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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi - L’infinito
Si tende a pensare ad un album metal, specie se estremo, come ad un latore di violenza sonora ed inconscia, ad uno stimolo verso l’abbattimento della repressione nascosta nelle viscere che ogni essere umano porta come fardello sin dalla propria nascita, ad un utile mezzo per eludere la schiavitù della frustrazione quotidiana; la violenza può essere una boccata d’ossigeno per ritrovare, nella cacofonia, la forza di urlare al mondo le paure, le insicurezze, gli orrori che nel vivere ti abbracciano per trascinarti verso l’abisso. La norma vuole questo, dunque: utilizzare un mezzo quale la musica estrema per sfuggire ai singoli pensieri, al quotidiano, senza che nessuno ti possa puntare il dito contro. Ma se ad un certo momento della vita ci si imbattesse in un album in grado di suscitare in noi emozioni completamente diverse dal normale cosa succederebbe? La frustrazione diventerebbe liberazione, l’agonia ringraziamento e gli abissi minacciosi una culla: metamorfosi che, leggere, ti accarezzano in un mare nero mentre tu rilassato vai alla Derivae.
Nero di Marte oggi è un nome conosciuto nell’ambito underground, una band che nel giro di pochissimo tempo è riuscita a riscuotere innumerevoli consensi, tanto in patria quanto all’estero, grazie al precedente album omonimo . Oggi, a distanza di poco più di un anno e mezzo, il secondo capitolo della saga prende vita attraverso canzoni già composte ancora prima che l’album precedente uscisse, riarrangiate e portate a compimento in base alle linee guida tracciate in precedenza, che offrono una visione completamente nuova del gruppo, una rivoluzione sull’asse musicale verso il lato oscuro. L’intimo ed il personale prendono forma, togliendo la scorza di granito che prima le rinchiudeva in un involucro tanto rigido e compatto quanto impercettibilmente fragile. Possiamo definire questa evoluzione come una semplice “questione di tempo” o una presa di consapevolezza, perché le canzoni appaiono tanto diverse quanto coinvolgenti; qualcosa è cambiato nell’approccio musicale perché, pur rimanendo all’interno dello stesso lasso di tempo compositivo, Derivae è qualcosa di distante anni luce, viaggia nella stessa galassia ma su linee parallele. Ad un primo approccio, già qualche secondo dopo avere premuto il tasto play, il coinvolgimento in quest’opera diventa empatia metafisica, e viene da guardare verso il cielo per controllare che il sole non si sia oscurato realmente; Sean, con una catacombale voce, racconta la disgregazione delle certezze umane; Marco impreziosisce una performance da applausi con tocchi leggeri e vellutati sui tom mentre il ride prende fiato; le spirali dissonanti, le distorsioni e i cambi di fraseggio di Francesco sono impulsi elettrici diretti alla corteccia, ipnotici come un loop in procinto di prendere forma, mentre Andrea cementa le pesantezze dei bassifondi. Dilatazione dei tempi e furia cieca sono le due mentalità contrastanti apprezzabili in ogni traccia: esiste un metodo all’interno della composizione musicale, un brainstorming che non offre solamente improvvisazione e feeling strumentale, ma una innata capacità di materializzare le visioni interiori. Quante volte è capitato ad ognuno di voi di avere una melodia in mente e di cercare di scriverla proprio come desideravate, senza mai afferrare quell’attimo di perfezione sonora? Sfortuna, o fortuna, vuole che qui dentro i sogni si materializzino, aggrappandosi a quello spigolo che può allontanarci dall’oblio. Queste coordinate vengono riproposte lungo molteplici passaggi nel corso dell’album e chiudendo gli occhi la sensazione di essere cullati da un moto costante che ti trasporta prima qui, poi lì e infine lontano, oltre l’orizzonte, aumenta a dismisura. Un flusso continuo