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LA POLEMICA - # 4 - La caduta del mercato
23/07/2010 (4703 letture)
Chi non è mai partito prevenuto nei confronti del metal e affini, all’infuori dei propri seguaci? Se qualcuno lo avesse mai fatto alzi il piede destro e mostri l’allucione e il dito mediano, ostentando le corna... Mosche bianche, praticamente nessuno. Etichettare, ma ancor peggio sparare a zero senza conoscere le problematiche, è ormai divenuto un diktat di questa nostra società malata di protagonismo, sorretta da opinion leader del nulla, incancrenita dalla superficialità e dall’ignoranza bieca, indotta dalla muffa di perbenismo di una comunicazione di parte e drogata. Un’iconografia spessa, nociva, fatta di clichè e giudizi preordinati e pre-stimati come vecchie cartelle stampa impolverate, ingiallite dal tempo, ma che recano sempre la stessa acidità di pensieri e giudizi. Senza essere al corrente, senza aver mai approfondito l’argomento. Una vera tristezza... Brutti, sporchi, feroci, cattivi, sessisti, settari, ignoranti, violenti, birra-dipendenti, drogati, razzisti, eventualmente satanisti, persone comunque da evitare il più possibile: questa è l’immagine comune che la massa, quella definita dai media “per bene”, ha degli ascoltatori di musica hard and heavy. E nonostante i grandi progressi e l’assimilazione alla “società civile ed al relativo mercato” questa è ancora oggi la nostra fama. Qualcuno ricorda le pellicole degli anni ottanta? Ebbene, se qualche regista voleva esasperare una figura e fornire connotati negativi ad un personaggio lo vestiva da metallaro, con bracciali di cuoio borchiati, t-shirt dei gruppi che andavano per la maggiore, immancabili jeans attillati e stracciati, spesso rendendolo più rozzo del comune, un tipo disordinato, che si lavava poco, parlava con i rutti o con tanti tic e faceva bella mostra, del suo essere un fiero metallaro, in ogni antro del film: una persona inadeguata alla società, semplicemente ai margini, un predestinato al fallimento. Un individuo nichilista, il classico esempio da non seguire, da evitare come un portatore di peste bubbonica.

Nel seguente articolo ho scelto deliberatamente di non curarmi di questi aspetti, per l’evidente sterilità della loro vena puramente polemica. La ricerca punta invece a formulare una ricostruzione più fedele possibile per tentare di analizzare l’ambiente della discografia relativa a questo genere musicale e alla sua gestione, per gradi storici, a livello di sviluppo, crescita e consolidamento, in ambito di marketing. La portata del “fenomeno heavy metal” implicherebbe una correttezza unita a varie discipline partendo dalla filosofia del marketing, proseguendo attraverso la storia della musica, storia dell’arte, estetica, sociologia culturale, psicologia sociale, mettendoci dentro anche ergonomia della comunicazione, informatica, marketing, tecniche della ricerca sociale, teorie della promozione d’immagine e della comunicazione pubblicitaria: capite che diventerebbe un trattato di portata universitaria e non avrebbe senso perdersi nei meandri della lingua usata da un ateneo. Si potrebbero citare leggi economiche, tecniche di convincimento di massa, analisi delle nuove tecnologie: diciamo che mi limiterò, in modo più breve ad usare un linguaggio il più semplice possibile per afferrare le varie scansioni che hanno portato il marketing ad essere il re incontrastato dell’industria musicale e, di pari passo, la sua applicazione nella nostra musica tanto amata. Ma in verità cosa si intende per marketing? Il termine inglese appartiene ad un ramo dell'economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell'analisi del mercato stesso, tenendo il focus ben diretto sui fruitori, il pubblico per intenderci. Il vocabolo prende origine dall'inglese market, cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l'azione sul mercato stesso. Marketing significa letteralmente "piazzare sul mercato" e comprende quindi tutte le azioni aziendali destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione. Scusate i tecnicismi ma credo che partire dalla definizione letterale sia basilare per cercare di comprendere bene i meccanismi che ruotano attorno al concetto.

