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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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Disarmonia Mundi - Cold Inferno
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( 2892 letture )
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Recensire un lavoro melodic death è, in mia opinione, quanto di più difficile si possa presentare a un qualsiasi recensore che lavori in questo determinato ambito. Infatti, al netto di un bagaglio di natura tecnica che è sottoposto a rari preziosismi di natura puramente accademica, è la componente sentimentale che emerge dalle pieghe delle canzoni a dover colpire e trascinare l’ascoltatore. La necessità della melodia, infatti, è unicamente plasmata in funzione di un sentimento che faccia pulsare il pezzo. Il complesso lavoro del musicista sta nel rendere la sua intima soggettiva fruibile in una forma che possa essere, al contempo, oggettiva e soggettiva. Oggettiva in quanto, alla melodia, è richiesta la possibilità di penetrare, pur anche nel suo sviluppo più intricato, più facilmente l’attenzione dell’ascoltatore; soggettiva, invece, perché, appunto, deve ovviamente rappresentare un’espressione nella quale potersi identificare, unendosi al testo. Non credo, dunque, che vi sia un genere più complesso e soggettivo. O la musica ti pervade e ti colpisce, oppure gli arrangiamenti, le impalcature, i suoi preziosismi armonici e tecnici non possono che risolversi in un scorrere vuoto, inerte e che difficilmente lascerà un qualcosa, un ricordo o un qualsiasi altro fulgente bagliore nella nostra mente.
I Disarmonia Mundi sono un gruppo fondato, ormai, quindici anni fa in quel di Avigliana, in provincia di Torino, dalla mente di Ettore Rigotti che è rimasto anche l’unico componente della line-up originaria. L’offerta musicale, che ha seguito una determinata evoluzione nel corso degli anni, è un melodic death veloce e potente, con interludi ad ampio respiro volti a spezzare momenti di forsennati riffing, sulla spinta di gruppi quali Soilwork, At the Gates, In Flames e Insomnium. Questo Cold Inferno rappresenta il loro quinto full-length. La scena metal italiana è ormai di difficile interpretazione. La mancanza di una vera e propria scuola ha impedito che si potesse creare quel substrato unitario che permette l’esplosione e il rinnovamento della musica. Le band, infatti, sono in parte abbandonate a se stesse, in uno scuro anonimato e nell’indifferenza generale di chi, invece di provare a sostenere il desiderio di espressione dei nostri giovani, preferisce investire in progetti che potremmo definire più sicuri. Dall’altra parte, però, abbiamo anche un pubblico che è sempre meno interessato a scoprire, in quanto piuttosto preferisce rivedere le cose continuamente riproposte in formule considerate familiari, incapace di scrollarsi di dosso la pesante eredità dei gruppi storici, sulle cui spalle possiamo sempre adagiarsi con fiducia e riposare tranquillamente le nostre tempie. All’interno di questa contraddittoria scena musicale, non credo che ci si possa stupire se, a parte alcune eccezioni, i gruppi non sono contraddistinti da quella determinata vivacità intellettiva, da quel pulsante genio interpretativo e artistico. Questo discorso, insieme alla premessa introduttiva, ci guidano necessariamente a questo Cold Inferno. I Disarmonia Mundi, indubbiamente, sanno suonare. Ettore Rigotti ha delle ottime capacità compositive e una padronanza degli strumenti che è propria solo degli iniziati all’Arte. Tuttavia, il disco non mi ha colpito, non mi ha dato quel senso di onnipotenza che titolo, melodie e arrangiamenti sembrano voler far trasparire. Le canzoni scivolano via in un eterno ritorno del simile. Nessuna supera se stessa, nessuna emerge, ma si attestano tutte su un unico e continuo livello. Il che, comunque, rappresenta un vantaggio perché ci permette di esplorare il disco senza mai perdere la concentrazione a causa di cadute o perdite di stile. Dall’altra parte, soprattutto se il disco non riesce a colpirci, ci consegna un’opera che non può che risultare piatta. È come dominato da una forte illusione, l’illusione di essere qualcosa che alla fine non è. Tracce come Creation Dirge, Stormghost o Coffin Diver, tra le più riuscite, sembrano esprimersi su determinati livelli, salvo dopo pochi minuti spegnersi e rasentare il completo anonimato. Nessun segno di vita, non un palpito. In maniera puramente soggettiva e sottolineando con doppia penna rossa come questa sia una mia opinione, l’idea del doppio cantato, pulito e in growl, si risolve in un qualcosa molto più vicino all’hardcore che mi ha lasciato più di un punto di domanda in testa. Non mi è sembrato minimante efficace a trasmettere alcun pensiero o sentimento, incapace di dare veramente risalto al testo o ai ritornelli. Da un punto di vista tecnico, come ho già avuto modo di dire in precedenza, non c’è niente da sottolineare. Gli strumenti, invece, hanno tutti il loro risalto, anche il basso, spesso relegato in ruolo unicamente ritmico e udibile solo in alcuni spaccati, si prende la scena con delle piccole frasi interessanti. Il tema compositivo, tuttavia, sembra essere sempre uguale a se stesso: le trame dei riff, infatti, in alcuni punti, paiono riprendersi tra di loro confluendo nelle medesime soluzioni armoniche. Un pezzo come Oddities from the Ravishing Charms, con i suoi oltre sette minuti di lunghezza, ci offre spaccati d’estetica tecnica/melodica molto interessanti che, pur non annoiando l’ascoltatore, però si ripetono per tutta la durata del brano, eccettuato lo spaccato melodico verso la conclusione che, forse, poteva essere sviluppato in maniera più approfondita prima di riprendere il riff principale e sfociare nella chiusa con il solo melodico. Molto più interessante, invece, ho trovato la conclusiva Toys of Acceleration anche se, dopo l’intro, tende un po’ a perdersi sempre negli stessi labirinti di cui sopra.
In conclusione, il disco non mi ha lasciato niente da un punto di vista puramente emozionale. E al netto di una prova veramente ottima, neanche dal punto di vista tecnico sono riuscito a trovare quel barlume del sublime fuoco sacro. La bocciatura, comunque, è sottoposta, in mia opinione, all’eterna soggettività del genere che, comunque, va a inserirsi in un contesto, quello della scena metal italiana, che è frustrata fin nel profondo dall’incapacità sia di gran parte del pubblico che di elementi terzi di investire in essa con efficacia. In ogni caso, al netto di questi discorsi che so per certo che saranno presi come un insulto, come un affronto con commenti del tipo “Eh, ma se fai tutti questi discorsi, perché non sei là fuori a suonare” o roba del genere, questo è il mio giudizio.
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2
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Album più che buona di una band validissima |
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1
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Secondo me è un buon album, come tutta la loro discografia..il mio voto è 75/80 |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Creation Dirge 2. Stormghost 3. Behind Closed Doors 4. Coffin 5. Oddities from the Ravishing Charms 6. Slaves to the Illusion Of Life 7. Blessing from Below 8. Magma Diver 9. Clay of Hate 10. Toys of Acceleration
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Line Up
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Claudio Ravinale (Voce) Ettore Rigotti (Voce, Chitarra, Basso, Tastiere, Batteria)
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