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ALMOST FAMOUS - # 32 - Quatermass
05/09/2020 (1732 letture)
La storia che andremo ripercorrendo è prima di tutto la storia di tre straordinari musicisti, di un album leggendario e di una scena incredibilmente attiva, che tutt’oggi continua a rivelare un’infinità di crocevia. Non sarà certo una novità per chi legge, infatti, dire che all’interno di una scena ricca di musicisti di qualità e nella quale esiste una continua forma di collaborazione/competizione tra band, si vanno a scatenare una potenzialmente infinita serie di passaggi da una band all’altra che potrebbero far venire il mal di testa, se si provasse a elencarli tutti. Uno dei gruppi che è stato e sempre sarà uno dei più grandi catalizzatori di questo tipo di eventi sono senz’altro i Deep Purple: se si vanno a vedere le band collegate, per provenienza o successiva destinazione dei membri passati e attuali, la ragnatela di riferimenti risulterà impressionante. Parliamo senza esagerare di decine di band. Una di queste, una che avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare a sua volta famosa, sono i Quatermass, trio inglese che in realtà ha prodotto un solo album -e che album- e che ha avuto una vita brevissima, in pratica meno di due anni.
Apriamo quindi nuovamente la porta degli
Almost Famous per una retrospettiva su una delle promesse non mantenute dello splendente mondo del Rock.


IL CROCEVIA INGLESE
Siamo in Inghilterra quindi, in un momento molto preciso, ovverosia nei gloriosi anni Sessanta. Un luogo e un momento. Il posto giusto se si vuole intraprendere una carriera musicale in ambito Rock. La British Invasion ha infatti sconvolto le regole, rubando il rock’n’roll e il blues dalla natia patria statunitense, portando in Europa la musica di ribellione della generazione post Seconda Guerra Mondiale e rilanciando anche negli Stati Uniti gli originali creatori di quella musica, ovverosia i musicisti cosiddetti “di colore”, che negli USA a causa delle leggi razziali, il grande pubblico non aveva mai davvero conosciuto, ricevendo la sola versione “bianca” di quella grande musica. E’ un movimento generazionale, intenzionato a rimettere in discussione tutte le convenzioni e le costruzioni sociali vigenti, usando il rock come sottofondo e ispirazione per la propria nuova identità. Un’onda travolgente, data anche dal boom economico, tecnologico e delle nascite che, nell’arco di un decennio, avrebbe tentato di riscrivere totalmente le regole del gioco. E’ in questo quadro che si muovono tre giovani musicisti, John “Gus” Gustafson, bassista e cantante, Mick Underwood, batterista e Pete Robinson, tastierista/organista. La loro è una storia abbastanza comune per quegli anni e affonda appunto nella nascita di un movimento esteso che coinvolgeva tutto l’underground dell’epoca: radio, televisione, locali, band, pubblico, talent scout, etichette discografiche, riviste, negozi di moda, grafici pubblicitari e non, produttori, studi di registrazione, roadies, perfino spacciatori e artigiani di qualunque tipo. Un vero e proprio fermento. Gustafson inizia la sua carriera a Liverpool nei Cass & The Casanovas e poi nei The Big Three, suonando spesso al mitico club Cavern, che lanciò i Beatles e, sempre seguendo loro, si sposterà anche ad Amburgo allo Star Club, per poi entrare nei famosi Merseybeats e fondare quindi una propria band, The Johnny Gus Set. Un percorso che lo porterà alla fama di grande musicista in pochi anni, tanto da essere considerato il miglior bassista inglese “dopo Paul McCartney” dagli addetti ai lavori. Underwood invece inizierà la propria carriera da professionista nel 1962, nei Jet Harris and The Jet Black, che saranno anche backing band per Little Richard in un suo tour britannico, ma aveva già suonato nei The Dominators assieme ad un tale Ritchie Blackmore, che ritroverà anche nei The Outlaws, che svolgeranno principalmente lavoro di session in studio per il famosissimo produttore John Meek e accompagneranno altre star americane come Gene Vincent e Jerry Lee Lewis. Lasciati gli Outlaws, il batterista entrerà nei The Herd nel 1965, band che ospiterà anche un altro astro nascente come Peter Frampton, ma nonostante la pubblicazione di un singolo, anche questa fu un’avventura che si concluse