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Rise Of Avernus - L’Appel Du Vide
( 2529 letture )
A giudicare dalle discussioni su forum e siti specializzati assortiti, tra tutte le innumerevoli vene che irradiano la metal miniera il filone gothic/doom è probabilmente quello considerato da molti il più prossimo all’esaurimento. Se poi aggiungiamo al minerale da estrarre eventuali sfumature symphonic (oltretutto con l’alternarsi di voci femminili angeliche e maschili in growl) c’è da scommettere che il coro dei detrattori veda ingrossare le proprie fila a dismisura, lasciando solo pochi sparuti gruppi di tenaci pasdaran a difendere la scelta delle band che si avventurano su questo insidioso crinale.
Invece, se pure è innegabile che negli anni il genere si sia inflazionato, popolandosi spesso di cloni seriali accusati non a torto di ripetere stancamente clichè stucchevoli, qualche perla riesce ancora a emergere in superficie regalando ascolti di qualità, in grado di coinvolgere anche i non cultori del genere in senso stretto.

E’ il caso dei Rise of Avernus, che, dopo l’omonimo EP di debutto, in cui avevano già fatto intuire buone potenzialità, si confermano con il loro primo full length, L’Appel du Vide. A dispetto della “transalpinità” del titolo e delle sonorità tranquillamente ascrivibili a qualche landa al di sopra del 60° parallelo, il quintetto viene da Sydney e dimostra l’indubbia vitalità della scena metal australiana, che negli ultimi anni sembra volersi specializzare sul versante della sperimentazione e delle contaminazioni. Album complesso e articolato, L’Appel du Vide si regge solo in apparenza sul canonico duetto “the beauty and the beast” che ha fatto la fortuna (o la sfortuna...) di tante altre band che hanno dettato legge nel genere. Intanto va detto che, peraltro, in questo caso la formula funziona più che discretamente date le qualità vocali dei due protagonisti, Cat Guirguis e Ben Vanvollenhoven, capaci di alternarsi e intrecciarsi con puntualità valorizzando le melodie piuttosto che cercando di imporsi da protagonisti.
Questo “senso della misura” è particolarmente apprezzabile nel cantato della Guirguis, che, sfruttando al meglio un timbro più prossimo a Kate Bush che a Vibeke Stene, evita di inseguire sia improbabili (per lei) spunti da soprano nelle parti sinfoniche dei brani sia vette eteree che del pari non le appartengono. Decisamente sopra la media anche la prova di Vanvollenhoven, magari non particolarmente graffiante nelle parti in scream ma dotato di un buon growl e, soprattutto, di un clean efficace nelle tonalità basse, sulla scia di padri nobili del calibro di un Raymond Rohonyi dei tempi d’oro.
Dopo un opening come A Triptych Journey, che si dipana abbastanza canonica coi suoi approdi alle soglie della scuola Draconian, il quintetto comincia ad allestire il suo programma di fuochi d’artificio con il finale di The Mire, dove uno stacco di pianoforte innesca una virata quasi avantgarde (eccolo, uno dei richiami agli spiriti al di là del 60° parallelo, nel riecheggiare le movenze dei Vulture Industries), regalando un accenno delle capacità di sperimentazione della band.
Se la coppia Disenchanted/Ethereal Blindness certifica l’abilità del quintetto nel veleggiare con equilibrio nei territori più classici del goth/doom (attingendo con discrezione al patrimonio genetico di sacri numi tutelari come Paradise Lost o Theatre of Tragedy), il vertice dell’album arriva con Embrace the Mayhem, che, sia consentito l’ardito paragone non fosse altro che per motivi di affinità geografica, rinvia per effetto “spiazzante” agli esiti prodotti dalle incursioni dei Ne Obliviscaris nell’universo death/prog.
La parola d’ordine in entrambi casi è l’utilizzo di un’arma teoricamente impropria per i rispettivi generi, che, se a Melbourne è il violino, qui a Sydney è il sax, declinato oltretutto in chiave blues/jazz. Il risultato è un brano di grande impatto melodico a cui viene però impedita qualsiasi deriva in ottica ballad, con uno splendido finale a disegnare cerchi di fumo in dissolvenza.
Perfetta anche la chiusura con As Soleness Recedes, pezzo dalle venature quasi opethiane tra assoli blues e inserti folk, a completare la tavolozza delle ispirazioni a cui i Rise of Avernus hanno attinto per dare colore a questi poco più di 40 minuti di viaggio.

Elementi classici e richiami alla tradizione ma anche soluzioni coraggiose e tentativi di percorrere nuove strade: nell’equilibrio tra queste due spinte si gioca l’esito di L’Appel du Vide e il risultato è indubbiamente di grande livello, con l’auspicio che il prosieguo della carriera confermi questa capacità di gestire forze contrapposte come marchio di fabbrica della band.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
77 su 2 voti [ VOTA]
Le Marquis de Fremont
Martedì 17 Giugno 2014, 12.39.14
4
Well, ogni anno dall'Australia arriva un album superlativo: nel 2012 i Ne Obliviscaris, lo scorso anno gli Atra Vetosus (mai recensiti, se non sbaglio...) e ora questi stupendi Rise of Avernus che sfornano un album dal songwriting ispirato e fresco. Ottima musica, eccellenti musicisti. L'inserto del sax mi è proprio piaciuto. Suscitano poco dibattito (3 commenti solamente...) ma qui siamo su altissimi livelli. Au revoir.
Punto Omega
Lunedì 12 Maggio 2014, 9.07.41
3
Ottimo debutto.
Gianni
Sabato 10 Maggio 2014, 12.56.06
2
scoperta per caso un mesetto fa, dopo un paio di settimane di ascolti mi ha convinto al punto da comprarmi il digipack (cosa che ammetto non faccio tanto spesso....). Disco veramente intrigante, e pensare che il genere non è neanche il mio prediletto, ma quando le cose sono fatte bene meritano a prescindere.
Room 101
Venerdì 9 Maggio 2014, 23.56.42
1
Giovane band interessantissima!!
INFORMAZIONI
2014
Code666
Gothic / Doom
Tracklist
1. A Triptych Journey
2. The Mire
3. Disenchanted
4. L’Appel du Vide
5. Ethereal Blindness
6. Embrace the Mayhem
7. An Somnium
8. As Soleness Recedes
Line Up
Cat Guirguis (Voce, Tastiere)
Ben Vanvollenhoven (Voce, Chitarra)
Matthew Bell (Chitarra)
Daniel Warrington (Basso)
Andrew Craig (Batteria)
 
RECENSIONI
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