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26/04/24
KARMA
CSA RIVOLTA, VIA FRATELLI BANDIERA 45 - VENEZIA
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( 7179 letture )
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Nel 1973 gli Yes pubblicarono l’album più controverso della loro carriera: Tales from Topographic Oceans. Non ci dilungheremo in questa sede a discutere sulle critiche che vennero mosse al monumentale doppio vinile (benché questo ottenne un notevole successo commerciale), ma è fondamentale ricordarsi che, dopo la sua uscita, ci fu chi diede il gruppo inglese per spacciato. Come se ciò non bastasse, dopo appena due anni di militanza nella band, il tastierista Rick Wakeman decise di approfondire la carriera solista lasciando così il combo britannico senza uno strumento imprescindibile, ma soprattutto senza uno strumentista insostituibile. Su consiglio del critico musicale Chris Welch, venne reclutato lo svizzero Patrick Moraz, che nei Refugee aveva affiancato gli ex colleghi di Keith Emerson dei The Nice. La nuova formazione si mise subito al lavoro e, incominciate le registrazioni ad agosto nella casa di Chris Squire, ne uscì in ottobre con il prodotto che, missato poi negli Advision Studios, divenne ciò che noi oggi conosciamo come Relayer. Dopo la precedente release, composta da quattro tracce epiche da circa venti minuti ciascuna, il nuovo Relayer ricalca la formula del già pietra miliare Close to the Edge, con una lunga suite da quasi ventidue minuti che riempie l’intero primo lato dell’LP e due tracce da nove che occupano il secondo. Accolto dalla critica con pareri contrastanti, il disco riuscì comunque ad entrare nella top ten delle classifiche di vendita sia nel Regno Unito sia negli States. Cerchiamo però di capire un po’ meglio a cosa ci troviamo di fronte.
Come è già stato detto, il lato A si apre con un brano lungo e complesso, ovvero The Gates of Delirium, ispirato nelle liriche ma anche nella musica al romanzo di Tolstoj “Guerra e Pace”. Come nella traccia Close to the Edge, la musica si dipana tra parti strumentali associabili a temi e leitmotiv della tradizione classica e sezioni cantate a più voci nel tipico stile degli Yes, in cui Anderson esprime magistralmente i propri testi, sempre tanto poetici quanto criptici. Due sono però le grandi differenze tra la suite del ’72 e quella del ’74: la prima è il massiccio uso delle percussioni, anche se non sempre quelle convenzionali. Racconta lo stesso White che durante i viaggi in macchina verso lo studio, lui e Jon si fermavano da uno sfasciacarrozze per raccattare lamiere e pezzi di automobili per poi registrarne i rumori fastidiosi da aggiungere alle parti strumentali. L’altra grande differenza è che se in Close to the Edge si riconosce una certa ciclicità di musica e parole, caratterizzata da una struttura strofica in cui ci sono temi, esposizioni di nuovi elementi, sviluppi e riproposizioni, il tutto per dare quel senso di completezza che il Siddharta di Hesse (a cui si ispira il testo) cerca lungo tutta la propria esistenza, in The Gates of Delirium la struttura è un più libero durchkomponiert. La suite si può facilmente dividere in tre parti: la prima in cui si intuisce l’imminente battaglia in un clima di incertezza e di ansia, la seconda parte è la battaglia vera e propria, mentre nell’ultima troviamo, alla fine delle ostilità, un inno alla speranza in un futuro migliore. Nel ’72 si cercava la pace dei sensi e non c’è quindi da stupirsi se Close to the Edge tocca in maniera più efficace le corde dell’anima, perché lo scopo dei cancelli del delirio è invece quello di descrivere in termini ruvidi ed aspri l’insensatezza della guerra, ecco perché è più difficile apprezzare il lato A di Relayer, e non perché sia composto o suonato male, ma perché è composto e suonato