IN EVIDENZA
Album

Lords of Black
Mechanics of Predacity
Autoprodotti

King Gizzard and The Lizard Wizard
PetroDragonic Apocalypse
CERCA
RICERCA RECENSIONI
PER GENERE
PER ANNO
PER FASCIA DI VOTO
ULTIMI COMMENTI
FORUM
ARTICOLI
RECENSIONI
NOTIZIE
DISCHI IN USCITA

19/04/24
MY DYING BRIDE
A Mortal Binding

19/04/24
NUCLEAR TOMB
Terror Labyrinthian

19/04/24
MELVINS
Tarantula Heart

19/04/24
NOCTURNA
Of Sorcery and Darkness

19/04/24
SELBST
Despondency Chord Progressions

19/04/24
VERIKALPA
Tuomio

19/04/24
PRAYING MANTIS
Defiance

19/04/24
PEARL JAM
Dark Matter

19/04/24
VANDEN PLAS
The Empyrean Equation of the long lost Things

19/04/24
BLAZING ETERNITY
A Certain End of Everything

CONCERTI

19/04/24
FINNTROLL + METSATOLL + SUOTANA
LEGEND CLUB - MILANO

19/04/24
𝐍𝐎𝐃𝐄
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)

19/04/24
INCHIUVATU + LAMENTU + AGGHIASTRU
DEDOLOR MUSIC HEADQUARTER - ROVELLASCA (CO)

19/04/24
MARLENE KUNTZ
NEW AGE, VIA TINTORETTO 14 - RONCADE (TV)

19/04/24
GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)

19/04/24
TROPHY EYES
SANTERIA TOSCANA 31 VIALE TOSCANA, 31 - MILANO

19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)

19/04/24
ENEMIC INTERIOR + LOIA + LESLIE NIELSEN
CIRCOLO DEV , VIA CAPO DI LUCCA 29/3G - BOLOGNA

19/04/24
FUROR GALLICO
ALCHEMICA MUSIC CLUB, VIA DEI LAPIDARI 8B - BOLOGNA

19/04/24
NOBRAINO
VIPER THEATRE, VIA PISTOIESE 309/4 - FIRENZE

Jimi Hendrix - The Cry of Love
( 4620 letture )
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'amico estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.


Forse non sarà troppo blasfemo agli occhi del lettore ritenere che, per un musicista, il luogo nel quale ottenere l’eterno ricordo, dare esempio ai vivi, spingere animi ardimentosi a dare il proprio meglio, offrire un asilo per il dolore di chi soffre la mancanza siano, più dei Sepolcri cari ad Ugo Foscolo, i dischi e le registrazioni che egli ha lasciato al mondo. Perciò, se siete tra coloro che hanno la peggiore opinione possibile dei dischi usciti postumi, di un più o meno grande e famoso artista, ebbene avete ragione. Operazione commerciale tra le più odiose, fatta letteralmente sulla pelle di chi non c’è più, mettendo sul mercato un prodotto che ne porta il nome spesso senza il suo più o meno espresso consenso. Un prodotto che al meglio è un’operazione interrotta, senza una coerenza finale, che mette fianco a fianco brani ormai definiti ad abbozzi, idee e registrazioni che mai l’artista avrebbe voluto vedere pubblicate, con risultati finali spesso deprimenti e indegni. Inevitabilmente, si dirà. Ma, se simili pubblicazioni hanno un minimo senso, probabilmente in gran parte è proprio quello espresso dal poeta italiano: esse sono la più o meno riuscita consolazione di chi non avrà più il piacere della compagnia dell’artista, non ne ascolterà più la voce in vita, se non in quelle registrazioni. Si dirà che al meglio il ricordo spetterebbe ai dischi ufficiali, a quelli voluti e ideati fino alle ultime conseguenze dal musicista. Forse si potrebbe addirittura accusare di voyeurismo chi vuole godere di queste registrazioni incomplete, come se si cercasse di penetrare l’arcano segreto dell’ispirazione, congelare il momento creativo, esplorare la volontà, il nudo intento.
Tutto vero, tutto tremendamente giusto. Eppure, se ciò resta inevitabile, data la natura stessa di “non finito” di una simile opera, è innegabile che il fascino che questi dischi offrono, spesso, prescinda dal valore artistico dei brani. Perché non offrire ai veri fan l’opportunità di ascoltare e godere, per l’ultima volta, l’istante creativo puro e ancora vergine dell’artista da loro amato, immortalato per sempre nell’atto creativo, come in un quadro?

