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ArrJam - Session One
( 816 letture )
Storditi come dopo aver preso una mattonata in faccia.
È così che ci si sente dopo l’ascolto di Session One, il primo lavoro autoprodotto degli ArrJam.
Ok, facciamo un passo indietro, perché ho corso un po’ troppo. Chi sono gli ArrJam? Forse sarebbe più corretto chiedersi chi NON sono: loro stessi si definiscono come un “progetto musicale che trascende la chiusura stilistica tipica di ogni formazione”; il che vuol dire che i quattro musicisti principali costituiscono una sorta di “struttura portante” attorno alla quale si sviluppa un formazione “aperta”, non vincolata da vincoli stilistici e cui possono contribuire musicisti esterni, come avviene anche all’interno del lavoro qui in oggetto.
Altrettanto libera e priva di qualunque condizionamento è la proposta musicale, che dà origine ad un disco che affonda le sue radici nell’hard degli anni settanta, per poi contaminarlo di suggestioni splendidamente funky, in un caleidoscopio di riferimenti e citazioni che vanno dai Grand Funk fino ai Red Hot Chili Peppers, passando per Living Colour, Extreme e Primus, e riportando alla mente, soprattutto per il continuo ed imprevedibile cambiamento di stili, la geniale follia di un gruppo come i Dog Fashion Disco. Quantomeno, a me e a quei quattro gatti che conoscono i Dog Fashion Disco. A questo si aggiunga una abilità strumentale assolutamente mostruosa: gli ottimi Mauroman, Il Daz (membro anche dei Vicolo Inferno) e Moretti Butcher sono dei veri maestri del proprio strumento, con una menzione particolare per il bassista, assolutamente mostruoso; anche la voce di Got possiede, quando viene chiamata in causa, il magnetismo giusto per esserne degno complemento.

Allora, se siete fra quelli che prima di leggere la recensione vanno subito a vedere il voto, sicuramente un dubbio vi starà lampeggiando nella mente: perché, a fronte di giudizi sinora più che lusinghieri, un voto decisamente basso? E’ presto detto: questo disco, viste le premesse e le potenzialità, risulta una grande occasione persa. I nostri cadono purtroppo nell’errore di cui spesso sono vittima le band tecnicamente brave e compositivamente estrose: vogliono strafare.
Basta guardare la scaletta per avere il primo dubbio: su dieci pezzi (gli ultimi due sono una versione riarrangiata in chiave jazz-swing, e una versione radio edit di Very Nice), ben quattro sono strumentali. Secondo indizio: le durate dei pezzi: tutte superiori ai quattro minuti, con alcuni che viaggiano tranquillamente verso i sei-sette minuti. Ambizioso, per un gruppo all’esordio. Poi si inizia ad ascoltare e si viene letteralmente travolti da una sarabanda continua di cambi di stile, di tempo, di atmosfera. Insomma, di tutto e di più. Lungi da me condannare a priori la fantasia e la varietà compositiva (da uno che adora Faith No More, Dog Fashion Disco, Living Colour e Rush sarebbe alquanto incoerente), il problema è che qui quasi tutti i pezzi finiscono per risultare un collage di sezioni musicali, a volte accostate assieme sembra senza un costrutto, più che vere e proprie canzoni complete; in questo modo giungere ad un ascolto completo di alcune tracce è veramente difficile e faticoso. Emblematica in questo senso è Out of Control: una mattonata da nove minuti, nei quali dopo cinque minuti di pezzo funky vagamente alla RHCP/Living Colour troviamo una parte melodica solo voce e chitarra acustica; belle entrambe, ma “che ci azzeccano” (come avrebbe detto Di Pietro) fra di loro?
La delusione è proporzionale al talento del gruppo, perché qui ne abbiamo a quintali: basti sentire alcune parti, le più riuscite, di certi pezzi (magari i RHCP attuali suonassero così) o una traccia come Smashing on the Wall, l’unica dove la band sfrutta la sua esuberanza strumentale e compositiva al servizio del pezzo, e tira fuori un piccolo gioiellino.

Il voto relativamente basso vuole essere quindi niente altro che uno stimolo perché il gruppo riesca, nelle prossime uscite, a trovare una maggiore compattezza e coerenza, in fase compositiva, tale da trasformare la materia grezza (ma incandescente) attuale in canzoni davvero complete e accessibili. Allora sì che ne vedremmo delle belle: gruppi così validi sono merce davvero rara in giro. Sempre se l’intenzione è questa, perché lo stesso titolo Session One fa pensare che si tratti di una pura jam session da sala di incisione registrata su disco: e allora prepariamoci a sentire a breve altre pillole di follia concentrata, il cui effetto però è il medesimo di certe torte troppo elaborate: goduriose al primo assaggio, ma difficilissime da finire e soprattutto da digerire.



VOTO RECENSORE
65
VOTO LETTORI
65.5 su 2 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2014
Autoprodotto
Crossover
Tracklist
1. Ali (Instrumental)
2. Highway 49
3. Out of Control
4. Dark Fusion (Instrumental)
5. Very Nice
6. "Vorrei"
7. Welcome to the Cocaine (Instrumental)
8. Smashing on the Wall
9. Incomplete (Instrumental)
10. Screaming For
11. Very Nice (Orchestrated Version) bonus track
12. Very Nice (Radio Edit) bonus track
Line Up
Got (Voce)
Mauroman (Chitarra)
Il Daz (Basso)
Moretti Butcher (Batteria)
 
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