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Screaming Trees - Dust
( 5100 letture )
Non tutte le storie hanno un lieto fine e quella degli Screaming Trees riserva una coda agrodolce che ancora oggi risulta indigesta. Nati nel 1985 ad Ellensburg, un piccolo paese dello Stato di Washington ad oltre 100 Km da Seattle, gli Screaming Trees sono a tutti gli effetti una delle prime band che andarono a dare una forma e una sostanza a quella che anni dopo sarebbe stata la rivoluzione del grunge. Eppure come molte altre band che condividono con loro questo primato, non suonano affatto grunge, ammesso che usare questo termine per definire un genere musicale abbia un senso. La loro musica in effetti potrebbe definirsi psichedelia unita ad una veemente influenza hard rock, senza dimenticare un substrato di musica punk che –quello sì- accomuna tutte le band provenienti da quell’area geografica. La loro carriera inizia molto velocemente, tanto che nel 1986 il gruppo ha già registrato un demo (Other Worlds) e il primo album Clairvoyance. Arrivati troppo presto al debutto, quando una scena rock nella zona di fatto non esisteva e non esistevano neanche posti dove suonare se non facendo centinaia di Km, i ragazzi riuscirono comunque a farsi un certo seguito che fruttò nel 1990 il passaggio dalla SST Records alla major Epic Records per l’uscita del quinto album Uncle Anesthesia. Il disco non ottenne in realtà un gran riscontro, anche se fu il primo un cui singolo raggiunse un risultato in classifica, tanto che Van Conner accettò l’offerta dei Dinosaur Jr. di entrare nella band per un tour. Nel 1991 Nevermind sfondò le classifiche mondiali trascinando con sé tutta la scena di Seattle e finalmente sembrò che anche per gli Screaming Trees le cose cominciassero a girare per il verso giusto. Mark Pickerel fu sostituito da Barrett Martin e Sweet Oblivion, sesto album, fu pubblicato nel 1992. Grazie alla presenza nella colonna sonora del film Singles, il singolo Nearly Lost You ottenne un ottimo riscontro, così come il successivo Dollar Bill e le vendite si assestarono attorno alle trecentomila copie. Niente di paragonabile a quello che Nirvana, Soundgarden, Alice in Chains e Pearl Jam stavano ottenendo in quei giorni, ma comunque un gran risultato per un gruppo che era rimasto nell’ombra fino a quel momento.
Il lungo tour di supporto a Sweet Oblivion portò a galla molti problemi interni e la band andrà in pausa fino al 1995, quando ormai la grande onda del successo del grunge stava defluendo e Mark Lanegan aveva intrapreso una brillante carriera solista, collaborando poi anche con i Mad Season. I ragazzi decisero di rimettere in moto la macchina e chiamarono il produttore George Drakoulias, famoso per il lavoro con Black Crowes e Jayhawks e diedero vita a quello che per molti è il loro capolavoro e che è indubbiamente il loro disco più maturo, il qui presente Dust, uscito nel 1996.

