Toto: uno dei più grandi gruppi della storia della musica? Un insieme unico di compositori e virtuosi dello strumento assortiti come meglio non si potrebbe? Un “miracolo della musica” che ha unito assieme alcuni fra i più talentuosi musicisti di tutti i tempi? O, al contrario, un insieme di “belli senz’anima” capaci solamente di produrre alcuni hit di classifica, in ultima analisi privi di qualsiasi stilla di innovazione e di genialità? Quando si domanda un giudizio sul gruppo losangelino è facile che le opinioni si dividano in maniera netta: c’è chi, ammirato dalle non comuni capacità esecutive e incantato dai numerosi brani oggettivamente bellissimi prodotti dai nostri, li considera una delle massime espressioni del rock degli ultimi 40 anni, e chi, all’opposto, non ha mai smesso di considerarli una serie di “musicisti a contratto” capaci di mettere i loro indubbi talenti musicali al servizio di banali pezzi da classifica, ma mai in grado di produrre qualcosa di davvero significativo per la storia del nostro genere. Di solito, il tempo è un buon metro di giudizio: se un gruppo, o un artista, riesce a mantenersi sulla cresta dell’onda per diversi lustri, vuol dire che qualcosa di valido in fondo c’è. Ripercorriamo allora, alcune fra le tappe più significative della loro storia, attraverso i pezzi simbolo del momento; già scusandoci, perché sicuramente, in una storia così lunga e articolata, qualche brano importante potrebbe mancare all’appello e perché le scelte, come sempre, sono personali e possono non essere condivise in toto.
1. Child’s Anthem Che non si stia parlando di un gruppo come tutti gli altri, lo si capisce subito, fin dal primo pezzo del primo album datato 1978. Prima di tutto, è una strumentale, scelta sicuramente originale e coraggiosa come inizio. Secondo aspetto: non è una semplice intro di pochi secondi, ma è un brano articolato e complesso che raggiunge quasi i tre minuti di durata. Terzo aspetto, e fondamentale: è un pezzo meraviglioso, con la sua fusione perfetta di musica classica (nelle progressioni armoniche e melodiche, di chiaro stampo classico), trascinante ritmo swing (nelle evoluzioni della sezione ritmica, che mostra subito la sua eccellenza) e potenza rock, che si estrinseca bene nell’alternanza di assoli fra piano e chitarra. Un brano che è diventato un classico della band sin da subito, e che è stata spesso riproposta dai nostri dal vivo proprio come introduzione, per “scaldare la platea”. Ascoltatevi la versione live che fa da intro al fenomenale Live in Paris 1990, e giudicate voi se non si tratti di un capolavoro.
2. Georgy Porgy I primi Toto sono una band cui piace sperimentare e mischiare i generi; d’altra parte, con una tecnica strumentale spettacolare e un’esperienza già notevole, malgrado la giovanissima età, viene quasi naturale “divertirsi” con la musica in tutte le sue sfaccettature. È il caso di Georgy Porgy, brano dove l’irruenza rock si sposa bene con i ritmi sincopati della disco music dell’epoca, e dove, ben supportato dai fenomeni al suo fianco, il cantante Bobby Kimball ha modo di mostrare tutta la duttilità della sua voce e del suo timbro, affiancato dalla cantante ospite Cheryl Lynn, che interpreta la parte della voce principale nel ritornello del brano. Il pezzo è divenuto sin da subito un classico della discografia della band, che non lo ha quasi mai espunto dalle scalette dei tour sino a tempi molto recenti.
3. Hold the Line Ogni gruppo o artista che rimane celebre per decenni ha i suoi brani simbolo: si pensi a Starway to Heaven per i Led Zeppelin, a Smoke On the Water per i Deep Purple, a Bohemian Rhapsody per i Queen. Per i Toto, la storia ha decretato che i brani simbolo sono due. Il secondo lo troveremo a breve, il primo compare già sull’album di esordio, ed è certamente Hold the Line. Questo brano inconfondibile, dal ritmo terzinato in shuffle (vero marchio di fabbrica del favoloso Jeff Porcaro), è frutto della magica penna compositiva di David Paich, compositore principe nei primi anni del gruppo e quasi unico autore di tutto il primo album dei nostri, e si fonda su un magico contrappunto fra pianoforte e chitarre, su cui Bobby Kimball può scatenare la propria voce dagli acuti quasi illimitati , alla quale gli altri replicano con cori trascinanti e armonizzati con gusto raro a trovarsi. Non sarà originale, nella sua classicissima struttura intro-strofa-ritornello-assolo, ma sicuramente ha la capacità di stamparsi in testa al primo ascolto e non uscirne più. Anche in questo caso, esiste una versione live che la esalta in modo particolare: si tratta di quella contenuta in 25th Anniversary - Live in Amsterdam, pubblicato nel 2003.
