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SINE QUA NON - # 33 - 'Triangle' e 'The Constellatory Practice'
08/06/2020 (1114 letture)
PARTE 1. IL BLACK METAL DELLA TRASCENDENZA
Nella sua accezione più generica la trascendenza è, citando direttamente il dizionario di filosofia Treccani, «la proprietà o la qualità di qualcosa che si trova al di là, va oltre un determinato ambito». Accostare, dunque, il termine trascendenza a qualcosa di così netto e dai confini così precisi come un genere musicale -specialmente se questo genere è il black metal- potrebbe apparire un azzardo. Certamente, la storia contemporanea del black metal ci ha mostrato come questo sia, nonostante le origini esclusive ed escludenti, tra i sottogeneri più aperti alla contaminazione, non di rado anche da parte di regioni musicali assai distanti dallo stesso black metal. Quindi, in un certo senso, esso è di per sé trascendente, per lo meno nelle sue manifestazioni più moderne ed avanguardiste. Ed è proprio qui che risiede il piede di porco che ci consente di spalancare le porte di quello che, come da titolo di questa prima parte dell’articolo, abbiamo chiamato “black metal della trascendenza”. Poiché se l’avantgarde, in tutte le sue potenzialmente infinite sfaccettature, è un genere (forse sarebbe meglio chiamarlo non-genere o magari genere-ombrello) che «va oltre un determinato ambito», quello di cui vogliamo parlare oggi è di altra natura. Band come i norvegesi Solefald o gli italiani Alien Syndrome 777 rappresentano piuttosto meravigliosi esempi della “trascendenza del black metal”, deviazioni dal percorso tortuoso del più estremo dei generi estremi del metal. Il black metal della trascendenza si colloca altrove nel grafico del black metal: non si trova al centro, regione abitata dalle band puriste, e non si trova nemmeno neanche nella periferia, quella zona di contaminazione e commistione sfrenata. Il black metal della trascendenza si trova al di fuori, eccede il black metal non solo perché aperto ad influenze esterne, ma perché, nell’aprirsi, si eleva. Esso si trova all’esterno della Città del black metal non in senso orizzontale, terreno, ma in senso verticale: il black metal della trascendenza si trova al di sopra -non necessariamente in senso qualitativo, s’intende- della cupola terrena che ricopre questa Città. Questi confini ecceduti non sono, proseguendo nella metafora cittadina, puramente geografici ma metafisici. Per poter meglio definire il black metal della trascendenza vengono in nostro aiuto due band, l’una svizzera e l’altra olandese, che hanno fatto dell’”oltre”, di questo «al di là» non solo il proprio marchio di fabbrica ma anche la propria ragion d’essere: da un lato gli Schammasch, con il proprio capolavoro, il colossale Triangle, e dall’altro gli Urfaust, autori di uno dei dischi più ammalianti del 2018, The Constellatory Practice.

PARTE 2. “INNALZERÒ IL MIO TRONO SOPRA LE STELLE DI DIO”
È del 2016 uno degli album più complessi, non solo musicalmente, che siano mai stati accostati all’etichetta di “black metal”. Triangle, l’opera più magniloquente di una delle entità più eteree della musica estrema, gli elvetici Schammasch, non è solo un (triplo) disco di musica; esso è forse meglio definibile come saggio filosofico sulla morte. Giunto due anni dopo il predecessore, il già ottimo Contradiction, il terzo capitolo della carriera degli Schammasch si propone come esplorazione della morte e del trapasso, del rapporto corpo-spirito. Cinematograficamente parlando, i tre capitoli di Triangle potrebbero essere visti come prequel e insieme sequel tematico del film più complesso (e bello, per chi scrive) di Gaspar Noé, Enter the Void: come in questo, infatti, pare evidente anche nel triplo album della band svizzera una certa influenza del Libro Tibetano dei Morti, che non si manifesta solo nell’argomento trattato ma anche in certe atmosfere, evocate principalmente nella terza parte, The Supernal Clear Light of the Void, che tratteggiano il mood etereo e profondamente spirituale che contraddistingue le religioni e le filosofie orientali. Già la tripartizione di Triangle ritrae il tragitto che l’uomo percorre a partire dalla morte verso la dissoluzione del sé, verso l’oblio del proprio Io (Derrida, come Carmelo Bene, si sarebbe forse divertito a chiamarlo “obl-Io”): da The Process of Dying, il primo capitolo caratterizzato da un black metal furioso e granitico, terreno e fisico, fortemente atmosferico che mostra una band ancora vicina -seppur non come nei due dischi precedenti- ai canoni stabiliti dai polacchi Behemoth in Evangelion; passando per Metaflesh, nel quale la carnalità del black metal sopravvive solo in qualche sporadico blast beat e riff di chitarra violento ma dominato dal lato più atmosferico della sezione precedente; per giungere infine a The Supernal Clear Light of the Void, nel quale è solo quest’ultimo animo degli Schammasch a sopravvivere, non v’è più nulla di terreno e di fisico, la musica si è consegnata completamente alla trascendenza, è trapassata oltre i limiti umani e naturali.

