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Manes - Under ein Blodraud Maane
( 4501 letture )
Tra il 1993 ed il 1995, mentre la seconda ondata black metal toccava il proprio apice grazie ai vari Immortal, Burzum, Darkthrone, Emperor e Satyricon e contestualmente imboccava la propria parabola discendente, nell'underground norvegese soleva muoversi una band nascosta dal moniker Manes. Oscura ed indecifrabile, quanto meno estranea, se non culturalmente per lo meno in termini di conoscenze, a quel mondo avvolto nelle cronache di giornale e gravitante attorno all'Helvete ed al suo Black Circle, alla Deathlike Silence Productions, alla fanzine Petrified oltreoceano ed al nascente look corpsepaint black metal coniato dal poco più che adolescente Dead.
Questa band, inizialmente composta dal solo polistrumentista Tor-Helge Skei e dal demone Sargatanas alle urla, prese dapprima il nome di Perifa, successivamente quello di Obscuro, fino poi a cristallizzarsi nel moniker appena menzionato, di matrice latina, che li avrebbe resi una band di culto (anche a dispetto di quello che pur non riconoscono nelle interviste i due individui sopra citati) del panorama black underground norvegese, e che deve la radice culturale del proprio nome ai “Mani” (Manes, in inglese), antiche divinità dell'oltretomba della mitologia romana rappresentanti le anime (concepite, anche a motivo di influenze filosofiche socratiche, come veri e propri demoni) degli uomini che in vita non erano stati né probi e né malvagi, delineando, in effetti, una sorta di Purgatorio ante-litteram.

Vagabondando da un millennio all'altro, la nascita della band e la sua collocazione in quella scena musicale di nicchia norvegese a cavallo fra gli anni ottanta e l'inizio dei novanta, resta comunque circondata da una fittissima aura di mistero, non avendo alcun tipo di piacere i componenti della stessa a raccontarne la genesi né la camaleontica evoluzione.
Ad ogni modo, il gruppo proviene dalla ridente cittadina di Trodheim, la terza per popolazione in Norvegia (poi luogo di nascita di band come Keep Of Kalessin e Bloodthorn), elemento il quale potrebbe, in fin dei conti, essere di non poco conto se messo in relazione con l'apparente "emarginazione" della band stessa rispetto alla scena principale di Bergen e Oslo, in quanto tale agglomerato urbano, situato nel centro-nord della Norvegia, dista diverse centinaia di chilometri dalla costa sud della penisola, non favorendo quindi, per lo meno in quegli anni, alcun tipo di comunicazione o condivisione d'intenti, in un momento storico nel quale internet come strumento di comunicazione di massa ancora non esisteva e in cui tutto attorno alla musica underground si sviluppava tramite stampe di flyers e baratti di cassette e demo. In parte, la stessa considerazione potrebbe trovare una propria ragione logica e d'essere con riguardo ai 666, altro gruppo di culto proveniente dall'estremo nord della Norvegia (dalla città artica di Tromsø per la precisione), seppure il collettivo decise deliberatamente di non incidere mai nulla su disco, dedicandosi solo ad apparizioni live.

Ad ogni modo, nel 1999, anno di uscita pure del primo capolavoro dei Taake, esce sotto la label olandese Hammerheart Records una pietra miliare destinata a restare incastonata nelle gelide pagine della storia del black metal: Under Ein Blodraud Maane ("Sotto una luna rosso sangue"). Per altro, l'apparente contraddizione temporale che, a questo punto, parrebbe configurarsi tra l'introduzione di questa recensione e l'uscita dell'album in questione è presto spiegata, in quanto Under ein blodraud maane altro non è che un sunto dei primi tre demo della band usciti tra il 1993 ed il 1995: Maanens Natt, Ned I Stillheten e Til Kongens Grav De Døde Vandrer.
Il full-length si compone di sei gelide tracce, per trentacinque minuti di musica che non concedono nemmeno il minimo barlume di speranza e positività, in un’universale visione nichilista del proprio essere, dell'umanità e dell'ambiente circostante, non trasparendo nemmeno lontanamente quella sensazione di impotenza di fronte ad una natura, interiore ed esteriore, implacabile e tirannica, che caratterizzava il nascente movimento black di Oslo e Bergen e la musica di Burzum, dei Satyricon o degli Immortal, andando a riallacciarsi al pentagramma, in parte eccezione fra gli appena nominati, dei Darkthrone. Pur avendo, infatti, Nocturno Culto e Fenriz effettivamente fatto bandiera di un odio incondizionato verso l'umanità e di un minimalismo musicale annichilente nelle loro prime composizioni, questi stessi fattori alchemici si rivelano, al tempo stesso, interamente permeati da una veemenza e, più in generale, da uno stato d'animo totalizzante e romantico (nel senso letterario del termine), le quali, invece, nemmeno lontanamente si ritrovano nel primo album firmato Manes. Under Ein Blodraud Maane altro non è che un monolite nero congelato e concentrato nella sua forma di disprezzo ed angoscia più pura, ma neppure, a motivo di quella universale visione nichilista appena accennata, degno di essere infranto contro la moralità e la coscienza dell'umanità intera. Non a caso, se proprio si volessero delineare percorsi storici musicali ed influenze fra generi, Under Ein Blodraud Maane è sicuramente una tra le uscite black norvegesi di inizio anni Novanta che più influenzerà successivamente la controcultura depressive black, a differenza di quanto potrebbero aver fatto Ihsahn, Aarseth, Abbath e compagni, da sempre legati ad un messaggio troppo violento ed aggressivo, ed allo stesso tempo quindi intenso, perché potesse attecchire su quella scena.