maledettamente bene. L’unico vero momento di transfer patetico è la parte finale, ovvero Soon, uscita anche come singolo, ed è davvero difficile non lasciarsi coinvolgere, giunti a questo punto dell’ascolto. La seconda traccia, la prima del lato B, è Sound Chaser. Chi la sentì per la prima volta durante le esibizioni live della band (ma anche su disco) rimase spiazzato da questo sovraccarico di note. In effetti si percepiscono subito due entità distinte che in alcuni casi dialogano tra di loro ed in altri sono in fastidioso contrasto, ovvero la tastiera jazzata di Moraz ed i riff più rocciosi di Squire e Howe. Secondo Moraz, la creatività è lo stato di dinamica tensione tra forze estreme in opposizione, ed in Sound Chaser ciò è dato dall’esultanza dello spirito che è libero di affermare la propria libertà. In poche parole, non è importante l’esecuzione, ma il sentimento che esprime in un determinato momento, ed in quello soltanto, una nota piuttosto che un’altra. Chiude l’album To Be Over, una sorta di lunga ballata, anche se del tutto atipica per quanto riguarda il minutaggio e le acide dissonanze sparse qua e là. Nata principalmente nella testa e nelle mani di Howe, trovò in Jon e Patrick dei validi alleati per evolvere sia in campo testuale, sia in quello musicale. Di solito gli Yes cambiano accordi molto velocemente e quando meno ce lo si aspetti, ma in questa traccia le progressioni sono più blande e canoniche, ed è forse per questo che riesce a trasmettere una sensazione di appagante soddisfazione, quasi come se si tornasse a casa dopo una lunga serata fuori con gli amici percorrendo la solita strada e ci si sdraiasse sul letto esausti, ma felici.
Questo è un disco che da sempre riceve pareri contrastanti. C’è chi lo ritiene la brutta copia di Close to the Edge e per questo non gli dà il giusto valore, e c’è anche chi lo reputa la migliore uscita discografica del monicker britannico. Ciò che è sicuro è che, dal punto di vista prettamente estetico, non è il miglior album della carriera degli Yes, ma forse, per quanto riguarda il lato compositivo ed esecutivo, ci troviamo di fronte a vette di perizia tecnica ed ispirazione concettuale mai più raggiunte. Insomma, se The Yes Album, Fragile e Close to the Edge sono opere di Raffaello, di cui non ci si stanca mai di ammirare i particolari, Relayer è un’opera d’arte contemporanea: ammirevole l’acutezza che ha portato alla sua realizzazione, ma l’ascolto solletica meno i sentimenti rispetto ad una And You and I. Si potrebbe parlare di un’opera generata da una mente superba, più che da un animo innamorato, ma non vorrei che ci fossero dei fraintendimenti, perché se pure l’orecchio fa più fatica ad apprezzarne la magnificenza senza la mediazione dell’intelletto, ascoltarlo senza cognizione di causa provoca comunque una gran soddisfazione. Per concludere, non si può parlare di Yes senza parlare di Roger Dean: anche questa volta, infatti, l’artwork è affidato al talentuoso artista britannico. Egli trovò l’ispirazione per la copertina pensando alle peripezie dei Cavalieri Templari, anche se il risultato finale ricorda più un incontro tra il Kubla Khan ed Il Deserto dei Tartari. In chiusura, ecco invece la poesia contenuta nella copertina interna del disco, scritta per l’occasione da Donald Lehmkuhl:
Snakes are coiled upon the granite Horsemen ride into the west Moons are rising on the planet where the worst must suffer like the rest. Pears are ripe and peaches falling. Suns are setting in the east. Women wail, and men are calling to the god that’s in them, and to the beast. Love is waiting for a lover. Generations kneel for peace. What men lose, Man will recover polishing the brains his bones release. Truth conceals itself in error. History reveals its face: days of ecstasy and terror invent the future that invents the race.