La musica è un elemento presente nella vita di tutti noi, un elemento che ci accompagna nel quotidiano, per chi ascolta hard and heavy lo è ancora di più, una sorta di missione vitale. Il mondo a sette note, però, non è solo entertainment e lancio di artisti, ma anche e soprattutto un terreno complesso in cui operano elementi diversi, molto interessati all’incasso. E sin dagli albori della nascita del mercato musicale è sempre stato così, oggi reso più difficile e frammentario viste le forze e gli allargamenti inusitati, fino a un quindicennio fa. Se negli anni cinquanta e sessanta un’analisi del mercato discografico era un censimento abbastanza semplice da operare, con l’andare del tempo, le nascite di nuovi generi, compreso il nostro, hanno ingrossato le fila dei fautori di musica e differenziato il modo di stuzzicare l’ascoltatore per renderlo partecipe e soprattutto “acquisitore” di nuovi prodotti discografici. Porsi delle domande, dunque, divenne una parte fondamentale dell’approccio al marketing musicale da parte degli operatori discografici, visto che di fronte all’incredibile mole di materiale artistico che il mercato proponeva, diventava inevitabile cercare di capire i metodi di scelta che stavano alla base di questa molteplicità di offerte. La domanda principale diventava quindi: perché? Ma anche, come? Perché scegliere un gruppo o un interprete da contrattualizzare? Come lanciarlo, come renderlo appetibile al grande pubblico? Ecco la chiave dei soloni del marketing dell’epoca, coloro i quali si scervellavano su dischi in vinile da promuovere e vendere.

La radio, in particolare, venne loro fortemente in aiuto, cambiando le coordinate. La radio, infatti, ricopre storicamente un ruolo di notevole importanza; uno strumento pubblicitario e promozionale di insostituibile valore che, nel corso delle origini della nostra musica, si pose come cassa di risonanza di nuove tendenze e nuovi interpreti. Fu un media insostituibile, azionato dalla figura del dee-jay, non quella scamorzosa e sottomessa al potere che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi decenni, la radio, a parte le hit parade, nacque e crebbe in maniera esagerata perché alcuni personaggi (i dee-jay veri!) si diedero ad un certosino lavoro di scouting andando a rovistare tra scaffali di dischi rock, di mercatini, di vinili impolverati e misconosciuti, proponendo musica folgorante che scoprivano quasi per caso e che suggerivano come gemme pure da donare all’ascoltatore. Lo sapete che molti trionfi della primissima epoca hard and heavy furono rinvenuti quasi casualmente e buttati nell’etere da personaggi pervicaci e innamorati di note ad alto voltaggio, o che molti dee-jay ascoltavano per intero i dischi e proponevano i pezzi che più li colpivano? No? Beh, sentite questa: alcuni brani ebbero un successo spropositato semplicemente perché chi trasmetteva girava il 45 giri e mandava “on air” il retro, senza badare ad imposizioni di singolo da trasmettere, Beth dei Kiss arrivò a vendere milioni di copie grazie a questa tecnica spontanea e non imposta. Si, certo, tutto era più casuale, genuino, lasciato alla coscienza o alla voglia di chi trasmetteva, ma all’epoca i successi che esplodevano erano certamente meno pompati e sicuramente meno markettizzati, passatemi il termine. Andrebbe fatto un distinguo, ovvio, tra la funzione ma soprattutto circa il materiale che la radio proponeva sul finire dei sessanta e l’inizio dei settanta (epoca d’oro per l’hard rock) in paesi come Stati Uniti, Inghilterra e resto d’Europa, ma questo fattore non sposterebbe la lancetta; certo i Paesi di Lingua anglosassone erano più aperti, ricettivi e avvantaggiati nel proporre hard music piuttosto che da noi dove imperavano Rita Pavone o Little Tony. Ma anche da noi giunge