4. White Sister Squadra che vince non si cambia, ed ecco che, confortati dall’ottimo successo di pubblico e critica del primo album, i sei losangelini tornano sul mercato pochi mesi dopo, nel 1979, con Hydra. In realtà un piccolo cambiamento c’è: il mastermind compositivo David Paich, sempre punto di riferimento primario e quasi unico nelle fasi di composizione, punta la barra in maniera più decisa verso l’hard rock, limitando decisamente le commistioni con il pop o con altri generi mainstream, che invece erano stati numerosi durante la prima uscita. Ne deriva un disco più compatto e coerente ma anche più prevedibile, che il pubblico dell’epoca apprezza meno rispetto al predecessore. Non a caso, il pezzo che ha più successo è proprio il più commerciale, la ballad 99. Ma il migliore del lotto è invece il più rock e potente, il qui presente White Sister, un pezzo trascinante e coinvolgente dalla prima all’ultima nota, suonato divinamente, come da prassi per i nostri, cantato in maniera convinta e passionale da un Bobby Kimball in piena forma, e dove Steve Lukather si esibisce in due assoli assolutamente sopraffini per tecnica e feeling.
5. Rosanna Dopo il successo ottenuto con il loro omonimo album di debutto nel 1978, i Toto, come detto, faticano a ripetersi con i due lavori successivi, Hydra e Turn Back. La band viene quindi messa sotto forte pressione da parte della Columbia Records: il loro quarto album deve essere quello del grande successo, pena il rischio di ritrovarsi senza più contratto. Detto, e fatto: Toto IV è uno di quei dischi per i quali la definizione di “perfezione” non è esagerata. È uno di quei lavori dove letteralmente non c’è una sola nota da buttare via, e dove tutti i pezzi potrebbero essere scelti come singoli di successo. In realtà, lo diventeranno cinque di loro, fino a raggiungere la stratosferica cifra di oltre cinque milioni di copie vendute. I Toto decidono di tornare alla formula che aveva contribuito al successo del primo album, abbracciando molti generi musicali diversi tra loro; la band si affida anche ad alcuni musicisti esterni per contribuire a rendere il suono più vario e raffinato possibile. Inoltre, aspetto fondamentale, in questo caso la composizione è equamente divisa fra tutti i componenti, ciascuno dei quali si occupa di almeno un brano, integrandosi molto bene fra loro e portando risultati eccelsi. Il primo di questi, primo singolo lanciato, è la celeberrima opener, un pezzo caratterizzato dal famosissimo shuffle di Jeff Porcaro, dall’alternanza vocale fra Paich e Kimball e dai meravigliosi assoli in alternanza fra piano, tastiere e chitarre, sino alla dissolvenza con l’assolo pianistico in stile jazz.
6. I Won't Hold You Back Pezzo interamente scritto e arrangiato da Steve Lukather e quarto singolo del disco, è una delicata e dolcissima ballata dove emerge per la prima volta la sensibilità compositiva del nostro, non solo bravissimo chitarrista, ma ottimo compositore e arrangiatore. Qui le sonorità orchestrali della Martyn Ford Orchestra si fondono bene con gli strumenti elettrici, senza prevaricarli ma dando al brano uno spessore e una profondità particolarmente azzeccata. Assolo di chitarra da brividi per passione e intensità.
7. Africa Forse il brano più conosciuto in assoluto dei Toto, e uno dei più grandi successi degli anni ’80, esce come terzo singolo del disco. La canzone è stata scritta dal tastierista della band, David Paich, che canta le due strofe della canzone, e dal batterista Jeff Porcaro, mentre Bobby Kimball canta il ritornello. Uno di quei brani che chiunque ha sentito almeno una volta nella propria vita, diventa leggendaria per il ritmo “africano” dato dalle percussioni e dallo swing della sezione ritmica, dalle armonizzazioni corali assolutamente inarrivabili e dal “classico” assolo incrociato tastiere-chitarra. Degna conclusione di un album composto in assoluto stato di grazia.
