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Agalloch - The Serpent & the Sphere
( 7844 letture )
"Donna vestita d'oro, che nella destra mano tenga una Sfera e con la sinistra una Serpe; sarà inghirlandata di fiori. Intelligenza dimandiamo noi quella unione, che fa la mente nostra con la cosa intesa da lei; e si veste d'oro, perchè vuole essere lucida, chiara risplendente, non triviale [...] Con la Sfera e con la Serpe, dimostra che, per intendere le cose alte, sublimi, bisogna prima andar per terra, come fa il Serpe, e nell'intender nostro andar coi principi delle cose terre, che sono meno perfetti delle celesti; perciò si fà nella man sinistra il Serpe, e, nella destra, che è più nobile, la Sfera..." (Cesare Ripa, Iconologia)

Il Serpente e la Sfera. Addentrarsi nelle profondità, terrene e materiali, per elevarsi al pari degli astri, delle sfere celesti. Non hanno pari dignità Serpente e Sfera, il primo rappresenta un obbligato passaggio per il raggiungimento dell'illuminazione, delle vertiginose altezze, che porta la seconda. Ma appunto perciò, perché si possa infine parlare di "Intelligenza" intesa qui come sinonimo di conoscenza e arte, sono entrambi necessari, entrambi indispensabili.
Ma Sfera e Serpente significano tanto, tanto altro. L'antichità e la simbologia sono dense di riferimenti al Serpente, sia come tentatore nella teologia ebraico-cristiana, sia come simbolo di rinascita, nel suo cambiare pelle, che come creatore, presso religioni di stampo pagano o animista. Così anche la Sfera, immagine ideale di perfezione, uniforme in tutte le sue parti, assume profondi significati presso molte culture. A unire Sfera e Serpente è dunque l'immortalità: la compiutezza, l'assoluta armonia della prima, sublimazione del cerchio, la portò ad essere comunemente identificata con il simbolo per eccellenza di quelle forze naturali, inspiegabili ed immutabili che animano il mondo e con l'eternità stessa. Il Serpente dal canto suo è stato da sempre strettamente correlato all'immortalità: il suo cambiar pelle dava chiaramente l'idea di una eterna rinascita e il significato dell' Uroboro, il Serpente che si morde la coda, ne è l'esempio più chiaro, ma lo stesso impianto mitologico-religioso, indoeuropeo e non solo, dimostra l'evidente identificazione della serpe con la vita eterna, e con il ciclo delle rinascite.

E la nuova opera degli Agalloch prende appunto il nome di "The Serpent & the Sphere". E anch'essa necessita di immergersi in acque oscure, quelle delle radici black della band, per poter poi cogliere la sublime architettura che sorregge e nobilita l'album, in un titanico slancio verso altezze celesti. Forse per la prima volta nella sua carriera il quartetto di Portland volge uno sguardo al proprio passato, riprendendo soluzioni vicine allo straordinario esordio, Pale Folklore, rievocandone l'impianto melodico e quel particolare modo di intendere il black, se di solo black si può parlare, differente anche dalle successive incarnazioni della band. Diverso appunto, dalle splendide aperture neofolk di quel The Mantle che consacrò gli Agalloch agli occhi di critici musicali e semplici ascoltatori, o dai caotici vortici di Ashes Against the Grain, inseriti in un contesto di elegantissimo post rock. Differente anche dall'incarnazione della band che più puramente ricorda il black americano dell'ultimo decennio (in particolare ovviamente il cascadian), Marrow the Spirit.

Towers...
Deity forged architecture
Swirling in and out of form
Enveloped in the arms of dark matter
Towers...mercurial and flowing...


