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CIRCOLO DEV , VIA CAPO DI LUCCA 29/3G - BOLOGNA

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ALCHEMICA MUSIC CLUB, VIA DEI LAPIDARI 8B - BOLOGNA

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Swallow the Sun - Ghosts of Loss
( 3082 letture )
Falling from my life deep to the sea
Drowning from living to the depths of me
Like the water that burns in my lungs
And the light that slowly fades above me
I'm bleeding rivers and they carried me to the sea
Crushing in this pressure, turning to stone...


Esiste per il genere umano una regola non scritta.
Una costante universale insita nel codice della vita, impossibile da eliminare o evitare e che in un modo o nell'altro ci condizionerà, contribuendo -nella sua severità- a formarci nel modo più crudele possibile: la perdita.
Nessuno di noi può infatti portare a termine il suo viaggio in questo mondo senza soffrirne una e non possiamo sperare di sfuggire ad una simile esperienza, almeno quanto non possiamo sperare di sfuggire alla morte noi stessi.
Che sia un genitore, un parente o un amico, prima o poi ci toccherà piangere per qualcuno, rimanendo impotenti di fronte ad una delle estreme manifestazioni dell'esistenza umana.
Si tratta di ferite che raramente guariscono, portatrici di un dolore che può diminuire con il tempo ma mai scomparire.
Un dolore che spalanca le porte della nostra anima ai fantasmi.
Frammenti di ricordi che ci colgono impreparati, visitandoci nel cuore della notte o nella luce di mezzogiorno, inaspettati, imprevedibili, scatenati da una sensazione, un odore o un suono.
Una lunga lista di inneschi che la nostra mente è pronta a connettere, riportando sulla superficie di quell'oceano che è la nostra psiche dolori che erano sprofondati negli abissi, senza mai annegare del tutto.

È un dipinto tanto oscuro quanto veritiero quello realizzato dagli Swallow the Sun ormai dieci anni fa e anche risentendolo dopo tutto questo tempo Ghosts of Loss continua a rimanere un altro importante punto fermo nella discografia della band di Jyväskylä, uno di quei dischi che gli amanti del doom non dovrebbero assolutamente perdere.
Piacciano o meno, questi finlandesi sono sempre riusciti a mettere in musica il dolore in un modo estremamente personale ed immediatamente riconoscibile.
Il loro messaggio infatti passa attraverso un death doom monolitico nella spina dorsale, che però si sviluppa in mezzo ad inconfondibili atmosfere cupe (l'inglese rende molto più poeticamente il concetto con la parola gloomy) ed eteree, grazie ad una combinazione sapiente di elementi messi insieme dal geniale mastermind Juha Raivio.
È proprio il lavoro delle chitarre di Raivio e Jämsen a spiccare come uno dei -nerissimi- fiori all'occhiello dell'album: i due chitarristi finnici infatti dimostrano una grandissima versatilità nella scelta degli arrangiamenti, che si snodano tra quegli onnipresenti e struggenti arpeggi -acustici e non- che sono da sempre uno dei punti di forza di Raivio (già l'apertura di The Giant ne è un ottimo esempio) e le ritmiche serrate che riescono a trasmettere sia il senso di incertezza impendente, sia una cattiveria che trasuda oscurità da ogni vibrazione, difficile spiegarlo a parole, ma se ascoltate l'attacco e il riff portante di Psychopath's Lair penso capirete.
La sezione ritmica non abbassa minimamente il livello: dietro le pelli Pasi Pasanen dimostra di sapere il fatto suo, proponendo delle linee che reggerebbero già perfettamente da sole lo scheletro del cd (pur non essendo tanto estreme come quelle che proporrà il suo successore Kai Hahto). I filler son sempre piuttosto vari e anche le sfuriate di doppio pedale sono sempre state inserite con sobrietà nei punti più adatti, l'unico difetto è rappresentato dall'impossibilità di cogliere appieno le dinamiche della sua esecuzione a causa di qualche difetto di produzione.
Al basso invece Matti Honkonen è autore di una prova decisamente solida, purtroppo anche lui viene un po' penalizzato -come vedremo- dalla citata produzione, ma quello che riusciamo a sentire ci dimostra quanto il bassista finnico sia capace a livello tecnico (molto più di quanto non faccia capire di primo acchito) e nell'indovinare delle linee che legano a meraviglia la batteria con gli altri strumenti.
Un po' indietro a livello di volume si trovano anche le tastiere di Aleksi Munter, forse il membro meno in evidenza dell'intera line-up in questo disco, ma che con il suo apporto contribuisce in maniera fondamentale a completare quelle atmosfere che senza le sue tastiere suonerebbero decisamente monche.
A completare il palazzo con l'ultimo -fondamentale- mattone ci pensa Mikko Kotamäki, che -come al solito- è autore di una prestazione che trasuda dolore e rabbia da ogni singola parola.
Anche in Ghosts of Loss non manca sia la sua naturale capacità di interpretare i brani in modo estremamente intenso, sia quella versatilità che lo contraddistingue da sempre: dai puliti sgraziati e sofferenti, al growl più profondo, passando per quello screaming dal timbro acido che non manca in nessun disco degli Swallow the Sun.
Una prova sopra le righe che impreziosisce ulteriormente un già ottimo album.

