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Barren Earth - On Lonely Towers
( 2320 letture )
Hanno cambiato casa discografica, per potersi avvalere della forza promozionale di una major del metal internazionale, hanno anche cambiato artista per il cover artwork, passando da Paul Romano a Travis Smith, volendosi incanalare delle spire di quei gruppi che tendono a lasciarsi rappresentare per il concetto effimero ed immateriale del contesto applicabile alla musica in quanto tale, e per finire hanno cambiato cantante, ma andiamo per gradi. Cambiare cantante, soprattutto se si diventa nel giro di brevissimo tempo una band conosciuta, risulta alquanto traumatico per quelle persone non molto inclini ai cambiamenti all’interno di un progetto; soprattutto se a questo aggiungiamo la fama di supergruppo, il tutto assume una complessità non indifferente. Sostituire una persona del calibro di Mikko Kotamäki non è affatto facile, a chiunque tremerebbero le gambe ed i musicisti coinvolti, che desiderano far continuare a vivere il progetto senza un pezzo da 90 come quest’ultimo, necessitano di essere compresi e sostenuti nella scelta, che piaccia o meno. Essere sostenitore di un gruppo non è altro che deliziarsi della musica, non tanto del compositore in quanto tale, oppure la vedete in modo differente? La storia ci insegna che in casi di band quali Marduk, Cannibal Corpse, Decapitated e via discorrendo, giusto per citare episodi eclatanti, l’impatto sul fanbase non è stato mai semplice, anzi, alcuni dopo anni reclamano il vecchio al nuovo non riuscendo ad accettare il cambiamento avvenuto, come se fosse loro diritto chiedere ed approvare l’ugola che potrebbe in molti casi portare nuove soluzioni o sperimentazioni. Ecco che di punto in bianco sulla foto promozionale 2015 Jón Aldará, proveniente dai feringi Hamferð, ha il non invidiabile compito di progredire ciò che già di ottimale è stato costruito dai Barren Earth nei due precedenti album. On Lonely Towers non è solo il fatidico terzo album, è molto di più: ascoltandolo, volta dopo volta, è possibile comprendere come ad oggi le sonorità di qualche anno addietro siano oggi più strette che mai, talmente strette ai nostri che desiderano andare oltre al classico trademark di stampo scandinavo.

Voce a parte, che abbiamo già trattato copiosamente qualche riga sopra, la differenza sottolineabile in questo nuovo platter è la scelta compositiva e la direzione intrapresa che involontariamente (dato che in certi ambiti musicali non si costruisce nulla a tavolino, o così si spera) è stata intrapresa dai Barren Earth. Il progressive death di matrice scandinava-settantiana è ancora oggi l’asse portante dei nostri, ma ad un ascolto più attento si riesce a comprendere come le sfuriate prettamente progressive oggi hanno lasciato spazio ad una velatura di death-doom, probabilmente generatasi autonomamente all’ingresso del nuovo membro. I'incertezza in quest'ultima affermazione è d’obbligo, ma che le strada intrapresa sia colma di nuove sperimentazioni e filamenti sottili che man mano ricoprono la superficie è certezza. Basta ascoltare tracce come Howl, la title track o Chaos, The Songs Within per percepire quella velatura di oscura pesantezza con tinte drammatiche. D’altro canto, in antitesi con queste canzoni citate, esiste l’anima più progressiva e sbarazzina, con il tocco che nasce anta anni addietro, rivisitando il tutto in chiave moderna con creazioni di ottima fattura come l’iniziale From the Depths of Spring, il singolo d’apertura Set Alight e la magnifica Sirens of Oblivion o la conclusiva The Vault, bilanciata alla perfezione tra lentezza e spregiudicatezza. È proprio questa penultima traccia che porta a farsi alcune domande, non riuscendo a comprende la volontà della band di inserire tale composizione come bonus track, all’ottavo posto, come a dire “Ok, perfetto, ma non considerate questa canzone nel giudizio del disco, non fa parte del contesto”. Ascoltando e riascoltando risulta la migliore del lotto con la sessione centrale da 2:39 a 4:16 da applausi, stacco jazz compreso pur risultando un ago nel pagliaio, un’improvvisazione fine a se stessa. Giocando magistralmente tra gli opposti On Lonely Towers si lascia ascoltare piacevolmente anche back to back, portando un alone di tristezza e decadentismo nell’animo; non è un caso, poiché i dettagli qui sono studiati alla perfezione per entrare nell’atmosfera del concept dall’inizio alla fine.