Non tenterò neanche una traduzione, suonerebbe solo un grottesco aborto al confronto. Sono queste le prime parole dell'album, torri, che dalla terra si innalzano al cielo. Serpente e Sfera. La traccia d'apertura, Birth and Death of the Pillars, è un capolavoro, capace di rendere onore a entrambe le anime di questo album, perfetta per il suo ruolo di opener. Le linee melodiche sono immediate, di facile presa, così come era nell'esordio, la chitarra acustica danza e s'intreccia con quella elettrica, sull'incedere maestoso di una ritmica dal sapore (e dalla lentezza) decisamente doom. Doom che è presente su quest'album in maniera massiccia, più che mai nella carriera degli americani, e che si affaccia con prepotenza nel procedere lento e maestoso della sezione ritmica, in netta contrapposizione rispetto ai blast-beat di Marrow the Spirit. Il secondo pezzo risponde al nome di (Serpens Caput) e si muove su coordinate interamente acustiche, con la sola chitarra a risuonare nel vuoto silenzio attorno. Episodi analoghi sono (Serpens Cauda), posta alla fine dell'album, e Cor Serpentis (The Sphere). Gli altri episodi dell'album, nonostante il parallelismo più evidene sia quello con Pale Folklore, rappresentano la perfetta summa di tutto ciò che gli Agalloch ci hanno offerto in questi anni di servizio alla causa della musica: melodie trascinanti, atmosfere sospese tra il sogno e la realtà, uno scream che ruggisce avvolto da trame post rock. Non manca un vagito di crudezza black, presente in Celestial Effigy, che vede un finale scandito da tremulo picking e blast-beat. Ma The Serpent & the Sphere non è solo questo. Gli Agalloch, come da loro giustamente ci si aspetta, vanno oltre loro stessi, seppure in misura minore rispetto al loro solito. Difatti, sebbene gli ingredienti del sound non varino, lo fanno le loro proporzioni, dando così vita ad un prodotto originale nel suo genere e nella discografia del gruppo di Portland, grazie anche ad una componente doom fortemente accentuata e decisiva nel mood complessivo dell'opera.

The Serpent & the Sphere compie dunque un passo indietro e uno in avanti: simile all'esordio sotto molti punti di vista, ingloba però in sé l'esperienza derivata da una carriera ultradecennale, fatta di sperimentazioni e sperimentalismi, cercando così di impossessarsi di quel soffio vitale, di quello spirito unico e inconfondibile, che, a detta di una parte di pubblico, era mancato nel precedente full-length. Un'anima insomma, che lo elevasse al di sopra della massa, che lo portasse ad essere la perfetta cornice a paesaggi autunnali, densi di malinconia, paesaggi verso i quali gli Agalloch si sono sempre posti di far viaggiare attraverso la propria musica.
E sì, quest'album riesce nell'intento; e fa proprio della potenza evocativa la sua principale bandiera. Ed appunto per questa sua natura necessita solo, per essere compreso e apprezzato, di un ascoltatore pronto a farsi prendere per mano e accompagnare lungo i tortuosi sentieri che quest'opera traccia.



VOTO RECENSORE
86
VOTO LETTORI
83.48 su 29 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Giovedì 13 Luglio 2023, 17.11.46
29
Senza scomodare i primi 3 Album, quest\'ultimo ridà un po\' di lustro al Gruppo.. Chiaro che i fasti del passato sono lontani, però quì effettivamente si sentono di nuovo gli Agalloch degli esordi.
The Ancient Mariner
Sabato 24 Agosto 2019, 12.02.13
28
Non ho mai compreso perché questo disco sia denigrato da una folta schiera di persone. Lo trovo elegante e raffinato, pur distante dalla magia di The Mantle o Ashes.
.:alekos:.
