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VIRGIN STEELE + CLAIRVOYANTS - L'era dell'acciaio e dei chiaroveggienti
07/03/2010 (4541 letture)
Il solo viaggio da Roma a Prato meriterebbe un articolo piuttosto esteso e altamente polemico verso Trenitalia; basti dire che saremmo arrivati a tutti i costi, anche dovendo andare a piedi, tanta era la voglia e l’attesa. Ma forse è meglio andare in fast-forward fino all’arrivo al Siddharta Club, rinomatissima struttura nota in tutto il centro Italia e oltre per la serie impressionanti di concerti di livello offerti negli anni. L’apertura delle porte, va detto, viene ritardata un po’ troppo: in pratica, per semplificare, i primi spettatori sono entrati verso le ore 22, che veniva accreditata come ora di inizio del concerto. A farne le spese saranno i Clairvoyants, ma andiamo con ordine e seguiamo passo passo l’esibizione dell’opening act della serata.

CLAIRVOYANTS
Tra una cosa e l’altra i Clairvoyants cominciano alle 22 e 30, se non più tardi, ma per fortuna ci mettono davvero poco a scaldare gli animi dei presenti. La scelta di cominciare il proprio set con la title-track dell’album d’esordio, è dettata dalla personalità e dalla voglia di non essere sempre la tribute band degli Iron Maiden che gira l’Italia in virtù di ciò: i cinque lombardi hanno classe da vendere, e la grinta giusta per farsi notare.
Dal loro primo e unico full-length, uscito un anno fa per Valery Records, sentiamo anche Step Aside e Journey Through the Stars, che anche dal vivo si dimostrano brani ben scritti e ben suonati; Bernascioni è in gran forma, e coinvolge il pubblico oltre a stupirlo con i suoi acuti. Il team d’asce Princiotta (ex Blaze)-Demartini sorregge il suono assieme al drumming serrato di Manuel Pisano con precisione e potenza, e Paolo Turcatti, chiamato nelle cover dei Maiden all’improbo compito di fare l’Harris, prende in mano la band nei momenti decisivi.

Già, le cover dei Maiden. Io personalmente ne farei a meno, ma mi rendo conto che i Clairvoyants da tribute band della Vergine di Ferro hanno fatto molto, e allora The Trooper è doverosa, oltre alla conclusiva Hallowed Be Thy Name, con tanto di ringraziamento a André Matos che l’ha cantata in World to the Wise. Inutile dirlo, la precisione nell’esecuzione di questi brani è estrema, anche nella cura scenografica volta a ricordare una versione semplice e de-rockstarizzata degli Irons.
Un ulteriore plauso ai Clairvoyants (anche se sembrerà quasi ironico) è dovuto… per aver tagliato un pezzo, The Number Of The Beast, perché li avevano fatti cominciare in ritardo e quindi non c’era più tempo. Ad un musicista dà sempre fastidio essere costretto a suonare di meno, e ho visto in passato scene di scarsa professionalità generate da queste situazioni; non così i nostri, ulteriore testimonianza della loro fede incondizionata.

Il cambio di set è lungo, il dj ci intrattiene con estratti sinfonici più disparati, vediamo figure muoversi dietro il sipario rosso che ci separa dagli dèi del metal, e l’impazienza sale, e sale, e sale…finalmente il Velo di Maya viene rimosso, e che le parole arrivino dove la musica non può raggiungervi.

VIRGIN STEELE
La scaletta è a tratti inesistente, un lungo medley intramezzato da molti applausi, urla scriteriate e cori sostenuti del pubblico di un Siddharta che pareva non dico strapieno, ma quasi. Noi in prima fila godiamo dell’esperienza sonora al massimo grado: Pursino sbuffa e ansima, ma non ne sbaglia una; DeFeis è semplicemente immenso. Qualcuno ricorderà da parte sua alcune prestazioni non perfette, soprattutto risalenti a qualche anno fa, ma questo show è tutta un’altra storia: i falsetti, gli acuti, le urla, è tutto al di là della nostra comune esperienza uditiva.