l’eco di grandi gruppi, di musica nuova, la voglia di liberare l’anima al suono di una chitarra distorta o di un Hammond, dei capelli lunghi, anche se nelle nostre italiche terre il mezzo di promozione per eccellenza, il concerto dal vivo, arriverà in ritardo rispetto a States e terra d’Albione. E quando giungerà, spesso creerà problemi di ordine pubblico per strumentalizzazioni politiche. L’hard si impone ovunque, un po’ alla volta, con grandi nomi, Led Zeppelin, Deep Purple e una pletora di nomi a rimorchio, poi vari rivoli e concezioni, e chi più ne ha più ne metta. Il live risulta il mezzo promozionale principale per diffondere le gesta stampate su vinile, associato ai passaggi radiofonici, ma un po’alla volta anche la stampa si accorge dell’importanza di certi fenomeni musicali e fornisce qualche riscontro. Nascono magazine musicali dedicati a certi generi, giornaletti che vanno a ruba tra gli appassionati mentre da noi, come detto nel precedente articolo, un paio di testate generiche si occupano molto, ma molto marginalmente del fenomeno emergente del heavy music. I pionieri, manco a dirlo, sono i Paesi di Lingua inglese, che studiano appositamente il fenomeno e, sostenuti dall’industria, assimilano l’affezione e la voglia da parte dei fans di avere sempre più notizie dei loro beniamini. Anche alcuni musicisti hanno in mente idee geniali, che poi rivoluzioneranno in tutti i sensi il marketing rock. L’industria propone timidamente e attende feed-back sicuri. I veri inventori del merchandising, appoggiati e veicolati dalla loro label discografica, sono certamente i Kiss, su questo non vi è alcun dubbio. Se l’industria aveva cominciato a vendicchiare ai vari concerti, più come esperimento che come vera e propria operazione commerciale, primitive t-shirt coi il logo o il nome di alcuni gruppi, i Kiss seppero pensare in grande e andare oltre, aprendo la via lastricata d’oro del moderno merchandising. Se fino a quel momento alcuni album contenevano qualche sorpresa per l’acquirente, un poster, un adesivo, un gadget su scala industriale ma tremendamente artigianale, tutto o quasi termina con l’avvento di una nuova elaborazione. Sin dal loro inimitabile album Alive! (settembre ‘75), con quattro messaggi ruffianotti a firma di ogni componente contenuto nella confezione apribile, i Kiss osarono e spinsero i seguaci a comunicare con loro, previa un coupon da inviare alla casa discografica, chiedendo ai fans quali articoli, marchiati Kiss, avrebbero gradito. La risposta fu gigantesca, un sondaggio aureo che li convinse a gettarsi sul mercato con una veemenza e investimenti mai tentati da una rock band in precedenza. Nacque così il Kiss Army, un’organizzazione diversa, il primo e vero fan club che dava ai fans ciò che i fans volevano. Giocando sul trucco e sull’immagine fumettistica, il mercato venne invaso da toppe, spille, foto, calendari, magliette di tutti i tipi, e ancora cappellini, penne, diari e quaderni, gomme da masticare, tour book e ancora flipper, confezioni per il make-up, sacchi a pelo, bandiere, mutande, pigiami, affiancati da puzzle, giochi da tavolo, mangiadischi, bicchieri e le ricercatissime bamboline, tutte effigiate con il trucco, il logo e illustrazioni della band più “calda del mondo”. Il Kiss Army spinse ancor di più sull’acceleratore delle intuizioni, per la modica cifra di 5 dollari Usa, ogni affiliato poteva ricevere la tessera originale del club (che conservo ancora gelosamente), foto, un magazine appositamente approntato, la lista di tutti gli articoli acquistabili ma soprattutto un’istantanea che mostrava i veri connotati della band e che dopo pochi secondi svaniva. Insomma la tecnologia dell’epoca, messa a disposizione per placare la fame e la sete di sapere che alimentava il mito nei fans.

