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Captain Beefheart and His Magic Band - Safe as Milk
( 3273 letture )
Di esempi relativi ad artisti che non sono mai stati valutati compiutamente come davvero importanti per ciò che hanno fatto in carriera -almeno da parte del grande pubblico- ne abbiamo fatti a bizzeffe e probabilmente molti altri ne faremo. All’interno della categoria dei “bravo, però...”, possiamo certamente annoverare anche Captain Beefheart. Con la sua Magic Band, invece, l’artista in questione (perché di vero artista a tutto tondo stiamo parlando), ha prodotto alcuni dischi assolutamente fondamentali per la storia della musica contemporanea, partendo da quello qui recensito prodotto da Frank Zappa fino ad Ice Cream for Crow del 1982, prima di dedicarsi definitivamente alla pittura, troppo deluso dal costante insuccesso di pubblico delle sue opere musicali.

Uscito sotto Kama Sutra Records nel 1967, Safe As Milk mostrava già un ottimo grado di maturità nell’esposizione della formula sincretica ideata dal Capitano Don Van Vliet (questo il suo vero nome), una specie di sintesi tra musica, pittura ed arti figurative in generale, mischiata con quella dose di follia anarco-genialoide tipica di certi artisti che, non per nulla, vengono ignorati dalla massa che per definizione tende alla mediocrità od esaltati post mortem, magari perché “fa figo” e non per reale convinzione. In realtà Captain Beefheart and His Magic Band avevano già fatto uscire un paio di singoli per la A&M, ma una major non poteva che scaricare subito dei tipi così allucinati e, di conseguenza, fu la Buddah Records a metterli sotto contratto per poi farli incidere col marchio di una controllata, ossia la Kama Sutra. Coadiuvato da una formazione sempre molto mobile (il nuovo batterista John French era appena arrivato) e giovandosi della presenza nella stessa di un giovanissimo Ry Cooder poi blues-man di altissimo livello e con Doug Moon che se n’era appena andato, Captain Beefheart riuscì a produrre uno dei dischi più classici e contemporaneamente più rivoluzionari della storia del rock. Safe As Milk poteva anche essere inteso come disco blues, ma in questo caso doveva essere classificato come uno dei più atipici mai registrati. La canzone d’apertura Sure ‘Nuff ‘N Yes I Do era già una destrutturazione di uno standard come Rollin’ and Tumblin, reso completamente freak (ma attenzione, nonostante l’amicizia, l’approccio freak zappiano era completamente differente) e soffocato/esaltato da un uso dello slide soverchiante, da una batteria che avrebbe fatto inorridire i blues-man del delta e dalla voce “pennellata” di Van Vliet, che producevano un blues-non blues che il mondo non aveva ancora ascoltato. A proposito della voce, spesso questa è stata posta in secondo piano rispetto al pacchetto completo della proposta, per così dire, ma è giusto notare come l’estensione del nostro fosse notevole e come la teatralità immaginifica con la quale la portava dal blues vero e proprio ad eccessi che difficilmente l’avrebbero resa gradita al pubblico medio (che infatti non la gradirà mai), la rendeva ulteriormente interessante. Una grande vena ironica o, se preferite, sprezzante, emergeva dalla presenza di un pezzo che più da radio non si poteva come I’m Glad, poi disintegrato subito da Electricity, estremizzazione parossistica di tutto ciò che una ipotetica Radio 105 dell’epoca e di quel luogo non avrebbe mai trasmesso tra uno spot e l’altro. Se però volete blues elettrificati di altissimo livello, dovete puntare su Zig Zag Wanderer o su Plastic Factory. Preferite il lato simil-zappiano rimasticato in salsa del Capitano? Allora skippate da Abba Zaba a Yellow Brick Road. Volete sapere come suona inserire sonorità più latine in questo tessuto musicale? Where There’s Woman (con Taj Mahal tra gli ospiti) è la risposta. Siete più portati per i suoni più decisi del blues-rock? Provate ad ascoltare Dropout Boogie, allora. Ma se l’approccio freak anni 60 è quello che più vi attira, è la conclusiva e psichedelica Autumn’s Child a fare per voi. Tuttavia, non è la destrutturazione completa dell’album a raccontare la grandezza di questo lavoro, ma, al contrario, l’usufruirne nella sua poliedrica completezza, a restituirci l’immagine quasi su tela della grandezza del disco e dell’artista. Da notare anche i testi di alto livello scritti da Captain Beefheart in collaborazione con lo scrittore Herb Bermann, tanto che Electricity è la trasposizione musicale di un suo scritto e come i fantastici arrangiamenti siano in parte firmati da Ry Cooder, che lascerà subito dopo. A titolo di curiosità, il disco procurò loro molto rispetto da parte di un gruppetto di nome Beatles e diLennon in particolare, ma l’ammirazione non fu affatto reciproca e non mancò negli anni anche qualche episodio di attrito vero e proprio.