È possibile riscontrare questo disgregarsi del fisico nel metafisico, questo dissolversi del terreno nell’ultraterreno anche nella voce di C.S.R., il cantante e chitarrista della band, che lavora con grande intelligenza sui suoi vocalizzi, passando con disinvoltura da uno stile graffiante che, come quello di Nergal, si colloca all’incrocio tra scream e growl (In Dialogue with Death), ad un clean profondo e ieratico (The Empyrean). La sua voce, talvolta accompagnata da ospiti sempre azzeccatissimi, come Okoi Thierry Jones dei Bölzer nella stupenda Above the Stars of God, è camaleontica e sempre in grado di modellarsi attorno alla musica suonata: ora imitandone la durezza (Father’s Breath), ora divenendone il negativo, come nel caso di Metanoia, nella quale la musica corre rapida sul percorso verso la dissoluzione, tra blast beat delicati e chitarre in tremolo picking che si prodigano in riff di ampio respiro, mentre C.S.R., come un sacerdote, canta la propria parte con voce calda e distesa (come dicevamo sopra, ieratica). I testi, ovviamente, in un’opera simile non possono certamente essere mero orpello, parole per consentire al cantante di fare il proprio mestiere. Come gruppi quali i Deathspell Omega (tra le band di maggior rilievo quando si parla di un black metal intellettuale), anche gli Schammasch prestano una particolare attenzione alle liriche che, accompagnandosi alla musica dissolventesi, raccontano il dissolversi dell’Io e la consegna dello spirito al Vuoto.

To speak the silent truth
As death is the only change of form
The spiritual eye is opened
To the clear light of the void


Questo semplice, breve estratto da Awakening from the Deam of Life, la canzone finale di The Process of Dying, non solo racchiude in sé, in estrema sintesi, l’intero concept dell’album ma rivela anche quanto gli Schammasch curino i propri testi. Perché racchiudere in quattro versi cento minuti di musica, stabilendo anche rime interne a Triangle stesso (l’ultimo verso citato viene ovviamente riecheggiato dal titolo del terzo capitolo) senza risultare ridondanti non è affatto compito semplice. È anche in questo che risiede la chiarezza del disco, che si cela comunque solo dietro numerosi ascolti (il sottoscritto sta finalmente riuscendo a parlare del disco, sia pur in modo superficiale anche per via del format dell’articolo, dopo averlo sentito per quattro anni continuativamente); una chiarezza che si compone a poco a poco, che si costruisce decostruendo Triangle. Poiché nulla, in questo Gargantua musicale, è immanente. E per scorgere il trascendente è necessario andare oltre, trascendere noi stessi: un’operazione che richiede molto tempo.

