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26/04/24
KARMA
CSA RIVOLTA, VIA FRATELLI BANDIERA 45 - VENEZIA
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LEGENDS OF ROCK - # 42 - Gotthard
30/01/2020 (1431 letture)
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Gli esordi ed i primi successi La storia dei Gotthard ha inizio nei primi anni 90, a Lugano, nel Canton Ticino della Svizzera. Il paese Elvetico non ha mai brillato per dare fortuna e visibilità nel campo musicale, ancora meno nel campo rock, salvo alcune eccezioni come Krokus, Celtic Frost e più recentemente Eluveitie, tuttavia con un po’ di fortuna ed innegabile merito i Gotthard si ritaglieranno una fetta sempre maggiore di pubblico diventando una delle realtà hard rock più interessanti a livello europeo, vendendo oltre tre milioni di dischi e riuscendoli a piazzare tutti al numero 1 di vendite nelle classifica svizzera. La band si forma come Krak, ma cambia nome in Gotthard su consiglio del manager e collaboratore Chris von Rohr, ex bassista proprio dei Krokus. Il nome si ispira semplicemente al passo del Gottardo, nel Canton Ticino dove la band ha la propria sede, e gioca sul doppio senso Got e Hard. Il gruppo è composto dal batterista Hena Habegger, dal bassista Marc Lynn, dal chitarrista Leo Leoni e dal cantante Steve Lee. La formazione varierà solo per l’inserimento di secondi chitarristi e collaboratori esterni, ma si manterrà stabile fino al 2010, anno che segnerà un tragico cambiamento nella band. Siamo nel 1992 e l’attenzione del mercato musicale si è spostata su generi come grunge e rock alternativo, il rock ed il metal classico stanno sprofondando nella crisi da cui non usciranno più come prima, gli anni 80 sono morti, come periodo e come i contenuti… questo fenomeno colpisce in pieno centro l’America ma l’Europa non ne è esente, anche i gruppi rock europei come Scorpions, Europe, Def Leppard stanno per vivere una crisi artistica e di pubblico importante, ma gli svizzeri sono cocciuti e da sempre indifferenti a quello che succede intorno a loro. La band pubblica il proprio debut omonimo che risulta essere un perfetto concentrato di hard rock duro ed energico, con forti influenze che vanno dal glam americano all’hard rock inglese, brani come Standin in the Line, Downtown, Firedance o le ballate Angel e All I Care For pur non brillando per originalità sono notevoli manifesti di rock pesante e melodico. La band ci sa fare, suona bene e matura, ma la punta di diamante risiede nella splendida voce di Steve Lee, autentico fenomeno che non esagero nell’inserire tra le 5 voce hard rock più belle di sempre. Nell’album troviamo addirittura uno special guest quale Vivian Campbell alla chitarra solista nei brani Firedance e Get Down. Da segnalare inoltre la bella rivisitazione del brano Hush di Billy Joe Royal, famosa anche per la versione registrata dai Deep Purple. Il successo è immediato, sia in patria che nella vicina Germania, la band intraprende un tour europeo supportando i Victory ed i Magnum, per poi entrare nuovamente in studio. La nuova opera si chiama Dial Hard, e conferma quanto di ottimo fatto col debut, con un ulteriore appesantimento del sound, brani come She Goes Down, Open Fire, Mountan Mama, Here Comes The Heat risultano subito dei classici, con chitarre in evidenza ed ancora la splendida voce di Lee a fare la parte del leone. Questa volta viene ripresa Come Together dei Beatles, opportunatamente appesantita e personalizzata nello stile della band. Il sound è più americano e vengono meno le influenze british e melodiche. Il disco è un ulteriore centro e riesce a raggiungere il numero uno della classifica svizzera. È in questo periodo che personalmente scopro dell’esistenza della band, purtroppo non ancora a livello musicale. Le riviste cartacee dell’epoca pubblicano la recensione di Dial Hard, e scopro con piacere che a pochi km da casa mia (provincia di Varese), nella Svizzera italiana esiste una band hard rock che sta ottenendo un ottimo successo in patria, leggo le recensioni, a dir la verità piuttosto tiepide, ma per qualche motivo mi resta impresso il nome dei Gotthard nella mente. La band si esibisce anche in Italia, nel piccolo Dracma Club in provincia di Torino. Anni dopo un amico mi racconterà di aver partecipato a quel concerto, (e confermerà quanto raccontato anche dal nostro Franco