8. Isolation I mesi immediatamente successivi a Toto IV sono molto intensi per i nostri: partecipano alle registrazioni del disco Thriller di Michael Jackson, che diventerà il disco più venduto della storia della musica, compongono la colonna sonora (interamente strumentale) del film Dune di David Lynch, partecipano ai numerosi premi e festival cui sono invitati e premiati, per i numerosissimi successi del disco appena composto e pubblicato. Questi ritmi frenetici finiscono inevitabilmente per fare le prime “vittime”: prima il bassista David Hungate lascia il gruppo per stare più vicino alla famiglia, e viene sostituito dal terzo fratello Porcaro, Mike, altro musicista di livello assoluto. Poi, fulmine a ciel sereno, durante le registrazioni del nuovo disco, l’iconico cantante Bobby Kimball è licenziato per problemi di alcool e droga e crisi d'incompatibilità con la band; nonostante l'abbandono, alcune sue parti vocali vengono ugualmente mantenute sull'album in uscita. La scelta del successore non è facile, dato che il timbro e il modo di cantare di Kimball sono stati sino ad ora alcuni fra gli elementi più caratteristici della band; la scelta alla fine cade sullo statunitense Fergie Fredriksen (ex Le Roux), dotato di una voce in grado di replicare gli acuti del predecessore, ma anche di meglio adattarsi ai pezzi più potenti e classicamente rock. Il nuovo disco, Isolation, cerca proprio di unire la completezza e la varietà di Toto IV con la potenza e la carica rock dei due album precedenti, potendo appunto sfruttare le doti canore del nuovo entrato. La difficilissima sfida in parte riesce, ma replicare lo stato di grazia assoluto del predecessore era pressoché impossibile; infatti, alcuni brani non riescono appieno negli obiettivi, ma quando le cose girano il disco è di livello altissimo, come nella qui presente title-track, un brano dall’altissima carica rock ma suonato con la versatilità e la brillantezza di un ensemble di jazz. Gli strumentisti si lanciano in scorribande strumentali tanto complesse tecnicamente quanto perfettamente funzionali alla struttura compositiva del brano, e Fergie mostra tutte le sue notevolissime doti realizzando una linea vocale di rara bellezza e contemporaneamente di rara complessità. Anche in questo caso, i cori di appoggio restano di riferimento assoluto per qualsiasi band.
9. Till The End Isolation, come prevedibile, nonostante le buone vendite, non raccoglie la stessa acclamazione di Toto IV; come se non bastasse, alla fine del tour, Fergie Frederiksen è improvvisamente licenziato. Il motivo è stato spiegato da Lukather in un'intervista del 1998, in cui afferma che la band non si trovava bene con Fergie a causa delle difficoltà di quest'ultimo nelle registrazioni in studio. Per la seconda volta in due anni, i Toto si ritrovano privi della voce principale; la band inizia quindi le audizioni per un nuovo cantante e Joseph Williams, figlio del famoso compositore di musiche da film John Williams, è scelto tra gli audizionati. Con Joseph ora ufficialmente a bordo, i Toto iniziano a scrivere e a registrare Fahrenheit, pubblicato nell'ottobre 1986. Il nuovo album, seguendo le indicazioni della casa discografica, è un disco molto più soft rispetto ai precedenti, e comprende hit come I'll Be Over You e un pezzo strumentale, Don't Stop Me Now, suonato addirittura insieme a Miles Davis. Il primo brano dove possiamo apprezzare il magnifico timbro e la versatilità vocale del nuovo entrato è proprio Till The End, un pezzo dove uno scatenato ritmo funky-rock si stempera in un arioso ritornello magnificato dalle linee vocali di Williams e dai cori avvolgenti.
10. Pamela Nonostante le collaborazioni, Fahrenheit non è molto apprezzato e vende meno del previsto, tuttavia il gruppo è coeso e convinto, e la line-up attuale sembra davvero la migliore di sempre. Per la verità un cambiamento in corso c’è anche stavolta: dopo la fine del tour nel 1987, Steve Porcaro lascia la band per dedicarsi alla carriera musicale in ambito di film e telefilm. Il tastierista non sarà mai sostituito, e i Toto decidono di continuare con solo 5 membri nel gruppo. Porcaro parteciperà comunque alle registrazioni in studio dei successivi album, mentre Paich si fa carico della maggior parte delle parti alle tastiere durante i concerti. Il gruppo vuole dimostrare a tutti la propria rinnovata competitività, e realizzare un “nuovo Toto IV”, come dimostra l’artwork del nuovo disco che richiama esplicitamente (modificandone solamente di poco i colori) il capolavoro di quattro anni prima. Nel 1988 ecco The Seventh One, altro disco dove è davvero difficile trovare un solo pezzo di livello non elevato. Per la verità, non siamo proprio sui livelli assoluti di Toto IV, ma i pezzi da applausi non mancano, ad iniziare dalla opener Pamela, a tutti gli effetti degna erede di Rosanna, a partire dal memorabile ritmo in shuffle, al bridge in crescendo con una linea vocale splendida sino al coro del ritornello, uno dei più riusciti dell’intera carriera dei nostri. Assoli di chitarra e tastiere inarrivabili, per gusto e tecnica, per la quasi totalità dei musicisti in circolazione
11. Stop Loving You Primo singolo da The Seventh One e uno dei brani più conosciuti della carriera dei Toto, è un vivace mid-tempo sostenuto da una sezione ritmica da applausi a scena aperta, che lentamente cresce e decolla fino a lanciarsi nel famosissimo bridge centrale e annesso ritornello cantato coralmente da tutta la band, con un Williams sugli scudi che sempre più si mostra come il cantante perfetto per i nostri. Non manca un inciso centrale in controtempo che diventerà croce e delizia per milioni di musicisti in tutto il mondo, nel vano tentativo di imitarlo o di riprodurlo.