Da questo momento, ultimi anni dei seventies, nasce il merchandising nell’accezione più moderna, un gruppo che non fattura solo più grazie alle vendite dei dischi ma immettendo ogni sorta di gadget che li riguarda. Ovviamente, tutti i gruppi che andavano per la maggiore si adeguarono a questa esasperazione del mercato, tentando di soddisfare tutti i propri fedeli ascoltatori con nuovi articoli, pressati dall’industria musicale che aveva scoperto un nuovo e vero business estremizzato, da mungere senza pietà. In quegli anni vennero lanciati nuovi oggetti per stimolare gli acquisitori e il mercato teneva botta e rifioriva, nasce allora il fenomeno dei picture disc, dei dischi sagomati e in mancanza d’altro dei bootleg (registrazioni non autorizzate spesso di infima qualità) non autorizzati ma spesso pubblicati con una sorta di compiacenza delle alte sfere del music biz, e peggio dei peggio, dischi con all’interno interviste, spesso inutili, dei grandi eroi del metal. E gli appassionati aprivano i portafogli e spendevano senza ritegno. Le idee si riproducevano all’ennesima potenza, sempre i Kiss, geniali fautori del dollarone americano tra le pupille, con in testa quell’affarista di Gene Simmons, inventarono una sorta di circo itinerante, composto da una decina di tir che si univano a cerchio, si aprivano e creavano un mondo Kiss in ogni città, fatto di vendita di dischi, merchandising, proiezioni di concerti, esposizione di costumi, ecc. Un’idea rivoluzionaria per l’epoca ma che non venne supportata dall’industria, probabilmente già satolla dalle spropositate cifre incassate. Il panorama, fatta salva la lezione, nei primi anni ottanta esplode di proposte, nascono magazine interamente dedicati al metal, negozi di dischi e di abbigliamento ad hoc e i concerti si moltiplicano, portando nel nostro paese nomi mai visti prima live, ma solo notati sulle pagine cartacee, per la libidine dei tanti ragazzi innamorati del metal. >Iron Maiden, Kiss, Saxon e poi ancora Motorhead, Metallica e tanti altri posano per la prima volta piede su stage italici. Dopo la vera industrializzazione della musica, e parlo chiaramente del nostro adorato genere, il settore discografico viene fortemente influenzato dallo sviluppo delle tecnologie che in pochissimo tempo cambiano radicalmente i parametri commerciali, come le attitudini dei consumatori. Inoltre, proprio le tecnologie ampliano i confini stessi del mercato consentendo l’ingresso a nuovi attori estranei al settore. Scocca l’ora di MTV, un avvento che muterà drasticamente la musica e la modalità di percezione da parte dell’ascoltatore. Il video clip è certamente uno degli esempi più emblematici: inseritosi fra gli ambienti musicale e televisivo con straordinario successo, ha rappresentato un’efficace alternativa alla promozione radiofonica dei dischi, offrendo alle case di produzione quei riscontri commerciali che cominciavano a vacillare per un mercato divenuto, in breve, inflazionato. Il clip diventa il principale strumento di marketing promozionale di ogni band, supportato da etichette discografiche che operano scelte di look, ambientazioni, trame, canovacci, clichè e sceneggiature, che fanno di tutto per etichettare la musica, accaparrarsi registi e addetti ai lavori di grande qualità. Il video diventa il principale biglietto da visita di un album e spesso dalla rotation dipendono i destini di singoli, interi lavori, di vicende e carriere di una band. Tutto viene esasperato, ogni prodotto, anche il più estremo, si ricava una sua fetta di mercato grazie alla visualizzazione. Nascono nuove professioni, film-maker, registi esclusivamente di clip, uffici marketing dedicati solo all’immagine video e scoppia la febbre del home video che schiude nuovi orizzonti assai lucrosi per il music biz.

