La guerra è uno degli argomenti più tipici delle narrazioni heavy metal. C’è chi, come gli svedesi Sabaton o come gli inglesi Bolt Thrower, ne ha fatto anzi l’argomento principale delle proprie discografie. C’è chi ne ha parlato in maniera eroica, chi storica, chi ricorrendo alle metafore del fantasy. Anche per i Motorhead si tratta di un argomento noto e diffusamente trattato, perfino nell’iconografia stessa della band, infatti, ci sono richiami evidenti a mostrine, medaglie e oggetti legati alla guerra. Ma in 1916, gli inglesi hanno dato una delle letture più forti, potenti e struggenti in assoluto di questo terribile evento. Vediamo assieme il testo di questo splendido brano…
LA BATTAGLIA DELLA SOMME Con questo riferimento geografico al fiume Somme, che scorre in Piccardia, nel nord della Francia, si identifica una delle battaglie più cruente e sanguinose combattute sul Fronte Occidentale durante la Prima Guerra Mondiale, tra le forze Alleate e l’esercito tedesco. Il presupposto della battaglia fu la grande offensiva che il generale Erich Von Falkenhayn scagliò contro la fortezza di Verdun nel febbraio del 1916. Lo scopo di questo feroce ed enorme attacco era dichiaratamente quello di costringere l’esercito francese ad una strenua difesa della "mistica Verdun", nella corretta percezione che lo Stato Maggiore non avrebbe mai permesso una sconfitta in quel luogo fortemente simbolico. L’idea era quindi quella di prosciugare di mezzi e uomini i francesi, in una soffocante pressione continua, che durò per dieci mesi portando come risultato una delle più grandi carneficine della Storia, che resta a tutt’oggi la battaglia col maggior numero di morti per metro quadrato. Il Comandante francese, generale Joseph Joffre, già nel mese di aprile propose all’alleato inglese una manovra che, partendo appunto dal fronte del fiume Somme, avrebbe dovuto costringere l’esercito tedesco ad allentare la presa su Verdun, schiantando letteralmente il fronte nemico e costringendolo quindi alla definitiva ritirata, mentre era impegnato contestualmente su Verdun e, dall’altro lato, da una offensiva russa coordinata. Purtroppo, la strategia non tenne nel giusto conto l’impreparazione del corpo d’armata britannico in Francia: l’appena nominato Comandante Sir Douglas Haig, infatti, pur condividendo la strategia dell’alleato, non conveniva su altre operazioni secondarie di preparazione e questo rallentò il via alle operazioni, tanto che la pressione tedesca su Verdun e l’enorme costo in vite umane che questa stava portando, obbligò i francesi a ridurre grandemente il loro apporto all’offensiva di Somme, lasciando di fatto gli inglesi col compito di coprire da soli 40 Km del fronte di 60, inizialmente previsto. Per soddisfare le necessità militari, il Ministro della Guerra inglese, Sir Horatio Kitchener, ricorse ad una fortissima campagna di reclutamento volontari, formando i cosiddetti “Pals Battalions” (Battaglioni di amici), che furono addestrati e messi alla prova proprio nella Battaglia della Somme. Gli iconici manifesti della campagna di reclutamento restano scolpiti nella memoria collettiva inglese e mondiale e li ritroveremo addirittura nella copertina di Call to Arms dei Saxon. La preparazione alla battaglia fu imponente: gli alleati impiegarono oltre 3000 cannoni e obici che spararono oltre 1 milione e settecentomila granate e dieci tunnel contenenti fino a 20 tonnellate di esplosivo, da far brillare alla partenza dell’attacco della fanteria alleata. I preparativi fecero però del tutto svanire l’effetto sorpresa dell’attacco e i tedeschi ebbero tutto il tempo di prepararsi all’offensiva inglese (mentre non si aspettavano affatto quella congiunta francese, che fu organizzata in maniera meno evidente e da personale esperto), gestendo peraltro il terreno in maniera migliore, quindi garantendosi sempre una posizione sopraelevata rispetto agli attaccanti. L’effetto dell’imponente bombardamento, il più grande della Storia