Leonetti nel cappello introduttivo alla recensione di Dial Hard) raccontando di ragazzi alla mano, in particolare proprio Steve Lee che si dimostrerà cordiale, sempre sorridente e disponibile, nonostante non si possa considerare un concerto di gran successo dato lo scarso seguito che la band ha Italia in quel periodo. La band si prepara per il terzo lavoro discografico, sempre sotto la supervisione di Chris von Rohr e di un rinnovato contratto con la BMG e vola a Los Angeles per registrare e produrre G. pubblicato nel 1996, che pur risultando un ottimo lavoro mostra i primi segnali di cambiamento. La chitarre e la potenza dei primi due lavori vengono meno, in favore di arrangiamenti più ricercati ed un sound più commerciale. Anche la scelta dei singoli ricade su tre brani decisamente radiofonici come Father Is That Enough? , One Life, One Soul e He Ain't Heavy, He's My Brother. L’anno successivo la band registrerà il primo album live, D-Frosted, che contiene brani della band rivisitati in chiave acustica. L’album fu tratto da un concerto che la band tenne a Lugano in Piazza Grande e risulterà essere il loro maggior successo commerciale. Alla band partecipa anche il chitarrista Mandy Mayer, che da lì a poco entrerà in formazione, e che anni dopo sarà anche uno dei fondatori del progetto Unisonic con Michael Kiske e Kai Hansen. D-Frosted è il disco della consacrazione della band che riesce a far breccia anche tra chi non è affatto avvezzo al rock duro. Ricordo che anche mio padre, per nulla amante della musica, tanto meno del rock, mi parlò di questa band svizzera che aveva sentito ad un servizio televisivo sul canale della svizzera italiana e me ne parlò in maniera entusiasta.
I've been dreaming for too long Chasing rainbows, on my own Screamin', screamin' You are the wind in my sail In an ocean so wide Over good times Bad times I'll be your own guiding light Holding your hand Eyes open wide N' always beside
One life One Soul
Il successo e la svolta commerciale Forti del successo di D-Frosted e dell’ascesa commerciale la band si mette al lavoro sul nuovo disco, e spinti dalla casa discografica e dal manager Von Rohr danno una forte impronta commerciale e melodica ai brani. Le chitarre aggressive ed il sound potente tipico dei primi dischi è praticamente assente, in favore di arrangiamenti più ricercati e dal piglio radiofonico, vicino ad artisti come Bon Jovi o Brian Adams. Il risultato si chiama Open, e pur risultando ancora campione di vendite non incontra il favore dei fans, e nemmeno della band, che anni dopo ripudierà il disco, giustificandosi dicendo di aver ceduto alle pressioni di casa e manager. Solo la ballad Let It Rain, scelta anche come primo singolo, troverà posto nelle setlist della band. Anche in questo album troviamo una cover, questa volta dei Move, del brano Blackberry Way. Nel 2000 iniziano i lavori per il successore di Open, intitolato Homerun, questa volta con il gruppo a lavoro nel proprio nuovo studio, chiamato Yellowhouse studio 13, sito a Lugano. Il sound non si discosta più di tanto dal lavoro precedente, ma è il songwriting ad essere migliore, con ottimi brani come la opener Everything can Change, Light in your Eyes, la ballad Heaven, Come Along e la title track. Il disco è il maggior successo di vendite di sempre della band, resta al primo posto della classifica svizzera per mesi e risulta il disco più venduto di quell’anno. La band affronta un lungo tour da headliner, apre concerti per AC/DC e Bon Jovi, pubblica un DVD Live, tutto va a gonfie vele per la band, che tuttavia decide di rompere la collaborazione con il produttore storico Chris von Rohr che li aveva seguiti fin dal debutto. La scelta del produttore del nuovo disco cade su Marc Tanner, che vantava collaborazioni con Warrant, Hardline e The Calling, tuttavia anche il nuovo disco non si discosta dal sound leggero degli ultimi lavori. Human Zoo, questo il titolo estremizza anzi quanto sperimentato su Open e Homerun, con un gran lavoro di arrangiamenti e collaboratori esterni che si occupano di violini e strumenti ad arco. La qualità del disco è buona, ma lontanissima dalle origini hard rock della band, in cui possiamo trovare qualcosa solo nella title track. Nonostante i buoni responsi del mercato, soprattutto in patria, la band da un taglio alle sperimentazioni e da qui in poi cercherà di tornare alle origini.
