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Forgotten Woods - The Curse Of Mankind
( 3388 letture )
Si è già parlato in altra sede dei cambiamenti che il black metal norvegese stava attraversando a cavallo fra i due millenni. Tale approdo stilistico fu, tuttavia, figlio di tutta una sequela di metamorfosi avvenute in alcuni "anni ponte" (tra il 1994-1995 ed il 1997 grosso modo) durante i quali determinate band e dischi condussero il fenomeno del trve norwegian black metal, quale movimento chiuso, auto-citazionista ed auto-annichilente, stagliato nell'immaginario collettivo sotto il vessillo del Black Circle e dell'Helvete, verso lidi di più lunga prospettiva e respiro, i quali poi si condenseranno, come accennato, in tutta una schiera di full-length (anche a firma di band capostipiti del black come Mayhem e Satyricon) totalmente innovativi rispetto ai canoni degli esordi ed iconoclasti rispetto a quella volontà autarchica del sottogenere metal di non aprirsi a nessuna tendenza più mainstream (i più ricorderanno sicuramente le forti posizioni di Aarseth contro l'allora "popolare" death metal o l'"etico" hardcore).
Anni strani, si diceva. Ma anni fondamentali, i quali condussero piano piano il black metal fuori dalla propria elitaria ideologia fino al punto della sua liquida implosione, allo scoccare del terzo millennio, in forme e contaminazioni impensabili e fra le più variegate, le quali, ancora oggi, dominano il mercato discografico (le repliche di trve black metal norvegese suonate oggigiorno non fanno minimamente scalpore, anzi). Se, infatti, fino all'ultimo biennio del millennio è possibile tracciare le linee evolutive del genere in modo sostanzialmente onnicomprensivo, ad ora un'analisi che si proponesse di scomporre complessivamente il fenomeno culturale "black metal" dovrebbe adottare un approccio, per forza di cose, settoriale, su base di sottogeneri, nazionalità, numero di dischi pubblicati o altri criteri, data l'estrema ramificazione e diversificazione in cui è incorsa l'evoluzione del suddetto stile musicale.
Ciò avvenne tramite le innovative formule musicali di alcune band capostipite di tutti quegli intrecci del black metal che poi emergeranno sempre più compatti negli anni a venire: Mysticum per l'industrial, Abruptum per il noise, Storm, Primordial e Ulver per il folk, Ved Buens Ende e Arcturus per l'avant-garde, Enslaved per il viking, Blut Aus Nord per l'atmospheric/ambient, Cradle of Filth e Dimmu Borgir per il symphonic, Bethlehem per il doom, Abyssic Hate per il depressive. E proprio in questa logica "rinnovatrice" del genere si incastrano i Forgotten Woods, gruppo il quale, prendendo le basi, come tutti gli acts sopracitati, dalle band cardine del primigenio movimento black metal delle periferie di Oslo (Burzum soprattutto, in questo caso), anticipa quel filone depressive da ultimo citato, in particolare grazie al primo full-length As the Wolves Gather ed al bellissimo EP successivo Sjel av natten.

