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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Solefald - Norrøn Livskunst
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( 2145 letture )
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Quindici anni dopo l’inizio della nostra avventura abbiamo deciso di entrare sempre più nelle profondità dei Solefald grazie a Norrøn Livskunst. Il titolo, se tradotto, può essere visto come “L’arte del vivere norvegese”. Con quest'album abbiamo cercato e ricercato l’ambiente tipico della Norvegia agli inizi del ventesimo secolo, un’epoca dove la ora indipendente nazione, custodiva gelosamente le proprie radici culturali ponendo sempre uno sguardo al passato. Scrittore, pittori e compositori riscoprivano la mitologia norrena, le sage dell’Edda e le spedizioni polari. Le case e gli edifici erano decorati con motivi medievali quali dragoni e serpenti. Anche l’atletica prese spunto dalla mitologia utilizzando Dei e cavalli quali custodi delle loro attività. Una lotta enorme per una lingua scritta libera da qualsiasi vincolo imperialista straniero. La maggior parte dei testi all’interno di Norrøn Livskunst sono scritte con una variante della lingua Norvegese classica del 1917 chiamata Høgnorsk (Norvegese nobile). Un esempio tipico di questa lingua è riscontrabile nella canzone Song Til Stormen che è un poema scritto nel 1946 da uno dei maggiori esponenti di quella cultura letteraria chiamato Olav H. Hauge (1908-1994). In sintesi: i Solefald si dirigono verso casa.
(Intestazione all’interno del booklet dell’album)
Il pregio di questi arcaici oggetti chiamati CD è che, spesso e volentieri, racchiudono al loro interno delle perle e delle chiavi di lettura altrimenti impossibili da immaginare limitandosi ad un "semplice" ascolto di file virtuali. Leggere e comprendere queste parole, scritte dai musicisti stessi, aiuta a comprendere molto, se non tutto, del processo creativo che risiede alla base di Norrøn Livskunst. Volenti o nolenti, questa è la dura realtà, a meno che non vi accontentiate di Wikipedia e delle sue informazioni abbozzate (perlomeno in questo campo).
Ma veniamo a noi ora: cosa dire del settimo full length della band culto norvegese se non che è… imbarazzante? Fermi tutti, riponete i forconi: imbarazzante non in senso negativo, piuttosto la capacità e la meticolosità con cui le tracce, le idee e le convulse espressioni musicali si intrecciano le une tra le altre in modi utopici e fuorilegge risultano imbarazzanti se viste da lontano, dal punto di vista di un qualsiasi musicista che tenti di autodefinirsi avanguardistico. La proposta è, bene o male, sempre quella, i trade mark del gruppo sono gli stessi, quelli che tutti… non conosciamo a memoria, poiché la regola che sta alla base di un album targato Solefald è quella di non avere regole. È il brainstorming che fa le valige, saluta e porta gli omaggi della creatività; nulla di scritto, pensato e/o ragionato a priori, ma piuttosto un chiaro intento mai celato di voler andare oltre il confine dello stupore. Certo, probabilmente tutto è stato scritto e nulla si crea dal nuovo: i tasti sul pianoforte sono sempre 88 e le note base sulla scala diatonica sono sempre sette, dunque cosa risiede alla base del creare, del rivoluzionare e di quella che possiamo definire la sconfitta della standardizzazione della musica? Pura e semplice ispirazione, se vogliamo sincerità, magari indole acquisita: ciò che ti si materializza di fronte ad ogni ascolto di un album di questo gruppo è la coerenza verso sé stessi, la musica fatta con l’animo, con il desiderio di far fluttuare nell’etere suoni che, imprigionati in corpo mortale, vadano a risuonare negli anni come il lascito di persone che più di ogni altra cosa si possono definire musicisti totali. Descrivere canzone per canzone il lavoro risulta arduo quanto superfluo: in primis bisognerebbe meticolosamente analizzare ogni cambio di stile e genere proposto lungo l’arco del singolo brano. Qual è il fascino della magia, se il trucco viene svelato? Non sono la persona che solitamente si sofferma sul singolo, piuttosto è l’impatto alla fine dei cinquantaquattro minuti che lascia sbigottiti. Un vortice violento (Norrøn Livskunst) ti scaglia lontano verso lande disperse, dove antiche tradizioni norrene e le leggende che le accompagnano si uniscono ad un senso di humor mai testato prima (Tittentattenteksti). I costanti richiami ai grandi gruppi e cantautori del passato diventano folli idee che lambiscono territori maliziosi (sentire per credere la citazione di Little Richard con il classico “a-wop-bop-a-loo-bop-a-wop-bam-boom” in Blackabilly) ed echeggiano strofe da discoteca con una verve tutta prog anni settanta. Bisogna riconoscere quanto sia ampio lo spettro focale di questi due musicisti, non solo per quanto riguarda il rinomato background tendenzialmente black (aspetto che mai come all’interno di Norrøn Livskunst, a paragone con gli album precedenti, viene esaltato): proporre a metà della tracklist una canzone tanto ostica quanto intima come Eukalypstustreet è da folli. Sottile la linea che scinde ballad e avanguardismo misto jazz in questo brano che merita una menzione a parte perché a conti fatti risulta essere la perla dell’album. Splendida ed unica allo stesso tempo, ti porta sotto l’acquazzone dove puoi purificarti. Il voler abbracciare nuove sonorità per rinvigorire la schiena di questo gigante non sta solo nel proporre nuove soluzioni e tecniche mai provate prima, ma anche nel volere continuare e portare a compimento una trilogia che nel bene o nel male ha segnato la storia del gruppo: le porte del Valhalla si aprono e un inquieto vivere trasuda epiche gesta, con lo scream che si unisce ad una prestazione sopra le righe di Lazare per chiudere il cerchio e farlo diventare leggenda (Waves Over Valhalla (An Iceland Odissey Part III). Il tutto giunge a compimento con una calda voce che, priva di ogni remora, mette i brividi (Till Heimen Yver Havet) nella sua lenta agonia che strappa i lamenti ai morti dell’oceano, con le sirene in lontananza supplicanti perdono per le loro gesta. Senza preavviso tutto si spegne, il disco argentato si stoppa e cala il silenzio: Stop.
