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Kreyskull - Tower Witch
( 1985 letture )
Poco ci viene detto riguardo la biografia dei Kreyskull, ma abbastanza per capire di che pasta sono fatti i quattro musicisti finlandesi. Alla voce troviamo Kari A. Killgast, ex dei Domination Black, band symphonic gothic/power con tre album all’attivo, alla chitarra Saku Hakuli, ex Demonic Death Judge (formazione sludge) ed attualmente in forze nei Kaihoro (stoner) e nei Total Devastation (industrial death), al basso Pasi Hakuli -che sembra aver percorso la stessa identica carriera di Saku- e alla batteria Timo “Ringo” Karvonen, di cui nulla sappiamo, ma che possiamo presumere essere fan della più nota band inglese della storia. Di loro sappiamo anche che hanno pubblicato un primo album nel 2012, intitolato Year of the Octopus, e che il secondo capitolo della loro discografia, il qui presente Tower Witch, si pone come un’ottima conferma delle potenzialità di questo gruppo. Il genere proposto, è giusto dirlo, vuole essere una fedele rivisitazione -in primis- del tanto amato sound anni 70 dei “pionieri” Black Sabbath, prevalentemente tendente al lato heavy rock classico, con forti tratti psichedelici, più che a quello oscuro del doom. Avvicinandoci nella linea temporale, le affinità potrebbero ritrovarsi nel sound degli svedesi Grand Magus così come nella proposta degli ancor più noti inglesi Orange Goblin e difatti potremmo tranquillamente classificare i Kreyskull come una band stoner a tutti gli effetti; ma a conti fatti poco importa l’etichetta che gli si vuole imprimere, perché ciò che più preme è addentrarsi appieno nelle stranianti sonorità di queste canzoni. E allora basta esitazioni e andiamo ad analizzare da vicino i contenuti del disco.

Libertà espressiva e sperimentazione sonora: questi gli elementi cardine delle nove tracce facenti parte di Tower Witch. Ad essere precisi, di sperimentazione vera e propria non si dovrebbe parlare, perché il sound dei Kreyskull è piuttosto definito, fatta eccezione per alcune divagazioni stilistiche che vanno a pescare dai generi più diversi per dar vita a canzoni fresche e mai uguali tra loro. Lo sperimentare sta soprattutto nella scelta di coniugare questi differenti stili musicali lasciando libero spazio all’immaginazione e, come detto poc’anzi, alla libertà espressiva. Tutto ciò va ovviamente ad esaltare le qualità tecniche dei singoli e a beneficiarne sono in primis i brani stessi. Già con l’iniziale Night of the Waking Octopus si possono notare i primi tratti caratterizzanti la musica dei Kreyskull: un comparto riff 100% heavy metal, una sezione ritmica basilare ma incisiva, e una voce potente e ben impostata. Tutto il necessario per porsi con fiducia all’ascolto delle successive tracce. Non si avvertono grandi cambiamenti nei primi minuti di Abomination Jungle, pezzo che appare comunque fin da subito meno anni Ottanta e che difatti ci mostrerà una seconda faccia completamente distante da quanto ci saremmo potuti aspettare col prosieguo del suo ascolto: un incedere jazzato s’inserisce a suo modo nelle trame del brano e il gruppo è bravo nel saper architettare una struttura generale che non mostra in nessun momento segni di cedimento. Forti sono i richiami alla scena alternative anni Novanta (potremmo citare i Soundgarden così come i Rage Against the Machine e i successivi Audioslave, tutti nomi molto vicini tra loro per ovvi motivi biografici e influenze musicali) e The Man Who Lived Before è uno dei pezzi che più ci riporta con la mente a quel periodo, pur presentando un’evoluzione differente. Ma il momento più alto lo si raggiunge innegabilmente con la strepitosa titletrack. Qui le atmosfere si rifanno in parte addirittura al prog rock anni Settanta ed è incredibile notare come in soli quattro brani si sia andati incontro ad una varietà di stili ed epoche tanto distanti tra loro (ma a quanto pare capaci di intersecarsi ed integrarsi più che bene) a dimostrazione di quanto la musica di questi quattro strani finlandesi sia capace di innovare seguendo i passi di una tradizione musicale lunga interi decenni. Un’intro appena accennata ci porta alla successiva Soulway Station aprendo di fatto la seconda metà dell’album. La canzone si rivela una giusta via di mezzo tra quanto sentito finora, riportando comunque l’attenzione sulla miscela hard’n’heavy di base. Partenza cadenzata ma frizzante quella di Evil Absolute Blues, altro pezzo particolare, ma tutto sommato semplice ed immediato. Ci avviciniamo alla conclusione, ma i Nostri non sembrano affatto voler fermare la propria creatività: El Chupacabra è infatti un’altra tra le tracce più riuscite, affatto ripetitiva nonostante questa sia l’unica critica che un eventuale detrattore gli potrebbe riservare. Il finale è ancora di ottimo livello con Kingdom Falling, tra cambi di atmosfera e continue sfumature sonore.