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@tarkus questo è un capolavoro, i precedenti tre sono capolavori assoluti 😂, easy. Voto: 90 |
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22
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L'ennesima bomba degli YES, ottimo. |
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Ottimo album anche questo molto rappresentativo del sound intricato e “barocco “degli Yes. Non concordo assolutamente con chi ritiene il disco precedente un disastro.Questi erano anni in cui gli artisti erano più liberi di esprimersi e il pubblico era più attento è aperto.Anche in questo caso mi sarebbe piaciuto sentire Bill Bruford nella straordinaria Gates Of Delirium. Moraz è un grandissimo musicista. |
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20
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Gli Yes in soli 6 anni nei seventies hanno segnato in maniera indelebile il Rock soprattutto la sua parte più complessa ed elegante e questo è uno dei protagonisti di quei tempi..... Voti che partono da un minimo di 85 a salire su 6 album studio ed uno Live..... Ossequi! |
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19
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Avevo la versione in digipack che mi guardava da un po’ .Che dire nell’Olimpo del prog rock.Maestri |
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18
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Credo che sia stato il primo album degli Yes che io abbia ascoltato, ormai una vita fa. Il trittico Yes Album / Fragile / Close to the Edge è lassù, nell’olimpo del prog, difficile ritornare a quei livelli di ispirazione... ma qui ci vanno veramente vicino. Forse è il loro album più complesso da un punto di vista tecnico, ma risulta comunque più digeribile del suo pachidermico predecessore, in cui l’avevano fatta un po’ fuori dal vaso. Come “suite” la stratosferica The gates of Delirium a mio avviso supera ognuna delle 4 contenute in Tales ed è uno dei vertici della produzione della band. Vedendo solo 17 commenti ... devo dedurre forse che c’è ancora troppa poca gente che la conosce? Voto 90 |
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17
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Comprato a 15 anni...mamma mia che album! |
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16
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per caso avete orecchie di coccodrillo? SE QUESTO E' UN CAPOLAVORO i prececenti tre album cosa sono. |
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15
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Solo The Gates of Delirium vale almeno 90! |
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13
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Yes, a volte li riascolto volentieri, altre manco se mi legano alla sedia, e l'ultimo loro concerto visto qualche mese fa mi ha confermato tutto questo. Vadio a memoria, interessante e ben suonato, ma io preferisco altro. |
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12
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Bravo Cynic, per me anche 99. Ve lo dico da amico, fateve li cazzi vostri e fateve un Relayer tutto vostro!!! |
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11
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Raga... “ASCOLTATE ME!” e fidatevi : comprate Relayer un album S T E L L A R E !!!!!!! FANTASTICOOOOOOO !!!!!! semplicemente uno dei dischi prog rock più belli che io ho sentito, dei commenti che ne parlano male non dategli importanza. 95/100. |
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10
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Un po indigesto in alcuni punti, ma di sicuro molto piu abbordabile di tales.... La qualità non manca di sicuro e dopo close to the edge, fragile e the yes album per me viene questo! |
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9
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Mi ricordo che avevo affrontato questo disco con un senso di fastidio per l'indigestione di tripli, doppi e quadrupli che ci avevano propinato gli Yes con i precedenti album. L'indigesto Tales... era poi stato il troppo quando questo stroppia. Invece, questo album si era rivelato fresco e con un ottimo songwriting. Non mi ha mai convinto come "capolavoro" ma si tratta indubbiamente di un ottimo album. Loro sono una band di elevatissimo livello e lo hanno dimostrato anche nella loro ultima release di quest'anno. Au revoir. |
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8
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Casualità, sono capitato in questa recensione mentre leggo Guerra e pace. Vedrò di procurarmi quest'album |
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7
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"Questo è un disco che da sempre riceve pareri contrastanti", scusate, ma è la prima volta che sento dire una cosa del genere. Concordo con il commento di Laura. Voto 95 |
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6
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Pienamente d'accordo con Steelminded..CAPOLAVORO: 99. |
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5
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capolavoro assoluto. voto 95. |
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3
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Probabilmente, invece, se la famosa recensione venisse letta prima di commentare il voto, offrirebbe ben più di uno spunto di riflessione e di chiarimento su quello che è il numeretto. |
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2
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Voto assurdo, recensione fatta da chi non probabilmente non comprende appieno la portata storica di questo disco che riabilitò la band dopo il disastro di Tales. |
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1
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voto 80 ???? siete su scherzi a parte. Ma stiamo scherzando vero, per me RELAYER è stupendo dall'inizio alla fine tre canzoni meravigliose 95/100. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Gates of Delirium 2. Sound Chaser 3. To Be Over
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Line Up
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Jon Anderson (Voce) Steve Howe (Chitarre, Cori) Patrick Moraz (Tastiere) Chris Squire (Basso, Cori) Alan White (Batteria, Percussioni)
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