moderna e corredato anche dall’uso massiccio di armi chimiche, fu comunque notevolissimo, non fosse che l’attacco, inizialmente previsto per il 29 giugno, fu posticipato per motivi metereologici al 1° luglio, col risultato che le truppe inglese, ammassate nelle strette trincee, subirono a loro volta gli effetti delle continue esplosioni, durate giorni. Alle ore 7 del 1° luglio, partì l’offensiva inglese e congiuntamente quella francese: l’assoluta impreparazione della “Armata di Kitchener”, unita alla scarsità dei collegamenti, alla folle decisione di far avanzare le truppe in gruppi compatti e tutte assieme, col risultato di offrire una muraglia di bersagli ordinati al nemico, sortì degli effetti catastrofici per gli attaccanti, che già il primo giorno persero tra vittime, dispersi e prigionieri, quasi 60mila uomini. Le divisioni britanniche, composte ciascuna di 10mila uomini, furono decimate dal tiro dei difensori: i tedeschi, ammassati nei tunnel sotterranei, avevano risentito minimamente dell’impressionante bombardamento e accolsero gli attaccanti con un fuoco serrato che, di fatto, azzerò l’impatto frontale dell’avanzata. La mancanza di comunicazioni e il fragore delle esplosioni, impedì al comando britannico di avere la minima idea di come stessero andando effettivamente le cose sul fronte e di quella che si stava delineando come una carneficina senza alcun risultato positivo. Anche laddove i britannici riuscirono effettivamente a sfondare le linee nemiche, si ritrovarono soli e accerchiati, lasciando peraltro numerose sacche di resistenti e nidi di mitragliatrici armati, che falcidiarono le seconde linee, nelle quali le perdite furono anche più sanguinose, impedendo alle avanguardie di ottenere rinforzi, viveri e armi e costringendole quindi a ripiegare quasi subito. Molto meglio andò sul lato francese, dove i tedeschi furono in effetti presi di sorpresa ed ebbero notevolissime perdite, rispetto a quelle degli attaccanti. Purtroppo, questo non bastò a modificare il risultato del primo nefasto giorno di battaglia e la grande offensiva divenne a sua volta una logorante guerra di trincea e di stallo, che si concluderà solo mesi più tardi, con l’impiego anche dei primissimi carri armati da parte degli inglesi, che comunque non sortirono alcun effetto di rilievo sul risultato finale. Le conquiste territoriali alla fine dell’offensiva, il 19 novembre 1916, furono a dir poco irrilevanti: si parla di 8 Km di territorio riconquistato dagli Alleati, ma le perdite sui due fronti furono inimmaginabili. Solo dopo mesi si riuscì ad avere un’idea effettiva del costo della Battaglia della Somme e per molto tempo i dati furono contestati: ad oggi, si può dire con relativa certezza che gli Alleati persero 620mila soldati, mentre per i tedeschi si parla di circa 480mila. Tatticamente parlando, la Battaglia della Somme fu quindi un totale disastro per le truppe anglo-francesi, ma strategicamente l’obbiettivo fu raggiunto: la caparbia e continua offensiva britannica costrinse i tedeschi a spostare mezzi e uomini da Verdun, che in quello stesso novembre fu definitivamente lasciata, anche lei con il suo impressionante record di morte. La propaganda bellica ottenne poi la mobilitazione dell’intero Impero Britannico e il Corpo d’Armata in Francia arrivò a mobilitare oltre un milione e mezzo di uomini. L’esercito tedesco, invece, a sua volta prosciugato dallo scontro, non poteva contare su nuovi rincalzi e, da qui in avanti, la sua diventerà una guerra di sola difesa, con l’impossibilità di portare a termine la conquista della Francia. I britannici presero di conseguenza il comando delle operazioni, finchè la disperata reazione tedesca, affidata agli attacchi indiscriminati dei sommergibili, portò all’ingresso nella Guerra anche degli Stati Uniti. Si tratta insomma, di un episodio fondamentale della Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra, il più tremendo e logorante teatro di battaglia a memoria d’uomo.