Sei gelidi capitoli, si diceva. Inutile, per altro, alcuna analisi track-by-track, in quanto l'annientamento dell'essenza umana rappresentata da questo gioiello nero va vissuta tutta senza mai riprendere a respirare, come un fine, ma terribile, atto di violenza psicologica che non può essere fermato a metà durante la propria messa in scena.
Vale però la pena marcare a fuoco i passaggi salienti di questo viaggio nel più nero buio immaginabile. L'album si apre sui disumani rantoli monocorde di Sargatanas, prima che gli stessi vengano investiti dalla violenza di una marea di blast beat e dalla follia delle tastiere (mai uditi contesti e spartiti tanto psicotici per uno strumento musicale, nemmeno negli Emperor), mentre le chitarre, pesantemente distorte, esalano riff lenti, cadenzati e sanguinolenti, ed il quattro corde si muove stilisticamente vicino a lidi drone, ronzando entro infiniti riverberi senza una, neppur effimera, vena armonica. Il mio certificato penale è ancora intonso, ma suppongo che questa musica possa artisticamente tradurre in modo efficace le sensazioni che si ritrovi a provare un essere umano nell'aver appena tolto la vita ad un proprio consimile. L'album prosegue lungo questa struttura compositiva per tutto il proprio runtime, in modo minimale, annichilente e senza uno spiraglio di calore, senza alcuna Musa ispiratrice se non la Morte. Le tastiere, deformi nella loro schizofrenia, emergono e scompaiono nei pezzi come incubi dal subconscio, il tappeto drone dei cordofoni rimane sempre elemento imprescindibile di ogni traccia, anche nel proprio, tremendo utilizzo dei pedali (si oda Uten Liv Ligger Landet Øde), come pure imprescindibili sono le atmosfere depressive dell'intero disco. La produzione è abbastanza carente, ma è perfetta entro gli schemi attitudinali e comunicativi del combo norvegese, mentre la copertina, ad opera di Fenomeno Design, è una tra le migliori mai apparse nella storia del genere.
I testi, interamente scritti in lingua madre, grazie al proprio carattere mistico, facilitano ancor di più la nerissima immersione anagogica in questo fiume dimenticato, iperbole dell'annichilimento cosmico, dal titolo Under Ein Blodraud Maane.

Under Ein Blodraud Maane dei Manes è l'inferno congelato, è il Tartaro della mitologia romana, è Plutone nel nostro sistema solare, è un mondo dove il sole non sorge e non tramonta mai. È un mondo dove la luce non è contemplata, eppure la desolazione tutt'attorno si percepisce candidamente, per quanto abbagli nell'oscurità più totale.
Peccato che, al tempo stesso, Under Ein Blodraud Maane sia stato anche un unicum nella discografia dei Manes. Ma, in fondo, è giusto così. A distanza di quattro anni, infatti, il successivo Vilosophe si rivelerà uno fra i migliori album avant-garde metal mai registrati, ma comunque lontano anni luce dall'attitudine di questo primo full-length.
Giunti a questo punto, una citazione facile, ma calzante: "Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate".



VOTO RECENSORE
89
VOTO LETTORI
93.42 su 19 voti [ VOTA]
Claudio
Domenica 3 Maggio 2020, 14.13.53
11
Un vero gioiello del black, un disco unico
Claudio
Domenica 3 Maggio 2020, 12.08.56
10
Bella recensione con esplicazione del contesto storico e filosofico del disco, complimenti
Nicola
Lunedì 13 Novembre 2017, 18.58.17
9
Uno dei miei preferiti in assoluto in ambito black
Nikolas
Lunedì 1 Settembre 2014, 18.22.29
8
Oh ma io non ho commentato questo disco? Allucinante! Mostruoso, schizofrenico, FOLLE! 95 senza indugi!
Luca
Lunedì 17 Febbraio 2014, 17.22.38
7
puro culto... non male neppure il progetto Manii, acnhe se più votato ad un depressive
Max
Lunedì 17 Febbraio 2014, 12.30.17
6
Un piccolo capolavoro che non ha avuto la giusta attenzione che meritava quando è uscito...
markus
Domenica 16 Febbraio 2014, 20.16.38
5
Un capolavoro di arte nera,lo tengo stretto nella mia collezione.
Lord Ancalagon
Domenica 16 Febbraio 2014, 9.39.15
4
Storia.
Punto Omega
Sabato 15 Febbraio 2014, 23.38.03
3
Perla.
Mickey
Sabato 15 Febbraio 2014, 14.13.52
2
Concordo con enry. Finalmente questa perla è stata recensita.
enry
Sabato 15 Febbraio 2014, 12.13.11
1
Capolavoro, sempre meno citato rispetto ai soliti dischi a cui ha poco o niente da invidiare...90 pieno.
INFORMAZIONI
1999
Hammerheart Records
Black
Tracklist
1. Min Trone Står Til Evig Tid
2. Maanes Natt
3. Uten Liv Ligger Landet Øde
4. De Mørke Makters Dyp
5. Under Ein Blodraud Maane
6. Til Kongens Grav De Døde Vandrer
Line Up
Sargatanas (Voce)
Cernunnus (Chitarre, Tastiere, Basso, Drum programming)
 
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