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19/04/24
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Blut Aus Nord - Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry
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Blut Aus Nord è un concept artistico. Non abbiamo bisogno di appartenere ad una specifica categoria di persone per esistere. Se il black metal è solo questo eversivo sentimento e non un predefinito stile musicale, allora Blut Aus Nord è un gruppo black metal. Ma se dobbiamo essere paragonati a tutti questi infantili clown satanisti, allora lasciateci lavorare fuori da questo patetico circo. Questa forma d'arte merita qualcosa di diverso che queste mediocri band e la loro vecchia musica composta da qualcun altro dieci anni prima. Vindsval
UNA NUOVA TRILOGIA? L'evoluzione dei Blut Aus Nord è stata una cometa dai tratti lirici quanto alienanti nel panorama metal contemporaneo, estranea a tendenze di sorta, spiccatamente personale e riconoscibile. Il trademark della band, tolto il mitologico capitolo primo dai solchi ambient, si è sempre mosso tra un'anima maggiormente industrial, aggressiva e grottesca (di cui The Work Which Transformed God è la summa massima), ed una seconda più dilatata, cupa ed esasperata, maggiormente tendente all'atmospheric black metal, che in Memoria Vetusta I: Fathers of the Icy Age ha visto il proprio principio. La recente infernale trilogia ha posto, invece, l'asticella teoretica del gruppo ancora uno scalino più in là, in un tentativo di destrutturazione del black metal che partisse proprio dal suo etimo più assordante e categorico, toccando le avanguardie più malsane del presente come Godflesh, Amenra o The Axis of Perdition, o del passato come Scorn e Head of David. Insomma, l'obiettivo iconoclasta era una sintesi evolutiva del genere che non prendesse come paradigma il passato per muoverlo solo un po' più in là, ma lo piegasse entro uno schema di tesi-antitesi per fargli raggiungere un intero, inaudito stadio concettuale. Vista la sempre imprevedibile cornice, cosa potersi aspettare dal terzo capitolo Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry? Sintetizzando, si può dire che le gesta dell'ultimo album si siano maggiormente stabilizzate ed abbiano virato verso un sound maggiormente volto alla tradizione come paradigma che come materia prima malleabile. Scelta che, per altro, è abbastanza in controtendenza rispetto agli altri due lavori del gruppo targati 2014, l'EP Debemur MoRTi e lo split con i P.H.O.B.O.S., i quali spingevano un po' di più sull'acceleratore in termini di sperimentazione (soprattutto Triunity, ponte ideale tra la trilogia ed il terzo stadio di Memoria Vetusta, reale incisione sonora sulfurea, è uno fra i lavori più ispirati della carriera di Vindsval). Resta solo da sciogliere un'ultima questione prima di procedere ulteriormente. Come i più attenti ricorderanno, sulla copertina di Memoria Vetusta I: Fathers of the Icy Age compariva la seguente scritta: "This act is the first act of a concept divided in two parts. The second and final act will be entitled Memoria Vetusta II (Dialogue with the stars)... Wait and see...". E pure, recentemente, Vindsval ha ricordato sulla propria pagina Facebook che Memoria Vetusta non è una trilogia. Come intendere, quindi, Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry? Dubbio che non è un dubbio, almeno a parere di scrive, dal momento che un artista ha l'unico dovere di essere fedele alla propria creatività, con buona pace di chi vorrebbe la rappresentazione artistica per forza credibile o coerente. Al di là di ogni categorizzazione, per altro, è innegabile che Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry non riprenda stilisticamente lo stesso guitar-work e le stesse atmosfere interrotte con il precedente, secondo capitolo, e quindi come tale prosecuzione verrà considerato in sede di recensione.
COSMOGONIA Allo stato attuale delle cose, l'astrazione del genere black metal portata verso le sue più alte implicazioni filosofiche l'hanno toccata negli ultimi anni Gris, Deathspell Omega, Altar of Plagues e Blut Aus Nord. Ma se, lasciando fuori dal discorso per un attimo le tensioni neoclassiche dei canadesi, gli Altar of Plagues non hanno mai fatto mistero delle proprie influenze post-hardcore e post-rock, mentre i Deathspell Omega hanno unito al proprio bagaglio black (molto sterile agli albori) delle geometrie mathcore, lungo le più malate atmosfere atonali sludge e industrial si è plasmato il rapsodo Vindsval. Come dire: il fine apocalittico e di rottura di tutte e tre le band è probabilmente il medesimo, mentre cambia la modalità di linguaggio. La musica di Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry, come detto, è tuttavia più tradizionale. Il riffing è carico di reminiscenze degli anni Novanta, a volte più grezzo come in Nattens Madrigal (Tellus Mater), ma in generale decisamente melodic-oriented, sulla scia dei Dissection. L’atmosfera complessiva è meno nevrotica e fobica, meno violenta sulle psiche rispetto al passato; la stessa riprende qualcosa dal secondo capitolo della trilogia (Epitome X, Epitome XII), di più dal terzo, pure se in generale il sound è meno denso e platonico, ma più dilatato e ramificato, affrescando paesaggi romantici tali da far impallidire Hölderlin per la sconfinata percezione e poeticità. La musica è un lembo onnicomprensivo, una sorta di Sturm und Drang wagneriano. La matrice appena accennata è suggerita già dall'evocativa copertina ad opera di Necrolord, simile a quella di In the Nightside Eclipse: l'impattante differenza cromatica tra le due suggerisce una sensazione di ieraticità e minacciosità in quest'ultima, mentre la prima si perde invece tra le gradazioni di verde (colore del quale l'occhio umano percepisce il maggior numero di sfumature in assoluto) maggiormente misteriose e sconfinate.