1916 La mente umana non riesce a concepire un numero come un milione e centomila morti, per conquistare una striscia di terra di 8 Km. E’ impossibile farsi una ragione di tanta morte e sofferenza. Per questo, fin troppo spesso, i numeri non riescono a parlare, a comunicare davvero l’orrore che sembrano rendere evidente e che invece finiscono per nascondere, dietro una logica contabile. E’ per questo che la letteratura ha invece potuto e saputo raccontare con molta più profondità ed emozione le vicende che solo un secolo fa hanno visto il Mondo sprofondare nella più sanguinosa guerra di tutti i tempi. Almeno fino alla Seconda. Assieme alla letteratura, sarà naturalmente anche il cinema a raccontare le proprie storie e non poteva essere da meno la musica. 1916 è la canzone che dà il titolo al nono album dei Motorhead, leggenda del rock britannico, uscito il 26 febbraio 1991, con la gloriosa formazione a quattro, che vedeva assieme al leader Ian “Lemmy” Kilmister, il rientrante Phil “Philty Animal” Taylor alla batteria e le due chitarre di Michael “Wurzel” Burston e Phil Campbell. Si tratta di uno tra gli album più belli ed importanti nella discografia della band inglese e, sicuramente, uno dei più "coraggiosi", se vogliamo, con brani che furono innovativi rispetto alla tradizionale scrittura dei Motorhead, come la ballata Love Me or Leave Me e appunto la titletrack. Peraltro, già la bella copertina, che mostra alcune delle bandiere delle nazioni coinvolte nella Prima Guerra Mondiale, rovinate dalle bombe e dagli scoppi e avvolte dal fino spinato, aiuta a cogliere l'atmosfera del brano. Ironicamente visto il tema della titletrack, per un errore, la bandiera francese, quelle bulgara, russa, serba e portoghese, non furono rappresentate. Il brano è un unicum nell’intera discografia dei Motorhead, che si caratterizza per tempi molto veloci e per la commistione di punk/hardcore ed heavy metal primigenio, che Lemmy continuerà giustamente a chiamare rock’n’roll fino all’ultimo giorno. 1916, scritta peraltro in solitaria da Kilmister, è invece una traccia lenta e gelida, scandita dalla batteria che detta un tempo chiaramente militare, da un organo e da archi e corni campionati, sui quali il musicista scandisce una melodia struggente, dando fondo alle proprie capacità d’interprete, lasciando una impressione profonda e significativa. Un’impressione che peraltro non lascia dubbi sulla profondità del rifiuto della guerra da parte del leader dei Motorhead, spesso al centro di polemiche per il proprio esibito interesse per l’iconografia militare, in particolare per quella tedesca, proprio della Prima Guerra Mondiale. Qua non c’è niente della “cavalcata gloriosa” di una The Trooper, non c’è trionfo, non c’è gloria, non ci sono allori. Fin dalla prima nota, il brano è un epitaffio, una mesta e dolorosa narrazione. Il canto è quello di uno dei ragazzi della “Armata di Kitchener”, uno dei misteriosi protagonisti della Battaglia della Somme, arruolatosi come volontario per orgoglio e desiderio di difendere la propria Patria ed il suo onore militare e destinato alla morte nel fango nel primo terrificante giorno di battaglia:
Sixteen years old when I went to the war, To fight for a land fit for heroes, God on my side, and a gun in my hand, Chasing my days down to zero, And I marched and I fought and I bled and I died, And I never did get any older, But I knew at the time that a year in the line, Was a long enough life for a soldier,
Sedici anni quando sono partito per la guerra, Per combattere per una Terra degna solo di eroi, Dio al mio fianco e un fucile nella mia mano, Inseguendo i giorni che mancavano fino allo zero, E marciai e combattei e sanguinai e sono morto, E non sono mai diventato vecchio, Ma ho imparato in quel momento che un anno sul fronte, E’ una vita lunga abbastanza per un soldato
C’è da credere che furono tanti all’inizio i volontari che si iscrissero nelle liste di collocamento, quasi cinquecentomila risposero all’appello di Sir Horatio Kitchener e dopo un addestramento sommario finirono subito in guerra, carne da macello per rinforzare le file dei veterani che componevano inizialmente i 160mila del Corpo d’Armata Inglese in Francia. La dura consapevolezza della realtà della guerra di trincea scava immediatamente gli iniziali ardori retorici, sbattendo la crudezza e l’inutilità della morte dei soldati, alla conquista di un pezzo di terra che il giorno dopo viene riconquistato dal nemico.