nel 1967. Frustrato e poco motivato dalla situazione, Underwood si ritirerà dalle scene per un po’, salvo poi tornare felicemente alla sua batteria negli Episode Six, nei quali incontrerà Pete Robinson. Se il nome Episode Six ha fatto scattare un click nella vostra testa, è un buon segno. Ecco che, dopo il doppio incontro con Ritchie Blackmore, arriva il collegamento pieno con i Deep Purple: cantante e bassista degli Episode Six in quegli anni sono infatti Ian Gillan e Roger Glover. Il gruppo, fondato tra il 1964 e il 1965 aveva a sua volta fatto la stessa trafila già descritta per le altre formazioni minori, cambiando innumerevoli volte formazione, facendo da spalla ad artisti più famosi in tour in UK e rilasciando nove singoli nel corso degli anni, che però non otterranno mai riscontro commerciale, nonostante un curioso successo nell’allora fiorente Beirut. Un bel giorno, Ritchie Blackmore che stava cercando qualcuno per sostituire Rod Evans come cantante per i suoi Deep Purple, fu consigliato proprio dal vecchio amico Mick Underwood, che lo indirizzò verso Ian Gillan. Il resto, per quanto riguarda i Deep Purple è storia nota: Gillan lascerà gli Episode Six che perderanno anche il membro fondatore Roger Glover, andato a sostituire Nick Simper, per quella che entrerà nella storia del rock come la leggendaria Mark II. E gli Episode Six? A quel punto Gustafson viene chiamato a sostituire sia Glover che Gillan, affiancando Sheila Carter-Dimmock, superstite della formazione alla voce. Gustafson aveva conosciuto Robinson poco prima, avendo interpretato Simon Zealots nella versione su disco del musical Jesus Christ Superstar che vedeva proprio Ian Gillan come protagonista, album nel quale Robinson aveva suonato le tastiere. Niente male come serie di incroci. I tre si trovano bene, ma capiscono che negli Episode Six non c’è futuro e dopo poco decidono di chiudere la loro esperienza nel gruppo per fondarne uno nuovo, tutto loro. Nascono i Quatermass.

DI GRATTACIELI E UCCELLI PREISTORICI
Come abbiamo visto, la nascita dei Quatermass fu il frutto di una lunga sequenza di eventi del tutto inaspettati, ma assolutamente comuni nel fermento dell’epoca. Il beat era ormai agli sgoccioli e si apriva invece la stagione dell’hard rock, che in quel fatidico 1969 cominciava a maturare e che esploderà di lì a poco. Sono in primis Gustafson e Robinson a cogliere che nell’aria si prospetta un nuovo sound, con una matrice diversa. E’ in particolare un gruppo piuttosto peculiare ad attirare l’attenzione del terzetto: parliamo dei The Nice, che vedono tra le propria fila il genio Keith Emerson e che saranno tra i primi in assoluto a far ricorso ad una curiosa mistura di jazz e musica classica col rock, riarrangiando brani musicali dal pop a famose arie classiche, in una maniera del tutto originale e particolare, con ampio spazio dato all’organo di Emerson e una stratificazione di suoni davvero unica. Siamo ai prodromi di quello che diventerà il progressive, alla cui nascita contribuirà comunque anche la fortissima corrente psichedelica allora imperante (vedasi in tal senso i fondamentali Vanilla Fudge), che distruggerà il concetto di canzone da tre minuti, standard per l’epoca, e introdurrà invece il concetto di musica dilatata e strumentale, assorbendo a sua volta arrangiamenti carichi di strumenti classici quali archi e fiati. Il tutto, mentre anche la componente jazz e quindi di improvvisazione musicale ad elevato tasso tecnico, con lunghe sezioni strumentali lasciate all’estro del musicista di turno, iniziava a farsi strada nell’immaginario rock, come già campioni assoluti del calibro di Cream, Jimi Hendrix, Santana e tanti altri avevano sperimentato in quegli anni e che poi influenzerà di ritorno la nascita del jazz rock e della fusion. Insomma, torniamo ancora una volta al concetto di fermento, tipico dell’epoca. Siamo nel maggio del 1969 e il trio decide di far parte di questa nuova entusiasmante corrente con una formazione piuttosto atipica per l’epoca, rinunciando alla presenza della chitarra e dando invece una fortissima preminenza alle tastiere. Una soluzione che il bassista conosceva già bene dato che i The Big Three erano stati degli antesignani, in tal senso, e che dà comunque preminenza ad un rock molto sofisticato e tecnico, che