La produzione di Ghosts of Loss è invece buona ma per molti versi perfettibile.
Chi l'ha curata ha optato per un mixaggio piuttosto sporco che risulta però in fin dei conti appropriato, soprattutto nelle parti death più tirate; la parte dello spettro più bassa è ovviamente la più densa e visti il genere e le chitarre in drop C era prevedibile.
Giustamente, proprio quest'area non è stata troppo toccata, cosa che ha contribuito ad appesantire a meraviglia l'atmosfera, anche se ha lasciato qualche leggera risonanza innescata dal corpo del rullante.
Nel complesso le chitarre ritmiche sono rimaste comunque distinguibili nonostante i suoni sporchi, lo stesso vale per le soliste e per tutti gli altri elementi, fatta eccezione per il basso che tende un po' a perdersi proprio in quella gran mole di basse frequenze di cui parlavo (tranne che per le linee più acute) e per le tastiere lasciate -credo volontariamente- un po' indietro ma comunque ad un volume tale da riempire correttamente il sound.
La batteria sembra nel complesso ben impostata, per quanto molto asciutta in quasi tutti i suoi pezzi, impressione forse aggravata dall'eccessiva compressione in fase di mastering, che ha restituito un suono potente ma povero di transienti e dunque con delle dinamiche in parte rovinate.

Non c'è molto altro da aggiungere per parlarvi di Ghosts of Loss, se non che gli Swallow the Sun sono stati e sono tutt'ora uno di quei gruppi in grado di interpretare il genere con una classe assoluta e con una personalità non comune (basti sentire i livelli raggiunti con l'ultimo Emerald Forest and the Black Bird).
Nella loro ottima discografia questo disco non rappresenta certamente un'eccezione, ragion per cui merita di essere riscoperto senza indugi.

Please open your eyes
Please don't fade away
I won't let you leave me
I'll follow you through it all
Wherever it will lead me
I will follow...



VOTO RECENSORE
82
VOTO LETTORI
91 su 2 voti [ VOTA]
Le Marquis de Fremont
Venerdì 6 Marzo 2015, 13.16.57
4
Si esatto, Monsieur Red Rainbow, avevo notato anch'io questa poca evidenza delle tastiere in questo album. Però stiamo dissettando di dettagli, rispetto alla proposta complessiva della band. Hanno poi recuperato, con Emerald Forest and the Blackbird. Band immensa, altro che Nightwish... Au revoir.
Red Rainbow
Giovedì 5 Marzo 2015, 21.34.50
3
Ovviamente d'accordo con Le Marquis, si sta parlando di una delle mie band imprescindibili... Aggiungerei che oltre a trattare temi profondi hanno nei testi un tasso di poesia allo stato puro decisamente fuori dal comune (quel "saper mettere in musica il dolore" di cui parla Room). Di tutta la loro discografia, questo GOL è forse quello a cui sono meno legato proprio per uno dei motivi indicati nella rece, cioè le tastiere non valorizzate al meglio, un peccato mortale quando dietro ai tasti puoi annoverare un semidio come Aleksi Munter. E' solo un piccolo, piccolissimo, lillipuziano dettaglio, ma bisognerà pur trovare qualche difetto, a questi Mostri....
hj
Giovedì 5 Marzo 2015, 13.51.30
2
concordo con il marchese, ma si può dire sempicemente che sono semplicemente un mix di opeth katatonia e amorphis?
Le Marquis de Fremont
Giovedì 5 Marzo 2015, 13.41.20
1
Questa è una grandissima band che fa musica di livello elevato, sia come songwriting che come sonorità in generale. L'ultimo, Emerald Forest and the Blackbird è veramente eccellente. Trattano temi profondi e questo è un punto a favore. Ma è la musica, ad essere la parte più accattivante. Da ascoltare senza nessun dubbio. Au revoir.
INFORMAZIONI
2005
Firebox Records
Death / Doom
Tracklist
1. The Giant
2. Descenting Winters
3. Psychopath's Lair
4. Forgive Her...
5. Fragile
6. Ghost of Laura Palmer
7. Gloom, Beauty and Despair
8. The Ship
Line Up
Mikko Kotamäki (Voce)
Juha Raivio (Chitarra)
Markus Jämsen (Chitarra)
Aleksi Munter (Tastiera)
Matti Honkonen (Basso)
Pasi Pasanen (Batteria)
 
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