Tutte le parole espresse finora valgono per The Cry of Love, primo dell’infinita serie di album postumi pubblicati a nome di Jimi Hendrix. Nel tempo, il numero di simili operazioni si è moltiplicato senza requie, in gran parte a causa della mitizzazione post mortem del chitarrista, in parte anche grazie all’instancabile lavoro dello stesso Hendrix, che in pochi anni sembra aver passato davvero tutto il proprio tempo a scrivere e registrare nuovo materiale o versioni alternative di canzoni pubblicate o da pubblicare, provate e riprovate, senza sosta.
I lavori per quello che avrebbe dovuto essere il quarto album, un doppio dal titolo provvisorio First Rays of the New Rising Sun, iniziarono già a fine del 1968 durante le registrazioni di Electric Ladyland, periodo al quale risale la quinta traccia My Friend. Il grosso del lavoro di composizione del materiale che sarà pubblicato fu però compiuto tra il dicembre 1969 e l’estate del 1970, ovverosia negli ultimi giorni di vita del chitarrista. Belly Button Window, la canzone che chiude -non a caso- il disco è infatti l’ultima registrazione completa di voce realizzata in studio dal musicista, il 22 agosto 1970.
Il 28 gennaio di quell’anno, la Band of Gypsys, il gruppo formato con Buddy Miles e Billy Cox, fece la terza ed ultima apparizione pubblica. Alla fine del concerto, il manager di Hendrix licenziò Buddy Miles mettendo fine a questa breve ma intensa esperienza. In realtà, il chitarrista sembrava confuso sulla strada da percorrere col nuovo album, gli eventi si succedevano in maniera incontrollata e per la prima volta prendeva tempo, rimandando il momento di iniziare le registrazioni definitive. Il manager tentò di rimettere insieme la Experience richiamando Mitch Mitchell e Noel Redding, ma Hendrix non aveva nessuna intenzione di riprendere un percorso con il bassista e chiarì che le cose andavano benissimo con Billy Cox. Accolto nuovamente Mitchell, il riformato trio partì per la tranche americana del “The Cry of Love Tour”: moltissime esibizioni vennero registrate e si parla di show eccellenti tenuti dalla band. Peraltro, proprio in questo periodo i lavori agli Electric Lady Studios, i primi di proprietà di un musicista, venivano completati per l’esorbitante costo di un milione di dollari. Hendrix usò gli studios per la prima volta il 15 giugno, per una jam con Steve Winwood e Chris Wood dei Traffic e registrò la sua prima canzone qui il giorno dopo, Night Bird Flying; l’ultima, come detto poc’anzi, fu Belly Button Window. Il 25 agosto gli Studios vennero inaugurati ufficialmente e la band partì subito dopo per la parte europea del “The Cry of Love Tour” (prima tappa al festival dell’Isola di Wight), che sarà caratterizzata invece da un atteggiamento piuttosto remissivo e distaccato del chitarrista, il quale lascerà addirittura il palco poco dopo l’inizio dell’esibizione del 2 settembre. Hendrix era svuotato, stanco, confuso, preda delle droghe ormai in maniera irreversibile. Morirà il 18 settembre nella sua stanza al tristemente noto Samarkand Hotel di Londra in circostanze tuttora controverse.