We all volunteered, and we wrote down our names, And we added two years to our ages, Eager for life and ahead of the game, Ready for history's pages, And we brawled and we fought and we whored 'til we stood, Ten thousand shoulder to shoulder, A thirst for the Hun, we were food for the gun, And that's what you are when you're soldiers,
Andammo tutti volontari e scrivemmo i nostri nomi, Aggiungendo due anni alle nostre età, Affamati di vita e avanti rispetto agli eventi, Pronti per le pagine di Storia, E rischiammo e combattemmo e ci prostituimmo finché rimanemmo immobili, Diecimila, spalla contro spalla, Affamati di crucchi, eravamo invece cibo per le mitragliatrici, Ed è questo che sei, quando sei un soldato.
Così i “Pals Battalions”, battaglioni composti da soldati provenienti dalle stesse città e dagli stessi quartieri, che andavano ad ingrossare le divisioni di diecimila uomini lanciati contro le linee tedesche a corsa, avrebbero dovuto trovarsi di fronte un nemico indebolito e messo in ginocchio dai tremendi bombardamenti di preparazione e dall’esplosione dei tunnel di dinamite. In verità, i tunnel sotterranei avevano permesso ai tedeschi di non subire particolari perdite e la totale mancanza di effetto sorpresa, così come lo sbandamento delle inesperte linee offensive inglesi, al di là del comprensibile scoramento psicologico causato dalle continue esplosioni, permise di fatto ai difensori un fuoco di sbarramento mortale che decimò le file delle divisioni inglesi, preparando la strage del primo giorno di battaglia.
I heard my friend cry, and he sank to his knees, Coughing blood as he screamed for his mother, And I fell by his side, and that's how we died, Clinging like kids to each other, And I lay in the mud and the guts and the blood, And I wept as his body grew colder, And I called for my mother and she never came, Though it wasn't my fault and I wasn't to blame, The day not half over and ten thousand slain, And now there's nobody remembers our names And that's how it is for a soldier Sentii il mio amico piangere e cadde sulle sue ginocchia, Tossendo sangue mentre chiamava urlando la madre, E caddi al suo fianco ed è così che morimmo, Abbracciandoci l’un l’altro come bambini, E giacqui nel fango e nelle budella e nel sangue, E piansi mentre il suo corpo si raffreddava, E chiamai mia madre, ma lei non arrivò mai, Anche se non era colpa mia e non ero certo io da biasimare, Il giorno non era passato neanche per metà e già diecimila furono sterminati, E ora non c’è nessuno che ricorda i nostri nomi Ed è così che va per un soldato.
Inutile aggiungere commenti all’ultima parte del brano, se non per notare come il "Dio al proprio fianco" orgogliosamente nominato alla partenza dei volontari, non sia poi invocato nel momento della morte, nel quale lascia il posto alla madre dei soldati morenti. Tutta la retorica della guerra e della Patria, lascia qua posto all’orrore della morte, ancora più terribile perché non è la propria ad arrivare per prima, ma quella di un amico, abbracciato a te, finché non è il silenzio e la consapevolezza che nessuno ricorderà il sacrificio di questi ragazzi, partiti come volontari pieni di sogni di gloria, finiti nel fango, piangendo se stessi e la propria gioventù mandata al massacro.
|