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08/12/23
DIVULGATOR + IGNOBLETH + TOL MORWEN
CENTRALE 66, VIA NICOLÒ DELL\'ABATE 66 - MODENA
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SOLOMACELLO FEST - Circolo Magnolia, Segrate (MI), 05/08/2023
21/08/2023 (525 letture)
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La location, sulla quale ci siamo spesi più volte, si conferma quale meta preferenziale per gli eventi estivi, la pioggia degli scorsi giorni ha peraltro regalato un benaccetto clima post primaverile. Mancavano le sdraio stavolta, per il resto la formula è rimasta inalterata e il concerto, come prevedibile, si è svolto nel palco all’aperto secondario. All’ingresso abbiamo appreso che al festival sarebbe seguita una serata dance con le hit degli anni ’90 ed a tal proposito c’è da rimarcare come, in ossequio al banner d’ingresso, al Magnolia son tutti benvenuti e difatti post concerto, a differenza di altre venue che a cambio serata cacciano gli astanti, ai partecipanti il SoloMacello è stata data facoltà di trattenersi, se non per la musica perlomeno per le ultime consumazioni
GŁÓD Band della quale sappiamo poco e, dopo quanto udito, difficilmente ne approfondiremo la conoscenza. Inizia con un prolungato e poderoso assolo di batteria la loro esibizione, tanto da far pensare si trattasse del soundcheck, ma ai rulli di tamburo si aggiungerà un synth acidissimo, elemento che sostanzialmente caratterizzerà tutto il set. Innanzi a una platea quantomeno disorientata si dipana così una sorta di musica elettronica dalle tinte psych/fuzz con la differenza dell’utilizzo, in luogo della drum machine, della batteria acustica. E’ parsa poco convincente finanche fuori luogo tale collocazione nella bill, sicché buona parte della platea si rifugia sotto gli alberi del bar/cucina per assaporare una delle tante proposte culinarie.
GUFO NERO E’ un duo italico quello dei Gufo Nero, che si presenta in formazione batteria/voce e basso/cori. Notiamo subito l’utilizzo, da parte della bassista, di una gloriosa testata Sound City 120 + cassa 4X12” Engl in congiunzione con una pletora di effettistica a pedale. Lo sfruttamento di componentistica per chitarra rivelerà l’intento, riuscito, di irrobustire oltremodo il suono e la dinamica generale, dovendo sopperire alla mancanza dei consueti strumenti di contorno. L’inizio è convincente e ci riporta a sonorità maggiormente attinenti a ciò per cui si è acquistato il biglietto. Un basso pomposo e preponderate, martoriato col plettro senza soluzione di continuità e un drumming che esegue ritmiche non lineari la fanno da padrona in seno a una proposta che inevitabilmente vedrà comparire lo spettro degli Om di Al Cisneros, con le sole voci ben più aspre rispetto al timbro di Cisneros. Una band che sarebbe stata perfetta come apripista con la sola problematica, che purtroppo permarrà anche nella successiva performance, della voce poco percettibile.