Si chiude un'attesa di quasi quattro anni dal precedente album, che però ha permesso ai nostri di portare in vita musiche prima d’ora mai osate. Certo, come già sottolineato il trademark è inconfondibile, i Solefald hanno la capacità di essere riconoscibili dopo pochissimi secondi a dispetto del genere proposto nel secondo di quella precisa canzone. Pregio e difetto per qualcuno, probabilmente. Un insegnamento però ci viene offerto dal duo norvegese: mai adagiarsi, mai assecondare le volontà di esterni e, sopra ogni cosa, mai nascondersi dietro la frase “Avrei voluto, ma…”. Oggigiorno le potenzialità per creare album magici con musiche che prendono le emozioni e le distruggono in pochi secondi ci sono ancora, l’essere umano è una macchina perfetta che con l'immaginazione è riuscito ad andare oltre i sogni e le ambizioni più nobili. Lasciatevi trasportare all’interno di un mondo costruito oltre un secolo addietro ma restaurato in salsa avanguardista contemporanea. Vintage retrofuturistico allo stato solido.
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5
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Mi mancano! È da anni che non esce nulla a nome solefald ed è più di un peccato perché come dimostra questo LP quando c\'è un\'enorme ispirazione osare (rischiando tantissimo) nella sperimentazione estrema porta a grandi risultati !! In attesa di qualcosa di nuovo da borknagar ed arcturus mi riascolto questo piccolo grande variopinto gioiello! |
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4
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Ulteriormente rivalutato: per me disco meraviglioso, a livello di ispirazione e songwriting perfino superiore a Kosmopolis Sud anche se meno sperimentale. Non riesco a trovare un brano debole: la title track, l'opener, la onirica e stupenda Eukalypstustreet, la divertente Blackabilly, la progressive Vitets vidd i verdi e via discorrendo. Un gruppo che rimescola le carte rispetto agli album precedenti, prendendo sempre il meglio da ciascuno e proponendo una qualità elevatissima. Album da 95 senza riserve, mostruoso. |
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3
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Che bello anche questo, un album spettacolare. Un gradino sotto a Kosmopolis, del quale è fratello ancora più schizoide: infatti l'ultimo l'ho trovato un pelino più facile all'ascolto, questo conserva qualche spigolo vivo in più e un'anima black più pronunciata. Le prime 5 tracce poi sono da infarto. Una grande band! |
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2
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Personalmente lo ho trovato il disco più immediato della band, ciò non gli toglie nulla dal punto di vista della bellezza. Infatti eukalyptustreet risulta essere una delle migliori canzoni della band, a mio parere, e il resto del disco è comunque su altissimi livelli. Da sottolineare il bambino assatanato della divertente tittentattentenskti! |
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1
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Un disco splendido, insieme ai primi due forse quello che preferisco. anche BFD però... e pure gli altri! I Solefald sono enormi, non ho altro da dire. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Song til stormen 2. Norrøn livskunst 3. Tittentattenteksti 4. Blackabilly / Stridsljod 5. Eukalypstustreet 6. Raudedauden 7. Vitets vidd i verdi 8. Hugferdi 9. Waves over Valhalla (An Icelandic Odyssey Part 3) 10. Til heimen yver havet
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Line Up
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Cornelius (Voce, Chitarre, Basso) Lazare (Voce, Tastiere, Batteria, Basso)
Musicisti Ospiti Agnete Kjølsrud (Voce su traccia 3 e 7) Benedicte Maurseth (Voce su traccia 1, 2 e 10. Hardingfele su traccia 1) Kjetil Selvik (Sassofono su traccia 4, 5 e 7) Vangelis Labrakis (Chitarra su traccia 6) King (Backing vocal su traccia 4)
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