Giovedì 5 Febbraio 2015, 11.48.21
27
A distanza di tot mesi dal primo ascolto posso confermare la mia opinione: come per altro esplicitato da titolo e grafica, ricchi di simbologie e metafore, “The Serpent & the Sphere” è un album circolare, un disco/narrazione dalle forme uroboriche, che unisce la spontanea spiritualità naturale e pagana a speculazioni filosofiche anche complesse, che, ça va sans dire, vanno a pescare dall’ampio e variegato background culturale di Haughm & Co. In questo senso l’album esprime i retaggi culturali e le discendenze artistiche della band nella maniera più palese e intelligibile di sempre (come esemplificano anche i notevoli interludi acoustic folk di Nathanaël Larochette). Album ieratico, denso e sicuramente meno immediato dei predecessori, “The Serpent & the Sphere” richiede inizialmente più dedizione e concentrazione, per calarsi nel suo mondo e dipanare i vari fili concettuali, sonori ed estetici di cui è composto. Una volta pervenuti a tale epifania risulterà ovvio e naturale sospendere ogni giudizio formale in relazione al passato e alle aspettative, “limitandosi” a soddisfare la propria sete di magia, fame di splendore, garantita da un’opera dal gusto personale, dall’identità ben definita e, non ultimo, caratterizzata da una non indifferente longevità...
Poss
Martedì 23 Dicembre 2014, 11.12.05
26
Un álbum che va ascoltato tanto. Ma appena la sua eleganza ti entra dentro è fatta. Bravissimi Agalloch: 88
Heathen Pride
Venerdì 10 Ottobre 2014, 0.04.27
25
Correggo la mia valutazione del 2 giugno. Anche Vales ha sfondato, canzone più difficile da assorbire ma immensa! Album impensabile per il resto del mondo!
Fleba
Venerdì 10 Ottobre 2014, 0.00.02
24
Sostanza e brevità a voler fotografare quasi di sfuggita un disco che per essere vissuto merita proprio questo: non essere analizzato. In tutto e per tutto nelle mie corde trovo ogni singola parola di Piero Sansò. Ottimo pezzo per un disco spanne sopra la media.
spiderman
Sabato 23 Agosto 2014, 22.25.11
23
Per me invece rimane un ottimo rimedio contro l'insonnia, inoltre fa l'effetto contrario del lavazza piu' lo mandi giu' con ripetuti ascolti e piu' mi tira piu' giu', meglio della camomilla, questo e' certo, almeno per me.
Nihilistic decadence
Sabato 23 Agosto 2014, 22.10.50
22
Uhm, mi aspettavo un consiglio simile.. Che è comunque ben accetto! L'ostacolo maggiore sarà abituarsi a un sound così leggero! Addirittura il Death e il Black a volte mi sembrano leggeri, in alcuni casi.. Beh, mi ci metterò comunque d'impegno!
windowpane
Sabato 23 Agosto 2014, 15.06.59
21
@Nihilistic decadence, si vede che non l'hai ascoltato abbastanza volte. Ad alcuni piace al decimo ascolto, per altri ne possono servire 50 o più. Insisti e non aver fretta, e un bel giorno ti accorgerai che ti piace un casino, compresa la mattonata iniziale
windowpane
Sabato 23 Agosto 2014, 15.06.58
20
@Nihilistic decadence, si vede che non l'hai ascoltato abbastanza volte. Ad alcuni piace al decimo ascolto, per altri ne possono servire 50 o più. Insisti e non aver fretta, e un bel giorno ti accorgerai che ti piace un casino, compresa la mattonata iniziale
Nihilistic decadence
Sabato 23 Agosto 2014, 1.08.40
19
I famigerati Agalloch, lodati da mezzo mondo.. Le vere e proprie dimostrazioni di giubilo verso questa band mi avevano spinto ad ascoltare i loro album.. E dopo diversi ascolti sono rimasto.. insomma, deluso. Mi sono comunque armato di pazienza e ho ascoltato anche quest'album, più volte, ma il risultato è stato lo stesso.. Non capisco cosa abbiano di così speciale: le atmosfere? la tecnica? le loro lyrics così ricercate? Non so.. Poi il loro stile sembra prendere in prestito da più parti e alla fine viene fuori una "pot-pourry" (so che è un termine grezzo, ma non ho altre definizioni adatte al momento), in cui alla fine di metal c'è ben poco.. Quello che dovrebbe essere uno scream, è più un sussurro da asmatico; i riff hanno una certa attitudine doom, ma sono talmente privi di energia al punto che anche i green day sembrano più convinti; la batteria è anonima, potrebbe anche non esserci.. Certamente è un'opinione assolutamente personale, ma la mia domanda rimane: cosa hanno di così speciale?
