare, indimenticabile, stupenda.
Non resta molto altro da aggiungere a ulteriore descrizione di un concerto che ha esaltato al massimo le qualità di una band grandiosa, dei giganti costretti in una dimensione non loro, che hanno ormai fatto pace con quanto avrebbe potuto essere e non è mai stato e anche con il triste destino toccato all’amico mai dimenticato, “l’altro membro degli Armored Saint”, nelle parole di Bush, Dave Prichard. Il mix di emozioni è totale, dalla commozione all’esaltazione, gioia e splendore, sudore e pathos. Chi c’era sa di cosa si tratta, come spesso vale per le esibizioni dal vivo, quando a suonare sono band di assoluto livello quale sono e sempre saranno gli Armored Saint.
ARMORED SAINT SETLIST 1. March of the Saint 2. Long Before I Die 3. Chemical Euphoria 4. Reign of Fire 5. Dropping Like Flies 6. Last Train Home 7. Tribal Dance 8. Truth Always Hurts 9. Half Drawn Bridge 10. Another Day 11. Symbol of Salvation 12. Hanging Judge 13. Warzone 14. Burning Question 15. Tainted Past 16. Spineless
----- Encore -----
17. Win Hands Down 18. Can U Deliver 19. Madhouse
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9
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Una band che non ha avuto un decimo del successo che merita, che ha fatto dischi stratosferici che ben pochi hanno fatto, e tutt'oggi continuano a fare. Un cantante tra i migliori di sempre, voce magica che pure negli Anthrax ha saputo non solo essere protagonista ma per me pure migliore di Bella donna. Un disco, Symbol of salvation, da tramandare alle future generazioni per spiegare che cos'è l'heavy metal. Ed una macchina dal vivo, come dicono in America, unstoppable! Detto tutto? No, cazzarola non ho potuto andare a questo concerto! |
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8
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@mix quotone all 100%. E senza telefonini. |
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7
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Bellissimo report che rende alla perfezione l'atmosfera della serata. Va bene tutto, vanno bene i dischi d'oro, i palazzetti strapieni, i concerti raduno con un miliardo di persone e nei quali non si vede un cazzo e si sente male, ma per dio questo è l'heavy metal! Un club, 400 persone e una band della madonna che spacca tutto, anche il cuore. Che bello essere metallari! |
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6
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Purtroppo non sono riuscito a fare la trasferta. Li avevo visti recentemente a Wacken 2015 e mi erano piaciuti da bestia. Fra l’altro parte di quel concerto è stato immortalato nel recente live degli AS. |
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5
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Concerto superlativo grandissimi Saints |
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Grazie Lizard, lo immaginavo ma ammetto la mia ignoranza, d'altronde era plausibile se bush avesse voluto infilarci un classico del suo precedente gruppo, nessuno penso si sarebbe lamentato. Dei saint avevo qualche cassetta vent'anni fa ma li ho sempre ascoltati in modo distratto, il singolo win hands down di qualche anno fa mi piacque parecchio |
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@tino: la seconda che hai detto! |
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2
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è uno di quei gruppi storici che non ho mai seguito (senza spiegazione) pur apprezzando bush per il suo lavoro negli anthrax. Infatti la mia curiosità è: ma madhouse eseguita alla fine è quella degli anthrax o un omonimo del gruppo? |
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1
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Bellissimo concerto! Sono rimasto positivamente colpito da John Bush, non mi aspettavo un performance così potente e precisa. Per quanto mi riguarda è una dei concerti dell'anno |
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