12. Home of the Brave L’ultima gemma del disco è forse la più luminosa di tutte. Un brano lungo (quasi sette minuti), epico, cangiante, che parte delicatamente in sordina con un riff tastieristico di Paich, per poi crescere poco per volta nella strofa, prima bassa e soffusa, poi potente e trascinante, per esplodere nel break centrale con relativa partenza (in controtempo!) sul ritornello, uno dei meglio riusciti nella pluridecennale storia dei Toto. Non manca una lunga sezione centrale strumentale, dove i nostri possono dare sfogo alle loro mostruose doti strumentistiche, ma senza che questo minimamente appesantisca il brano o lo porti “fuori strada”. Una degna conclusione per uno degli album più riusciti del decennio.
13. Gipsy Train Gli anni immediatamente successivi a The Seventh One sono convulsi per i Toto. Nonostante il grande successo di pubblico, nel gruppo si crearono tensioni dovute al continuo uso di droga da parte di Joseph Williams: il cantante perde la voce nella seconda data del tour a Rotterdam e la recupera solo in corrispondenza con le date giapponesi. Questa serie di frizioni all'interno della band sfociano nel licenziamento di Williams alla fine del tour e per una successiva pausa durata quasi tutto il 1989. La casa discografica fa pressioni per l'ingaggio del cantante sudafricano Jean-Michel Byron come voce principale, ma bastano poche settimane per capire che le bizzarrie di Byron sul palco non si adattano alla visione dei Toto dei loro live show, e il cantante è relegato rapidamente da frontman a corista, nonché licenziato alla fine del tour del greatest hits nel frattempo uscito. Arriviamo così al 1991 e, ancora una volta senza un lead vocalist, il chitarrista Steve Lukather si fa avanti in prima persona e diviene il nuovo cantante principale. Il cambiamento è radicale: Lukather prende decisamente in mano le redini compositive del gruppo, e il sound cambia in modo deciso. Pezzi più potenti, più “grezzi”, riff chitarristici secchi, melodie meno orecchiabili, ma sempre classe e perizia strumentale da vendere. L’album Kingdom Of Desire del 1992 è il primo del “nuovo corso”, e la prima traccia ne è un degno esempio: un rock serratissimo –mai stati così aggressivi i Toto– che prevede duelli fra le chitarre roventi di Lukather e l’organo Hammond (in precedenza quasi mai usato) di Paich, il tutto su una base ritmica come sempre da antologia, e una linea vocale semplice ma efficace. Le meraviglie sonore degli anni ’80 sono finite per sempre, ma il nuovo corso è più che mai affascinante ed interessante.
14. I Will Remember Pare destino che per i Toto non ci possano essere giorni tranquilli: non è ancora nemmeno stato pubblicato Kingdom of Desire che una tragedia improvvisa sconvolge la band. Il batterista Jeff Porcaro muore improvvisamente per un attacco cardiaco, e il gruppo si trova a dover sostituire qualcuno di quasi insostituibile, visti i legami personali e il livello inarrivabile del musicista. C’è una sola possibilità: Simon Phillips è l'unico batterista contattato, in quanto apprezzato da Porcaro, e già in parte noto poiché Lukather ci aveva già lavorato in un tour precedente insieme a Santana e a Jeff Beck in Giappone, nel 1986. Phillips accetta e si unisce al gruppo: il primo album con la nuova formazione è Tambu del 1996. Lo stile prosegue con le innovazioni portate nel precedente album, ma in questo caso il “pezzo da 90” è la ballatona I Will Remember, una delle più belle e delle più sentite mai scritte dai Toto. Composto da Steve Lukather, questo pezzo è uno dei pochi dei Toto a contenere pochissime parti di chitarra: nel brano, infatti, Steve suona principalmente la tastiera. Melodie di classe sopraffina, arrangiamenti d’autore e una dolcissima malinconia di fondo ne fanno un brano assolutamente splendido, non a caso scelto come singolo principale dell’album.