tra rallentamento ed impeto si lascia ascoltare subendo le nefaste cause della psichedelia intrinseca: L’Eclissi piuttosto che Pulsar o la conclusiva Those Who Leave sono pezzi unici, che rendono fin troppo arduo portare alla luce un ipotetico metro di comparazione che definisca l'una migliore dell’altra. Bisogna prendere Derivae come un organico gigante che, poggiando i piedi pesanti, crea crateri a terra, cerca di correre lontano ma viene sempre ripreso dalla sua stessa ombra, che buia gli impedisce la ricerca della strada verso la salvezza. Questo mastodonte utilizza la versatilità dei Gojira più moderni, destrutturando il nocciolo compositivo in seno al gruppo; afferrato un nemico trova la sua nemesi, gli strappa la pelle per lasciare in superficie quei brandelli di carne che rimandano al monicker Neurosis. L' inchiostro sulla pelle diventa un monito per portare avanti ciò che i grandi maestri insegnano da oltre due decenni: soffrire può essere liberatorio. Proprio il cantato interrompe i silenzi dilatati dei minuti saturi di visioni per raccontare il dolore: la voce è roca, graffiante, e tanto basta per rendere i testi degli inni al male di vivere. Leggere, nel mondo di oggi, è quasi un vizio capitale e guai a comprare musica e parole: l’ascoltatore non deve immedesimarsi, non può, data l’intimità del progetto. Qui ci sono cinquantasei minuti di violazione, negazione ed una richiesta d’aiuto al globo terracqueo che diventa un grido nell’eternità; la non chiarezza è voluta, cercata e desiderata per offuscare una troppo facile lettura, inadatta a questa opera. La batteria lontana, le chitarre filtrate ed il basso ovattato portano alla chiusura del cerchio: registrare in analogico e creare prodotti musicali all’altezza delle moderne iperproduzioni è possibile, ed è possibile anche andare oltre, poiché oggi più che mai per far nascere la passione è indispensabile sentire quello che viene suonato. Cinquantasei minuti dicevo, solo sette canzoni che diventano quattordici se durante l’ascolto si riesce a leggere il proprio passato: i ricordi riaffiorano ed ogni brano si fonde con l’esperienza personale di ognuno di noi, con una complicità eterea.
Non si tratta di patriottismo e nemmeno di supporto incondizionato e cieco; questa recensione è pura constatazione. Avere in casa una delle grande scoperte degli ultimi anni, con un potenziale che ha ancora tanto da esprimere, è una fortuna che capita rare volte nell’arco di una vita. I margini di miglioramento sono palpabili ed è inverosimile pensare che alla loro età il meglio sia già stato scritto: probabilmente questo è un concetto poco chiaro in ambito metal, dove si tende a credere che tutto ciò che è creato in gioventù sia il meglio di un'intera carriera, ma non si tratta che della semplice verità. Con Derivae i Nero di Marte hanno creato un’opera che non è né meglio né peggio del precedente sviluppo, è semplicemente la stessa magia riproposta su un tracciato parallelo: la si può chiamare evoluzione o presa di coscienza, ma questa è arte pura, creata dal cuore con uno sguardo verso il futuro che, a conti fatti, oggi appartiene a loro.
Si fa strada come una nube inattesa quando tutt'attorno è sereno Se nei suoi bui riflessi tutto il pazientemente ordinato cedesse con uno schianto se tutto finisse qui Se il sognato, il costruito Il passato ed il solo sperato Il compiuto, l'irrealizzato Se tutto finisse qui Tu rimarresti ?
L’eclissi
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17
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non c\' è niente di peggio che includere stupide citazioni dove non centrano una mazza. |
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16
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una delle poche band italiane senza il voto gonfiato dal recensore... (e bisognerebbe finirla con questa storia).