Cambiamento e rinnovamento Dopo Human Zoo la band intraprende una serie di cambiamenti, il secondo chitarrista Mandy Meyer lascia il posto a Freddy Scherer, tutt’oggi in formazione, fonda una propria casa discografica, la G.Point Records e sigla un accordo con Nuclear Blast per la pubblicazione dei prossimi lavori, rompendo un sodalizio che durava da anni con BMG. Il nuovo lavoro, registrato sempre presso il proprio studio a Lugano si intitola Lipservice, e vede un ritorno a sonorità più pesanti, pur senza raggiungere la rocciosità di Dial Hard. Il singolo Lift U Up verrà utilizzato anche nel 2008 come inno della nazionale svizzera per gli europei di calcio. Lipservice si dimostra ancora campione di vendite e permette alla band di raggiungere il milione di copie complessive di vendite in patria, risultato già di per sé alto ma eccezionale se si considera che la Svizzera ha solo 8,5 milioni di abitanti. Lipservice risulta essere un perfetto equilibrio tra il passato più pesante e roccioso e la fase melodica, il disco non ha nessun brano sottotono, ed anzi contiene classici come la opener All We Are, Dream On, Anythime Anywhere, Cupid’s Arrow, Said and Done, le influenze settantiane di Led Zeppelin e Deep Purple sono evidenti ma ormai il gruppo ha carattere da vendere ed una identità bene precisa. La band è ancora in ascesa, ottenendo ottimi responsi anche in Spagna ed in Sudamerica, per questo omaggia i fans incidendo una versione di Lift U Up e Anythime Anywhere in lingua spagnola. È proprio in questo periodo che ho la fortuna e l’occasione di vedere la band dal vivo per la prima volta saggiando in prima persona l’incredibile impatto che la band riesce ad avere in sede live.
Formula vincente non si cambia, Domino Effect, ottavo disco del gruppo segue il medesimo processo del precedente, registrato nei propri studi a Lugano, rilasciato da Nucler Blast, ottenendo il solito primo posto nella classifica svizzera e segue il corso intrapreso con Lipservice, con un appesantimento ulteriore del sound ma soprattutto delle atmosfere, più cupe, risultando il disco più oscuro della band. Anche il singolo The Call non è la solita ballad melodica, come la title track, la opener Master of Illusion, Falling, Gone Too Far hanno complessivamente un mood più malinconico di quanto proposto finora. La band intraprende ancora un nuovo tour di successo, in Europa e Giappone, oltre che supportare i Deep Purple in alcune date del loro tour per i quarant’anni della band. Steve Lee si dedica anche ad alcuni progetti paralleli, un tributo ai Queen per un programma televisivo sulla rete nazionale ed un tour insieme alla band di Jon Lord.
Need to Believe, la morte di Steve Lee Need to Believe è il nono album della band e viene rilasciato nel 2009, musicalmente prosegue il percorso intrapreso con gli ultimi lavori, hard rock che mischia abilmente potenza, melodia, ritornelli accattivanti ottime ballad, brani come Unspoken Words, Uncoditional Faith, Right from Wrong, la title track o Don’t Let Me Down sono manifesti di hard rock e diventano subito dei classici del gruppo. Anche in questo caso la forza della band risiede in un songwriting ispirato e brani ben confezionati, sempre un passo avanti rispetto la maggior parte della concorrenza, senza cercare innovazione o sperimentazione, facendo al meglio quello che è nelle loro corde, il tutto impreziosito ancora una volta dalla voce di Steve. Il disco è ancora numero uno in classifica svizzera, diventa disco di platino, la band si esibisce in diverse occasioni in eventi nazionali a dimostrazione di come sia famosa e considerata, soprattutto in patria. Il titolo del disco sembrerà quasi profetico per gli eventi a venire, il significato di Need To Believe verrà spiegato dal cantante in un’intervista, liberamente tratta da Wikipedia:
Need to Believe è un po' il nostro credo, una band come i Gotthard che è in giro da 19 anni con 10 dischi all'attivo ha bisogno di credere di riuscire ad andare avanti, di vedere le cose positive e anche saper valutare quelle negative tante volte. Credo che il mondo com'è adesso dove tutti la vedono nera, con la crisi, abbia bisogno che tu creda di riuscire ad arrivare al tuo traguardo. Che tu sia un pover'uomo in malattia, che tu abbia perso il lavoro o quant'altro devi sempre cercare di raggiungere i tuoi sogni. Questa per così dire autosuggestione è servita sempre anche a noi, se veramente ci credi riesci a fare cose che pensavi impossibili come ad esempio la mano sulla copertina che stringe forte un sasso dal quale esce dell’acqua. Posso dire che portare avanti negli anni questo motto ci è servito moltissimo, ci fa trovare la voglia di continuare. Ci rendiamo conto tutte le volte che funziona, riusciamo a fare un bell'album, la gente è contenta, il tour ha un grande seguito e la vita tutta ad un tratto ha un altro colore!