metterà in luce anche la grande qualità di Gustafson come bassista e cantante e di Underwood come batterista, oltre ai ricercati arrangiamenti che lo stesso Robinson seguirà personalmente. Trovato un contratto con la prestigiosa Harvest, sussidiaria della EMI che diventerà presto il motore di lancio di tutto il movimento progressive inglese, i Quatermass cominceranno a registrare il loro album di debutto in quello stesso anno. Il curioso monicker sarà naturalmente scelto come omaggio allo scienziato e avventuriero Professor Bernard Quatermass, protagonista di tre serie televisive BBC di grande successo negli anni Cinquanta. Tutto sembra filare bene, l’etichetta è importante e garantisce loro anche un supporto grafico di prim’ordine, ingaggiando il famosissimo Storm Thorgerson e il suo studio Hipgnosis per quella che diventerà una copertina leggendaria ed iconica, con quei grattacieli paralleli, simmetrici e altissimi, fino all’altrettanto freddo cielo, in mezzo ai quali volano o sembrano quasi sperduti e prigionieri, degli pterodattili preistorici. Un contrasto moderno/ancestrale che colpisce ancora oggi. Il gruppo sigla inoltre un prestigioso contratto con la A.I.R. London del leggendario produttore George Martin (quel Martin, il “quinto Beatle”), che spedì i Quatermass proprio agli Abbey Studios con il produttore svedese Anders Henriksson e l’ingegnere del suono Jeff Jaratt. Si dice che fu proprio agli Abbey Studios che Robinson trovò un organo moog utilizzato proprio dai Beatles e col quale anche i Pink Floyd stavano registrando in quel momento Atom Heart Mother. Robinson non perse l’occasione e in un’unica take registrò con quell’organo l’intro/outro del nascente album, dal titolo Entropy. Ma il pezzo che inevitabilmente passerà alla storia sarà proprio quello di apertura, la famigerata pietra dello scandalo, Black Sheep of the Family. La canzone proviene dal repertorio del cantante Chris Farlowe, altro straordinario protagonista di quell’epoca, col quale Robinson aveva collaborato. Il pezzo sarà infatti, nella leggenda, il motivo della rottura tra Ritchie Blackmore e i Deep Purple (ancora loro!): al rifiuto da parte degli altri di registrare il brano nella scaletta di Stormbringer, il chitarrista risponderà con l’abbandono del gruppo e la formazione dei suoi Rainbow, con i quali pubblicherà appunto la canzone nell’album di debutto. La versione dei Quatermass è inevitabilmente diversa, mancando appunto della chitarra, ma l’abilità dei musicisti e la straordinaria sonorità delle tastiere di Robinson non fanno mancare affatto alcun impatto rock al brano, una vera e propria sfuriata, perfetta per aprire il disco. Quatermass sarà insomma uno di quegli album capaci da solo di tracciare un solco tra un prima e un dopo: uscito nel maggio del 1970, il disco segue di qualche mese In the Court of the Crimson King dei King Crimson, Yes degli Yes e Benefit dei Jethro Tull e anticiperà l’ultraclassico In Rock dei Purple, Very ‘eavy… Very ‘umble degli Uriah Heep, il debutto degli Emerson, Lake & Palmer, Death Waks Behind You degli Atomic Rooster, lo stesso Atom Heart Mother, Trespass dei Genesis, Paranoid dei Black Sabbath, introducendo per la prima volta in maniera definita questo rock pomposo, ipertecnico e stratificato, carico di energia e al contempo raffinato e iper-arrangiato (in Laughin’ Tackle, l’ottimo Robinson si troverà a gestire trentuno strumenti ad arco e corde, con un vero direttore d’orchestra, Paul Buckmaster a coadiuvare le registrazioni in studio). Il disco è un tripudio di prog rock di altissimo livello, un vero e proprio capolavoro dimenticato, con una scaletta da urlo, in gran parte composta da materiale originale scritto dal trio e sul quale i musicisti danno letteralmente il meglio di sé, anticipando l’ondata che verrà con un livello già altissimo, che appare a tutt’oggi incredibilmente dimenticato e sepolto nel tempo. Inutile in questa sede un esame delle tracce, basti appunto sapere che le sperimentazioni arditissime e quasi inedite del trio diverranno pane per tutti coloro che vorranno addentrarsi nel genere, compresi gli stessi EL&P, a loro volta ispiratori, nelle rispettive band di provenienza (The Nice, King Crimson e Atomic Rooster), di quel sound che in Quatermass trovava una completa definizione.