Il terzo The Curse of Mankind, datato 1996, recupera molti fra gli elementi del primo album. Restano, infatti, i cadenzati mid tempo (accostabili ad una Freezing Moon), il quattro corde ben sovraesposto (elemento innovatore che ricorda i coevi Ophthalamia e Blut Aus Nord in ambito estremo), gli stacchi acustici (fiore all'occhiello della band), i toccanti arpeggi delle chitarre o i riff ancora thrasheggianti. Insomma, ascoltando la prima traccia Overmotets Pris pare di ascoltare una vera e propria continuazione di As the Wolves Gather, ma nulla più.
In realtà, con il passare dei secondi, ci si rende conto di quanto il disco sia molto più borderline, e di come presenti una serie infinita di influenze e sfaccettature rispetto all'opera precedente, dal depressive al post-punk, dal black norvegese del 1991/1992 al black'n’roll (ve li immaginate Varg, Maniac o anche Nocturno Culto all'epoca urlare, nel bel mezzo di un brano, subito dopo uno stacco dal sapore thrash, un "Come on"?). I Forgotten Woods riescono così, nel lontano 1996, a giocare con questa aggregazione/disgregazione stilistica dei brani, anche tramite il folle utilizzo di armoniche e intermezzi dal sapore blues (Rune Vedaa è uno tra i bassisti più espressivi che io abbia mai sentito), e a ricreare delle atmosfere schizofreniche ed assolutamente ipnotiche, in un caleidoscopico pentagramma che riesce, da un lato, a fondere un insieme eterodosso e sfaccettato di influenze musicali, e dall'altro, a rimanere ancorato ad un contesto artistico assolutamente black metal e deprimente, non suonando per nulla (ma proprio per nulla!) come le band avant-garde del periodo.
La conferma di ciò arriva dal comparto vocale, di cui Varg è la chiara fonte di riferimento: disperatissimi scream accompagnati dal delay (se siete deboli di cuore fate molta attenzione al finale di My Scars Hold Your Dreams), alternati a sconfortanti sussurri (simili a quelli successivi del compianto B dei Lifelover).
Il pattern di scrittura del black metal vero e proprio resta, comunque, abbastanza canonico: plettrate serrate sui tempi forti delle battute accompagnate da tupa-tupa di batteria, alternati, prima dei cambi di stile e d'atmosfera dei brani, da scale diatoniche minori e giri di tom di batteria. Blast beat fendono l'aria per buona parte del full-length, mentre le chitarre non risultano troppo distorte, ma più spesso in overdrive; da ultimo, il quattro corde terzina spesso (vedasi My Scars Hold Your Dreams).
I mistici cori a cappella, una terza o un'ottava più alta, della terza traccia The Starlit Waters / I, the Mountain rappresentano un altro punto di svolta del disco, ed un elemento stilistico non molto utilizzato in ambito black fino a quel momento (vengono in mente gli Ulver, i quali, depurati dai caratteristici elementi folk, non risultano poi così distanti dai Forgotten Woods).
L'intermezzo With Swans I'll Share My Thirst dipinge, invece, un piccolo tributo ai Velvet Underground, mentre il binomio finale del disco (soprattutto Den ansiktsløse) perde molto dei precedenti canoni black metal (melodie vocali permettendo), concretizzando delle acide e vuote atmosfere che molto si avvicinano a quelle di un certo post-punk, in stile Joy Division, ma maggiormente "tirati" e con qualche accordo in minore in più (i sedicesimi del quattro corde durante il climax finale di Den ansiktsløse sono da pelle d'oca). Allo stesso tempo, è d'interesse notare le sovrapposizioni stilistiche con il primo album, dello stesso anno, del progetto parallelo Joyless, il quale molto riprende stilisticamente dalle ultime due tracce di The Curse of Mankind, per poi seguire una direzione meno legata al mondo metal rispetto ai Forgotten Woods.

Tutto ciò considerato, si può affermare senza dubbio che The Curse of Mankind sia l'album più maturo dei Forgotten Woods, e resta solo da rilevare come il gruppo stesso, in un periodo storico dove il black metal era concepito in un certo modo, ben definito, negli studi di registrazione come pure sui giornali scandalistici e nelle procure norvegesi, siano state una fra le band più iconoclaste della scena e, rispetto a futuri sviluppi del genere, "con l'occhio più lungo".
E a maggior ragione, in fin dei conti, dopo aver ascoltato un album come The Curse of Mankind, viene da chiedersi quanto il gruppo facesse davvero parte della corrente black metal. Anzi, viene proprio da chiedersi se, al di là della superficie, i Forgotten Woods lo stessero davvero suonando, il black metal.



VOTO RECENSORE
89
VOTO LETTORI
89 su 16 voti [ VOTA]
Spirit of the forest
Domenica 1 Ottobre 2023, 17.41.05
5
Opera straordinaria, capace di descrivere con sferzate gelide ed un silente tocco di malinconia il profondo significato della solitudine interiore.
Deicidio
Venerdì 13 Dicembre 2019, 19.30.48
4
Wow...! Bellissima recensione. Grazie!
Dany 71
Lunedì 13 Ottobre 2014, 19.16.08
3
@WildWolf: grandissima rece, complimenti.
remy
Sabato 11 Ottobre 2014, 17.40.22
2
Bellissimo.
Luca
Sabato 11 Ottobre 2014, 14.12.51
1
Capolavoro di un epoca storica
INFORMAZIONI
1996
No Colours Records
Black
Tracklist
1. Overmotets Pris
2. My Scars Hold Your Dreams
3. The Starlit Waters / I, the Mountain
4. With Swans I'll Share My Thirst
5. Den Ansiktsløse
6. The Velvet Room
Line Up
Thomas Torkelsen (Voce)
Rune Jamne (seconda voce)
Olav Berland (Chitarre, batteria)
Reinhardt Toresen (Armonica, cori)
Rune Vedaa (Basso)
 
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