I brani sono tratti da tutta la discografia dei Virgin Steele: l’apertura è con Seventeen (!), da Age Of Consent, non mancano estratti dai due Marriage (la caldissima ballad Forever Will I Roam dal primo, una travolgente Crown Of Glory dal secondo; purtroppo niente Emalaith, con nostra grande delusione), Invictus spopola con l’accoppiata Through Blood And Fire-Sword Of The Gods, tra i pezzi più riusciti della serata anche grazie ad un supporto incredibile da parte dei fan. The House Of Atreus è ben rappresentato (poteva essere altrimenti?), con la prepotente Wings Of Vengeance a spiccare; e God Above God e Bonedust tengono alto il vessillo del recente Visions Of Eden. La chiusura è affidata ad un medley indescrivibile, che mesce in parti uguali Noble Savage e I Will Come For You, inserendo senza scrupoli anche il coro di Visions Of Eden, nel mix che la band definisce “Romanticismo Barbaro” e che mantiene le proprie caratteristiche anche in versione acustica. Acustica ma non soft, visto che quando c’è da essere duri i Virgin Steele non si tirano indietro.

Nel racconto della serata non può però mancare l’esperienza diretta, e allora comincio col prendermi un piccolo merito: se io e la mia fotografa di fiducia – nonché compagna di viaggio e di vita – non avessimo urlato a squarciagola in una pausa invocando Gate Of Kings, il Siddharta si sarebbe perso questo capolavoro, che non era in scaletta. David DeFeis, bontà sua, ha assecondato la nostra follia, tra un bicchiere di Chianti ed un altro. E al vino è ricollegata la seconda esperienza personale: subito prima dell’encore (la devastante Defiance, ancora da Invictus) mi si presenta l’occasione sperata di regalare a DeFeis una bottiglia (la seconda della serata per il singer newyorkese) di vino rosso di Toscana (Morellino, in effetti), e di ricevere da lui un abbraccio non facile da dimenticare. Mi risveglio dal sogno e dal ricordo per dire che dopo lo show – peraltro molto intenso a livello fisico: se le assi del Siddharta potessero parlare racconterebbero con dolore dei salti e dei pestoni scenici di DeFeis – i tre Virgin Steele (il bassista, o secondo chitarrista in questo frangente, Josh Block è salito sul palco verso i tre quarti del set) si sono trattenuti, come il giorno precedente a Milano, per ore con il pubblico, firmando qualsiasi cosa e scattando foto con tutti nonostante li attendesse un volo transoceanico.

Questo mi dà l’occasione per soffermarmi su un fatto: i Virgin Steele, più che amati, sono idolatrati dai fan, godono di assoluta dedizione. Perché? Forse anche perché sono quanto di più lontano da una rockstar ci possa essere, perché hanno un rapporto viscerale con la musica che suonano e con chi li sostiene, perché rispondono in pochissimo tempo anche alla mail più inutile o idiota. Ho visto gruppi da niente suonare cento volte peggio degli Steele e permettersi anche di avere atteggiamenti snob; purtroppo mi è capitato anche con alcune band o personalità italiane, anche se raramente. Ma c’è una cosa che non ho visto quasi mai, né in Italia né nel mondo: un cantante al livello di DeFeis. Il motivo per cui amiamo i Virgin Steele è la sua voce e la sua vena creatrice, e il motivo per cui è stato un grandissimo concerto è la sua voce, la sua persona, la sua presenza sul palco e fuori.

Noi possiamo vivere le nostre vite come se fossero opere d’Arte, mi disse una volta via mail. Ma, rispondo io, è grazie a serate come questa se possiamo anche solo provarci. Un ringraziamento va alle band, per lo spettacolo proposto, al Siddharta Club e a Francesca Basso, che mi ha accompagnato, sopportato, e nel frattempo ha anche scattato le foto che vedete nell’articolo.



AL
Mercoledì 10 Marzo 2010, 20.10.56
3
mi spiace un casino averli persi ... Defeis è un grande del metal .. ho visto i VS una volta sola ma mi ricordo che era stato un gran bel concerto! i Clairvoyant ahimè gli ho già visti ma non mi hanno mai entusiasmato!
Filippo Festuccia
Lunedì 8 Marzo 2010, 13.43.06
2
...e si parla di Novembre come data di uscita del nuovo disco, il secondo capitolo del Lilith Project...
slide
Lunedì 8 Marzo 2010, 11.18.07
1
Che c'è da commentare? Oltre alla grandissima musica, evidentemente DeFeis deve essere una grande persona. Anche per questo merita di essere seguito.
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