Captain Beefheart and His Magic Band andranno avanti esaltati dalla critica e massacrati dal pubblico fino al 1982, come detto, prima che il Nostro si scocciasse definitivamente della situazione per dedicarsi esclusivamente alla pittura e ad una vita solitaria, avendo tra i suoi ammiratori anche gente del calibro di Julian Schnabel. Anche in questo caso, la sua carriera venne inizialmente sbeffeggiata, salvo poi essere rivalutata nel tempo ed arrivare addirittura fino a farlo esporre al MoMa. Colpito da una grave forma di sclerosi multipla, si ritirò definitivamente tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, prima di morire un venerdì 17 del 2010 in California; non aveva ancora 70 anni. Da considerare come uno degli artisti più importanti e poliedrici del secondo 900, ed anche in questo caso diventato parte della cultura popolare in forma postuma, come testimonia tra le altre cose, una sua citazione da parte di Jeff Bridges in una puntata del Saturday Night Live, resta un artista ancora in parte da scoprire, almeno da parte di quel grande pubblico che così poco gli ha dato. Scontato, lo so, ma l’arte vera è per pochi e Captain Beefheart lo ha sperimentato sulla sua pelle.



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
85.38 su 13 voti [ VOTA]
No Fun
Martedì 24 Aprile 2018, 17.15.54
5
Questo disco per due mesi non è uscito dal lettore della macchina, mi aveva ipnotizzato, " electricity " poi la riascoltavo almeno quattro volte. E la chitarra di Ry Cooder della quale mi ero già innamorato sentendola in Sister Morphine degli Stones. Che roba! Prendete il blues, sentitelo, assimilatelo e quindi... stravolgetelo. Se fate così non possono che uscire capolavori, come i Gun Club, qualunque cosa di Jon Spencer, i Black Sabbath e appunto questa perla del capitano cuor di manzo.
Gilli97
Venerdì 30 Settembre 2016, 9.14.31
4
Il disco d'esordio di Van Vliet, in arte Captain Beefheart, il suo primo capolavoro, dopo il monumentale Trout Mask Replica. Come usare il blues primordiale per costruire una nuova base per il rock. Voto: 95
raven
Mercoledì 15 Aprile 2015, 13.05.42
3
Non è certo un disco da grande pubblico, oggi come ieri
LORIN
Sabato 11 Aprile 2015, 15.22.49
2
A chiunque piace la musica, non può non avere questo disco.
Slasher
Giovedì 9 Aprile 2015, 9.12.11
1
Disco fantastico! È difficile non farsi prendere dal ritmo di canzoni come "Safe As Milk" o "Abba Zabba" che sono le mie preferite del disco. Dato ci sono così tanti commenti sotto la recensione è proprio stato rivalutato dal pubblico! 😂
INFORMAZIONI
1967
Kama Sutra Records
Rock/blues
Tracklist
1. Sure ‘Nuff ‘n Yes I Do
2. Zig Zag Wanderer
3. Call on Me
4. Dropout Boogie
5. I’m Glad
6. Electricity
7. Yellow Brick Road
8. Abba Zaba
9. Plastic Factory
10. Where There’s Woman
11. Grown So Ugly
12. Autumn’s Child
Line Up
Don Van Vliet (Voce, Armonica, Marimba)
Ry Cooder (Chitarra, Chitarra slide, Basso,
Alex St. Clair Snouffer (Chitarra, Basso, Cori)
Jerry Handley (Basso, Cori)
John French (Batteria, Cori)

Musicisti Ospiti:
Samuel Hoffman (Theremin)
Taj Mahal (Tamburello)
Milt Holland (Log drum, Tamburello)
 
RECENSIONI
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