Da queste premesse, cosa penseremmo di The Cry of Love a priori? Tutto il peggio possibile, ovviamente: il classico disco fatto in fretta e furia per bloccare il mercato. Del doppio album previsto furono pubblicati solo dieci brani, sui quali lavorarono con dedizione Mitch Mitchell ed Eddie Kramer al fine di tirare fuori il meglio dalle registrazioni fin lì effettuate. Strano da dire, invece, il risultato nonostante tutto è assolutamente degno degli altri lavori in studio del chitarrista.
Hendrix conferma la potenza della sua musica e della sua ispirazione e riesce a spingerla ancora una volta un passo più in là. Forse ancora la direzione finale non era chiara, forse ne era perfino insoddisfatto, ma a noi, comuni mortali, quanto esce dalla casse appare ben più che una mera operazione commerciale senza credibilità artistica. Nonostante l’evidenza del fatto che alcuni dei brani qua contenuti siano incompleti, quasi tutti possiedono una dimensione più che accettabile e, grazie al lavoro di Mitchell e Kramer, è davvero difficile pensare che manchi qualcosa o che per la maggioranza non siano già al massimo della loro evoluzione possibile. Al solito, il chitarrista ci offre una prestazione di elevato livello e la sua scrittura tocca sensibilità molteplici e sfumature sempre nuove. Dell’esperienza con la Band of Gypsys resta il basso pulsante, caloroso e carico di groove di Billy Cox, presente su quasi tutti i brani del disco e particolarmente in vista nel mix, mentre il ritorno di Mitch Mitchell dona una quadratura e una qualità tecnica che ci riporta agli altri album da studio, anche se a dire il vero la sua prestazione è decisamente meno spettacolare del consueto. Si passa invariabilmente da rock a funk, da blues a proto hard rock, fino a qualche passaggio decisamente più sperimentale, che potrebbe arrivare ad essere definito musica modale.
Hendrix ci regala dei momenti di pura poesia a livello lirico, con la consueta abilità e straordinaria capacità di legare musica e parole. La verità è che non sappiamo cosa avrebbe voluto che The First Rays of the New Rising Sun diventasse. Quello che sappiamo è che la opener Freedom è un gran bel brano rock, potente e ritmato, che è diventato poi un classico del repertorio del chitarrista, una apertura decisamente di livello e che rimanda chiaramente ad Are You Experienced, ma con una musicalità nuova. Alla classe di brani come The Wind Cries Mary, Castles Made of Sand e Little Wing, ascriviamo senza dubbio Drifting, un brano di impianto blues semplicemente meraviglioso. La splendida apertura, l’atmosfera solare eppure malinconica, la melodia emozionante, il testo evocativo, tutto combinato assieme per una canzone apparentemente semplicissima, eppure perfetta, da brivido, con un toccante finale ancora nebuloso, impressionistico. Ritorna in questo brano, come in tutto il disco, la tecnica di registrazione che Hendrix aveva sviluppato a partire da Axis: Bold As Love, di sovraincidere una enorme quantità di tracce di chitarra, fino ad ottenere un suono diffuso, molto ampio, nel quale le note galleggiano e varie parti vanno combinandosi in un contrappunto continuo e ammaliante. Ezy Rider, registrata con la formazione della Band of Gypsys è un nuovo brano roboante e molto diretto, senza troppi fronzoli si direbbe, se questo avesse un senso per Hendrix. Splendida la partenza, con un suono dallo spettro enorme, nel quale la chitarra (per meglio dire, le chitarre) sembrano fluire fuori dalle casse inarrestabili. Stessa impressione per Night Bird Flying, che suonata ad un volume degno dà l’impressione di essere semplicemente travolgente e con un tiro da urlo, oltre ad ospitare un filotto di assoli da puro godimento. Tempo di abbassare un po’ i giri ed ecco il brano più vecchio della serie, My Friend, che all’epoca venne definita vicina allo stile di Bob Dylan, con Hendrix che canta confidenzialmente un brano pacato e dal testo introspettivo, simile a Castles Made of Sand, con in sottofondo i rumori di un bar e una armonica a bocca. Quasi una sorta di film musicato. La seconda parte del disco è anche quella in cui fanno capolino i brani meno “definiti”. Se Straight Ahead è un più che discreto brano rock, molto ritmato e nervoso, quasi funk nel suo saltellare continuo (can we take it to the bridge? dice Hendrix, richiamando il James brown di Sex Machine), la successiva Astro Man sembra davvero essere un brano appena accennato, un’idea in lavorazione e nonostante il pretesto riesca a tenere in piedi tutti i tre minuti e mezzo di durata, in effetti non si dirà che questo sia il brano più strutturato del lotto e neanche il più riuscito. Discorso totalmente diverso per Angel: qui siamo di fronte ad un capolavoro assoluto. Il richiamo a Little Wing è evidente, eppure la forza travolgente e purificatrice di questa traccia dolcissima è incredibile. Anche in questo caso, le parole di Hendrix sono toccanti e sanno davvero descrivere un’emozione; un merito questo che poche volte viene riconosciuto al musicista di Seattle. Enorme la qualità compositiva in questo caso, con un uso molto particolare e originale della successione di accordi, in particolare nel turbinoso finale. Per un brano dolce ed evocativo ecco subito un nuovo monumento rock: In From the Storm sfodera un riff clamoroso e definitivo, uno di quelli che ciascun chitarrista dovrebbe imparare e custodire gelosamente, così come l’accelerazione centrale del brano, travolgente e che si potrebbe già definire hard rock. Chiude la già citata Belly Button Blues, ottimo blues semiacustico, intimo e al tempo stesso divertente e malinconico, che ci congeda con un brivido tanto dall’album quanto dallo stesso inarrivabile talento di Jimi Hendrix.