L’album porta a compimento tutto il percorso seguito fino a quel punto, mostrando una varietà di ispirazione enorme e quanto profonda fosse ancora la qualità di scrittura del trio portante. Le influenze psichedeliche sono ancora tutte in bella mostra, così come la rovente base hard rock, l’evidente venatura grunge già messa in mostra nel precedente Sweet Oblivion e l’influenza che piano piano Mark Lanegan stava introducendo nella propria scrittura, riconducibile al blues, al folk acido e al soul, che costituisce la vera cifra stilistica sotterranea del disco, trasformandolo nel più “spiritual” della carriera degli Screaming Trees. La distorsione di Gary Lee Conner è fangosa e ribollente e anche il caldo e presentissimo basso di Van Conner gioca un ruolo da protagonista, mentre Barrett Martin conferma la propria eccellenza di strumentista dietro alle casse, con ritmiche sempre molto sostenute e vibranti. Lanegan, rispetto alle proprie prove da solista, varia molto i registri, non affidandosi in maniera prevalente alle inconfondibili e infinite vibrazioni basse della propria estensione, ma svolgendo appieno il proprio compito di cantante rock. La perfetta produzione di Drakoulias dona rotondità e brillantezza al tutto, smussando le abrasive spigolosità dei primi album a favore di un suono avvolgente, che esplode dalle casse assieme alle splendide dinamiche, che si avvantaggiano di un sapiente uso di chitarre acustiche e distorte, ampiamente stratificate, che galleggiano nello spettro sonoro accavallandosi ad andando a formare un magma in continuo movimento, sotto al quale la base ritmica spinge in costante enfasi dinamica e Lanegan rifinisce con una qualità melodica eccelsa, accompagnato dai cori degli altri e da numerosi strumenti che arricchiscono enormemente gli arrangiamenti.
Ogni canzone ha una sua natura e si distingue dalle altre a partire dall’opener Halo of Ashes, centrata su un riff irresistibile di chitarra e sitar che già da solo basterebbe a certificare l’unicità della band su tutte le altre, non fosse poi per il pulsante basso e le percussioni di Martin e, infine, per il magnetismo vocale di Lanegan, cantore dell’Apocalisse se mai ce n’è uno al mondo. Appena il tempo di riprendersi e parte All I Know, perfetto complemento alla celeberrima Nearly Lost You. Melodia vincente, alternanza tra acustico e distorto con tanto di wha wha nell’assolo, organo in sottofondo e Martin al consueto inarrestabile motore ritmico, per un singolo che avrebbe potuto fare sfracelli nelle classifiche mondiali. Come detto, una vena intimista emerge in maniera forte e con un cantante come Lanegan come rinunciare a brani pacati e al contempo capaci di scavare un abisso nell’anima dell’ascoltatore? Ecco quindi che tocca a Look at You, dolcissima ballata ai limiti dello zuccheroso nel refrain, che trova il giusto equilibrio nella distorsione sfrigolante di Conner e in parte centrale cacofonica e quasi noise. Se Sweet Oblivion aveva in Dollar Bill uno dei propri apogei, ecco che Dust ci regala una Dying Days maestosa e vagamente epica nel riff portante, la quale costituisce indubbiamente uno dei punti più alti della discografia della band, grazie anche al costante substrato blues fornito dall’organo e al riconoscibile assolo dell’ospite Mike McCready (Pearl Jam). Altra perla in arrivo con Make My Mind, pezzo non tra i più famosi della band, ma graziato ancora una volta dal particolarissimo riffing e dalla prestazione di Lanegan, splendidamente a proprio agio sulle partiture acustiche quanto su quelle distorte.
La seconda parte dell’album è anche quella nella quale viene fuori la maggior vena introspettiva e spiritual, come evidente da Sworn and Broken, ballata acustica accompagnata dal violoncello che al solito incontra nella distorsione e nella coralità delle voci la propria esaltazione. Per contrasto, Witness finisce per essere la canzone più veloce e aggressiva del lotto, alzando le vibrazioni e preparando il terreno per la chiusura affidata ai brani più ricercati. Tempo per un altro dei capolavori del disco, forse addirittura la canzone più bella contenuta in Dust: Traveler è una ballata folk psichedelica guidata dalla chitarra acustica, dal mellotron, dal flauto e dalla voce di Lanegan che in questo caso raggiunge livelli di intensità da brividi. Chiusura per altri due brani molto particolari e degni di nota come Dime Western e Gospel Plow, splendidi esempi della capacità compositiva e della visionarietà di un gruppo che senza mai forzare su livelli di tecnica circense, sapeva come offrire un ventaglio espressivo invidiabile. Non fosse per la voce di Lanegan, infatti, Dime Western potrebbe benissimo passare per un brano di una band crossover visionaria e maledetta, con quel mellotron insistente e deviante, mentre Gospel Plow grazie alle tablas e all’atmosfera “tibetana” sposta ancora di più il confine musicale di Dust, salvo poi lasciare posto d’improvviso ad una classica evoluzione “grunge” che richiama All I Know e Dying Days, a sua volta spezzata ancora dal mellotron, concludendo in maniera degnissima un lavoro enorme.