15. Caught in the Balance Nel 1997 cadono le celebrazioni per i venti anni del gruppo, e, dopo un breve tour promozionale, Bobby Kimball rientra in pianta stabile come voce principale. Tutto il gruppo sembra rigenerato dal ripristino quasi intero della formazione storica, e riesce a fondere in maniera ottimale il nuovo stile degli anni ’90 con la magnificenza sonora e le melodie incredibili che erano il marchio di fabbrica degli ’80. L’album Mindfields del 1999 è quindi il migliore in assoluto fra quelli incisi dal gruppo dopo The Seventh One e presenta un livello qualitativo molto alto e soprattutto uniforme. È davvero difficile trovare un pezzo che spicchi sugli altri, ma è impossibile non rimanere colpiti da Caught In a Balance, un brano rock-fusion lungo, tecnico e intricato ma dotato, nello stesso tempo, di una linea vocale talmente riuscita da stamparsi in testa fin dal primo ascolto. Ritornano anche a pieno regime i cori e le armonizzazioni vocali tanto care alla band, e gli intrecci chitarra-tastiere che tante volte ci hanno fatto sognare.
16. Falling In Between Gli anni passano, e i nostri sembrano ormai essere più un auto celebrazione di loro stessi, e della loro carriera che un gruppo attivo e vitale. Si spiegano così l’abum di cover Through The Looking Glass del 2002, e la tournée del 25° anniversario nel 2003. Una novità però cambia improvvisamente le carte in tavola: al termine della tournée del 2003, David Paich decide di ritirarsi e mollare il gruppo, dopo che già si era fatto sostituire in parte delle date. Non è una novità da poco: sebbene i Toto dei ’90 e degli anni 2000 siano maggiormente guitar-oriented, le tastiere di Paich e il suo talento compositivo sono sempre stati uno dei capisaldi del sound del gruppo. Nel 2005 viene chiesto al suo sostituto in tour, Greg Phillinganes, di entrare definitivamente nella band, e Paich si ritira definitivamente dagli spettacoli live, pur comparendo ancora come produttore e prendendo parte alle registrazioni in studio. Il nuovo entrato porta nel gruppo la sua pluridecennale esperienza di collaborazione, nelle vesti di turnista, con personaggi quali Stevie Wonder, Eric Clapton e David Gilmour, ma soprattutto un sound e un background sonoro decisamente differente, molto più improntato verso il prog e il jazz-fusion, oltre che una tecnica strumentale stravolgente. Nel nuovo album, Falling In Between del 2006, i “nuovi” Toto “mostrano i muscoli” e sembra quasi vogliano scendere in competizione con band tipo Dream Theater, per potenza sonora e tecnica esecutiva mostrata a piene mani. La classe inarrivabile dei nostri è sempre però intatta, e, sebbene in certi frangenti si lascino prendere la mano, i brani nuovi non eccedono mai in tecnicismi e riescono a mantenersi in equilibrio all’interno di una forma canzone standard, facilmente accessibile anche ai non iniziati. La title-track di apertura non può lasciare indifferenti, sin dal riff potentissimo iniziale e dall’acuto poderoso di Kimball, per poi trascinarsi in una sarabanda sonora dove tutti gli strumentisti danno il loro meglio.
Da qui in avanti, è quasi impossibile riuscire a seguire le molteplici evoluzioni dei Toto negli ultimi quindici anni, fra scioglimenti, reunion, sostituzioni di membri dovuti a motivi di salute (il bassista Mike Porcaro, stroncato dalla SLA) o ad abbandoni vari. Vi è anche un’ultima, e probabilmente definitiva, release discografica, Toto XIV del 2015: l’album segna il ritorno di Joseph Williams dietro il microfono, David Paich e Steve Porcaro alle tastiere e David Hungate al basso. Gli anni sono passati, e la freschezza delle idee non può essere quella degli esordi, ma classe ed esperienza permettono alla band un ultimo sussulto di vitalità compositiva che non fa troppo rimpiangere gli anni d’oro. Sembra così giunta alla fine la più che quarantennale storia della band, anche se Lukather e Williams ne hanno rispolverato il nome per una nuova tournée che il vede protagonisti insieme a giovani e poco conosciuti, ma validissimi, musicisti di supporto. Che ci possa essere una nuova, ennesima ripartenza?
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