Secondo un recente studio, il museo italiano più amato dai turisti stranieri è la Galleria dell’Accademia di Firenze, luogo nel quale è conservato l’originale del David di Michelangelo. Per molti l’unica vera attrazione resta proprio il capolavoro rinascimentale, monumento alla grandiosità artistica dell’artista toscano. Non molti sembrano prestare la stessa attenzione alle altre opere michelangiolesche qui conservate, che costituiscono invece una fondamentale e splendida collezione di sculture “non finite”, che conservano nel marmo originale l’intenzione, la figura che cerca disperatamente da secoli di svincolarsi dalla fredda bara rocciosa e prendere la propria forma definitiva. Allo stesso modo, oggi si tende a dimenticare frettolosamente The Cry of Love, abbacinati dallo splendore dei primi tre album da studio di Jimi Hendrix, in particolare dall’indimenticabile debutto. Eppure, nonostante l’evidente natura di omaggio postumo/operazione commerciale, il disco merita indubbiamente di essere posseduto, ascoltato e amato al pari degli album che lo hanno preceduto. Certo, non sapremo mai cosa sarebbe stato l’album finito, ma The Cry of Love appare una coerente e rispettosa raccolta di quanto lasciatoci dal musicista un attimo prima di abbandonarci per sempre. I brani in esso contenuti sono spesso di valore assoluto o comunque ben più che interessanti e nel complesso ci riservano degli spunti davvero rimarchevoli e perfino delle indicazioni su quella che avrebbe potuto diventare la futura carriera del chitarrista, se mai ne avesse avuta una. Purtroppo, quello che resta è un disco a metà, che sarà completato nella sua imperfezione dal secondo album postumo pubblicato con la cura di Mitchell e Kramer, Rainbow Bridge, e dal terzo War Heroes. Nel 1997 sarà pubblicato First Rays of the New Rising Sun, album che ha la pretesa di rappresentare la massima approssimazione possibile al disco che Hendrix avrebbe voluto realizzare. Al solito, la follia discografica non conosce limite.
Quello che è certo, è che se i tre dischi ufficiali da studio e l’ottimo Band of Gypsys non vi bastano più come Sepolcro sul quale piangere o al contrario celebrare la grandezza del genio di Jimi Hendrix, allora The Cry of Love costituisce senza dubbio un eccellente luogo dove posare la vostra attenzione.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
62.31 su 19 voti [ VOTA]
Fabio Rasta
Sabato 5 Ottobre 2019, 15.18.11
6
Disco postumo molto controverso. Da un lato abbiamo un HENDRIX strafatto e stanco,dall'altra una evidente inquietudine musicale che cerca di rifuggire regole prestabilite, prevedibilità ed ovvietà. Una incredibile quantità di idee e poco tempo x svilupparle. In + una Band un po' raffazzonata, il richiamo forzato del pur strepitoso MITCH MITCHELL sa un po' di minestra riscaldata, poco adatto insomma al nuovo corso musicale inteso da JIMI, (che definì come un "arcobaleno" di suoni quando presentò la GYPSY, SUN & RAINBOW), ma messo li a bella posta x i nostalgici della EXPERIENCE. Da rimarcare il fatto che l'Artista non ha potuto mettere mano su quelle che erano solo delle bozze provvisorie. Nonostante tutto il disco è piacevole, e un appassionato musicofilo non faticherà a riconoscere l'evidente Genio Hendrixiano. Ma chissà cosa sarebbe venuto fuori se avesse avuto a disposizione una Band poliedrica, che ne so, come i GALAXY, e + tempo x lavorarci sopra...