MTV diventa coscienza popolare per i metal fans, una sorta di paradiso dorato che sbatte in tv tutto ciò che non ci era stato permesso prima di vedere. E allora tutti i gruppi di lungocriniti vengono attirati da quel nuovo mezzo: partono trasmissioni monografiche, live report, operazioni in diretta, registrazioni di concerti esclusivi, acustici, con grandi consensi. Proprio i Kiss, ancora loro, decidono di smascherarsi in diretta davanti alle telecamere di MTV aprendo una nuova era musicale. Tutto diventa sempre più preda delle lunghe leve dell’industria che, con queste modalità rinnovate del “piazzare nei negozi”, può attingere ad entrate e capitali che mai avrebbe potuto attirare verso di se solo con la vendita di dischi. Il cd, se proprio vogliamo, è una rivoluzione importantissima a livello audio, fondamentale direi, ma in termini di marketing, ovvero di puro posizionamento sul mercato passa, in un certo senso, in secondo ordine. Prima il video mostra e anticipa il singolo, poi si vende il cd: questo il pensiero dell’industria, o perlomeno le due branche di vendita vanno strettamente a braccetto. Il cd rinnova la guisa e le forme di confezionamento del prodotto discografico. Pur non godendo della grande possibilità di copertina dei cari, vecchi lp, il cd impatta l’ascoltatore con nuovi assemblamenti anche a tiratura limitata, che riscuotono interessi e maniacalità. Dalle bonus track alle special edition, dai digipack a vari formati e ai box set con rarità, fino alle forme più estreme: da noi, nonostante l’esempio non riguardi il genere heavy, è sintomatico sottolineare che il cantautore Goran Kuzminac pubblicò un album -Gli angoli del mondo- con una copertina in formato “aquapack”: plastica morbida e trasparente con vera e propria acqua all’interno. Le case discografiche “a rappresentare lo spirito dei vari artisti e band metal” predispongono prodotti che siano non solo piacevoli da ascoltare, ma anche goderecci da vedere e toccare, e che ci si possa procacciare come pezzi unici da collezionismo. Ma per quanto ci si ingegni nel predisporre idee di marketing su cd, è il video che fa la parte preponderante. Grazie a MTV e alla globalizzazione di massa che ha operato negli anni, l’heavy metal diventa una sorta di colonna portante e ottiene successi e vendite impossibili da immaginare. A parte il discorso citato nel mio precedente articolo, apparso qui su Metallized, titolato Quando il Metal non era un Business, legato alla pianificazione dei filoni e delle mode da parte dell’industria, il metal si trova perfettamente a proprio agio con la deflagrazione della tv e di MTV. Band sconosciute ai più riescono ad entrare nelle case di tutte le famiglie, mettendo in vetrina grandi composizioni, immagine allettante, clip suggestivi e spesso musica di indubbio valore. La storia ce lo ha dimostrato, only the strong survive, solo i migliori di quella nuova rivoluzione televisiva hanno resistito nel tempo, nonostante operazioni estremizzate che potevano funzionare solo per un lasso di tempo circoscritto. MTV però, a parte gli innegabili effetti negativi sottolineati dai puristi, ha un grande valore aggiunto: in breve tempo riesce a svincolare l’hard rock e l’heavy metal dalle cantine e dall’underground, portando il genere a fama intercontinentale. Ascoltare pezzi che ritenevamo solo nostri, usati come colonne sonore nei film o come corollario di spot o sigle di programmi, significa aver sdoganato il genere rendendolo popolare e patrimonio “culturale” mondiale. Anche il cinema si accorge di questa musica dura e, annusando l’affare, si cimenta nella produzione di alcune pellicole: non farò un mero elenco, non servirebbe, mi limito a segnalare un film come Rockstar, molto bello e guarnito con eccellente musica, che spiega alla perfezione i meccanismi di marketing che si muovono nell’oscurità e nel dietro le quinte della nostra musica. Ci sono almeno un paio di frasi illuminanti che valgono più di mille pezzi di approfondimento, se lo avete perso fate di tutto per visionarlo, ne vale veramente la pena.

Ma dopo l’indigestione di proventi, arriva la stasi. Il mercato discografico, da sempre uno dei più ricchi e rigogliosi, tuttavia, si accartoccia su se stesso e con l’avvento delle nuove tecnologie implode. La voglia di incassare, unito al marketing esasperato, fa completamente ciccare le quote ai signori incravattati delle corporation, e le stesse label discografiche che rilasciavano dischi si mettono nel commercio dei masterizzatori di cd; forse qualcuno ha dimenticato, ma le grandi major, una su tutte la Philips insieme a tante altre, spingono al fine di vendere la nuova tecnologia. Comincia il disastro. Il pubblico si chiede giustamente: perché devo comprare un album originale quando posso doppiarmelo serenamente a casa senza spendere un euro? E, condizionato anche da altri fattori, il tracollo giunge fulmineo in concomitanza con l’affermazione di una nuova, estrema rivoluzione epocale, quella informatica. L’industria prova un’inversione ad U per tentare di ricuperare il pesante autogol, ma ormai è tardi, troppo tardi.
