All’inizio degli anni novanta si poteva respirare una piacevole aria di cambiamenti nella musica heavy, forse il periodo caratterizzato dall’evoluzione più ad ampio spettro della storia recente, a partire dal progressive metal, passando per il death, il death melodico, il black, il viking ed infinite altre sfaccettature, portate alla ribalta da band seminali e leggendarie in grado di tracciare sentieri che sarebbero stati battuti da moltissimi ragazzi "in seguito". D’altra parte, esistevano anche band che non sono mai state etichettate in tale modo, pur sfornando piccole perle artistico-musicali che, ancora a distanza di anni, riescono ad emozionare e ad incrementare il rispetto per un periodo storico della musica metal davvero eccezionale. In questo raggruppamento, nemmeno poi tanto ristretto, rientrano gli svedesi Tad Morose, fautori di un ibrido tra heavy, power e progressive metal, caratterizzato da clean vocals -in contrasto con l’evoluzione estrema del genere di quegli anni- e tecnica musicale tutt’altro che scontata. Formatisi nel 1991, per opera della prima formazione che è quella che potete leggere qui a fianco, i Tad Morose hanno mantenuto una certa costanza di pubblicazione per una decina d’anni, salvo poi recuperare l’attività in studio nel 2013 con Revenant, che ha anticipato il recentissimo St. Demonius pubblicato sotto Despotz Records. Della formazione originale, oggi rimane solamente il chitarrista Christer "Krunt" Andersson ed il genere proposto si è più spostato verso una ripetitività heavy/power, accantonando quelle spruzzate progressive che hanno reso tanto piacevole questo esordio discografico.
Eternal Lies è l’emblema del genere ibrido proposto dalla band svedese: l’andatura cadenzata, che caratterizza la primissima parte del brano come se fosse un intro, delinea una struttura sonora che non pesta mai sull’acceleratore, preferendo l’atmosfera cupa costruita dalle tastiere di Fredrik Eriksson. Le linee vocali di Kristian Andrén sono trascinanti, con una timbrica non eccessivamente particolare ma che riesce a coinvolgere l’ascoltatore sin dal primo ascolto. Tanto per capirci, i Tad Morose hanno scelto di aprire il loro album d’esordio con uno dei pezzi più riusciti del lotto, accompagnandoci in un percorso colmo di bugie eterne, tra headbangin’ e solismi melodici. I pezzi della setlist sono disposti seguendo un ordine piuttosto lineare: Miracle segue la falsa riga dell’opener, pur essendo sensibilmente più corta ed aggressiva, con il basso di Per-Ola Olsson messo in primo piano nella costruzione ritmica della strofa da una buona produzione. Voices Are Calling, mantiene i ritmi bassi regalandoci una ballad di grande spessore, probabilmente il pezzo più emozionante e melodico dell’intera release, capace di mettere in luce la sentita prova del frontman. L’assolo poi, cucito alla perfezione alle ritmiche dettate dalla chitarra acustica, è semplice, lineare ma è capace di offrire quel quid in più ad una composizione di alto livello. Da segnalare anche il buon gusto di Dan-Erik Eriksson dietro le pelli, con un utilizzo piuttosto misurato ed elegante della doppia cassa, come si può evincere in Eyes of a Stranger. L’assolo, questa volta un po’ più tecnico, con armonici artificiali e rapide corse sulla scala, ci consegna la sfumatura più "power" della band, sempre su costruzioni ritmiche progressive. In Save Me, le tastiere tornano in primo piano, consegnandoci un brano che segue sempre la naturale cadenza degli altri pezzi, puntando sulla melodia e sul pathos esternato da voce e chitarra. Il difetto principale che talvolta si può riscontrare nei Tad Morose, è una scarsa differenziazione dei pezzi, che sembrano seguire un canovaccio unico, differenziandosi di pochi elementi nella caratterizzazione e sarà ciò che renderà gli album più recenti, un po’ meno godibili. La title-track, Reflections e Way of History chiudono la setlist, con la prima ad alzare i ritmi ed a regalarci l’aspetto un po’ più "heavy" della band. La strada è stata spianata ed i successivi Sender of Thoughts e, soprattutto, A Mended Rhyme alzeranno ulteriormente il livello della composizione del gruppo, complici anche gli avvicendamenti nella line-up.
Quando parliamo dei Tad Morose dei primi anni novanta, quindi, dobbiamo tenere a mente che siamo al cospetto di una band di livello decisamente alto, capace di regalare due -anche tre, facciamo- album ottimi senza tuttavia mai essere in grado di sfondare all’interno del music business. La loro proposta, soprattutto quella iniziale che possiamo goderci in questo Leaving the Past Behind è un mix di heavy, power, progressive, epic, doom e chi più ne ha, più ne metta, costruita con la precisione di un orefice e sostenuta da un songwriting valido, anche se un po’ stucchevole in certe situazioni. Alla fine, il discorso che si può fare sulla band di Bollnäs e sulle sue prime produzioni, è lo stesso che può valere per decine di altre band, quali Coroner, Metal Church, Morgana Lefay e Crimson Glory: tra il qui presente Leaving the Past Behind ed i successivi Sender of Thoughts e A Mended Rhyme, a definire un disco migliore dell’altro può essere solamente il gusto personale. Quindi sarebbe un errore definire in senso assoluto questo debut album il migliore della band svedese, sebbene sia stato in grado di consegnare un gruppo ad una schiera di appassionati con un songwriting particolare, un sound riconoscibile ed una buona qualità compositiva. In conclusione, qualsiasi possano essere le vostre preferenze, Leaving the Past Behind rimane un disco di ottimo heavy/power da riscoprire senza alcuna esitazione.
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