Fermi tutti, concept album? Non al 100%, ma le parole espresse proprio dal nuovo frontman aprono molti spiragli sull’eventuale interpretazione del singolo. Ecco cosa ha dichiarato in sede di intervista: "Le canzoni descrivono differenti eventi che circondano due personaggi principali. Uno è il cacciatore, che viene attaccato e mutilato dai predatori, l'altro è una bambina che fugge dai suoi genitori abusivi. I due si incontrano in un vasto spazio campestre in cui imponenti ed antiche torri svettano solitarie in decadimento. La ragazza promette di aiutare l'uomo nel recupero dalle ferite ricevute con tutti i mezzi a sua disposizione. È un concetto basato sull'idea del dover necessariamente accettare la mortalità, che a sua volta si intreccia con altri temi sul concetto di vita e morte in quanto tali". Così, e solo così, leggendo certe dichiarazioni, è possibile comprendere appieno quello che la superficie nasconde ai più, dove una ragnatela di testi criptici ed articolati non lascia spazio all’immaginazione. Il voler lasciare il controllo delle linee vocali e delle liriche al nuovo frontman è sintomo di fiducia da parte dell’intera band: l’ unione nel gruppo è fondamentale, soprattutto quando hai un uovo arrivato al quale lasci il compito di raccontare le musiche composte. Proprio queste sono state composte al 50% da Laine e Mårtenson, un album dunque composto interamente da tastierista e bassista vorrà ben significare qualcosa, no? Ma questo non ve lo dico, lascio ad ognuno il beneficio del dubbio.

Quale è dunque il fardello che i Barren Earth si portano dietro nel 2015? Pur avendo composto un album eccelso sotto moltissimi aspetti, per antitesi diverse tracce non riescono a scorrere alla perfezione, risultando in certi momento forzate e troppo meccaniche. Questo aspetto viene alla luce prepotentemente nella parti di puro death con il growl in primo piano: l’idea di un collage di idee assemblate non troppo accuratamente, calcando la mano per ottenere “la botte piena e la moglie ubriaca”, si intravede ad ogni ascolto. Colpo finale, per dare a Cesare quel che è di Cesare, è Mikko Kotamäki: lui era superiore in tutto, il cantante per eccellenza dei Barren Earth. Come detto all’inizio, i cambiamenti vanno accettati, ma la doti canore sono tutt’altro e pur avendone il beneficio in molti, non tutto è oro ciò che luccica.

Tracciamo una linea e guardiamoci in faccia: On Lonely Towers è sicuramente un buon disco, su questo non ci piove, difettando della raffinatezza neoromantica dei suoi predecessori. Ha al suo interno nuovissime soluzioni, una produzione da invidiare e le strade intraprese sono solo la punta dell’iceberg per quello che potrà accadere in futuro. In proporzione con i suoi predecessori non perde sulla lunga distanza, ma scuramente i fan incalliti (sempre ce ne siano) troveranno il bello anche dove non v’è presenza. Da una superpotenza probabilmente le aspettative erano altre ma c’è sempre molto, molto di peggio; godetevelo appieno, ma aspettate l’autunno per assaporarlo al meglio.



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
86 su 4 voti [ VOTA]
Zio Velvet
Sabato 22 Agosto 2020, 6.14.05
7
Nessun richiamo agli Opeth, album personalissimo e di gran gusto
Macca
Mercoledì 13 Aprile 2016, 9.21.27
6
Un buon album che ho scoperto volentieri, per nulla ruffiano e con ottime canzoni. Non ho ascoltato il predecessore e, pur non disdegnando la voce di Aldara, sarei stato curioso di ascoltare questo con Kotamaki alla voce: probabilmente sarebbe stato uno dei migliori dischi del 2015, comunque bene anche così. Voto 75
Max84
Sabato 19 Dicembre 2015, 15.53.37
5
Album stilisticamente valido con alcuni richiami agli Opeth ma conservando nei testi una eccelsa originalità.. il Vocalist non é affatto male.. e non é un anello debole
dorian gray
Giovedì 14 Maggio 2015, 21.11.37
4
un album candidato tra i migliori di questo 2015
deborahlevi
Giovedì 14 Maggio 2015, 15.07.45
3
a tratti si dimostra un lavoro che si rivolge ad adolescenti depressi o un po incazzati poi è troppo melodico, non mi piace affatto
Graziano
Mercoledì 13 Maggio 2015, 18.06.50
2
Per me invece è un album notevole, e il cambio stilistico con il cantante nuovo dimostra un coraggio non indifferente, al contrario di chi (Kamelot e Nighwish) è andato sul sicuro.....
Red Rainbow
Mercoledì 13 Maggio 2015, 12.06.50
1
Concordo con Andrea praticamente su tutto, è un buon disco con punte anche di eccellenza (molto bella la title track in dimensione semi-suite e Set Alight, "scolastica" e coraggiosa allo stesso tempo), ma anche con qualche passaggio a vuoto di troppo (qui Frozen Procession in pole position). In ogni caso, tanto di cappello per la prova del nuovo singer, anche se rimango iscritto anch'io imperituramente al partito di Sua Superiorità Kotamaki....
INFORMAZIONI
2015
Century Media Records
Prog Death
Tracklist
1. From The Depths Of Spring
2. Howl
3. Frozen Processions
4. A Shapeless Derelict
5. Set Alight
6. On Lonely Towers
7. Chaos, The Songs Within
8. Sirens Of Oblivion (Bonus Track)
9. The Vault
Line Up
Jón Aldará (Voce)
Janne Perttila (Chitarra)
Sami Yli-Sirnio (Chitarra)
Olli-Pekka Laine (Basso)
Kasper Mårtenson (Tastiere)
Marko Torvonen (Batteria)
 
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