IL DIAVOLO FA LE PENTOLE…
L’album viene pubblicato a maggio del 1970 e, per battere il ferro finché è caldo, il gruppo andrà in tour in Gran Bretagna, facendo anche da supporto proprio ai Deep Purple, girerà in Germania come supporto degli Uriah Heep, passerà dalla Svezia e infine si produrrà in un esteso tour di oltre trenta date negli Stati Uniti, raggiungendo tutti i Templi del Rock in quell’enorme mercato, dal Fillmore West e East, al Whisky-a-Go-Go, mentre tutte le riviste specializzate dell’epoca, in patria e negli States, incensavano l’album, descrivendolo come eccitante e innovativo, fra i migliori e più importanti dell’anno: Melody Maker, Billboard, Cashbox e così via, tutti furono concordi nel riconoscere a Quatermass una qualità altissima e soprattutto una originalità avventurosa che ben pochi avrebbero uguagliato in quel 1970 (in Italia, saranno soprattutto due autorevolissime penne come quelle di Beppe Riva e Gianni Della Cioppa a riconoscere posteriormente a questo disco una qualità e un’importanza notevoli).
Torniamo quindi adesso, per provare a spiegare quanto sta per avvenire, a quel concetto di fermento che abbiamo finora tratteggiato e che abbiamo indicato come motore primario della nascita dei Quatermass: come abbiamo visto, musicisti dal background e dalla storia comune, che si trovano quasi per caso assieme, scoprono un feeling potente e fervido e danno vita ad una band che produce un disco fuori dal comune, ma comunque figlio di correnti già in voga e che troveranno uno sbocco da lì a poco. Quello stesso fermento che permetterà a questi tre musicisti di trovare, uno di seguito all’altro, tutti gli elementi fondamentali per il successo: casa discografica, management, produttore, studio di registrazione e grafica. Tutto perfetto, tutto di successo anche per proprio conto, tutto indirizzato magicamente verso un esito che sembra alla portata e che invece sfugge improvvisamente di mano, proprio per la stessa logica che ha portato tutti gli eventi in quella direzione: nonostante le recensioni positive, gli ottimi riscontri live e il supporto dei colleghi, che portano la band in tour in maniera estesa per mesi, il disco non sfonda. Quatermass vende poco e, soprattutto, vende poco sia in Gran Bretagna che negli States. Non c’è insomma un mercato nel quale il gruppo riesce a sfondare ed ecco che, improvvisamente, la logica del fermento si rivolge contro i Quatermass. Quella stessa casa discografica, quello stesso management, quegli stessi Studios e quei produttori, hanno per le mani numerose altre band e molte di queste stanno riscontrando quel successo che invece per i Quatermass non sembra arrivare e quindi, ecco che improvvisamente tutto si fa difficile e l’effetto centrifuga si scatena: le date non si trovano più, il manager ha altri impegni, la casa discografica chiude i rubinetti e, dopo neanche un anno dall’uscita del disco, al termine di un tour artisticamente trionfale ed economicamente invece sempre più difficile, i Quatermass si ritrovano da soli, senza soldi e senza promozione. Nessuno crede più in loro o, per meglio dire, nessuno ha più voglia di investire in loro e, quindi, annusata l’aria e capito che per il trio non c’è un futuro, Gustafson,Robinson e Underwood decidono che l’avventura purtroppo si chiude lì, in quel triste aprile 1971, con un nuovo album praticamente nell’aria e che rimarrà totalmente incompiuto.