PARTE 3. SUGGESTIONI IPNOTICHE
Se per gli Schammasch abbiamo individuato una trascendenza nel suo farsi, uno spirito che abbandonava la materialità terrena per elevarsi ad un superiore stato spirituale, gli olandesi Urfaust mostrano in The Constellatory Practice solo il segmento finale del tragitto di astrazione dal materiale. È vero: sin dal loro disco d’esordio, Geist ist Teufel, la coppia dai Paesi Bassi ha sempre proposto un black metal la cui natura era estremamente ambigua e fortemente votata all’”atmosfericità”, con un ampio ricorso ai synth per donare un’aria sinistra ed evanescente alle composizioni. Nella propria evoluzione, la band di IX e VRDRBR ha sempre mantenuto come fil rouge la s-grazia del cantante, la cui voce oscilla incessantemente tra un clean sbilenco ed uno scream acido e logorante. Sino alla prima metà degli anni ’10 la componente black metal ha rivestito sempre un ruolo di primaria importanza, anche quando velata della malinconia doom. Con Apparitions ha avuto inizio quel percorso di scarificazione della musica -e, in contesto black metal, è tutto dire, essendo questo un genere di per sé già scarificato-, votandosi principalmente al dark ambient condito di ritmiche ipnotiche e lugubri in pieno stile doom (si senta The Healer ad esempio, contenuta proprio in Apparitions). Percorso poi proseguito nel successivo Empty Space Meditation, che ha portato ad una pulizia del suono, ancora piuttosto grezzo nel disco del 2015, e giunto a piena maturazione con The Constellatory Practice. Quel processo di astrazione musicale condotto dalla band svizzera all’interno della medesima opera vede una propria eco espansa nella discografia degli Urfaust. Il disco datato 2018 sembra aver ormai abbandonato quasi del tutto la vena black, relegata a qualche fendente vocale. I tempi estremamente dilatati delle composizioni, in pieno stile doom, ipnotici e lisergici, conducono l’ascoltatore in un universo parallelo e, al contempo, perpendicolare al nostro. Nel punto di intersezione tra questi due universi che in teoria non si potrebbero intersecare sorgono composizioni come quella che apre il disco, Doctrine of Spirit Obsession, tredici minuti nei quali la voce di IX si produce in una nenia in clean ripetitiva e suadente. Le distorsioni della successiva Behind the Veil of Trance non sono tracce di sonorità estreme e granitiche ma interferenze di un altrove che si incunea nel nostro mondo per risucchiarne la materialità, buchi neri attraverso i quali il fisico (inteso come tutto ciò che è materia) diviene altro da sé. E si continua così, attraverso tutte le sei tracce di The Constellatory Practice. Gli Urfaust si rendono protagonisti di una musica che è un cristallo di spirito, un punto nell’universo ove tutto ciò che è tangibile collassa e si eleva in una dimensione metafisica, si estranea da sé. In una parola: trascende. Ecco che, così, il duetto delle pelli di VRDRBR e dei synth di IX, per la prima volta nel disco taciturno, in A Course in Cosmic Meditation diviene il mezzo attraverso il quale la musica si trasforma ed il metal estremo si estremizza fino a superarsi, ad andare oltre i propri confini e i propri limiti. Nonostante le atmosfere cosmiche, come da titolo del brano, esso non va frainteso per semplice (non si legga questo termine con tono denigratorio) metal interstellare.

Ad ogni brano che passa, The Constellatory Practice perde un po’ della sua immanenza fino a giungere alla definitiva assoluzione della materia al cielo dell’immaterialità: Eradication through Hypnotic Suggestion è l’ultimo passo che porta il corpo a svanire nel non-corpo, l’essere nel non-essere. Le sonorità speziate ed orientaleggianti del sintetizzatore che segna la via, accompagnato dai distanti cori, guardano ad Est, come vi guardavano gli Schammasch due anni prima, la terra della meditazione, dell’abbandono di sé per raggiungere stati superiori della coscienza. La trascendenza indicata dagli Urfaust è una declinazione differente rispetto a quella dei colleghi svizzeri. Quella degli olandesi è una trascendenza dell’Io perpetrata dall’Io stesso, come meditando, una trascendenza che dall’interno penetra ancor più all’interno. È proprio a questo che si può ricollegare l’assenza di parole nella voce del cantante: la parola, infatti, è un segno che si riferisce sempre a qualcosa di esterno e, anche quando designi qualcosa di interiore, lo fa sempre guardandolo da fuori, in un certo senso universalizzandolo. Ma l’Io, qui, trascende sé stesso dall’interno, come dall’interno della musica trascende la musica stessa. Non c’è spazio, qui, per la ragione, poiché la ragione è una catena che tiene ancorato il corpo al mondo: le prime parole di Triangle sono, un po’ leopardianamente, “Reason as curse, the plague he sent upon us. His own seed, in his own likeness, drowned by chaining hands” e descrivono alla perfezione l’assenza della parola in The Constellatory Practice.

