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NODE FESTIVAL: Stephen O’Malley & François J. Bonnet + Ryoichi Kurokawa - Teatro Storchi, Modena (MO), 7/12/2021
11/12/2021 (944 letture)
Decima edizione per il NODE Festival, kermesse dedicata all’incontro tra musica sperimentale, arti visive e nuove tecnologie che fin dal 2008 ha il suo punto di riferimento nella città di Modena, la quale offre alcuni dei suoi spazi più suggestivi per ospitare artisti di fama mondiale alle prese con opere spesso e volentieri uniche e confezionate appositamente per questo evento. Se i due anni appena trascorsi hanno portato con sé l’impossibilità di realizzare ben due edizioni del festival, ecco che però in questo 2021 il NODE è ripartito alla grande, con un elenco di nomi ben più che interessanti che si sono esibiti tra chiese, teatri e cinema della città a partire dal 30 ottobre fino al 10 dicembre. Da qualche mese a questa parte chi vi scrive aveva tenuto monitorata la data del 7 dicembre, che vedeva come protagonisti il chitarrista Stephen O’Malley dei Sunn O))) in collaborazione con il compositore e direttore del gruppo di ricerca francese Ina GRM, Groupe de Recherches Musicales François J. Bonnet, in arte Kassel Jaeger, con un set commissionato per l’edizione 2018 del Berlin Atonal; in più, come secondo artista della serata figurava Ryoichi Kurokawa, pioniere della commistione tra arte e nuove tecnologie, che sinceramente non conoscevo. Un evento di questo calibro a venti minuti da casa e per un prezzo più che ragionevole non si può perdere, anche perché la location scelta per le due performances è il Teatro Storchi, un teatro amato dai modenesi e non solo, che trasmette ogni volta sensazioni davvero uniche. Riuniti quattro amici, tra cui il collega Luca Pezzetti, ci siamo avviati dunque verso quella che si è rivelata una serata decisamente imprevedibile, che ci ha regalato un paio d’ore di musica ed arte estreme e a tratti impenetrabili, capaci di lasciare scosso più di uno spettatore. Ne è valsa la pena però, eccome.


PREMESSA
Dal momento che sia io che Luca siamo fan dei Sunn O))) non ci era sfuggita la possibilità di ascoltare il duo che apre la serata del 7 dicembre in anteprima, per l’esattezza domenica 5 dicembre. L’evento di domenica consisteva nella conclusione di una residenza artistica promossa dall’attivissimo Centro Musica di Modena dal titolo Four Rays/Quatre Faisceaux d’Anti-Division: a Residency tenuta da O’Malley e Bonnet a cui hanno partecipato cinque fiatisti, i quali si sono poi esibiti insieme al duo domenica sera per una composizione di trentadue minuti – con tanto di cronometro in bella vista – a cavallo tra ambient e noise, giocata tutta sulla sottile linea rossa che divide una nota da un rumore. Esperienza interessante rivolta a pochissimi intimi tramite invito e che ci ha introdotti alla performance di martedì con una (presunta) nuova consapevolezza. La possibilità di parlare brevemente con i fiatisti – tutti ragazzi provenienti da diverse province dell’Emilia Romagna – e per un attimo anche con i due musicisti principali, ci ha fatto capire anche quanto conti la dimensione magica-esoterica per la musica di O’Malley e Bonnet, che si esibiscono al buio ammantati dal fumo di un incenso e forniscono ai fiatisti una serie di carte con precisi simboli per stimolarli ad esprimere l’energia migliore per produrre i propri suoni attraverso il loro strumento. E non dev’essere stato affatto facile riuscire nell’intento, dal momento che per più di mezz’ora i fiatisti si sono esibiti mantenendo un bordone continuo fatto di pochissime e quasi impercettibili variazioni. Giù il cappello, un’impresa artisticamente e fisicamente non da poco. Ci è mancata qualche bella bordata di chitarra, dobbiamo essere sinceri, anche se a livello di frequenze basse ci ha pensato un tonante basso tuba e farci tremare lo stomaco. Curiosità da gossip: il giorno prima del concerto al Teatro Storchi i due musicisti hanno condiviso sui social il proprio “tour emiliano” da turisti, culminato con la classica visita al Santuario di San Luca a Bologna in compagnia di due artiste che i più esperti non potranno non conoscere: l’americana Kali Malone e la “nostra” Caterina Barbieri.