Il gruppo in realtà non si sciolse immediatamente, perché Gustafson e Robinson furono chiamati in Svezia dal produttore Anders Henriksson, il quale aiuterà i due a trovare una nuova formazione, coinvolgendoli nelle registrazioni di un progetto dal nome Ablution, grazie al quale conosceranno Janne Schaffer alla chitarra, Barry DeSouza alla batteria e Malando Gasama percussioni e batteria, con i quali intraprenderanno una nuova via, più improntata al jazz rock. Questa particolare formazione avrà però vita brevissima, risolvendosi di fatto in un paio di tour di supporto a Shawn Phillips negli Stati Uniti, che saranno registrati e sono in possesso di Gustafson, il quale tentò di far pubblicare due tracce di quelle registrazioni nella ristampa di Quatermass, ricevendo però un rifiuto da parte della casa discografica, data la sostanziale incoerenza del materiale con il precedente album. Curiosamente, sarà proprio la cover di Black Sheep of the Family dei Rainbow, nel 1975, a riportare un po’ di attenzione sul nome della band e sul disco, che vendette di riflesso oltre ventimila copie. Purtroppo, l’album non sarà più ristampato per molto tempo e diventerà quindi preda ambita del collezionismo, finendo nel dimenticatoio per molto, molto tempo.

COSA RESTA DEL GIORNO
I tre tornarono quindi alla loro routine di musicisti, ciascuno perseguendo una propria carriera, che li ha visti diventare session men apprezzati e ricercati: Gustafson darà vita prima ai Bullet e poi agli Hard Stuff con gli ex Atomic Rooster John DuCann e Paul Hammond, con i quali pubblicherà due vere perle di hard rock proto heavy metal (Bulletproof del 1972 e Bolex Dementia del 1973), che anche in questo caso non incontreranno il successo sperato e giungeranno a separarsi a causa di un grave incidente automobilistico che coinvolgerà proprio i due ex Atomic Rooster. Il bassista tornerà a farsi sentire come membro dei Roxy Music e poi della Ian Gillan Band, partecipando al Butterfly Ball di Roger Glover e finendo per essere coinvolto in una lista infinita di partecipazioni (Ian Hunter, Mick Ronson, Rick Wakeman, The Pirates, Al Jarreau, etc.). Stessa storia anche per Mick Underwood che si unirà all’effimero progetto Peace di Paul Rodgers, messo in soffitta per la comunque breve reunion dei Free, parteciperà alle registrazioni della colonna sonora di Brian di Nazareth dei leggendari Monty Python e finirà nel giro delle band soliste di Ian Gillan, prima proprio nei Gillan e poi nella Ian Gillan Band, nella quale ritroverà Gustafson. Dopo aver fondato negli anni 90 i Quatermass II, di cui parleremo a breve, lo ritroveremo nei suoi Glory Road, band dedita solo alle esibizioni dal vivo. La lista di partecipazioni di Pete Robinson è altrettanto incredibile, da Brand X a Phil Collins, da Mike Rutherford a Carly Simon, Bryan Ferry, Al Jarreau, Eric Clapton, Manhattan Transfert, Melissa Etheridge, e via discorrendo. E’ anche un famoso compositore di colonne sonore, tra le quali Cocktail, Wayne’s World, Wes Craven’s New Nightmare, Highlander III etc.