Dei Kreyskull si potrebbe parlare a lungo, trovando ogni volta un elemento in più per descriverne i tratti caratteristici, ma le parole devono anche saper lasciare il giusto spazio all’immaginazione, perché questo è uno di quegli album dove risulterà fondamentale l’approccio personale e “interiore” -se mi passate il termine- rimanendo il più distaccati possibile da condizionamenti esterni che potrebbero lenire lo stretto rapporto empatico che esiste tra la musica e le sensazioni che ne derivano. Detto in questi termini, e leggendo il tutto un po’ superficialmente, potrebbe sembrare che abbiamo a che fare con un nuovo must have assolutamente innovativo e che soddisferà quel bisogno di novità che noi tutti nutriamo nei confronti dell’heavy metal (termine che racchiude per semplicità tutti i suoi sottogeneri). Ma così non è: i Kreyskull sono senz’altro un’interessante progetto artistico, ma in rapporto ai numi tutelari del passato il loro contributo alla scena musicale è e sarà per forza di cose minimo, perché distinguersi e restare impressi nella memoria collettiva non è mai stato tanto difficile come di questi tempi ed anche proposte di questo calibro potrebbero passare facilmente inosservate. Allora facciamo in modo che così non sia e concediamo qualcosa in più di una semplice e piccola opportunità a questa band, perché i meriti ci sono tutti ed è giusto valorizzarli.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
85 su 1 voti [ VOTA]
Giaxomo
Martedì 14 Novembre 2017, 12.15.17
3
Finalmente sono riuscito ad ascoltarlo. Ci sono fiumi di influenze amalgamate alla grande: dalla voce di Kari che ricorda un sacco Anselmo di NOLA e il cantante dei mai troppo compianti Alabama Thunderpussy, il sound in generale mi ha ricordato propio questa band, gli Alabama, e anche gli Spiritual Beggars e poi c’è sempre questo basso in primo piano che contribuisce alla resa ritmica finale e ad “addolcire” il tutto. Un gioiellino di album veramente. Nulla di rivoluzionario, ma la cultura e la passione alle spalle si sentono, eccome se si sentono. 85 e appena ho tempo mi ascolto il successivo. Fosse per le prime 4 darei 90, la title-track è qualcosa di “antologico”.
sgrunf
Sabato 13 Dicembre 2014, 17.46.30
2
sottoscrivo....grande disco
Pink Christ
Lunedì 24 Novembre 2014, 17.04.28
1
Che meraviglia di album...sarà mio
INFORMAZIONI
2014
Inverse Records
Stoner
Tracklist
1. Night of the Waking Octopus
2. Abomination Jungle
3. The Man Who Lived Before
4. Tower Witch
5. Forest of the Great Unknown (Intro)
6. Soulway Station
7. Evil Absolute Blues
8. El Chupacabra
9. Kingdom Falling
Line Up
Kari A. Killgast (Voce)
Saku Hakuli (Chitarra)
Pasi Hakuli (Basso)
Timo “Ringo” Karvonen (Batteria)
 
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