Dopo un preludio cosmico d'ambiente, l'album decolla con l'attacco ferale (comune a tutte le tracce del disco) di Paien, una versione più cruda di The Meditant (Dialogue With The Stars). La batteria smarrisce quel massacrante carattere sintetico, per perdersi invece dietro le rullate e le doppie casse più umane e old school del preciso e veramente espressivo batterista italiano Gionata Potenti (lo stacco di batteria in Henosis a 3:41 è memorabile), tra le quali affiorano, tra indecifrabili gorghi sonori delle melodie chitarristiche in delay e tremolo, charleston aperti e chiusi. Ma il marchio di fabbrica di ogni album targato Blut Aus Nord resta il dissonante ed al tempo stesso epico guitarwork del mastermind (Forhist è da pelle d'oca), spesso adagiato su scale diatoniche dalle alte tonalità, le quali creano degli intrecci e stratificazioni siderali con i tremolo e i temi della ritmica sullo sfondo ed eventuali raddoppi di melodia di una terza sei corde accompagnata dall'effettistica, in un labirintico turbinio di accenti e battute. Le atemporali e pluridimensionali ambientazioni del secondo capitolo vengono riprese in un'ottica ancora più primordiale e fredda in questo terzo sigillo, ma anche più terrena, in apparente contrasto con un approccio strumentale caldo e analogico come non mai nella discografia dei francesi. La maligna ugola di Vindsval sfuma spesso verso un cantato in clean un'ottava più alto, dai tratti solenni e maestosi (Henosis soprattutto), e cristallizza una prova del cantante intensa come non mai. Tematicamente gli appassionati più devoti al gruppo e al genere, sapranno già di trovarsi di fronte ad ambientazioni sconfinate, teogoniche, democritee, le quali necessitano di scarse esplicazioni, visto il consolidamento ormai decennale di certe frange più sperimentali del black metal su questi temi. Volendo solo descriverle tramite un'ulteriore similitudine pittorica, l'ascoltatore si ritroverà immerso tra i cenni omerici di un quadro di Turner, Böcklin o Aizakovskij, sospeso nell'oblio tra bellezza e violenza, tra catarsi e tragedia, avvolto nel limbo cosmico della più pura forza di ogni sentimento percepibile. La diegesi musicale dell'aedo francese trasmuta senza alcuna direzione diacronica lungo sette tracce e tre quarti d'ora di musica, ma, ciclicamente sincronica, pare fare proprie le istanze nietzscheane di un eterno ritorno. Le linee di basso risultano a tratti troppo rapsodiche nel maelstrom sonoro del disco (lontane da quelle calde del sei corde di Memoria Vetusta I: Fathers of the Icy Age), anche a motivo del sistematico utilizzo del plettro, mentre le tastiere segnano maggiormente lo sviluppo dei brani, soprattutto nelle sezioni dove le chitarre cedono un po' il passo (vedasi Metaphor of the Moon).
