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Risen Prophecy - Into the Valley of Hinnom
( 1301 letture )
I Risen Prophecy sono una band thrash-power metal inglese originaria di Sunderland. I quattro britannici citano come influenza principale gli Iced Earth e sono giunti, con questo Into the Valley of Hinnom, al secondo full-length. Il disco è un concept album che, come si può intuire dall’artwork di copertina, racconta di epoche passate e oscure. La Vallata di Hinnom (conosciuta anche come Gehenna) è infatti nota come luogo di culto (in diversi miti antichi) della divinità malvagia Moloch. A Hinnom pare si svolgessero riti nefasti e che si desse fuoco ai neonati per sacrificarli all’empio Moloch.

La premessa del disco è quindi di un certo spessore; il potenziale per dare avvio a una narrazione stratificata e ad ampio spettro c’è tutto. I Risen Prophecy dimostrano, fin da subito, di essere in possesso di un’apertura mentale e di una predisposizione alla sperimentazione assolutamente non scontate, considerando anche l’origine della loro proposta. Riuscire a piegare un genere sanguigno come il thrash alle esigenze dell’epica e della mitologia non è roba per tutti e i Risen Prophecy, pur con alcune riserve, riescono a centrare l’obiettivo. Il riferimento agli Iced Earth è pregnante, pur se non esaustivo: i Prophecy partono da un robusto impianto thrash classico, cui aggiungono raffiche in pieno stile power e un’interessante tendenza a contaminare e a esplorare territori vicini al prog. Le tre coordinate del loro sound riescono a trovare un’espressione univoca e a concretizzarsi in un risultato finale ben tornito, dovutamente cesellato e che non lascia intravedere le cuciture e il lavoro di rifinitura, ove sono state effettuate operazioni d’incastro tra generi differenti. Non sembra di trovarsi di fronte a una band al secondo disco, questo è indubbio. I Risen Prophecy, d’altro canto, hanno, connaturata al proprio sound, l’attitudine potenziale a dividere gli ascoltatori in fan adoranti e oppositori accaniti. Troppe le sfumature, troppa la ricerca trasversale, troppa autoconsapevolezza per suonare freschi e convincenti per tutti. Qualcuno, appassionato del thrash più classico, potrebbe trovare scarso mordente nelle sonorità dei Prophecy; altri, abituati a un tipo di metal più “colto”, potrebbero chiedersi perché la band non abbia deciso di andare fino in fondo con la sperimentazione. Possiamo rispondere così: i Prophecy sono ancora all’inizio del proprio percorso e le possibilità di trovare un sound ancora più personale e stratificato ci sono tutte. Into the Valley of Hinnom, e questo è ciò che conta, può decisamente essere il germoglio che un giorno diverrà un grande albero. Il lavoro prettamente musicale fatto dalla band è encomiabile: i brani sono ottimamente composti e articolati in sezioni ben discernibili ma che scivolano piacevolmente l’una nell’altra, la tecnica strumentale è più che buona, le atmosfere ricreate convincenti. La scelta, apparentemente incomprensibile, di dare alle stampe un concept album fatto di sole quattro canzoni (più un’intro e un’outro) in realtà paga. Un lavoro più lungo, date le possibilità non infinite in faretra ai Prophecy attuali, sarebbe potuto venire facilmente a noia. Nel terzo disco si vedrà definitivamente di che pasta è fatta la band inglese. Intanto i quattro brani di questo Into the Valley of Hinnom sono difficilmente attaccabili. Certo, la produzione non è eccezionale e può essere migliorata in ottica futura, per non parlare del comparto artwork (non solo: nelle sezioni più vicine al prog saltuariamente affiora, a livello quasi istintivo, il bisogno di strafare e di buttarsi su soluzioni talvolta circonvolute); ma, nel complesso, il lavoro dei Risen Prophecy mostra una maturità da band navigata. Eccellente soprattutto la prova al microfono del singer Dan Tyrens, dotato di un timbro davvero unico, a metà tra il profetico, il doom e il thrash più spinto. Per certi versi, pur se in un genere completamente differente, ricorda il sorprendente Davide Straccione degli Shores of Null. Parlando in dettaglio delle canzoni, segnaliamo i momenti apocalittico/biblici di Brood of Vipers, una sorta di fusione tra System of a Down, Anthrax e Orphaned Land, non sempre perfetta, ma di grande fascino (qualcuno potrebbe vederci del quasi-avantgarde). Buona anche la veloce Knowing Nothing, che contiene i passaggi forse più strettamente thrash del lotto; con To the Wolves, invece, ci avviciniamo per certi versi pure al metal sinfonico, rielaborato secondo la lezione duramente heavy degli Iced Earth. Into the Valley of Hinnom contiene invece una sezione centrale praticamente post-metal, di nuovo a dimostrare l’eclettismo musicale dei Risen Prophecy. Ultimissimo appunto in negativo: alcune idee, per quanto di alto profilo, danno l’idea di essere recuperate troppo esplicitamente di brano in brano.

Quello nella Vallata di Hinnom, per quanto oscuro, è un viaggio che vale la pena d’intraprendere. Il secondo disco dei Risen Prophecy non fa gridare al miracolo, ma contiene in sé i germi di un futuro capolavoro. Per adesso ci godiamo Into the Valley of Hinnom che, per quanto incompleto, è decisamente un’uscita sopra la media dei dischi contemporanei.



VOTO RECENSORE
78
VOTO LETTORI
77.66 su 3 voti [ VOTA]
Andy Thrasher
Domenica 24 Maggio 2015, 19.01.12
1
Davvero un grande disco, la MOMR sforna sempre ottime band!
INFORMAZIONI
2015
Metal on Metal Records
Power/Thrash
Tracklist
1. The Descension
2. Brood of Vipers
3. Knowing Nothing
4. To the Wolves
5. Into the Valley of Hinnom
6. The Ascension
Line Up
Dan Tyrens (Voce)
Ross Oliver (Chitarra)
Ben Oliver (Basso)
James Charlton (Batteria)
 
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