Chiudiamo citando la curiosa quasi reunion che Mick Underwood volle organizzare nel 1994, coinvolgendo altri musicisti del giro Deep Purple come Nick Simper e Don Airey, con i chitarristi Gary Davis e Bart Foley, che pubblicò un album, Long Road nel 1997 a nome Quatermass II. Album nel quale peraltro troviamo anche due composizioni a firma John Gustafson, il quale volle contribuire in questo modo al ritorno dell’amico e collega, che non mancherà comunque di bollare come mosso da puri motivi di interesse nella scelta del monicker, dato che la musica poco o niente aveva a che fare con lo spirito originale della band; in effetti, anche le sue composizioni saranno ampiamente rimaneggiate per dargli un’impronta più "moderna". Il disco offre infatti un più che competente e piacevole hard rock/AOR, con un’ottima prestazione delle chitarre, davvero pregevoli in fase solista, ma non può in alcun modo essere accostato a Quatermass. In ogni caso, il progetto avrà breve vita, riportando il silenzio sulla band. Forse proprio seguendo questo effimero ritorno, la nota Repertoire Records ristamperà comunque e finalmente anche in CD Quatermass, aggiungendo in fondo due composizioni di Gustafson, One Blind Mice e Punting, della ragguardevole durata complessiva di dieci minuti, che si inseriscono perfettamente nel contesto compositivo del disco, risultando coerenti col resto del materiale, pur non raggiungendo il livello degli altri brani, in particolare la lunga Punting che è poco più di un simpatico "cazzeggio" guidato dal basso e fornendo quindi un’ulteriore tassello della storia della band, per un minutaggio complessivo che arriva ai sessantuno minuti.

L’ENNESIMO INSPIEGABILE ALMOST FAMOUS
Alla luce della seguente carriera del trio, appare evidente come l’avventura dei Quatermass sia stata solo un episodio di un percorso ricchissimo. Un vero peccato, se si considerano le potenzialità inespresse. Difficile insomma dire cosa mancasse ai Quatermass per diventare una grande band di successo, sorte che di lì a poco toccherà invece ad innumerevoli altri gruppi, nati da quell’ondata che sarà chiamata progressive rock. Forse davvero in un’epoca così ricca di band e novità, ritrovarsi senza vendite e quindi senza un solido appoggio da parte della casa discografica e del management, fu sufficiente a vedersi scavalcare nelle preferenze e nelle scelte e quindi a ritrovarsi improvvisamente in fondo alla lista delle attenzioni. Forse al trio mancava una “star”, ovverosia un elemento capace di catalizzare l’attenzione e far scattare quello strano meccanismo che è il “successo”. Fatto sta che quell’unico grande album resta a tutt’oggi una delle vette dell’intero genere e ascolto ben più che fondamentale se si vuole comprendere chi ha dato un contributo essenziale alla sua nascita. Peccato che questo ai Quatermass non sia bastato, per uscire dalle liste degli Almost Famous.

DISCOGRAFIA QUATERMASS
1. Quatermass (Harvest Records, 1970)
2. Quatermass II: Long Road (Thunderstone Records, 1997/Angel Air, 1998)
3. Quatermass (Repertoire Records, 1996 Ristampa con inediti)

In memory of John "Gus" Gustafson (Liverpool, 8 agosto 1942 – Whitstable, 12 settembre 2014)



Manuel
Lunedì 11 Marzo 2024, 22.31.40
5
Ma questo # 33 - Demon, ce lo buttiamo dentro?
Zess
Domenica 13 Settembre 2020, 23.27.31
4
Il primo è tra il miei album preferiti di sempre. Semplicemente fondamentali.
progster78
Venerdì 11 Settembre 2020, 16.25.43
3
Lizard grazie dell'articolo. Band strepitosa e sfortunata,il disco mi fu regalato anni fa, spettacolo puro.
duke
Giovedì 10 Settembre 2020, 21.26.03
2
...semplicemente grandiosi....
Rob Fleming
Giovedì 10 Settembre 2020, 10.56.59
1
Ottimo articolo per un gruppo bravissimo formato da musicisti straordinari. "Gustafson viene chiamato a sostituire sia Glover che Gillan". In questa frase c'è tutto quello che John Gustafson era e che non gli è mai stato riconosciuto. Come bassista era anzi assai più dotato di Glover e come cantante...beh...E' da ascoltare in Watch Out for the Bat brano di Butterfly Ball di Roger Glover. Gillan lo portò con sé come bassista nella sua fase più tecnica (quella jazz) e nei libretti racconta di come facessero a gara negli hotel a chi strillava più forte. Insomma, Gustafson è stato un gigante molto sfortunato. Su Black Sheep of the Family. A suo modo uno dei brani più importanti della storia del rock, ci ha consentito di avere i Rainbow. Mica poco...
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Quatermass nel 1970
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