Michele Gesino
Mercoledì 11 Giugno 2014, 14.03.43
18
Una recensione molto positiva, personalmente non concordo. E' un disco terribilmente di maniera, in cui il fan sfegatato della band che è in me ha avuto l'impressione di aver già sentito praticamente tutto l'album mille e mille volte sin dal primo ascolto. Sparsi in tutto l'album ci sono degli sprazzi in cui ancora viene fuori la classe autentica degli Agalloch, compensati purtroppo da altr momenti funesti e lungaggini inutili, vedi opener e Valleys Beyond Dimension, guazzabuglio estenuante di riff scollegatissimi. E' un disco che cala molto con i successivi riascolti, anche pezzi decenti come Celestial Effigy hanno troppa poca originalità e mordente per reggere sulla lunga distanza. Discorso a parte per Plateau Of The ages, che da sola vale il prezzo del biglietto, o quasi, analogamente (ma non esageriamo) a quanto aveva fatto Black Lake Nidstang su Marrow Of The Spirit, ma stiamo parlando della Canzone con la "C" maiuscola, il brano WTF?!? che ti fa stoppare il CD per riascoltarla immediatamente in loop, Plateau non ha questa grandezza, purtroppo. Mezza delusione... mezza giusto perché le mie aspettative per questa release erano purtroppo bassine.
Heathen Pride
Lunedì 2 Giugno 2014, 23.11.04
17
Ennesimo capolavoro, dall'inizio alla fine. Non affibio "10" solo a "Vales..." che per ora non mi ha emozionato come tutte le altre (ovvero tantissimo). Una varietà di soluzioni di chitarra, basso e batteria, oltre che alla voce (attenzione ai vari layers) da brividi, mo soprattutto, la LORO atmosfera, unica. Lo ascolto ininterrottamente da una settimana: SPETTACOLO! Pregevolissimo il contributo di Larochette (Musk Ox) negli interludi acustici!
Valar Morghulis
Lunedì 2 Giugno 2014, 19.44.49
16
Ho aspettato parecchio a commentare visto che sin dal primo ascolto questo album mi è parso il meno immediato (finora) del quartetto di Portland. Ora, dopo diversi ascolti, posso dare un giudizio, seppur temporaneo. Forse mi aspetto sempre troppo da questa che considero la mia band preferita in assoluto; fatto sta che quest'album è una grossa delusione. Non è brutto, intendiamoci; ma allo stesso tempo è la prima volta da quando conosco gli Agalloch che non mi sento di definire un loro CD "capolavoro" o quantomeno "ottimo". TS&TS mi è sembrato, se mi concedete la metafora, proprio un serpente in alcuni tratti senza né capo né coda. Ci sono dei pezzi veramente ottimi che mi hanno emozionato come negli altri lavori, ma nel complesso ho dovuto constatare che in fin dei conti questi quattro sono umani. E dopo i primi tre capolavori e un album comunque ottimo, si sono attestati su un "buono" che da loro sinceramente non mi aspettavo. Credo/spero che con ulteriori ascolti più approfonditi questa mia valutazione possa migliorare, ma per ora, a malincuore, non mi posso definire pienamente soddisfatto.
Odal
Giovedì 29 Maggio 2014, 23.08.12
15
Ascoltato solo una volta, la prima impressione mi porta ad essere in accordo col commento di Kenos. Birth and Death of The Pillars of Creation è un capolavoro.