La musica si “smaterializza”, ed inizia a fluire libera, scorrendo senza freni da tantissime parti, e non solo, e non più (finalmente), attraverso i canali tradizionali. I risultati sono evidenti e le conseguenze profonde, ed apparentemente irreversibili. Il vecchio formato cd inizia a perdere attrattiva e gli album non vengono più collezionati nei vecchi scaffali, ma compressi in formato Mp3 e archiviati in cartelle di file sui pc. Ormai internet detta i nuovi impulsi, enuncia le nuove regole di mercato e il file trader, YouTube, i siti, i portali, e soprattutto il download libero fanno il resto. Oggi il marketing musicale, dopo i fasti e l’esclusiva dittatoriale di decenni, si limita a cercare di agire entro alcuni paletti che, in ogni caso, appaiono aggirabili comodamente. Anteprime, piccole curiosità, giri di parole per tentare di suscitare interesse, ma lo scettro del potere appare perduto. Ogni band, anche quella amatoriale che prova sottocasa, ormai ha un suo sito internet, un suo spazio su Myspace, pubblica musica autoprodotta, incide i propri album con il computer, gestisce e vende il proprio mechandising e suona in giro per i locali. Tutto ciò che era mito dorato è divenuto quotidianità: l’industria, dopo anni di sfruttamento dei kids e delle finanze degli ascoltatori, si ritrova pericolosamente in bilico, pena la vera sopravvivenza. E personalmente, dico io, gli sta bene. La discografia avrebbe potuto, con meno ingordigia e con concezioni meno parruccone tipiche dell’ottocento, gestire in modo più elastico il business; chi è causa dei propri fallimenti raccoglie solo macerie e distruzione. Oggi il marketing, in se stesso e come concezione ottantiana, non esiste più, l’industria tenta di salvare il salvabile con operazioni di piccolo cabotaggio e con scaltri stratagemmi ai quali pochi abboccano.

Concludo con una citazione: nell’iconografia medievale relativa agli strumenti musicali, le rappresentazioni infernali sono sempre associate agli strumenti a fiato, mentre quelle paradisiache agli strumenti a corda... quindi, noi appassionati di metal, siamo e sempre saremo nell’empireo della musica, tra schitarrate e rombi di basso. Il marketing, in epoca attuale, siamo noi, con le nostre scelte consapevoli e libere senza particolari imposizioni strutturate dalle stanze dei bottoni, ma attenti ai ritorni di fiamma: il music biz non si arrenderà tanto facilmente.



Fabio Rasta
Venerdì 6 Ottobre 2017, 9.56.20
22
... + seriamente: l'articolo è vecchio ma la polemica è + che mai attuale. Dal mio punto di vista sono daccordo che chi tira troppo la corda si ritrova con un pugno di mosche e ben gli sta. E qui le case discografiche la corda non è che l'hanno solo tirata. Personalmente, da ragazzetto, molto ingenuamente, credevo di aiutare l'artista, comprando il disco, x cui sceglievo con molta cura cosa comprare con i pochissimi, sudati risparmi. Crescendo mi sono sentito sempre + in balia di abili sfruttatori che si arricchivano sfruttando la nostra genuina passione. Negozianti compresi. Un delitto che grida vendetta al cielo! Così, appena avuta la possibilità mi sono detto che vadano tutti affanculo. Ultimamente ho preso l'ultimo dei RAW POWER, ma credo lo stesso che loro non vedranno mai un soldo. L'uomo non imparerà mai dai propri errori. X concludere, può darsi che un giorno, una Band con le palle, decida di non pubblicizzarsi su internet, ricreando quel vecchio alone di mistero che circondava certi gruppi dell'epoca d'oro, e il caro vecchio passaparola tornerà a fare il suo lavoro selezionando tutto questo marasma, magari creando un movimento nuovo. Ogni cosa ha un inizio e una fine. Saluti.