Il disco della maturità raggiunta, della massima qualità e varietà espressiva, del più ampio raggio d’azione. Un disco di dieci gemme, senza difetti. Ispirato come mai prima e graziato dalla prestazione di quattro musicisti al massimo del loro potenziale espressivo come gruppo. A tutto questo, naturalmente, fece eco un gran bel silenzio. Il disco andò quasi bene complessivamente, ma non raggiunse affatto il successo del precedente Sweet Oblivion e dopo il tour successivo che vide Josh Homme (Kyuss, Queens of the Stone Age) aggiungersi alla band come chitarrista ritmico, la situazione tornò a degenerare. Lanegan si prese il tempo per far uscire il proprio terzo disco solista e anche se nel 1999 i ragazzi si ritrovarono e cominciarono a registrare dei demo per un nuovo album, di fatto nel 2000 la band si sciolse, data l’impossibilità di trovare un nuovo contratto. Una fine mesta e lontana dagli allori, per uno dei gruppi cardine dell’esperienza musicale del Nord Ovest degli Stati Uniti. Dust finì quindi per essere il testamento musicale degli Screaming Trees. Un finale dalla qualità inattaccabile, ma comunque piuttosto amaro, per un gruppo dalle ottime potenzialità, del quale alla fine ben pochi si sono davvero accorti, nonostante l’esplosione della scena che loro stessi avevano contribuito a creare ed alla quale avevano dato alcuni dei dischi più significativi. Non tutte le storie hanno un lieto fine, d’altra parte.



VOTO RECENSORE
87
VOTO LETTORI
89.77 su 22 voti [ VOTA]
ilvinox
Giovedì 1 Giugno 2023, 21.42.31
7
Secondo me qui erano spompatissimi da tanti anni di carriera. Poche idee, brani deboli, anche se prodotti bene. Gli do un 70.
maurizio
Martedì 17 Dicembre 2019, 14.01.27
6
quando uscì questo disco me ne innamorai subito ..io lo giudico il migliore desgli screamin trees... pezzi come all i know...sword and broken ..e witness sono l'apice grandiosi li metto in tutte le mie playlist per chi non lo ha ee un disco da acquistare senza remore uno dei dischi più belli di rock mai fatti il voto mi sembra basso potrei dargli 100 ma penso 90 sia giusto ciao
InvictuSteele
Mercoledì 18 Ottobre 2017, 10.47.16
5
Quanto è bello questo disco! Quanto era bella questa band, Dust è il mio preferito degli ST, ha una nota amara di sottofondo che mi fa impazzire. Voto 82
Rob Fleming
Domenica 7 Febbraio 2016, 17.52.15
4
Il canto del cigno, ma sempre validi. 73
alessandro bevivino
Venerdì 15 Maggio 2015, 16.13.19
3
Un bel disco e bella recensione, anche se penso che il loro top sia Buzz Factory. Mia opinione e che Dust per quanto bello non ha portato nulla di nuovo /evoluzione alla loro discografia.
Conte Mascetti
Lunedì 11 Maggio 2015, 15.22.06
2
Gli Screaming non hanno avuto la popolarità ma hanno sempre fatto dei grandi album. Dice bene l'autore. Dieci gemme. Riscopritevi anche quelli prima.
sgrunf
Sabato 9 Maggio 2015, 19.06.53
1
per me uno dei gruppi più sottovalutati del Rock tutto......grandi
INFORMAZIONI
1996
Epic Records
Alternative Rock
Tracklist
1. Halo of Ashes
2. All I Know
3. Look at You
4. Dying Days
5. Make My Mind
6. Sworn and Broken
7. Witness
8. Traveler
9. Dime Western
10. Gospel Plow
Line Up
Mark Lanegan (Voce, Chitarra)
Gary Lee Conner (Chitarra elettrica e acustica, Sitar, Cori)
Van Conner (Basso, Chitarra, Cori)
Barrett Martin (Batteria, Percussioni, Congas, Djembe, Tablas, Violoncello, Harmonium)

Musicisti Ospiti
Benmont Tench (Mellotron su tracce 1, 8, 9, 10, Organo, Piano elettrico, Piano su tracce 2, 3, 4, 6)
Mike McCready (Assolo su traccia 4)
Chris Goss (Cori su tracce 2, 5)
Milori (Violoncello su tracce 2, 6)
21st Street Singers (Cori su traccia 4)
Brian Jenkins (Cori su traccia 8)
George Drakoulias (Percussioni)
Jeff Nolan (Chitarra su traccia 9)
 
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