Tutto sembra andare per il meglio per i Gotthard, ma purtroppo il destino ha in serbo qualcosa di terribile. Il 5 ottobre 2010 Steve Lee insieme al bassista Marc Lynn ed altri amici svizzeri sono in vacanza sulle strade di Las Vegas negli Stati Uniti, da sempre appassionati di moto Harley Davidson approfittano di una pausa dalle attività della band per realizzare il sogno di girare le strade degli States per due settimane in motocicletta. Durante una pausa in cui il gruppo si è fermato per indossare delle tute antipioggia un camion perde il controllo ed il rimorchio travolge cinque moto ed una colpisce il cantante. I soccorsi risultano inutili, Steve Lee viene dichiarato morto a 47 anni, davanti agli amici e la propria compagna Brigitte Voss-Balzarini.
Looking out the window and seeing my life go by Many times I feel the joys, some others where I cry What's my destination, I still don't know The train of life just takes me down, To where the four winds blow But I'm not alone Everyone is going to meet its destiny Sometimes it's tough, don't you feel the same? But I won't ever miss that train
The Train
Un nuovo cantante, un nuovo corso La morte di Steve Lee è un trauma per i restanti membri della band, amici da una vita oltre che collaboratori, la band resta in completo stand by per mesi, valutando la possibilità di sciogliere il gruppo, è parere unanime di fans ed addetti ai lavori che i Gotthard non saranno mai più quelli di prima, tuttavia nei primi mesi del 2011 tramite i propri canali ufficiali viene annunciata la decisione di andare avanti, avallata dalla famiglia di Steve. La band riceve oltre 400 candidature, da queste vengono selezionati 30 nomi, la band decide di passare alcuni giorni con ognuno di questi, sia in studio a comporre e provare brani che nel quotidiano per valutare oltre al lato tecnico ed artistico anche se si riescono a creare dei buoni rapporti umani. Per la band questo aspetto è fondamentale, in quanto ritiene che aver solo un buon cantante o peggio ancora un clone di Lee sarebbe un limite. Nel frattempo vengono pubblicati due album, il primo intitolato Heaven - Best of Ballads 2 e l'album live Homegrown - Alive in Lugano, registrato a Lugano il 17 luglio 2010 in occasione degli Swiss Harley Days. Il 20 novembre 2011 viene annunciato il nuovo cantante, lo svizzero, ma residente da anni in Australia, Nic Maeder. Il nuovo singer si rivela perfetto per il ruolo: pur ricordando il compianto Steve possiede un timbro ed una personalità propria, risultando a proprio agio sia in studio sia in sede live, riuscendo a interpretare ottimamente anche i vecchi brani. Il nuovo lavoro viene pubblicato a giugno 2012 e si intitola Firebirth, il nuovo corso della band non farà altro che consolidare la propria posizione all’interno del mercato musicale. Il nuovo disco come i successivi Bang! del 2014 e Silver del 2017 sono buonissimi lavori, le influenze anni 70 sono più evidenti, così come una nuova virata melodica che strizza l’occhio al commerciale. Non mancano brani ottimi e degni di nota, come Starlight, Remenber It’s me o Where Are You, (dedicata a Steve Lee) da Firebirth, Feel What i Feel, C’est la Vie, Thank You Da Bang! o ancora Stay With Me, Only Love is Real, My oh My da Silver. Maeder svolge il suo compito in maniera impeccabile, ed anche se il fantasma del suo predecessore aleggia sempre nella musica recente della band non possiamo che augurare ancora lunga vita ai Gotthard.
The place is getting empty Roadies take the stage The first to come, the last to go Still wanna sing, still wanna play Before I leave it all behind Move on closer, near by my side Let me take you for a while .... Did what I had to, but it's still a long way Hope you'll remember me Each n' every day
I’m on my way
Discografia degli album in studio
1992 – Gotthard 1994 – Dial Hard 1996 – G. 1999 – Open 2001 – Homerun 2003 – Human Zoo 2005 – Lipservice 2007 – Domino Effect 2009 – Need to Believe 2012 – Firebirth 2014 – Bang! 2017 – Silver
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10
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@Fabio Rasta, con il primo omonimo e Dial Hard non sbagli. però il mio preferito é il primo omonimo perché come dicevo quaggù contiene la ballad All I Care For che é molto bella e poi Downton che suona Hard Rock come i Cinderella del primo album.
Si insomma fondamentalmente l'influenza maggiore sono Bon Jovi, Whitesnake (dall'85 in poi) e i Dokken... però i primi due album sono anche molto Hair/Glam anni 80. Riescono a coverizzare in modo convincente i Beatles con il medesimo stile di cui sopra.