Fabio Rasta
Venerdì 6 Ottobre 2017, 9.38.45
21
AAAAAGGGHHH !!!! Le scarpe dei MOTÖRHEAD sono terrificanti. Rischio di sognarmele di notte. Scommetto che le ha disegnate BRIAN ROBERTSON!
weeder
Lunedì 26 Luglio 2010, 17.08.27
20
il core business si è spostato dai dischi al live. Macinare dischi su dischi (che vendono poco e valgono meno) per far girare i concerti e il merch, diritti siae e affini e via andare. La musica in se stessa è in secondo piano, è l'escamotage per giustificare il live.
Sangi
Lunedì 26 Luglio 2010, 16.55.45
19
Sinceramente io non ho 40 euro da spendere per due CD, ne ho a malapena 10 e faccio mazzi di sacrifici per avere i pochi originali che ho. Continuerò a sostenere il File Sharing fino a quando un cd non avrà un prezzo davvero abbordabile per me. Non è colpa mia, sono davvero costretto a farlo, potendo acquisterei molti più CD, ma lo faccio solo in caso siano album davvero belli (come la trilogia principale dei pantera, o reign in blood degli slayer) o quando sono gruppi che davvero valgono e stanno nell'ombra e che hanno bisogno di sostegno (come per Il Teatro degli Orrori). Se ci pensate anche in passato succedeva, dato che c'erano numerosi scambi tra le varie cassettine dei gruppi, semplicemente il fenomeno si è ampliato. Senza contare che se scopri un nuovo gruppo, e non ti piace, se compri il CD ormai quei soldi sono buttati, mentre se li hai scaricati ti basta cestinarli e non ti fai troppi problemi. Insomma, il filesharing ha numerosi punti a suo favore. Si sta speculando davvero troppo su qualcosa che dovrebbe essere semplice arte, fatta per essere ascoltata, non per essere pagata.
Frankiss
Lunedì 26 Luglio 2010, 11.58.48
18
Ottimi gli ultimi due spunti di NeuRath ed Mv, ritengo che entrambi abbiano ragioni fondate.....ma sfrondiamo subito il campo: la vera crisi, quella irresolvibile e senza via di fuga è quella del mercato dei cd....i live e il merchandising hanno ancora la loro grande rilevanza....e relativi introiti
NeuRath
Lunedì 26 Luglio 2010, 10.55.12
17
@M: Quello che dici sui tour è vero, ma la cosa non è senza conseguenze, soprattutto per le band di supporto, che in genere non prendono un cent (ammesso che non debbano essere loro a pagare) e usano il tour come pubblicità e per farsi conoscere... ma se cd e merchandise sono in crisi, chi ce li rimette i soldi spesi per organizzare il tour?
MV
Domenica 25 Luglio 2010, 22.12.49
16
Un tempo i gruppi intraprendevano il tour per promuovere il loro nuovo album. Oggi pubblicano un nuovo cd per promuovere il tour che sicuramente può dar loro maggiori introiti (vedi i nostri cari Four Horsemen). E' giusto che la musica sia disponibile per tutti come lo è oggi ma credo sarebbe molto più giusto se lo fosse quella ufficiale ad un prezzo coerente. Buona parte di quello che viene scaricato ha un livello qualitativo molto basso. Lo stesso mp3 è facile, comodo, veloce ma quante sonorità si lascia dietro perchè la campionatura le uccide? Comunque il fruscio del vecchio vinile sarà anche fastidioso ma quando prendo in mano il vecchio "Alive!", lo apro, riguardo il booklet interno mentre ascolto Rock and Roll All Nite mi sembra di avere di nuovo quindici anni.
qwerty9035
Sabato 24 Luglio 2010, 10.48.38
15
il motivo per cui l'industria discografica non vende più è uno solo: internet e file sharing ho detto tutto
Moro
Venerdì 23 Luglio 2010, 19.19.40
14
mi ricordo i preservativi dei Manowar, con lo slogan "have an epic night with your lover".
Anthony
Venerdì 23 Luglio 2010, 18.41.10
13
Io ritengo che i mercato discografico stia passando un brutto momento in termini prettamente economici e di ciò me ne compiaccio; non penso però che sia possibile parlare di un pubblico capace di fare delle "scelte consapevoli" (questo in termini generali).