STEPHEN O’MALLEY & FRANÇOIS J. BONNET
C’è poco da dire: vedere un teatro come lo Storchi riempirsi di persone per un evento così poco fruibile sulla carta è qualcosa che commuove, specialmente dopo i tanti mesi passati senza poter accedere a nessun tipo di location per potersi gustare un concerto dal vivo. Partiamo col dire che, dopo un po’ di ansia dovuta alla ricerca di un parcheggio prevedibilmente introvabile, le procedure per accedere al teatro sono state svolte con calma e attenzione ed il pubblico si è dimostrato parecchio collaborativo e rispettoso, indossando sempre la mascherina sia all’aperto che al chiuso e attendendo il proprio turno in fila senza fretta. Già questo ha contribuito ad instaurare un bel clima, che poi è stato trasmesso anche all’interno. Preso posto in balconata, proprio alle spalle del banco mixer, attendiamo l’inizio del primo live, che arriva con un sostanzioso ritardo dovuto principalmente alla continua affluenza del pubblico, per il quale è stato necessario aprire tutte le balconate, compresa quella più in alto di tutto, raramente utilizzata. Un altro bel segno di quanto le persone abbiano voglia di partecipare a serate come questa e guardando le immagini del teatro pieno a concerto iniziato se ne ha la definitiva conferma. Ecco che all’improvviso il palco inizia ad inondarsi letteralmente di fumo e le luci si abbassano completamente lasciando illuminate solo tre postazioni, rispettivamente dedicate alle due chitarre presenti per la performance e al centrale banco mixer, riempito con numerosi marchingegni elettronici ed elettroacustici manipolati con cura da Bonnet; sul banco si trova anche la pedaliera utilizzata da O’Malley che, già come per l’esibizione di domenica, si serve di due pedali per il volume e per il sustain posti per terra mentre maneggia gli altri pedali direttamente con le mani. L’ora a disposizione del duo consiste in una nebulosa commistione tra elettronica dark ambient e crescendo di chitarre noise, con questa seconda componente che svetta di molto sulla prima, ma senza mai toccare veri e propri lidi drone. L’esibizione scorre senza pause, ma possiamo intuire che le composizioni eseguite dal duo siano due, separate solamente dall’accensione di un nuovo incenso probabilmente atto a cambiare l’atmosfera del secondo brano, il quale in effetti risulta molto più atmosferico del primo. A livello di acustica non si potrebbe pretendere di meglio e i suoni si propagano nell’aria con la giusta intensità, soffocando i respiri e aumentando di volta in volta il volume con distorsioni sempre crescenti. L’esperienza è realmente difficile da sopportare e la mancanza di un elemento ritmico destabilizza più di uno spettatore, tanto che alcune signore sedute davanti a noi definiscono il set del duo “disturbante e incomprensibile”. In realtà non parliamo di sonorità sconosciute, però è vero che il live nella sua totalità risulta monolitico e di complessa digestione, con i musicisti oscurati completamente e i feedback che aumentano sempre di più lasciando le manipolazioni elettroniche sullo sfondo. Quando Bonnet imbraccia la chitarra a sua volta si creano i momenti più esaltanti, tutti gestiti con sapienza a livello di volume – che mai si alza eccessivamente – e di intensità, per un risultato finale che corrisponde a un caos controllato con precisione chirurgica. Impossibile commentare o parlare durante la performance, si rimane rapiti dal suono mastodontico ed austero del duo nell’attesa di capire cosa ci aspetterà minuto dopo minuto; una vera e propria esplosione catartica però non avviene mai e il set si chiude in maniera sommessa, esattamente come se fosse appena terminato un rituale di assoluta sacralità. Gli applausi stentano a partire, ma quando Stephen O’Malley alza la sua scintillante chitarra Travis Bean al cielo allora il pubblico si scioglie e tributa gli artisti come essi meritano.