Edoom
Lunedì 26 Maggio 2014, 22.32.03
14
Per il momento non mi ha soddisfatto appieno. O meglio: inizialmente l'ha fatto e poi, come noto essere capitato a molti qua sotto, è calato di ascolto in ascolto. Lo trovo un po' superiore e un po' più fresco di Marrow of the Spirit, ma comunque inferiore agli altri, in particolare a The Mantle e Pale Folklore. E poi lo posso dire? Tutto 'sto post-rock dovunque m'ha davvero rotto le scatole! Non se ne può più... Tutti questi climax ascendenti, chitarre a zanzara (che generalmente vanno bene sia per black che per post-rock)... Boh, m'ha un po' stancato. Per quanto mi riguarda oramai è una scelta se non scontata, quantomeno poco originale.
spiderman
Lunedì 26 Maggio 2014, 21.15.33
13
Ascoltato e riascoltato piu' volte,niente da fare,non mi ha preso,salvo solo Birthth and Death of the Pillars Creation e Plateau of the Ages,il resto e' abbiocco,restano lontani i tempi dei primi due album,purtroppo.
Painted Skies
Lunedì 26 Maggio 2014, 19.15.03
12
Ottima recensione,hai analizzato accuratamente ogni punto e si vede l'interesse che questo disco ti ha suscitato. Per quanto mi riguarda,il disco è nettamente superiore a Marrow of The Spirit(Anche se non raggiunge la bellezza di The Mantle,loro capolavoro) e non soloer me è un potenziale disco dell'anno, che con gli ascolti sicuramente si ritaglierà un proprio spazio come capolavoro e per questo un bel 90 ci stà e ci starà tutto.
Blackout
Sabato 24 Maggio 2014, 0.35.26
11
Più passa il tempo e più svaluto questo gruppo, che inizialmente mi piaceva (i primi due soprattutto). Proverò ad ascoltare anche questo, ma ormai li ritengo sopravvalutati e specialmente dopo averli visti live, un polpettone di roba per 2 ore, non finiva mai.
ShePaintedFire
Venerdì 23 Maggio 2014, 16.06.18
10
da fan della prim'ora di questo gruppo, nonchè grande appassionato, devo dire che per ora son rimasto abbastanza deluso. netto passo indietro.
Red Rainbow
Venerdì 23 Maggio 2014, 14.29.24
9
In area "Notizie" all'uscita dello streaming mi ero lanciato in lodi sperticatissime ma a distanza di qualche settimana coltivo qualche dubbio in più sulla capacità di "durare" nel tempo di questo S&S, è come se ad ogni ascolto perdesse fluorescenza, modello cometa a rilascio lento... Ciò detto, è comunque un albumone e per me un passo avanti rispetto a Marrow, non fosse altro che per la strepitosa Plateau of Ages, davvero di una bellezza assoluta come ha detto Le Marquis...
Malleus
Venerdì 23 Maggio 2014, 14.18.47
8
Massì Kenos, ci siam capiti sulla questione di "peggiore"
Kenos
Venerdì 23 Maggio 2014, 13.54.19
7
Beh ma a rigor di logica "peggiore" non vuol dire necessariamente "brutto", anche se suona comunque male! Io continuo a ritenere Pale Folklore il meno riuscito degli Agalloch - di sicuro ha dalla sua parte la freschezza di idee, ma la produzione e certe ingenuità nel songwriting me lo fanno ritenere "solo" un ottimo album! Per il resto, il monumentale Ashes Against The Grain resta il mio preferito, poi viene Marrow Of The Spirit, e al terzo posto metto questo o The Mantle, a seconda di come mi gira al momento. Ma tutti, a modo loro, sono meravigliosi... *minoreditrè minoreditrè*
Le Marquis de Fremont
Venerdì 23 Maggio 2014, 13.33.58
6
La musica degli Agalloch possiede un suo fascino assolutamente riconoscibile ed è sempre permeata di una bellezza intrinseca. Si sente che sono loro ancora prima che John Haughm entri con la voce. Ma qui, il songwriting è meno affascinante che negli altri album, con l'eccezione di Plateau of the Ages, pezzo di una bellezza assoluta e coinvolgente. Ho ascoltato questo disco decine di volte, quindi non è una questione di immediatezza o di assimilazione. Diciamo che è il meno bello dei loro album ("peggiore" è un termine un po' forte) per via di un songwriting un po' ripetitivo. Però siamo sempre su livelli molto alti. Lo metto dopo I Döden degli Skogen, Melana Chasmata dei Triptykon, Shadows of the Dying Sun degli Insomnium e The Pursuit degli Echoes, come uscite dell'anno. Ma sono sempre gli Agalloch. Au revoir.