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9
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I primi 3 album per me sono molto belli! A metà tra Bon Jovi e Cinderella periodo Night Songs soprattutto nel primo disco.
Per me il più bel pezzo che hanno scritto é All I Care For |
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8
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Bravissimo Mauro, come sempre bell'articolo, dettagliato e sentito.
Non sono un amante sfegatato della band, ma ho alcune loro canzoni nel cuore, cosi come la voce di Steve che amo particolarmente. Sono un fan atipico e più "facile", in quanto apprezzo poco il primo periodo più grezzo e hard rispetto a quanto fatto in seguito, pura amando canzoni come Angel o le cover di Come Together (che intro da paura di Steve) o Hush. Le ballad loro le ho sempre trovate di livello superiore (Leoni signor songwriter), da One Life One Soul a Let It Be, passando per la strafamosa Heaven fino ad arrivare a quei gioielli di Where Are You (bellissime lyrics, che anche Steve avrebbe adorato) e Cest La Vie. Bang e Firebirth non sono niente male, e trovo azzeccato l'inserimento di uno come Maeder, dalla timbrica non fenomenale ma adatta ai loro brani, e sopratutto grazie al suo essere molto terra terra come persona. Comunque tra i miei brani preferiti della band cito sicuramente Need To Believe, Anytime Anywhere (anche se più quella spagnola) e quel gioiello di Shangri La, per me il loro apice a livello di maturità compositiva, melodia e "commercialità" del brano. Spettacolare. Grande band comunque, che meriterebbe di essere più considerata anche in Italia |
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7
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Articolo bello ed esauriente. Del gruppo ho i primi 2, l'Unplugged (Frosted) e Human Zoo. A @Fabio Rasta posso dire che il debutto è un gioiello incredibile di puro, incandescente, lavico hard rock. Da avere senza ombra di dubbio. Sul fatto che il povero Steve Lee - quando si dice "era giunta la sua ora" - sia tra i primi 5 cantanti di hard rock non saprei che dire. Un campione sì, ma in un campionato in cui hanno giocato Ian Gillan, Paul Rodgers, David Coverdale, Glenn Hughes, Dio, David Byron, Sammy Hagar, Jimmy Barnes, Ray Gillen faccio fatica a vederlo nei primi 5...poi ognuno ha i suoi gusti e allora io non cito Robert Plant (URCA!). |
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P.S. Anch'io non sono forzatamente contro i cliché, anzi, tante di quelle ballad vorrei averle scritte magari io, a essere capaci, il problema cui mi riferivo è un certo tipo di produzione che io detesto. Da G., ho tolto giusto qualcosina, e ho sempre pensato meritassero prima o poi un approfondimento. Si sentiva che erano genuini. L'aver scoperto la tragedia del cantante, che comunque ha fatto una morte On The Road dopotutto, da uno fiero, alla BON SCOTT, alla DUANE ALLMAN, mi invoglia ad omaggiarlo nell'unico modo che mi è possibile. |
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X Mauro Paietta. Thanks. Comincerò dai primi due. V |
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Anch'io faccio i complimenti per l'articolo, i Gotthard li ho sempre ascoltati con grande piacere fino a Need To Believe....il resto lo sappiamo. Grande Steve Lee! |
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bell'articolo My refuge, complimenti! |
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i dischi più hard rock sono sicuramente Dial Hard, il debut, Lipservice, Need to Believe e Domino Effect. Inizierei in quest'ordine, comunque le ballad sono sempre in stile Bon Jovy - Europe, non che sia per forza un difetto a parere mio |
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Diversi anni fa, un'amica (invero piuttosto "babbana") mi copiò G. su una chiavetta, sostenendo che mi sarebbe dovuto piacere. Non lo tenni tutto, il disco, xchè in realtà, x i miei gusti era un po' commercialotto, nonché abbastanza banale, e mi ricordava un po' troppo i BON JOVI (soprattutto quando si cimentano con le ballate svenevoli). Come questi ultimi, però, ho sempre sostenuto che avessero un gran cantante ed una discreta grinta. Un grande cantante, nel Rock, fa sempre la differenza. Leggo ora qui che questa splendida voce è mancata in modo assai sfortunato, e mi dispiace molto; un grande interprete come lui, poteva rendere grandiosa anche la canzone + ritrita. Allora, dovrò ascoltarmi prima o poi i primi due, o la minestra è sempre quella? Qualcuno ha un consiglio da darmi? Esiste un Best Of ben fatto? Grazie. Ciao. V |
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