RYOICHI KUROKAWA
Durante il quarto d’ora necessario per il cambio palco decidiamo di uscire fuori dal teatro per sgranchirci le gambe e confrontarci sull’esperienza appena vissuta, anche se le parole escono a fatica a causa delle sensazioni destabilizzanti che portiamo ancora addosso. Anche questo momento viene gestito bene dagli addetti del teatro, tramite dei classicissimi braccialetti di carta blu per gestire ingressi ed uscite. Una volta tornati a sedere quindi il palco si presenta con una veste leggermente diversa: rimane ben fisso sul palco un banco munito di laptop e mixer, oltre ad altri sintetizzatori, ma la performance che ci aspetta va ben oltre ciò che è posizionato su quel tavolo. Alle spalle del sound-artist giapponese si staglia infatti uno schermo che va ad occupare tutto il fondale del palco e che sarà il vero protagonista dell’esibizione di Kurokawa. Già ospitato a Modena nel 2018 con l’opera Al-jabr, l’artista torna al NODE con un nuovo progetto intitolato Subassemblies, in realtà presentato in giro per il mondo già dal 2019. Non conoscendo per niente la proposta del giapponese mi sono informato brevemente il giorno stesso per prepararmi all’esibizione e ho dunque scoperto che Kurokawa cerca di costruire opere immersive dove suoni e immagini si compenetrano tra loro in maniera indissolubile, andando a creare esperienze sinestetiche uniche nel loro genere. E in effetti è così e ce ne rendiamo conto sin da subito: l’artista scherza con il pubblico grazie ad un rapidissimo line-check che fa impazzire le luci del teatro al suono di fortissimi beat elettronici. Lo spavento collettivo è il giusto modo per introdurre la performance, che vede ancora una volta il palco immerso nella più totale oscurità mentre sullo schermo iniziano a formarsi immagini decisamente suggestive. In realtà ciò che compare sullo schermo è il risultato di una combinazione tra rilievi fotografici e render 3D, i quali vanno a delineare dapprima soggetti naturali come foglie, rocce e progressivamente foreste e paesaggi, ma che poi si trasformano in figure complesse che hanno il proprio fulcro nella rappresentazione di elementi architettonici ed edifici in vario stato di abbandono, indagati in ogni dettaglio con una minuzia che ha del morboso. In tutto questo la musica ha un ruolo fondamentale e funge da colonna sonora per le immagini che si alternano sullo schermo: a livello di sound stavolta ci troviamo in un territorio completamente elettronico e mantenuto su volumi altissimi, che si muove con disinvoltura tra harsh noise e post-industrial, con brevi parentesi ambient ed altre molto più ritmate dove le percussioni assumono un ruolo di rilievo. Non mancano poi abbondanti dosi di field recordings e musica concreta, che contribuiscono ad una narrazione globale vicina a quella di un film horror, magari diretto dal visionario Gaspar Noé – e qui ci riferiamo ai momenti in cui le immagini scorrono tra loro a velocità impressionante, col rischio concreto di causare crisi epilettiche – dopo aver ascoltato per un mese solo artisti della scena japanoise. Le luci del teatro vengono manipolate da Kurokawa insieme alla musica e alle immagini, andando a creare un insieme di sensazioni realmente annichilente per un coinvolgimento fisico, acustico e mentale totale. Risulta quasi impossibile descrivere a parole ciò che si vive durante la performance del giapponese, ma una volta che l’esibizione è terminata si rimane con un sentore di nausea e stordimento addosso paradossalmente molto piacevole. Le opere di Ryoichi Kurokawa hanno bisogno di una dimensione ideale per essere godute ed apprezzate appieno e il Teatro Storchi funziona perfettamente da questo punto di vista; ascoltare solo i brani composti per l’occasione o guardare le immagini sullo schermo di un pc non è minimamente paragonabile all’esperienza live, capace di travolgere chiunque grazie ad una potenza sonoro-visiva allucinante.


CONCLUSIONI
Una volta terminato anche il secondo concerto il teatro velocemente si svuota e all’ingresso vengono esposti alcuni gadget firmati NODE Festival tra cui le belle stampe della locandina di quest’anno, veramente incantevole nei suoi colori accesi. Con un paio di amici che ci mettono qualche minuto a riprendersi del tutto decidiamo di avviarci verso il centro di Modena per concludere la serata con l’intramontabile accoppiata kebab e birra. Nel frattempo rimugino sulle ore appena trascorse e mi rendo conto che l’esperienza che abbiamo vissuto è stata unica e per il sottoscritto anche “nuova” sotto certi aspetti: se infatti non sono nuovo ad eventi dove si punta alla fusione tra arte e musica sperimentale, quelle di stasera sono state due performances davvero impegnative ed esclusive, con occhi che sfarfalleranno ancora per ore e un leggero acufene che passerà solamente il giorno seguente. Eppure questi non sono affatto aspetti negativi, tutt’altro, e ragionandoci a mente fredda una volta tornato a casa mi rendo conto di quanto mi mancava partecipare ai concerti come spettatore. Tutta la gestione dell’evento è stata impeccabile e, come già detto, il pubblico non è stato da meno, in più il Teatro Storchi ha contribuito a mettere la ciliegina sulla torta a questo 7 dicembre all’insegna dell’estremismo sonoro. Avendo avuto per anni l’occasione di lavorare come fonico per spettacoli teatrali e musicali in vari teatri di Modena e della provincia posso dire che lo Storchi li supera tutti per l’atmosfera che è capace di sprigionare; un’atmosfera che non è possibile assaporare del tutto quando si è impegnati a lavorare, ma che invece da spettatore esplode con tutta la sua forza. Per un artista poi le sensazioni si acuiscono ancora di più o almeno penso che possa essere così e sarei realmente curioso di sapere che cosa hanno provato Stephen O’Malley, François J. Bonnet e Ryoichi Kurokawa una volta saliti su quel palco. Nel momento in cui scrivo, tra l’altro, il NODE Festival si è concluso, registrando il sold-out per ognuna delle date in calendario. Un risultato che non può non lasciare felici tutti gli amanti della musica e dell’arte e che è sintomatico della voglia da parte degli appassionati di partecipare nuovamente a questo genere di spettacoli. Ci aspettiamo perciò una nuova edizione ancora più sorprendente di quella appena trascorsa; io di sicuro non mancherò.



IMMAGINI
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Locandina del NODE Festival
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Stephen O'Malley e François J. Bonnet
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Stephen O'Malley e François J. Bonnet
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Ryoichi Kurokawa
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Ryoichi Kurokawa
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Alex in compagnia di Stephen O'Malley
ARTICOLI
11/12/2021
Live Report
NODE FESTIVAL: Stephen O’Malley & François J. Bonnet + Ryoichi Kurokawa
Teatro Storchi, Modena (MO), 7/12/2021
 
 
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