Ubik
Venerdì 23 Maggio 2014, 13.18.50
5
Disco tutto sommato piacevole, meglio di Marrow che non avevo apprezzato per niente. L'opener perla del disco. E concordo con Max non sono di certo questi i dischi che necessitano un sacco di ascolti per essere capiti. In conclusione disco discreto. Non va oltre il 7 anche per me.
Max
Venerdì 23 Maggio 2014, 13.05.05
4
P.s. che non va oltre il 7 volevo scrivere...
Max
Venerdì 23 Maggio 2014, 13.04.21
3
Da fan di vecchia data degli Agalloch per me questo è il meno bello, non è il problema la non accessibilità quanto una noia costante anche dopo diversi ascolti, anzi, più lo ascolto e più mi sembra un disco che va oltre il 7, per me da loro è giusto aspettarsi di meglio, dopo puù capitare un passaggio a vuoto. Altra cosa che leggo oramai i giro degli Agalloch è che per piacere un loro disco va a scoltato centinaia di volte, vero che non sono subito "accessibili", però mi sembra che molto spesso dietro questa cosa si nasconda la voglia di farsi piacere un disco. Non mi riferisco ai messaggi sotto, è solo una cosa generale che ho notato...
Malleus
Venerdì 23 Maggio 2014, 12.07.23
2
Il peggiore? Anche no, non credo si possa parlare di "peggiore" nella discografia degli Agalloch, tutti lavori di altissimo livello, e quest'album è l'ennesima conferma, per me è un bel 90.
Kenos
Venerdì 23 Maggio 2014, 11.54.32
1
Sicuramente l'album meno immediato degli Agalloch, e forse proprio per questo è già stato etichettato frettolosamente da alcuni fan come il peggiore della discografia. Non c'è un brano che svetta sugli altri o che ti si stampa in testa al primo ascolto. Ma soprattutto è l'album degli Agalloch che più di tutti gli altri privilegia la visione d'insieme, come un vero e proprio discorso: volendo posso riascoltarmi a caso "Not Unlike The Waves", "I Am The Wooden Doors" o "Into The Painted Grey", che prese singolarmente fanno sempre la loro porca figura, ma non posso dire lo stesso in questo caso. Siamo lontani dalle tormente di "Marrow", dalle divagazioni acustiche di "The Mantle", dal limpido e imponente post-rock di "Ashes". Suona 100& Agalloch, perde qualcosa dei dischi precedenti per guadagnare (ancora una volta) qualcos'altro: uno stile ancora più ricercato, dinamico, ma essenziale nei suoni; un'atmosfera più sinistra e apocalittica; una band sempre più matura e consapevole. Per quel che mi riguarda è un altro grandissimo lavoro.
INFORMAZIONI
2014
Profund Lore Records
Black/Doom
Tracklist
1. Birth and Death of the Pillars of Creation
2. (Serpens Caput)
3. The Astral Dialogue
4. Dark Matter Gods
5. Celestial Effigy
6. Cor Serpentis (The Sphere)
7. Vales Beyond Dimension
8. Plateau of the Ages
9. (Serpens Cauda)
Line Up
John Haughm (voce, chitarra)
Don Anderson (chitarra, tastiere, backing vocals)
Jason William Walton (basso)
Aesop Dekker (batteria)
 
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