CHURCH OF MISERY Col fatto che gli headliner son già passati da queste parti e nel frattempo non hanno inciso nuovo materiale, una parte non indifferente dei partecipanti era qui per loro e i quattro giapponesi, come in numerose altre occasioni nelle quali li abbiamo visti in azione, non hanno mancato il colpo portando avanti uno show carico di energia e fervore. Di interesse è stato il reingresso in scuderia dell’originario cantante Kazuhiro Asaeda, sempre più assomigliante a Victor Wong in Grosso guaio a Chinatown! Saldo al basso resta Tatsu Mikami, proprio lui, quello dall’inconfondibile tecnica plettro/dita e postura nel suonare il basso divenuta vero e proprio trademark del gruppo. Quante volte abbiamo infatti sentito “ma c’è quello che suona il basso alle ginocchia?”. Prima della prova abbiamo occasione di incontrarli e si confermano compostamente folli, in pieno stile nipponico. Consueto abbiglio caratterizzato da pantaloni a zampa, maglietta dei The Obsessed per Tatsu, Venom per Kazuhiro, Gibson sg classic (modello coi pick-up P90) per il giovane chitarrista Fumiya Hattori mentre a dilaniare le pelli il neogiunto samurai Toshiaki Umemura con tanto di fascia in fronte. Per gli amanti dello stoner di stampo classico l’ensemble rappresenta una certezza, un assegno circolare certificato anche dall’ultimo album Born Under A Mad Sign che ha esaltato gli aficionados del genere e ricevuto critiche positive sulle riviste di settore. Purtroppo, come malauguratamente rilevato nella precedente disamina, la voce persiste ad essere scarsamente avvertibile, tanto da scatenare commenti del tenore di aver assistito ad uno spettacolo strumentale! I Church Of Misery, diciamolo con franchezza, son tutto fuorché originali ma ciò che fanno lo fanno egregiamente, d’altronde non hanno mai hanno nascosto il culto per i Black Sabbath, dai quali riprendono oltre l’iconografia (basti dare un’occhiata alla cover del disco Vol. 1) perfino taluni tipici fraseggi del riff master Tony Iommi, nell’occorso è esemplificativo il pezzo Most Evil, tratto dall’ultimo album ed oggi riproposto in tutta la sua possanza. Nondimeno nello stoner l’originalità è spesso marginale laddove il quartetto si è creato “il personaggio”, per via del citato stile di Mikani, ottenendo un ottimo seguito in ragione della sincera proposta musicale e della incendiaria resa sul palco, coesa ed adrenalinica. Voto: otto e mezzo pieno, come direbbe Franchino Er Criminale.
EYEHATEGOD Riecco una delle più rinomate realtà dello sludge doom tornare a varcare, dopo un anno, le porte del Magnolia, stessa location stessa formula vincente! Come detto, essendo scevri di nuovo materiale mancava in parte l’effetto sorpresa, ciononostante quando si è al cospetto di giganti del genere una rivisitazione fa sempre piacere ed infatti la scaletta proposta sarà un vincente blend tra vecchia (su tutte, il singolo New Orleans Is the New Vietnam del 2012) e più recente produzione. Mike Williams, nonostante la critica infermità di sette anni fa, come già constatato durante la passata esibizione, ha fortunatamente ritrovato forma e piglio, calcando il palco con maestria ed empatia. Numerosi i fans che accompagnano nota per nota l’incedere del quartetto, ed anche il mosh più furioso non si fa attendere, tanto da doversi aggrappare alla transenna per mantener salda la postazione alacremente conquistata. Notiamo anche la bassista dei Gufo Nero compartecipe sottopalco. Compare nuovamente la maglietta dei The Obsessed, sempre indosso al basso, collana in stile punk composta da una catena assicurata con un lucchetto per Williams, che si dimena ed è emotivamente partecipe, quasi a manifesto della malinconia e sofferenza affrontata nei testi e nel quotidiano. Voce straziata, intro sulfurei, feedback infiniti, siamo innanzi a uno sludge doom di classe eseguito da una band ispirata. Non manca, come un anno fa, la riproposizione di Every Thing, Every Day, brano che su disco non aveva convinto appieno ma la cui resa nella dimensione live prende forma sorprendendo ancora una volta per pathos e potenza. Ricordiamo che il pezzo è tratto dall’ultima fatica discografica e l’acquisita efficacia dal vivo rappresenta uno dei tanti fattori per i quali è sempre consigliabile partecipare ai concerti. Che la prestazione non sia di mestiere è oltremodo testimoniato dall’intrattenersi del frontman sul palco anche a concerto terminato, interloquendo col pubblico e ballando la musica dance anni ’80 sottofondo! In mano brandiva una bottiglia di vino, saremmo stati curiosi di “sbirciarne” la marca ma soprattutto l’avremmo preferita al solito lancio di plettri, ma ahimé il prezioso liquido farà rientro insieme al legittimo possessore nei camerini. Sazi di questa nuovamente brillante edizione, attendiamo con trepidazione quanto ci riserverà quella dell’anno a venire. Alla prossima!
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