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19/04/24
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Ahab - The Boats of The Glen Carrig
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04/11/2015
( 4528 letture )
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A distanza di 3 anni dall'ottimo The Giant tornano con una nuova fatica discografica gli Ahab con un concept intitolato The Boats of the Glen Carrig, chiaramente ispirato al romanzo di William Hope Hodgson, il cui titolo nell'edizione italiana è Naufragio nell’ignoto. Se ai più quest'autore è sconosciuto, non si può dire lo stesso per il celeberrimo H.P. Lovecraft, trattandosi di uno dei suoi scrittori preferiti nonché una delle massime fonti di ispirazione delle sue visioni deliranti e morbose. Non è un caso che i ragazzi tedeschi abbiano scelto l'opera di Hodgson: l'alternanza dei momenti nel quale l'oceano scatena tempeste apocalittiche facendo emergere dalle sue profondità entità mostruose e lo scemarsi della furia del mare in parentesi caratterizzate da una calma surreale in cui i componenti dell'equipaggio si trovano momentaneamente sospesi, ben si addicono all'alternarsi delle sfuriate doom e dei momenti delicati caratteristici dalla band. Al di là dell'evidente compatibilità vi è un'ammirevole perizia con la quale Droste & soci sono riusciti a far combaciare le parti musicali con quelle del romanzo; perizia che non è solamente limitata alla “corrispondenza” tra parole e note ma che si riversa anche sull'aspetto produttivo e compositivo.
Parlando specificatamente dei suoni The Boats of The Glen Carrig è sicuramente il punto massimo rispetto a quanto finora elaborato dagli Ahab; sia le distorsioni che le parti acustiche sono calibrate su livelli prossimi alla maniacalità con una nota di merito per la cura delle dinamiche soprattutto nelle parti acustiche. Passando invece agli aspetti compositivi è opportuno riallacciarsi a quanto prodotto dal quartetto tedesco; su queste pagine, già in sede di pubblicazione della recensione di The Giant ci eravamo posti degli interrogativi in merito alle possibili direzioni future di questa band, alla luce di una manifesta volontà di staccarsi dalle radici funeral doom mediante l'incorporazione di nuove influenze, che ne hanno via via determinato un rimodellamento dello stile e della personalità. Anche quest'ultima fatica, peraltro, non rappresenta un punto di arrivo quanto piuttosto uno stato di continua ricerca, nel quale è stata assorbita nuova linfa al fine di arricchire e variegare il sound e sono state rielaborate molte delle idee già presenti nei precedenti album. Alla luce della citata molteplicità delle spinte compositive alla base di The Boats of The Glen Carrig, è possibile effettuare un'analisi suddividendo idealmente il lavoro in 3 macroporzioni: La prima è costituita dalle prime due tracce, The Isle e The Thing That Made Search, nelle quali viene ripreso e perfezionato il discorso lasciato in sospeso con The Giant; entrambe sono infatti definite dall'alternanza delle parti doom e dagli inserti acustici, questi ultimi sempre pregevoli per la loro caratteristica raffinatezza. Un valore aggiunto si esprime mediante le parti soliste di Daniel Droste, nelle quali sono evidenti sia i miglioramenti nell'approccio sia i richiami allo stile di David Gilmour, mentre un difetto (peraltro nel complesso più veniale che di sostanza) è riscontrabile nella somiglianza strutturale dei due brani; La seconda comprende di fatto una sola traccia, Like Red Foam (The Great Storm), che rappresenta quanto finora gli Ahab non hanno mai affrontato; i ritmi si fanno più sostenuti ma soprattutto diviene più marcata l'influenza stoner con chiari richiami ai Mastodon. Per quanto anomalo e lontano dalle basi di partenza del combo di Heidelberg, è un brano che risulta molto gradevole e riuscito; Nell’ultimo gruppo possiamo collocare gli ultimi due titoli ovvero The Weedmen e To Mourn Job; su questi brani aleggia ancora lo spettro del passato remoto della band, con il classico carico di richiami al funeral doom, il tutto però servito con maggiore maturità e classe. Vi si riscontrano infatti inclusioni di tastiera e chitarra pulita che toccano volutamente i sentieri dell'ambient, quasi a voler donare un attimo di respiro all'ascoltatore prima di tuffarlo nuovamente nei sulfurei e funerei riff che donano l'imprinting a questi due ultimi capitoli. Al di là del giudizio di merito complessivo sull’album, un capitolo a parte spetta di diritto a The Isle, probabilmente uno dei vertici compositivi della discografia degli Ahab nonché perla di prima grandezza nell’intero panorama doom. Oltre alla componente musicale in senso stretto, merita una citazione particolare anche il videoclip dedicato alla suddetta traccia, in cui si può apprezzare l'ossessione quasi spassosa della band nel collezionare quantitativi immani di strumentazione “di fascia vintage”.
