Nelle mie vene scorre da sempre il sangue degli irreprensibili, degli integralisti, dei folli. Nessun atto di sottomissione, niente compromessi. Mai. Con nessuno. Di nessun genere. Disposto all’autodistruzione fisica, psichica e sociale, piuttosto che ad una qualunque forma di asservimento, mi trovo costantemente incompreso all’interno di un mondo in cui l’anonimato intellettuale trova terreno fertile anche (e soprattutto) negli ambienti culturalmente più ambiziosi. Oggi ciò mi pesa. E mi trascina in una decadente riflessione che riapre ferite, superficialmente cicatrizzate per mezzo un inutile martirio interiore, da cui sgorga, di un rosso quasi purpureo, l’esamine secrezione del mio soffrire. E poi la pioggia; il freddo nelle ossa, divenute pure fragili con lo spirito oramai all’abbandono: arrivo all’ALCATRAZ, con un entusiasmo logicamente prossimo allo zero, data anche la pochezza dell’ultima fatica che gli OBITUARY, headliners di questo routinario appuntamento, si apprestano a promuovere (cliccate per leggere la recensione di Luca Chieregato “Arakness”). A peggiorare la situazione, di per se già critica, mi trovo coinvolto, nonostante l’artificioso ritardo, nella penosità dello show dei supporter HOLY MOSES (gli AVATAR me li sono persi in toto), che, dopo l’intollerabile “avance” sessuale collettiva dell’orripilante Sabina Classen, si meritano solo la mia (e quella di tutti i presenti sani di mente) distratta compassione.
Ma, come nelle migliori favole, un inequivocabile presagio rinvigorisce inaspettatamente le moribonde speranze del protagonista del caso (io nel “caso”): il piacere di incontrare due (recenti) amici, rischiara difatti le membra e recapita nuova linfa vitale alla serata. Ciao ragazzi, ci sentiamo presto! Intanto, in un angolo, compare Donald Tardy ad allontanare definitivamente l’attenzione del pubblico dai dimessi (artisticamente parlando) HOLY MOSES. La sua magrezza ed esilità fisica mi sconvolge, abituato alla stazza “quintalica” della maggiore parte dei drummer della scena. Uno splendido ed atteso LIGHT ON permette finalmente al sottoscritto una rapida scappata dalla solita “rossa” che, incurante del pessimo umore profuso, non lesina di rinfrescarmi le labbra avvizzite e di scaldarmi il gelido cuore.
L’attesa per gli OBITARY è divenuta febbrile, anche per quanto mi riguarda. Molti adepti, giovani e vecchi, ad affollare le prime file. La crew ci risparmia la solita “coda” di sound-check e d’un batter d’occhio si da il via allo spettacolo. Rimaniamo tutti folgorati dal primo missile che Tardy e soci sparano verso il pubblico: FIND THE ARISE (dal fantastico secondo album CAUSE OF DEATH) delinea per bene l’importanza, in queste circostanze, di non essere supporter occasionali, così da poter deliziare il palato con l’aggressività dei pezzi storici, egregiamente riproposti a distanza di un ventennio. Il pubblico risponde con atteggiamenti veneratori prontamente ricambiati con una ON THE FLOOR da manuale. Come non temporeggiare nella cronaca per segnalarvi la fresca magnificenza della voce di John, che, pur con il passare degli anni, rimane l’assoluto punto di riferimento del mid-growling di stampo americano. Naturale, piena, addirittura roboante, esalta una mistura sonora che, nella sua semplicità esecutiva, non ha perso lo smalto dei (bei) tempi che furono. Quasi resto sorpreso (positivamente) dalla mobilità del quintetto che schiera, come punta diamante, il mitico (mercenario) Ralph Santolla, recentemente liberatosi della follia satanista dei DEICIDE di Glen Benton. A riguardo non fatico ad immaginare dissapori tra i due dopo che, in più di un’occasione, l’ex chitarrista di ICED EARTH e (ancora prima) DEATH si è lasciato “scappare” davanti ai microfoni la propria militanza cattolica (se non mi credete date uno sguardo all’intervista contenuta nel DVD live DOOMSDAY L.A.). È proprio Ralph a caricarsi sulle spalle i nuovi compagni di viaggio. Si muove, dialoga con il pubblico, macina accordi monolitici e sciorina in continuazione assoli puliti e precisi. Il divario con gli altri musicisti è impressionante e rendiconta di un’effettiva capacità tecnica da vero numero uno. Trevor Peres gli si accosta come un cagnolino bastonato in presenza del padrone: soffre l’ingombrante presenza del maestro, e si vede, ma d’altra parte lo si può perdonare. Inoltre, come se ciò non fosse già sufficiente, la zona mixer gli riserva volumi al limite della decenza, relegandolo in un ruolo fin troppo secondario. Anche Frank Watkins non va oltre un accademico compitino, cucendo la ritmica delle 6 corde con le martellate della batteria di un ispirato Donald (bello anche l’assolo di fine serata). In tutto ciò Tardy non smette un secondo di impressionarmi, tanto per la potenza elargita, quanto per l’inconfondibile timbrica, che ne fanno il migliore cantante DEATH di sempre.
Via via ecco percorrere tutta la discografia che conta: CHOPPED IN HALF, TURNED INSIDE OUT, THREATENING SKIES e BY THE LIGHT; a costruire una scaletta fortemente evocativa. Meno coinvolgenti i brani provenienti dal nuovo album che faticano a tenere il passo con le pietre miliari della produzione ’90s: il peccato originale di XECUTIONER’S RETURN non può essere di botto cancellato, anche se in sede live, complice anche una certa assuefazione visiva, i sette rappresentanti suonano meno scontati e dunque meno deludenti di quanto siano parsi su supporto fisico. Fantastica l’esecuzione di SLOW DEATH in cui si scatena il vorticoso pogare degli instancabili fratellastri DEATHSTER, prima di concludere, in bellezza, con l’apoteosi splatter di SLOWLY WE ROT.
Inutile dirvi che mi sono divertito e che gli OBITUARY sono ancora la spettacolare macchina da guerra che tutte le giovani band dovrebbero prendere a riferimento. Lodevole anche la serietà sul palco: mai una parola di troppo, mai comportamenti scontati o “populisti”. Bravi, bravi ed ancora bravi! A distanza di anni sento il pizzicore dalla malvagità, la passione della veemenza, l’ardore del DEATH METAL.
Con questa viscerale mistione di nostalgia ed esaltazione intraprendo la strada di casa laddove, prima della nuova alba, mi aspetta un estremo, coraggioso atto conclusivo. Ed il sangue cola, lentamente, fino all’ultima goccia!
SETLIST
Find The Arise
On The Floor
Chopped In Half
Turned Inside Out
Threatening Skies
By The Light
Face Your God
Lasting Presence
Insane
Black Inside
Evil Ways
Drop Dead
Contrast The Dead
Stand Alone
Slow Death
Second Chance
Slowly We Rot
|