Frankiss
Venerdì 23 Luglio 2010, 15.02.37
12
Vedo che siamo sulla stessa lunghezza d'onda Pandemonium...la parola d'ordine da alcuni anni è: prendersi le proprie responsabilità! Un must ormai...non vale più nessuna scusa. grazie per i complimenti...
Pandemonium
Venerdì 23 Luglio 2010, 13.28.48
11
Ottima lettura della storia del music business Frank, complimenti. Concordo anche sulla chiusura. L'ultima frase è da incorniciare sopratutto perchè proprio la rivoluzione informatica ha portato a galla questa verità fondamentale alla "massa", la quale può ora finalmente ribellarsi dalle imposizioni degli industriali e premiare, dopo un'attenta selezione, le etichette che lavorano rispettando musica e artisti. Questa libertà comporta anche responsabilità, non ci si può più lamentare del business perchè siamo noi ad alimentarlo ed i mezzi per boicottare chi produce merce e non musica ci sono tutti. Si è costretti a farsi una cultura e non valgono più scuse quali "ma c'è solo quel gruppo" o "l'underground non si può supportare" e le mille altre baggianate di chi pretende di saperne di musica senza fare la minima fatica per studiare e conoscere nuove realtà.
Frankiss
Venerdì 23 Luglio 2010, 12.35.16
10
Grazie a tutti per i commenti a corollario di questo pezzo... C-Ya guys!
AdemaFilth
Venerdì 23 Luglio 2010, 12.07.02
9
ehm ehm proprio gli anticoncezionali dei Kiss eh eh? Però lo spolverino degli HIM è figo dai! Ottimo articolo comunque, mi ero perso gli altri, recupererò. Personalmente quando posso adoro comprare album e cercare qualche piccola perla o rarità nel web, sicuramente qui al sud di negozi forniti (in senso rock) non ne ce ne sono e un ritorno di fiamma (se consiste in una più ampia gamma dei prodotti che piaccino tanto a noi collezionisti!) non mi dispiacerebbe troppo.
Er Trucido
Venerdì 23 Luglio 2010, 11.48.40
8
Son cose che capitano...complimenti Frankiss, altro ottimo articolo su 'dorato' mondo del music biz...da notare che una delle prime vittime di questa supponenza è la EMI, mica pizza e fichi...speriamo che serva di avvertimento anche per gli altri (anche se ne dubito).
Khaine
Venerdì 23 Luglio 2010, 11.39.14
7
@ tutti: raga, ieri notte quando ho pubblicato l'articolo ero fuso scusate ma modifico il nome della foto
AL
Venerdì 23 Luglio 2010, 10.12.37
6
Maiden1976 e Nightblast mi hanno anticipato...
Nightblast
Venerdì 23 Luglio 2010, 9.55.33
5
Scusate, ma l'articolo dei Maiden è un set di freccette e non un set di cucchiai...
Elluis
Venerdì 23 Luglio 2010, 9.27.02
4
Uèh, allora, ma dove sono le foto delle scarpe dei Mercyful Fate?? HAHA ! E la foto della bara dei Kiss, acquistabile sul loro sito alla modica cifra di 4.700 dollaroni, non la vogliamo mettere ?? HAHA
Maiden1976
Venerdì 23 Luglio 2010, 9.26.19
3
Cosa c'entra una eventuale cena coi Maiden con le freccette??
Frankiss
Venerdì 23 Luglio 2010, 1.49.54
2
Grazie mille Sangi....io non mi schiero ne a favore ne contro il download...dico solo che gli sviluppi dell'industria discografica degli ultimi tempi non hanno tenuto in sufficiente considerazione i due elementi che si sono rivelati poi dolorosi boomerang per le label, se esiste un peccato veniale del music biz..beh direi la supponenza epocale e il non stare al passo con i tempi! Gli errori si pagano..e anche in modo estremamente drammatico!
Sangi
Venerdì 23 Luglio 2010, 1.36.39
1
Gran bel articolo! E' la prima volta che leggo qui su metallized qualcosa che non a contro il dowload e la nuova frontiera del web. ci vorrebbe un articolo solo per questo.
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Anticoncezionale targato KISS
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