Riallacciandosi alle tematiche del romanzo si potrebbe dunque parlare di un naufragio artistico, declinato ovviamente secondo un'accezione positiva, nel quale gli Ahab molto lentamente, di album in album, sondano nuovi terreni senza azzardare più del dovuto al fine di non lasciare deluso nessuno e anzi ampliare il range dei propri seguaci. Risultato di ciò è un platter che mostra una notevole maturità artistica, una intelligente capacità di mettersi in discussione ma che, al di là dei ragguardevoli livelli qualitativi con il quale è servito, rimane ciò che è, un ottimo album anche se non sicuramente un capolavoro.
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9
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D\'accordo col Commento 2.. Manca qualcosa di tutto.. Si ascolta, ma si arriva alla fine con l\'amaro in bocca.. In sè piace, ma non regge il confronto con gli altri Album.. Effimero.. |
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8
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Lo sto ascoltando proprio adesso. Secondo me è il miglior album della band, o almeno quello più dinamico e meno scassacazzi. Molto bello, certo, deve piacere il genere, il funeral non è un genere semplice, ma gli Ahab sono una buonissima band. Bello il concept, produzione perfetta e ascolto che non stanca. Voto 80 |
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7
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Gran bell'album e grande band, che ho scoperto da poco. Io di doom mastico abbastanza poco, ma soprattutto quest'ultima fatica secondo me contiene accenni post (che cmq è confinante con il doom) e in taluni casi anche prog. Questo e il precedente li ho ascoltati sabato sera. Voto 83 |
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6
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Non mi e' piaciuto tantissimo onestamente. E' piu' dinamico dei precedenti e non credo possa piu' rientrare nel panorama extra slow. Per me strettamente"funeral" non lo sono mai stati, neanche agli esordi, anche se nell'immaginario comune vi e' un po' di fraintendimento sulle etichette. Scusate se su questo tema batto sempre il sempre il chiodo, ma con la vecchiaia su diventa sempre piu' noiosi e ripetitivi |
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5
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E' più doom o più funeral? |
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4
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aggiungo : artwork stupendo |
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3
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musica profonda, concept affascinante, atmosfera inquietante alcune sezioni acustiche mi hanno ricordato le parti più melodiche di 'Pelagial' dei The Ocean |
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2
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Si lascia ascoltare e poco altro, direi. "The Isle" a me sembra una traccia abbastanza banale, che si basa sulla solita alternanza tra arpeggio e parte doom, nulla di nuovo (anzi, tutto vecchio!). "Like Red Foam" lo definirei il classico singolo/hit (e non per nulla c'hanno fatto pure un video osceno). A quest'album manca la profondità di "The Call of the Wretched Sea" e l'epicità di "The Divinity of Oceans", così come le progressioni malinconiche e il suono vintage di "The Giant". Per quanto mi riguarda è l'inizio di un naufragio (senza alcuna accezione positiva). |
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1
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Band notevole, in crescita continua. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Isle 2. The Thing That Made Search 3. Like Red Foam (The Great Storm) 4. The Weedmen 5. To Mourn Job
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Line Up
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Daniel Droste (voce. chitarra, tastiera) Christian Hector (chitarra) Stephan Wandernoth (basso) Cornelius Althammer (batteria)
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