PARTE 4. IL SENTIERO DELLA TRASCENDENZA
Pur non essendo certamente i fondatori di questo modo di intendere la musica estrema, Urfaust e Schammasch hanno, con questi due dischi, raggiunto la massima espressione del black metal della trascendenza. In questo sentiero è possibile individuare un gran numero di entità astratte, quasi ultraterrene, che rappresentano tappe fondamentali per la creazione, anticipandola, e per lo sviluppo di questa regione altra del black metal: pensiamo ai già menzionati Deathspell Omega e, in particolare, al loro disco Fas – Ite, Maledicti, in Ignem Aeternum, il quale conduce l’ascoltatore al limite di sé stesso, della propria comprensione, grazie a dei riff sovente quasi inintelligibili; alla più recente manifestazione di Vindsval e W.D. Feld, gli Yerûšelem e al loro stupendo The Sublime; o anche a certi lavori dei Paysage d’Hiver, come Einsamkeit. Tutti questi progetti, e molti altri che potrebbero comunque essere annoverati in questo non-universo della trascendenza, si mostrano ancora legati in qualche modo ad una forma di immanenza, sia pure debolmente.

Un distaccamento così radicale dal mondo fisico come quello attuato dai due gruppi protagonisti di questo articolo rappresenta ancora un caso eccezionale nel panorama della musica estrema, due esempi ai quali ci si è solo avvicinati, almeno per il momento. Il sentiero della trascendenza è lungo, sinuoso, tortuoso. Per certi versi, anche pericoloso. Chi saranno i prossimi a trascendere una volta e per tutte?



Tyst
Lunedì 15 Giugno 2020, 6.57.05
9
@Rudolf scusami eh ma se un disco è di qualità, lo è sia che non lo conosca nessuno sia che lo conoscano tutti. La musica che è stata fatta non cambia la propria natura a seconda di quanti la conoscono.
Neige93
Lunedì 15 Giugno 2020, 0.57.57
8
Sulla stessa onda mi sento, parzialmente almeno, di citare i Liturgy. Immancabili.
Rudolf
Domenica 14 Giugno 2020, 23.07.37
7
Gli urfaust visti per caso anni fa quando era uscito il primo album...da allora tutto iin vinile....peccato che. Li hai presentati...ogni giorno che passa diventano sempre Meno underground e perdono il loro fascino iniziale
No Fun
Venerdì 12 Giugno 2020, 21.04.34
6
Grazie della precisazione Tyst!
Tyst
Venerdì 12 Giugno 2020, 14.35.53
5
@No Fun ho atteso quattro anni per parlarne non perché l'abbia assimilato solo ora ma perché è comunque molto difficile parlarne senza essere banali o penalizzarlo trattandolo come un album "normale". Lo si assimila in qualche ascolto, comunque più della media diciamo, ma lo si può comprendere appieno con molta pazienza. Diciamo che Triangle non è un disco usa e getta, ecco
No Fun
Venerdì 12 Giugno 2020, 14.20.22
4
Ah c'è un piccolo errore nel titolo in fondo al primo paragrafo. Bell'articolo comunque, complimenti!
No Fun
Venerdì 12 Giugno 2020, 14.16.24
3
Triangle non l'ho mai ascoltato pur avendolo da un po' in lista, sono sempre stato frenato dalla mole. Vederlo accostato a Constellatory mi fa venire voglia di provarci, per vedere in cosa può ritenersi simile pur nella differenza dello stile (per quello che ho ascoltato degli Schammasch e per quanto è scritto sopra) e quali sorprese riserva. Certo che leggere che Tyst lo ha assimilato dopo quattro anni mi fa pensare che anziché di lato a destra sotto o sopra questo disco rischia di restare, nelle stanze della mia dimora black, nel ripostiglio in fondo al corridoio.
Doom
Venerdì 12 Giugno 2020, 11.26.49
2
Bell'articolo, per due dischi grandiosi entrambi, ma diversi. Personalmente preferisco quello degli Urfaust, la summa del loro pensiero. Ma anche il triplo svizzero è uno di quei dischi da avere, ancora nella sua parte metallica richiamante il blackened death di Behemothiana memoria, ma con quei richiami progressive e Ambient che si sviluppano meglio nel disco 2 e poi totalmente nel 3. Tutto questo trascendenza a parte, che come giustamente rimarcato non sorprendente per niente in un genere come il Black o black Death, che più di altri è incline alla contaminazione più variegata.
God of Emptiness
Venerdì 12 Giugno 2020, 10.54.28
1
Parlando di trascendenza e sincronicità, ho scoperto gli Urfaust per caso leggendo una recensione degli italiani WOWS su un altro sito e sono rimasto ammaliato da questo tipo di musica e adesso mi ritrovo l'articolo su metallized....trascendenza nella trascendenza
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