Questi ragazzi sono semplicemente mostruosi, probabilmente la band migliore del genere, dopo i mostri sacri. Spero che a livello internazionale si facciano sentire, sono tra i pochi a meritarlo (mi vengono in mente anche i The Secret, band black di Trieste). |
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15
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Molto più cervellotico e introspettivo dell'esordio, che invece era più diretto. Da un punto di vista di sound questo presenta una maggiore componente post metal e un'amalgama maggiore tra gli strumenti. Singolarmente, buona la prova del Bolognini (su "Nero di Marte" da applausi scroscianti) e ovviamente bravi anche gli altri. In definitiva una ottima conferma e una grande prova di maturità dei bolognesi, anche se per me il primo resta superiore per originalità e impatto. Voto 86 |
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14
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Disco mostruoso, enorme, variegato.. Li ho scoperti da poco e mi hanno letteralmente ipnotizzato. Fantastici, 90 pieno |
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13
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Ce l'ho nelle orecchie da circa 24 ore, troppo poco per esprimere un giudizio, ma finora non ci ho capito un cazzo! Non so cosa mi aspettavo, si percepisce alla prima nota che sono loro ma qualcosa suona diverso. Profondamente diverso, come scritto giustamente nella recensione. Ripasserò più avanti, per ora non l'ho ancora capito. PS. Ho notato che nei credit del disco vi è Rami Ali (qui meglio conosciuto come Nagash) come una delle persone che ha aiutato la band dopo il furto degli strumenti: una cosa che gli fa onore, complimenti! |
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12
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Mi sembra veramente un disco che merita molta attenzione e mi intriga parecchio. E' un mio difetto, lo so, ma di solito diffido sempre degli album che ci vuole tempo per assimilarli o che vorresti fartelo piacere perché tutti ne parlano bene ma in fondo non ti piace. Mi è già capitato con roba super incensata su questa zine ma mai digerita. Qui siamo "on the edge". Però vedrò di ascoltalo ancora a fondo. Magari è veramente un capolavoro. Au revoir. |
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11
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Ottimo disco, mi aspettavo un miglioramento dal debut e non sono stato deluso. In numeri direi un 85. |
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10
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Una grandissima band, probabilmente tra le migliori che abbiamo in Italia, meritano ogni soddisfazione che si son tolti e che, ne sono certo, si toglieranno (come gli entusiastici complimenti di Luc Lemay dei Gorguts, che li ha voluti con sè in tour, e scusate se è poco). |
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9
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Premesso che si tratta di un disco fenomenale, ho preferito il primo. Quel connubio death/post era a mio avviso perfettamente equilibrato. La voce era piú incisiva, la musica aveva piú spigoli (ribadisco, nella giusta misura), e non c'era nessun calo (qui in diversi punti i pezzi non sembrano decollare come dovrebbero, per non parlare di Dite che non riesco proprio ad apprezzare). Detto ció, questo era il giusto album da fare dopo il debutto. Una strada in avanti, una progressione continua, anche se magari talvolta il passo é piú lungo della gamba. Avercene di piú, di gruppi cosí. |
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8
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La qualità non si discute, ma li trovo fin troppo raffinati per i miei gusti |
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7
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E' una vita che lo dico: questa è una grande band!!! |
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6
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Ascoltato 3 volte su bandcamp, cosa posso dire?. "non e' patriottismo e nemmeno di supporto incodizionato o ceco", ecco sottoscrivo alla lettera le parole di Andrea nella rece, non ci sono parole, solo, lasciate che questa meraviglia penetri le vostre orecchie. L'Italia non ha niente da invidiare al metal straniero, si fa del metal di ottima qualita', e questo lavoro lo dimostra.Da avere ,o presto o tardi, bravi ragazzi.ottimo lavoro. ECCEZIONALE. |
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5
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Bravi, doppiamente perché italiani. |
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4
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è come con gli opeth: sai che è qualcosa di grande, ma non è immediato, e per capirlo è richiesta una dedizione che verrà ampiamente ripagata solo dopo numerosi ascolti. immensi. |
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3
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Concordo con il recensore (bellissima rece tra l'altro) quando dice che i loro due album sono inconfondibilmente loro ma estremamente diversi - difatti il primo non rientrava del tutto nei miei gusti. Sull'album che dire, è semplicemente fenomenale, mi ha emozionato come non mi succedeva da tempo, e ad oggi la ritengo una delle migliori uscite del 2014, se non La migliore. Voto giustissimo. |
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2
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non dico che sia brutto, e un ottimo album, però mi sembra che ci siano sensanzionalismi esagerati nei loro confronti, ma visto che vengono da più parti, proverò ad ascoltarlo un altro pò. Per ora mi pare un buon post metal, ma lontano da vette raggiunte da altri gruppi (isis sopratutto per quanto mi riguarda). Per ora direi che 80 max sia il voto più appropiato. |
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1
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Un album sensazionale, tra i migliori dell'anno, per una delle band più creative e meritevoli che abbiamo in Italia. La recensione è ottima, ha il pregio immenso di cogliere l'essenza del disco nel contenuto e nello stile. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. L'Eclisse 2. Clouded Allure 3. Pulsar 4. Dite 5. Simulacra 6. Il Diluvio 7. Those Who Leave
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Line Up
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Sean Worrell (Voce, Chitarra) Francesco D'Adamo (Chitarra) Andrea Burgio (Basso) Marco Bolognini (Batteria)
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