EPITOME In definitiva l'album dei Blut Aus Nord non modifica alcuna fra le caratteristiche attitudinali del sound del gruppo. Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry, infatti, assieme al recente Darkspace III I, plasma forme di alienazione abbastanza intrusive per la psiche umana, annichilita di fronte al divino, ma al tempo stesso tutt'uno con il medesimo. Personalmente ho vissuto tre fasi nell'ascolto di questo album secondo una cronistoria tipicamente hegeliana: durante una prima tornata di ascolti ho trovato Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry troppo attaccato all'esistente, in una certa misura persino prevedibile; dall'altro lato, dopo una seconda quartina di ascolti, le sinapsi hanno iniziato a metabolizzare i dialoghi tra le cuffie circa chorus e pitch shifter delle chitarre, le sovrapposizioni melodiche delle tastiere sull'oceano di frequenze delle sei corde, l'onnipervasiva e più intellegibile metrica della batteria, in generale tutti quei "microsuoni" sullo sfondo sonoro dell'opera, ed il voto si sarebbe voluto spingere verso lo zenit; la sintesi è giunta al decimo ascolto (circa), quando la lettura dello scenario artistico del gruppo si è fatta via via più consapevole, omogenea con il passato discografico della band, e non esente anche da qualche difetto, come una certa prolissità in cui alle volte ha indulto troppo vanitosamente Vindsval. In generale, a fronte del presente Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry, sento di poter fare due affermazioni generali: - i Blut Aus Nord con quest'album hanno deciso di concentrarsi maggiormente su quello che sanno fare meglio nel filone melodic/atmospheric black, prendendo spunto dai canoni più eleganti ed avvolgenti del passato, allo scopo di realizzare un album maggiormente stabile in termini artistici; per converso, e di conseguenza, Memoria Vetusta III: Saturnian Poetry scardina meno incisivamente gli stilemi del black metal (sempre se di "semplice" black metal si possa ancora parlare) rispetto a quanto i transalpini abbiano fatto in passato; - dall'altro lato, se qualcuno mai vi chiedesse di identificare la band più influente degli ultimi quindici anni nel genere più estremo del metal, rispondendo Blut Aus Nord potreste essere sicuri, per lo meno, di non aver fatto la scelta sbagliata.
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11
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Un album semplicemente meraviglioso. Strega al primo ascolto. |
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10
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Più tradizionale di altri, diciamo non sperimentale, ma comunque un grandissimo album. Uno dei molti all’interno di una discografia con tante sfaccettature. Spettacolare Forhist e gli ultimi due pezzi. Grandissima band. Voto 87 |
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9
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Complimenti per la recensione.
Non sono d’accordo con il voto: 90 per me.
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8
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Questo album in effetti e' quello che mi piace di meno,dei blut aus nord.quello meno innovativo.comunque band stratosferica! |
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7
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Grandissimi i BAN, la loro discografia è imponente da ultima thulèè a quest'ultimo, coerenti sempre nel sfornare capolavori uno dopo l'altro. Snobbati molti... La mancanza di interventi ne è un esempio, e il voto del redattore non aiuta affatto la visibilità dei nostri... Non sono il gruppetto della domenica che cerca di sbracciarsi in mezzo la scena... Loro sono all'apice e saturniani poetry lo conferma. Voto 96. |
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6
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Non ho ban capito perchè una valutazione così "bassa" (rispetto alla loro media). p.s. non è un insulto il mio, anche perchè, con molta probabilità, non ho capito nulla io. |
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5
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Disco spettacolare; la vena mistico-narrativa di BAN trova naturale canale espressivo nelle trilogie ("777", "What once was" e ora "Memoria vetusta") proprio perché veste melodico-armonica e ricerca lirico-concettuale sono elementi che compenetrandosi plasmano la produzione musicale dei Nostri (meglio forse del Nostro). La batteria acustica, novità rispetto alle recenti uscite, introduce nel gelo artico degli scenari dipinti un elemento di presenza umana che permea lo spazio fra musicista e ascoltatore garantendo al platter musicalmente un "calore" nuovo e tematicamente una maggiore "penetrabilità" del concept rispetto alla recente produzione dei transalpini. Voto 90. P.S.: concordo con nellpower nel giudizio sull'ultimo Abigor, straconsigliato, e mi unisco a De La Hoz nei complimenti al Lupo Selvaggio. |
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4
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Bellissimo come l'ultimo Abigor. Gruppi mai troppo considerati, ma che secondo me hanno fatto cose fantastiche. |
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3
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Ascoltato un paio di volte all'inizio, mi lasciò tiepido, pensai subito di essere di fronte al più debole dei tre MV. Lasciato da parte per un mesetto e poi ripreso senza peraltro aspettarmi granché: BOOOOM!! In una settimana si è fatto come minimo una decina di giri e non accenna a smettere. Non è un disco da sussulto immediato, ma col tempo sa ripagare eccome... Clarissima Mundi Lumina è una chiusura spettacolare. Per me si aggira intorno al 90. |
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2
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non vedo l'ora di ascoltarlo. un progetto artistico davvero interessante i Blut Aus Nord. Ottima anche la recensione, complimenti. |
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INFORMAZIONI |
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Debemur Morti Productions
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Tracklist
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1. Prelude 2. Paien 3. Tellus Mater 4. Forhist 5. Henosis 6. Metaphor of the Moon 7. Clarissima Mundi Lumina
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Line Up
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Vindsval (Voce, chitarre, basso, tastiere) Thorns (Batteria)
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RECENSIONI |
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