Steelminded
Domenica 11 Ottobre 2015, 22.39.07
5
Non ho letto la rece ancora ma lo farò... un commento piccolo piccolo all'album: bellissimo, ovviamente. A margine: il mio preferito di Jimi Hendrix è First Rays of the New Rising Sun, pubblicato nel 97, ma che a quanto ne so doveva essere il suo quarto album di inediti da studio, che non fu mai pubblicato causa la sua scomparsa. Non a caso contiene tutti i pezzi di questo The Cry of Love che mi piace anche tantissimo. Trovo ottimi anche Rainbow Bridge e persino l'ultima trovata postuma People, Hell and Angels. Tra gli album pubblicati in vita con gli Experience il mio top personale è Electric Ladyland. Evviva! Grandissimo mito, grandissimo artista!
therox68
Lunedì 13 Ottobre 2014, 0.11.16
4
Lizard: questa recensione ha più di un difetto. Rende praticamente inutile o superfluo o pretenzioso qualsiasi commento. Cerca di peggiorare e in fretta così potrai continuare a leggere i nostri commenti... La tua qualità di scrittura è tale che in casi come questi sarebbe più giusto parlare di "trattato breve" che di recensione.
Shaagrath
Sabato 11 Ottobre 2014, 20.25.03
3
@Lizard niente complimenti superflui.Recensione Magkstrale e disco altrettanto sublime.
Lizard
Sabato 11 Ottobre 2014, 20.11.58
2
Troppo buono grazie e Sì, amo questo album e questo musicista in generale
hm is the law
Sabato 11 Ottobre 2014, 13.35.34
1
Disco bellissimo con Angel stupenda sia dal punto di vista lirico che musicale. Imperdibile gemma da avere nella propra collezione e stiamo parlando di un postumo. Recensione impeccabile fatta da chi (si percepisce dalle parole che usa) ama visceralmente l'album (come me )
INFORMAZIONI
1971
Reprise Records
Rock
Tracklist
1. Freedom
2. Drifting
3. Ezy Ryder
4. Night Bird Flying
5. My Friend
6. Straight Ahead
7. Astro Man
8. Angel
9. In From the Storm
10. Belly Button Window
Line Up
Jimi Hendrix (Voce, Chitarra, Cori nelle tracce 3 e 9, Piano nella traccia 1)
Billy Cox (Basso)
Noel Redding (Basso nella traccia 5)
Mitch Mitchell (Batteria)
Buddy Miles (Batteria nella traccia 3)
Juma Sultan (Percussioni nelle tracce 1, 4 e 7)

Musicisti ospiti
The Ghetto Fighters (Cori nella traccia 1)
Steve Winwood (Cori nella traccia 3)
Chris Wood (Cori nella traccia 3)
Emeretta Marks (Cori nella traccia 9)
Paul Caruso (Armonica nella traccia 5)
Buzzy Linhart (Vibrafono nella traccia 2)
Kenny Pine (Chitarra nella traccia 5)
Stephen Stills (Piano nella traccia 5)
Billy Armstrong (Percussioni nella traccia 3)
Jimmy Mayes (Batteria nella traccia 5)

 
RECENSIONI
93
ARTICOLI
26/07/2014
Articolo
JIMI HENDRIX
Zero. La Mia Storia - La recensione
05/12/2012
Articolo
JIMI HENDRIX
Live At Woodstock, 17/08/1969
 
 
[RSS Valido] Creative Commons License [CSS Valido]